Newsletter Ayurveda nr. 57 – Novembre 2019
Newsletter n° «57»
Novembre 2019
FOCUS TAILAM: conoscere Ksheerabala Taila
Drug Invention Today | Vol 11 • Issue 10 • 2019
“GAS CHROMATOGRAPHY–MASS SPECTROMETRY ANALYSIS OF ONE AYURVEDIC OIL, KSHEERABALA THAILAM”
Sivakumaran, G., et al.
Introduzione
Ksheerabala in Ayuveda, è uno dei Taila più noti ed è caratterizzato da una formula semplice che sfrutta la sinergia di tre ingredienti principali e cioè l’olio di sesamo (Tila taila), il latte vaccino (Ksheera) e l’estratto di Sida cordifolia Linn (Bala). In Ayurveda, Ksheerabala taila, è considerato indicato nel trattamento degli “80 disturbi di Vata”.
Ksheerabala taila che è una delle più classiche formulazioni ayurvediche in base oleosa è ritenuto un rimedio molto utile anche nel lenire disturbi neurologici maggiori come la paralisi facciale, la sciatica, l’emiplegia, la paraplegia, la poliomielite e altre condizioni simili. Il nome “Ksheearbala taila” si troverebbe menzionato per la prima volta in Sahasra Yoga, che è il tradizionale formulario del Kerala, tuttavia preparazioni simili sono state menzionate in quasi tutti gli antichi testi ayurvedici ma con nomi diversi [6]: in Charaka come “Shatasahasra Pakabala Taila” [1], in Sushruta come “Shata pakabala taila” [2] e in Ashtanga hridaya come “Shatapaka- sahasrapakabala Taila”. [3]
I tre ingredienti di questa preparazione sono Ksheera (latte di mucca), Bala (sida cordifolia Linn) e Tila taila (olio di sesamo) e contribuiscono ad ottenere una miscela ricca di principi utili allo stato di salute, infatti il latte vaccino contiene tutti gli elementi necessari per la crescita e il nutrimento di ossa, nervi, muscoli e altri tessuti del corpo umano; Sida cordifolia contiene molecole farmacologicamente molto attive (alcaloidi) rappresentate principalmente dall’efedrina, che esercitano significativi effetti farmacologici di varia natura; l’olio di sesamo contiene diverse preziose sostanze non solo nutrienti tra cui la sesamina (che è una sostanza cristallina) ed il sesamolo (un composto fenolico) che possiedono diverse proprietà chimiche e contribuiscono anche con un’importante funzione antiossidativa; l’olio di sesamo, i cui benefici sono ampiamente noti in Ayurveda, è usato come base per la preparazione dell’olio. [6]
Anche per Ksheerabala taila, come in generale per tutti gli oli medicati, sono fondamentali gli aspetti qualitativi di produzione che dipendono da una serie di fattori a partire dalla materia prima utilizzata per arrivare al pieno rispetto della produzione in base alle raccomandazioni degli originali formulari ayurvedici di riferimento e delle attuali linee guida GMP.
Un aspetto importante ai fini della determinazione del migliore profilo qualitativo dei Taila medicati è il conoscere ad esempio il “Paka” di origine cioè il preciso stadio del processo di produzione dal quale deriva l’olio finito.
Questo aspetto è qualitativamente fondamentale per prevedere i potenziali medicamentosi dei Taila impiegati, infatti gli originali formulari ayurvedici descrivono diversi stadi (Pakas) produttivi dei Taila e cioè Ama, Mridu, Madhya Khara e Dadgha Paka; agli oli medicinali ottenuti da Mridu, Madhya e Khara Paka viene tradizionalmente attribuito un valore terapeutico e questi taila sono raccomandati per l’uso clinico, mentre i taila ottenuti da Ama e Dadgha pakas non sono ritenuti utilizzabili per l’uso terapeutico.
Le moderne aziende produttrici di Taila medicati possono oggi garantirne il migliore profilo qualitativo grazie all’impiego di moderne tecniche analitiche che consentono di stabilire con certezza i generali aspetti qualitativi della produzione dei Taila e confermarne ad esempio il Paka di origine, come suggerito già nel 1996 da uno dei primi studi scientifici sulla standardizzazione di Ksheerabala taila, che indicò anche come la sua composizione possa variare a seconda del Paka da cui origina. [7]
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1. Charaka Samhita – by Agnivesh, Published by chaukhambha Bharati academy, Varanasi 14th edition, 1987, Chikitsa Sthan – 29/119-120.
2. Sushruta samhita- by sushruta, Published by chaukhambha Sanskrit sansthan, Varanasi, 8th edition, 1993, Chikitsa sthan – 15/40-43.
3. Ashtanga Hridaya – by Vagbhatta, Published by Chaukhambha Sanskrit Sansthan, Varanasi, 10th edition, 1992 Chikitsa sthan – 22/45-46.
4. Pharmacopoeia of India published by Govt, of India, New Delhi 1966.
5. British pharmacopoeia published by general medical council pharmaceutical press, London, 1963 & 1
6. Rao VN, Shankar T, Dixit SK, Ray AB. Standardisation of ksheerabala taila. Anc Sci Life. 1996;16(1):21–25.
7. Rao VN, Shankar T, Dixit SK, Ray AB. Standardisation of ksheerabala taila. Anc Sci Life. 1996;16(1):21–25.
Lo studio breve
Le pratiche mediche tradizionali come l’Ayurveda e quella Siddha hanno una storia d’uso secolare tuttavia spesso manca la conoscenza della loro efficacia nelle moderne linee scientifiche; questa realtà, in alcuni casi una lacuna, porta spesso a scetticismo e interrogativi sulla veridicità degli effetti di questi sistemi. Fortunatamente molti ricercatori, appartenenti ad organizzazioni governative e non governative, si stanno concentrando in quest’ambito di ricerca per dimostrare la validità scientifica di questi preparati che spesso si dimostrano una ottima alternativa alle moderne medicine molecolari spesso poco tollerate e che presentano frequenti effetti collaterali. [15]
Il recente studio che segnaliamo, pubblicato ad ottobre 2019 da Drug Invention Today (editore Elsevier, I.F.: 6.369), rappresenta un ulteriore strumento di conoscenza dei meccanismi di attività che sarebbero alla base degli effetti medicamentosi che la tradizione attribuisce a Ksheerabala taila e conferma che questo taila possiede un’efficacia molecolare nel curare un certo numero di disturbi come testimoniato dall’uso in Ayurveda. [15]
Questa tipologia di studio risulta interessante al fine della conoscenza tecnica dei singoli taila infatti in essi, una volta “finiti” e pronti, si possono ritrovare molecole bioattive diverse da quelle in origine contenute negli ingredienti. In linea di principio l’esposizione prolungata degli ingredienti d’origine a temperatura mediamente elevata, può determinare una serie di reazioni chimiche che possono generare modificazioni nelle specie molecolari d’origine, ad esempio attivandole oppure disattivandole (un classico esempio vale per molecole termolabili) oppure semplicemente trasformandole grazie a semplici reazioni chimiche dovute, ad esempio, alla presenza di acqua nei decotti o di sostanze pro ossidative; sempre ad esempio, nei taila finiti si osservano quasi sempre variazioni dell’acidità della miscela che devono risultare in intervalli fisiologicamente accettabili e raccomandati.
Sull’argomento una osservazione interessante viene riportata proprio nello studio che proponiamo, infatti in esso, sottoponendo campioni di Ksheerabala taila ottenuto dai vari stadi di preparazione, a analisi di gas cromatografica e spettrometria di massa (GC – MS), è emerso che in tutti i campioni è rintracciabile la presenza di sesamina e sesamolina, che sono importanti lignani presenti nell’olio di sesamo, tuttavia per Ksheerabala taila ottenuto da Dagdha paka i picchi analitici di questi due lignani sono piuttosto piatti (cioè le due molecole risultano presenti in scarsa quantità) indicandone una parziale decomposizione.
Lo studio osserva inoltre che il grado di effetti termici fisici e chimici nella preparazione dei taila influisce su alcune costanti importanti come gravità specifica, valore acido, valore di saponificazione, valore di iodio ecc.; nello studio viene riportato che questi valori differiscono ampiamente nei diversi stadi di preparazione del taila. [15, tabella 1]
Lo studio proposto ha esaminato una formulazione standard di Ksheerabala taila sottoponendolo ad analisi ibrida gas cromatografica e di spettrometria di massa (GC-MS) e ne ha individuato i principali componenti chimici attivi riassumendone i ruoli medicinali attraverso anche la comparazione dei dati fitochimici ed etnobotanici già disponibili. [15]
Lo studio ha concluso che il profilo gas cromatografico (GC – MS) di Ksheerabala taila indicava la presenza di importanti biomolecole come l’acido n-esadecanoico, l’acido 15-idrossipentadecanoico, l’acido esadecanoico, il 2-idrossi-1-(idrossimetil) etil estere, l’acido (3-fluorofenil) carbammico, l’estere 2-isopropil-5-metilfenile, l’acido esadecanoico, il 1-(idrossimetil)-1, 2-etanediol estere, l’acido esadecanoico, il 2-(ottadecilossi) etil estere, il gamma-tocoferolo e il gamma-sitosterolo; tutte queste molecole hanno ruoli medicinali coerentemente correlati a quelli attribuiti a Ksheerabala taila. Lo studio ha concluso che Ksheerabala taila è un importante preparato ayurvedico che contiene alcune molecole molto importanti, originati dagli ingredienti e dalla preparazione, che spiegano i suoi effetti medicamentosi.
Come premesso Ksheerabala taila viene altamente raccomandato per i disturbi di Vata come dolori neuromuscolari, sciatica, spondilite, paralisi, mialgia, come neurotrofico, cataratta, mal d’orecchi e mal di testa [15] ma viene anche prescritto per alcuni altri disturbi come l’eiaculazione precoce, l’ansia, la depressione, i disturbi del sonno, l’ipotiroidismo e l’ipotonia muscolare. [15]
Ksheerabala taila può essere impiegato attraverso il massaggio, attraverso il clistere ma anche come collutorio per trattare il sanguinamento delle gengive. È anche usato per la terapia di Nasya, per curare l’emicrania, il mal di testa, ecc. [15]
Come premesso questo olio è preparato con droga di Sida cordifolia, decotto acquoso di droga di Sida cordifolia, latte e olio di sesamo. La laboriosa procedura di preparazione tradizionale vuole che quest’olio venga progressivamente disidratato e che questo processo venga ripetuto oltre 100 volte (101 volte per Ksheerabala 101). Quest’olio viene tradizionalmente preparato secondo le originarie indicazioni di Ashtanga Hrudayam (Vatarakta Chikitsa 22/45-46) e Charaka Samhita (Chikitsa Sthana XXIX capitolo). [15]
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15. Sivakumaran, G., et al. “Gas chromatography–mass spectrometry analysis of one ayurvedic oil, Ksheerabala Thailam. ” Drug Invention Today 11. 10 (2019).
Validazione dell’efficacia di Ksheerabala taila
L’efficacia di ksheerabala taila è avvalorata da millenni di uso tradizionale tuttavia esistono anche recenti studi scientifici che ne confermano i tradizionali impieghi medicamentosi. Swathy e Indira nel 2010 hanno concluso che Ksheerabala taila produceva nel cervello del ratto un miglioramento dello stress ossidativo indotto dall’acido chinolinico [8] e Tripathy et al. nel 2016, hanno indicato il ruolo positivo di Ksheerabala nella terapia combinata per la lombalgia [9]. Rejitha et al., nel 2015, hanno segnalato il ruolo sottoregolatorio di Ksheerabala sull’espressione del fattore di trascrizione (NFkB) nella neurotossicità indotta dall’alcool [10] mentre Gupta, nel 2017, ha riportato il ruolo positivo di Ksheerabala nel trattamento della paralisi in combinazione con navanasya e Mahamasha taila. [11]
Analogamente Bohra e Sharma, nel 2015, hanno studiato il trattamento della paralisi con Ksheerabala taila in una terapia combinata [12] mentre Grampurohit et al., nel 2014, hanno riportato il ruolo curativo di Ksheerabala taila nel trattamento dell’artrosi [13]. Pradeep et al., nel 2014 hanno riferito del trattamento dell’ipertensione con con Ksheerabala [14]. Ksheerabala taila, in apposita formulazione (Ksheerabala 101), può essere anche somministrato in capsule per via orale, e assunto, esclusivamente su prescrizione medica, alla dose di due capsule al giorno prima dei pasti insieme all’acqua calda. [15].
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8. Swathy SS, Indira M. The ayurvedic drug, Ksheerabala, ameliorates quinolinic acid-induced oxidative stress in rat brain. Int J Ayurveda Res 2010;1:4-9.
9. Tripathy R, Namboothiri P, Otta SP. Open label comparative clinical trial of Dvi panchamooladi taila and Ksheerabala Taila matravasti in the management of low back ache. Int J Ayurveda Pharma Res 2016;4:19-26.
10. Rejitha S, Prathibha P, Madambath I. The ayurvedic drug Kheerabal 2010 ameliorates alcohol induced neurotoxicity by down regulating the expression of transcription factor (NFkB) in rat brain. Ayu 2015;36:323-8.
11. Gupta A. Role of navananasya with mahamashathaila and Shirovasti with kheerabalataila in the management of Ardita: A comparative clinical study. Int J Ayurveda Pharm Res 2017;8:74-8.
12. Grampurohit PL, Rao N, Harti SS. Effect of anuvasana with kheerabalathaila in sandhigatavata (Osteoarthritis). Ayu 2014;35:148-51.
13. Pradeep BC, Rajendra V, Gajanana H. An observational study on efficacy of Ksheerabalataila Khirodhara and tab Arjin in the management of essential hypertension. Unique J Ayurved Herbal Med 2014;2:40-3.
14. Bohra M, Sharma KK. Role of Ksheerbalatailanasya and Ksheerdhooma in the management of Ardita: A review. Ayur Pharm Int J Ayur Alli Sci 2015;4:54-9.
15. Sivakumaran, G., et al. “Gas chromatography–mass spectrometry analysis of one ayurvedic oil, Ksheerabala Thailam. ” Drug Invention Today 11. 10 (2019).
Sintesi della metodica dello studio
La metodica analitica impiegata per lo studio è quella ibrida gascromatografia-spettrometria di massa (indicata con la sigla GC-MS o GC/MS dall’inglese gas chromatography-mass spectrometry) ovvero la tecnica analitica basata sull’utilizzo di un gascromatografo accoppiato a uno spettrometro di massa. Il gascromatografo separa i composti presenti nel campione mentre lo spettrometro di massa funziona da rivelatore. Questa tecnica costituisce uno dei metodi analitici più avanzati e consente l’identificazione e la quantificazione di sostanze organiche in una varietà di matrici. Questa metodica restituisce dei risultati in forma di grafici (chiamati cromatogrammi) nei specifici valori qualitativi e quantitativi della sostanza analizzata sono rappresentati in forma di una linea spezzata che disegna aree triangolari (picchi) di diverse dimensioni (per altezza, larghezza) che indicano la presenza di una determinata sostanza chimica e della sua quantità percentuale nella sostanza analizzata.
Sintesi dei risultati dello studio
Secondo i risultati analitici GC – MS di questo studio, in Ksheerabala taila (secondo i picchi per ciascuna molecola presente nel campione) risulta evidente la presenza di numerose molecole dal ruolo medicinale come l’acido n-esadecanoico, l’acido 15-idrossipentadecanoico, l’acido esadecanoico, il 2-idrossi-1-(idrossimetil) etil estere, l’acido (3-fluorofenil) carbamico, il 2-isopropil – 5-metilfenil estere, l’acido esadecanoico, il 1-(idrossimetil)-1, 2-etandiolo. [15]
Come anticipato ciascuna di queste molecole esercita un effetto farmacologico e, nella loro compresenza nel taila, possono spiegare i generali effetti medicamentosi attribuiti a Ksheerabala taila in più problematiche come ad esempio l’osteoartrosi o le allergie.
Di seguito vengono riassunte le principali correlazioni tra le principali componenti chimiche individuate in Ksheerabala taila ed i suoi effetti a favore dell’organismo e successivamente, più in dettaglio, vengono sunteggiate le funzioni specifiche conosciute di ciascuna molecola bioattiva.
In sintesi in Ksheerabala taila si può indentificare un primo gruppo di molecole bioattive (l’acido n-esadecanoico, l’acido 15-idrossipentadecanoico, l’acido esadecanoico, il 2-idrossi-1- (idrossimetil) etil estere, l’acido (3-fluorofenil) carbamico, il 2-isopropil- 5-metilfenil estere, l’acido esadecanoico, il 1-(idrossimetil)-1, 2-etandiolo, l’acido esadecanoico, il 2-(ottadecilossi) etil estere) che posseggono un principale ruolo medicinale come inibitori della produzione dei metaboliti dell’acido arachidonico e quindi esercitano globalmente un effetto di natura antinfiammatoria ed antalgica; il coinvolgimento del metabolismo dell’acido arachidonico porta anche alla riduzione della produzione di citochine pro infiammatorie con riduzione di reazioni allergiche e del generale processo dell’infiammazione.
Questo primo gruppo di molecole è anche responsabile dell’aumento delle attività aromatiche della decarbossilasi degli aminoacidi che comporta un conseguente miglioramento della produzione di dopamina che è necessaria per migliorare la neurotrasmissione e dare sollievo dal dolore; in particolare l’acido n-esadecanoico dimostra inoltre attività antitumorali, GABA ergiche (ansiolitiche), stimolatorie dell’attività cellulare dei NK (immunomudulatorie: le cellule Natural Killer o cellule NK diversi dai Linfociti T NK sono una classe di cellule citotossiche del sistema immunitario, particolarmente importanti nel riconoscimento e distruzione di cellule tumorali o infette da virus con un meccanismo d’azione che viene definito “naturale”) inibitorie dell’attività del fattore di necrosi tumorale, mio-neuro-stimolatorie e riduttrici delle attività produttive di noradrenalina; anche questi effetti potrebbero contribuire alle funzioni anti-allergiche, antiossidanti e anti-infiammatorie di Ksheerabala.
Un secondo gruppo di molecole è rappresentato dal gamma-tocoferolo e il gamma-sitosterolo che svolgono un ruolo cruciale nella sinergia del tocoferolo (vitamina E) come PPAR-gamma antagonista. I PPAR (Recettori attivati da proliferatori perossisomiali) sono ligandi che attivano un fattore di trascrizione e la relativa antagonizzazione potrebbe portare a riduzione dell’obesità e riduzione dell’insulino-resistenza. [16]
In Ksheerabala taila si ritrova anche una complessa molecola di natura steroidale (26-Nor-5- cholesten-3 beta-ol-25-one) che ha importanti ruoli medicinali come la diminuzione della produzione di noradrenalina ed interviene come inibitore della deidrogenasi del 17-betaidrossisteroide, come anti-beta amiloide (una sostanza coinvolta nella patogenesi del morbo di Alzheimer), come inibitore della trasformazione di particolari fattori di crescita e come beta-bloccante.
In particolare, l’inibizione della 17-beta-idrossisteroide deidrogenasi e l’attività come beta-bloccante, comportano una riduzione della produzione di sostanze steroidali coinvolte nei processi infiammatori nel determinare dolore e gonfiore.
Un’altra importante molecola identificata in Ksheerabala taila è lo stigmasterolo che è un fitosterolo, molto presente nei semi del sesamo, che è accertato svolgere importanti funzioni anti osteoartritiche, anti ipercolesterolemiche, antitumorali, ipoglicemizzanti, antimutageniche, antiossidanti, antinfiammatorie e analgesiche; i ruoli medicinali di queste singole molecole sono coerenti con gli effetti medicamentosi di Ksheerabala taila.
Un alcol grasso saturo presente in Ksheerabala taila, il 1-eptatriacotanolo, è conosciuto per funzioni antibatteriche, antitumorali, antiprotozoiche, chemiopreventive, antinfiammatorie, antimalariche, anti influenzali, antivirali, antiossidanti, come inibitore enzimatico e come ipocolesterolemizzante.
Di seguito vengono riportati più in dettaglio i principali effetti noti attribuiti alle singole molecole identificate in Ksheerabala taila:
1) acido n-hexadecanoico (acido palmitico): acidulante, acidificante, inibitore della produzione di acido arachidonico, stimolatore dell’attività aromatica dell’amino acido decarbossilasi, inibitore della produzione di acido urico, anticancro, GABA ergico, stimolatore dell’attività dei NK, inibitore del TNF (Tumor Necrosi Factor), mio neuro stimolante, riduce la produzione di epinefrina.
2) acido 15 idrossipentadecanoico: acidulante, acidificante, inibitore dell’acido arachidonico (modula il processo infiammatorio), stimolatore dell’attività aromatica dell’amino acido decarbossilasi, inibitore della produzione di acido urico
3) Z (13, 14 Epoxy) tetradec-11-en-1-ol-acetato: aumenta la biodisponibilità dello zinco, induce il rilascio del fattore rilassante endoteliale, promotore endocrino
4) l’etil estere dell’acido Hexadecanoico, 2 hydroxy 1 (hydroxymethyl) (2 Palmitoilglicerolo): acidulante, acidificante, stimolatore dell’attività aromatica dell’amino acido decarbossilasi, inibitore della produzione di acido urico
5) 7-metil -z -tetradecen -1- olo acetato: aumenta la biodisponibilità dello zinco, della catecol O metil transeferasi (interviene nel metabolismo delle catecolamine), della metilguanidina transferasi, fornisce polisaccardi
6) gamma tocoferolo: svolge attività sinergica con il tocoferolo, risulta un antagonista gamma PPAR (coinvolgimento in obesità e insulino resistenza)
7) 26–Nor-5-cholesten-3 beta-ol-25-one: inibitore della 17 beta idrossisteroide deidrogenasi, anti beta amiloide (malattie neurodegenerative), anti TGF beta (fattore di crescita trasformante: una citochina che interviene nel processo infiammatorio), beta bloccante
8) Cholest -22- ene -21- ol, 3, 5 dehydro -6 -metossi, pivalato: colesterolitico, inibitore della 17 beta idrossisteroide deidrogenasi, inibitore dell’alcol deidrogenasi, inibitore della succinato deidrogenasi
9) (3 Fluorofenil), 2 isopropyl 5 metilfenil estere dell’acido carbamico: acidulante, acidificante, inibitore dell’acido arachidonico, stimolatore dell’attività aromatica dell’amino acido decarbossilasi, inibitore della produzione di acido urico
10) stigamsterolo: precursore del progesterone e coinvolto nella biosintesi intermedia degli androgeni e degli estrogeni; antiosteortritico, anti ipercolesterolemico, antitumorale, ipoglicemizzante, antimutagenico, antiossidante, antinfiammatorio, analgesico. [17]
11) gamma sitosterolo: agisce in sinergia con il tocoferolo; agisce coma antagonista gamma PPAR (coinvolgimento in obesità e insulino resistenza)
12) 1 eptatriacotanolo: (un triterpene chiamato anche lupeolo) con funzione antibatterica, antitumorale, antiprotozoica, chemioproventiva e antinfiammatoria, antimalarica, antinfluenzale, antivirale, antiossidante, inibitrice enzimatica, anticolesterolemica. [18]
13) estere dell’acido hexandecanoico 1 (hydroxymethyl) 1, 2 ethanediolo: acidulante, acidificante, inibitore della produzione di acido arachidonico (antinfiammatorio), stimolatore dell’attività aromatica dell’amino acido decarbossilasi; inibitore della produzione di acido urico
14) etil estere (Z), 2 hydroxy 1 (hydroxymethy) dell’acido ottodecenoico: induttore della testosterone idrossilasi, inibitore della aril idrocarbo idrossilasi, inibitore della 17 beta idrossisteroide deidrogenasi, acidulante, acidificante, inibitore dell’acido arachidonico, attivatore aromatico della amino acido decarbossilasi, inibitore della produzione di acido urico
15) eptasiloxano, 1, 1, 3, 3, 5, 5, 7, 7, 9, 9, 11, 11, 13, 13 tetradecametil E, E, Z 1, 3, 12 Nonadecatriene 5, 14 diolo: antitumorale, inibitore del citocromo P4502 E1 (coinvolto in una ampia serie di meccanismi anche fisiopatologici come l’infiammazione e le problematiche vascolari)
16) l’etil estere dell’acido Hexadecanoico, 2 (octadecyloxy): acidulante, acidificante, inibitore dell’acido arachidonico, attivatore aromatico della amino acido decarbossilasi, inibisce la produzione di acido urico
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16. Kadowaki T. PPAR gamma agonist and antagonist. Nihon Yakurigaku Zasshi 2001;118:321-6.
17. Kaur N, Chaudhary J, Jain A, Kaur LK. Stigmasterol: A comprehensive review. Int J Pharm Sci Res 2011;2:2259-65.
18. Baskaran G, Salvamani S, Ahmed SA, Shaharuddin NA, Pattiram PD. HMG-CoA reductase inhibitory activity and phytocomponent investigation of Basella alba leaves extract as a treatment for hypercholesterolemia. Drug Des Dev Ther 2015;2015:509-17.
Nei dati analitici della ricerca vengono confermate le ipotesi sulla variazione del taila “finito” a seconda della sua metodica di preparazione e del relativo stadio preparativo (Paka) d’origine; i diversi campioni esaminati provenienti dai diversi stadi del processo farmaceutico produttivo (Ama paka, Mridu paka, Madhya paka, Khara paka, Dagdha paka) evidenziano differenze fisico chimiche riportate nello studio in forma tabellare (Tabella 1).
I valori della tabella possono essere interpretati alla luce delle seguenti considerazioni:
– nei vari campioni la gravità specifica rimane oggettivamente inalterata (considerata anche l’aggiunta dei fito medicinali) rispetto al campione di controllo (olio di sesamo) e solo in un campione si osserva un aumento di questo valore dovuto all’acqua presente nella quantità di latte aggiunta; questo valore tende a scendere (fino a tornare a quello del gruppo di controllo) negli altri campioni per la progressiva esposizione al riscaldamento. Gli indici di rifrazione dei campioni del Taila rimangono stabilmente simili a quelli del gruppo di controllo con il valore più alto per l’olio ottenuto dallo stadio Madhya paka. Il valore acido risultava simile nei diversi campioni (8. 5-9. 6) ad eccezione per il campione ottenuto da Ama paka in cui il valore era piuttosto alto presumibilmente a causa della presenza di costituenti acidi provenienti dal latte e/o dalla droga; una progressiva riduzione del valore acido è stata osservata negli altri campioni ottenuti dalle fasi produttive successive a causa del maggiore tempo di riscaldamento che determina la rimozione di acidi grassi volatili provenienti da latte o per la decomposizione di altri componenti acidi;
– nei diversi campioni si osserva un progressivo aumento del valore di saponificazione probabilmente dovuto all’incorporazione del grasso derivante dal latte nell’olio e al progressivo riscaldamento che contribuisce alla rimozione dell’umidità e di altri componenti volatili non grassi;
– il valore di iodio dei campioni originati da stadi di produzione successivi a quelli di Ama Paka sono molto vicini a quelli del campione di controllo probabilmente a causa del processo di riscaldamento che genera guasti o ossidazione sui doppi legami dei grassi insaturi.
Lo studio conclude che l’analisi chimica condotta su Ksheerabala taila conferma la presenza in esso di molecole bioattive il cui effetto farmacologico è coerente con i benefici per la salute che l’Ayurveda gli attribuisce.
A cura della direzione scientifica di Benefica
Drug Invention Today | Vol 11 • Issue 10 • 2019 . Elsevier
“GAS CHROMATOGRAPHY–MASS SPECTROMETRY ANALYSIS OF ONE AYURVEDIC OIL, KSHEERABALA THAILAM”
G. Sivakumaran1, K. Prabhu(2), Mudiganti Ram Krishna Rao(3), Sumathi Jones(4), R. Lakshmi Sundaram(5), V. Rahul Ulhas(6), Shruthi Dinakar(2), N. Vijayalakshmi(7).
Author information:
1 Department of Anatomy, Sree Balaji Medical College and Hospital, Bharath University, Chennai, Tamil Nadu, India
2 Department of Anatomy, Sree Balaji Medical College and Hospital, Bharath University, Chennai, Tamil Nadu, India
3 Department of Industrial Biotechnology, Bharath Institute of Higher Education and Research, Chennai, Tamil Nadu, India
4 Department of Pharmacology, J. K. K. Nattraja College of Dental Sciences, Komarapalayam, Tamil Nadu, India
5 Scientific Officer, Central Research Facility, Sri Ramachandra Medical College and Research Institute, Chennai, Tamil Nadu, India
6 Ayurvedic Practioner, Kottakkal Arya Vaidya Sala, Chennai, Tamil Nadu, India
7 Department of Industrial Biotechnology, Bharath Institute of Higher Education and Research, Chennai, Tamil Nadu, India
ABSTRACT
Introduction: The present work deals with the gas chromatography–mass spectrometry (GC–MS) analysis of Ksheerabala Thailam which is an Ayurvedic oil used for the treatment of Vata disorders such as neuromuscular pains, sciatica, spondylitis, paralysis, myalgia, for nerve regeneration, cataract, earache, and headache.
Materials and Methods: Ksheerabala Thailam was bought from a standard Ayurvedic vendor at Chennai and subjected to GC–MS analysis by standard procedures. The medicinal roles of the biomolecules indicated in the GC–MS profile were screened for their various medicinal roles using Dr. Duke’s phytochemical and ethnobotanical data and other data.
Results: GC–MS profile of the Ksheerabala Thailam indicated the presence of important biomolecules such as n-Hexadecanoic acid, 15-Hydroxypentadecanoic acid, Hexadecanoic acid, 2-hydroxy-1-(hydroxymethyl)ethyl ester, (3-Fluorophenyl)carbamic acid, 2-isopropyl-5-methylphenyl ester, Hexadecanoic acid, 1-(hydroxymethyl)-1, 2-ethanediyl ester, Hexadecanoic acid, 2-(octadecyloxy)ethyl ester,. gamma-Tocopherol, and. gamma. -Sitosterol; these molecules do have medicinal roles which relate to that of Ksheerabala Thailam.
Conclusions: It is concluded that Ksheerabala Thailam, which is an important Ayurvedic medicine, does contain some very important molecules showing its efficacy. Further research is required for a better understanding of the medicinal roles of Ksheerabala Thailam. .
Keywords (3-Fluorophenyl)carbamic acid, 15-Hydroxypentadecanoic acid, 2-Isopropyl-5-methylphenyl ester., gamma. -Tocopherol and. gamma. -Sitosterol, Gas chromatography–mass spectrometry, Hexadecanoic acid, 1-(hydroxymethyl)-1, 2-ethanediyl ester, Hexadecanoic acid, 2-(octadecyloxy)ethyl ester, Hexadecanoic acid, 2-hydroxy-1-(hydroxymethyl)ethyl ester, Ksheerabala thailam, n-Hexadecanoic acidy
ISSN: 0975-7619
Newsletter Fitoterapia nr. 49 – Novembre 2019
Tea tree Oil (Melaleuca alternifolia) contro l’influenza
Letters in applied microbiology 49.6 (2009): 806-808 PubMed.
“In vitro antiviral activity of Melaleuca alternifolia essential oil.”
Garozzo, A., et al.
Tradizionalmente nei periodi di cambio di stagione ed invernali si è fatto ricorso all’impiego di piante medicinali per curare e prevenire i comuni “mali di stagione” a carico delle alte vie aeree e per mitigarne i sintomi. Non è quindi un caso che queste piante medicinali ricorressero nella preparazione di diversi rimedi casalinghi e che fino al secolo scorso venissero impiegate in farmacia per preparazioni galeniche o magistrali comunemente prescritte dai medici; è un tipico esempio, tra i numerosi che si potrebbero fare, quello dell’Echinacea che fino al secolo scorso veniva comunemente impiegata come sintomatico dei disturbi delle alte vie aeree e che oggi viene largamente impiegata per la prevenzione degli stessi problemi avendone accertato importanti potenzialità immunomodulatorie e, sempre da una pianta medicinale (come noto dal Papavero), veniva facilmente estratta la codeina (metilmorfina) dai potenti effetti antitussivi centrali.
In generale le principali piante medicinali impiegate per il benessere della alte vie aeree offrono effetti di diversa natura tra i quali quelli lenitivi, balsamici, antitussivi, antinfiammatori, analgesici, fluidificanti, espettoranti, antivirali, antibatterici, antifungini tradizionalmente sfruttati per il trattamento acuto delle classiche sintomatologie delle alte vie aeree ma la moderna ricerca scientifica ha chiarito che alcune, tra queste piante medicinali (es. Echinacea purpurea, Uncaria tomentosa), posseggono un loro razionale di utilità anche per specifici effetti immunomodulatori utili nella prevenzione degli stessi disturbi e largamente consigliati in particolari pazienti a rischio o, ad esempio come l’Echinacea, in pediatria. [1, 2]
1. Melchart, D., et al. “Immunomodulation with Echinacea—a systematic review of controlled clinical trials.” Phytomedicine 1.3 (1994): 245-254.
2. Groom, S. N., T. Johns, and P. R. Oldfield. “The potency of immunomodulatory herbs may be primarily dependent upon macrophage activation.” Journal of medicinal food 10.1 (2007): 73-79.
A queste piante medicinali viene attribuita la capacità di stimolare la risposta immunitaria aspecifica agendo direttamente sui macrofagi e modulando successivamente la complessiva risposta del sistema immunitario e il processo infiammatorio. [3]
3. Spelman, Kevin, et al. “Modulation of cytokine expression by traditional medicines: a review of herbal immunomodulators.” Alternative medicine review 11.2 (2006): 128.
Per analoghi effetti, non solo a sostegno del sistema immunitario, sono oggi anche molto studiati alcuni funghi (Cordyceps, Ganoderma, Lentinula) dei quali studi preliminari indicano promettenti potenzialità terapeutiche.
Uno dei vantaggi dell’impiego delle principali piante medicinali nelle problematiche respiratorie è quello di poter sfruttare, attraverso una loro sapiente associazione, più effetti contemporanei utili nelle principali problematiche come le rinofaringiti, la sindrome influenzale, le tracheobronchiti o la tosse, come lenitivi della sintomatologia e come protettori.
L’argomento è molto vasto e, anticipando che moltissime altre piante medicinali possono in diverso modo essere utili per il benessere delle vie respiratorie, elenchiamo di seguito alcune piante tradizionalmente impiegate in queste problematiche:
– rinofaringiti: Matricaria recutita, Citrus limonum, Quercus peduncolata, Cetraria isalndica, Lavandula angustifolia, Eucalyptus globulus, Thymus vulgaris, Myrtus communis, Pinus Sylvestris, Propoli, Zingiber officinale [4]
– sindrome influenzale: Propoli,Commiphora Myrrha, Salix alba, Echinacea angustifolia/purpurea, Melaleuca alternifolia (TTO), Cinnamomum camphora [4]
– tracheobronchiti: Ribes nigrum, Eucalyptus globulus, Grindelia robusta, Drosera rotundifolia [4]
– tosse: Ribes nigrum, Eucalyptus globulus, Grindelia robusta, Drosera rotundifolia, Plantago major [4]
4. Capasso F., De Pasquale R., Grandolini G., Mascolo N. Farmacognosia-Farmaci naturali, loro preparazioni ed impiego terapeutico. Spinger.
Il moderno ruolo delle fitomedicine nelle sintomatologie delle alte vie aeree
Con l’avvento di moderni farmaci di sintesi, ed in particolare degli antibiotici, nella pratica clinica corrente l’impiego delle piante medicinali nel trattamento di forme acute respiratorie è stato ragionevolmente sempre meno impiegato tuttavia queste formulazioni fitomedicinali sono state ampiamente riscoperte per la loro potenzialità preventiva e lenitiva della sintomatologia “pre-acuta”. Questo attuale utilizzo di rimedi fitomedicinali fonda sul razionale che specifiche piante medicinali offrano globali effetti di varia natura (antivirali, antibatterici, immunomodulatori, antinfiammatori, decongestionanti, balsamici, antitussivi) che vengono esercitati sia per via sistemica sia per via locale (es. propoli in spray buccali). In generale questi preparati, per il periodo nel quale vengono somministrati, offrono una “protezione attiva” verso i malanni stagionali e contribuiscono a mitigarne la prima sintomatologia.
Tra i più recenti preparati per il benessere delle alte vie aeree rientrano anche pregiate formulazioni che sfruttano, come fonte dei bioattivi, oli essenziali estratti da alcune storiche piante medicinali; questi preparati risultano meno comuni di altri a causa dell’elevato costo delle materie prime impiegate e della complessità tecnico farmaceutica per la loro preparazione; è infatti bene sottolineare che i preparati a base di oli essenziali per uso orale devono essere sapientemente diluiti in opportuni solventi naturali (es. olio di mandorle) per garantirne concentrazione ottimale e relativa sicurezza d’impiego. Queste formulazioni, a base di oli essenziali come fonte, fondano il loro effetto sfruttando la forma estrattiva più concentrata del fitocomplesso (olio essenziale) con il vantaggio di consentire l’associazione di poche piante medicinali nella loro forma estrattiva più concentrata; questa tipologia di fitomedicinali offre credibili attività antibatteriche, antifungine, antivirali, balsamiche espettoranti, decongestionanti, antitussive, antinfiammatorie.
I preparati fitomedicinali a base di oli essenziali risultano inoltre di particolare attualità; gli oli essenziali infatti sono stati anche molto recentemente studiati per le loro proprietà antibatteriche (tradizionalmente note) che dimostrano di non indurre fenomeni di antibiotico resistenza e, per questo motivo, gli oli essenziali sono stati recentemente impiegati per lo sviluppo anche di una nuova classe di “super antibiotici” basati sulla loro associazione con molecole di sintesi. [5]
5. Boire, Nicholas A., Stefan Riedel, and Nicole M. Parrish. “Essential oils and future antibiotics: new weapons against emerging’superbugs’.” J Anc Dis Prev Rem 1.2 (2013): 105.
Le proprietà medicamentose di Tea tree oil in breve
Le proprietà medicamentose, tra le quali quella antivirale, di Melaleuca alternifolia ed in particolare del TTO (Tea tree oil) sono note sin dall’antichità principalmente in Australia che viene ritenuta la primitiva zona d’origine della pianta, ma anche in Europa e Nord America; presso le popolazioni indigene il TTO è stato tradizionalmente impiegato come rimedio antinfettivo ed antinfiammatorio dermatologico, genito-urinario, respiratorio; il TTO è generalmente riconosciuto come potente antifungino (candida). [6]
Le principali attività medicamentose generalmente riconosciute al TTO sono quelle: antimicrobica, antibatterica, antifungina, antivirale, antiprotozoica, antinfiammatoria. [6]
Il TTO esercita effetti sia per via topica sia per via sistemica attraverso la quale contribuisce alla “funzionalità delle prime vie respiratorie” come riportato anche dalle Linee Guida Ministeriali di riferimento per gli effetti fisiologici (Claims) che disciplinano l’impiego negli integratori alimentari di sostanze e preparati vegetali -MELALEUCA ALTERNIFOLIA CHEEL: summitas, aetheroleum: “Funzionalità delle vie prime respiratorie”. [7]
Al fine di avere garanzia degli effetti medicamentosi sarà importante la certezza della provenienza del TTO impiegato per la preparazione dei fitomedicinali.
L’Australian Therapeutic Goods Administration indica come TTO esclusivamente l’olio essenziale estratto dal genere Melaleuca alternifolia -Melaleuca alternifolia (Maiden e Betche) Cheel- al fine di evitare confusioni con altri prodotti indicati come TTO che potrebbero provenire da altri generi botanici o da altre famiglie botaniche; ad esempio i nomi “melaleuca oil” e “ti tree oil” sono comuni nomi maori e samoani per indicare le piante del genere Cordilinea (Cordyline australis) che, a differenza di Melaleuca alternifolia (Myrtaceae), appartiene alla famiglia delle Asparagaceae; anche il nome “olio di melaleuca” è potenzialmente ambiguo poiché può indicare oli chimicamente estratti da altre specie di Melaleuca come l’olio di cajuput (anche cajeput o cajaput) estratto da Melaleuca cajuputi e l’olio di niaouli ottenuto da Melaleuca quinquenervia (spesso erroneamente identificata come Melaleuca viridiflora). Il problema della corretta identificazione di Melaleuca alternifolia può essere generato anche da diversi nomi comuni usati per identificarla; ad esempio in Australia gli “alberi del tè” sono chiamati anche come “alberi dalla corteccia di carta” per indicare sia le specie di Melaleuca sia le specie del Leptospermum delle quali ne esistono diverse centinaia. [6]
Sempre a titolo d’esempio Melaleuca cajuputi può essere chiamata comunemente “albero del tè della palude” oppure “ albero del tè dalla corteccia di carta” mentre Melaleuca quinquenervia può essere chiamata “albero del tè a foglia larga” o ” albero del tè dalla corteccia di carta a foglia larga”. Molte specie di Leptospermum sono coltivate come piante ornamentali e sono spesso erroneamente identificate come fonte di TTO. [6]
Con la sigla TTO vengono identificati impropriamente anche gli oli essenziali di kanuka e manuka che vengono ottenuti dalle piante neozelandesi Kunzea ericoides e Leptospermum scoparium, tuttavia questi oli sono molto diversi, nella composizione fitochimica, dal TTO australiano. [6]
Il genere Melaleuca appartiene alla famiglia delle Myrtaceae e contiene circa 230 specie, quasi tutte native dell’Australia.
Lo standard internazionale per la produzione del TTO stabilisce i requisiti di chemiotipo per il TTO che vengono generalmente soddisfatti quando si impiegano per l’estrazione Melaleuca alternifolia, Melaleuca dissitiflora, Melaleuca linariifolia e Melaleuca uncinata. Il TTO commercializzato viene generalmente prodotto da Melaleuca alternifolia (Maiden e Betche) Cheel. [6]
6. Carson, C. F., K. A. Hammer, and T. V. Riley. “Melaleuca alternifolia (tea tree) oil: a review of antimicrobial and other medicinal properties.” Clinical microbiology reviews 19.1 (2006): 50-62.
7. MINISTERO DELLA SALUTE DECRETO 9 luglio 2012. Disciplina dell’impiego negli integratori alimentari di sostanze e preparati vegetali (G.U. 21-7-2012 serie generale n. 169)
L’attività antivirale del TTO
Recente letteratura scientifica è concorde nell’attribuire al TTO (olio essenziale di Melaleuca alternifolia) capacità antivirali anche se non vi è completo accordo sull’esatto meccanismo d’azione che viene indicato in alcuni casi come “virucida” (ipotizzando la capacità dei componenti del fitocomplesso di interferire anche con il processo di replicazione virale DNA e RNA dipendente) tuttavia sembrerebbe molto evidente che l’olio essenziale di Melaleuca alternifolia agisca inibendo prevalentemente l’effetto citopatico virale come appare chiaramente, in vitro, ad esempio per il ceppo influenzale H1N1.
In particolare l’attività antivirale di TTO nei confronti del ceppo influenzale H1N1 è stata riconfermata in vitro anche nel 2013 da Li, Xinghua, et al. che hanno concluso che in vitro il TTO, ed in particolare il suo maggior costituente bioattivo, il terpinen-4-olo, si sono dimostrati in grado di ridurre l’infezione cellulare riducendo il complessivo effetto citopatico del virus; in questo studio è stato chiarito che i componenti del TTO interagiscono con l’emoagglutinina virale ostacolando di fatto la penetrazione del virione nella cellula ospite. [8]
8. Li, Xinghua, et al. “Melaleuca alternifolia concentrate inhibits in vitro entry of influenza virus into host cells.” Molecules 18.8 (2013): 9550-9566.PubMed
L’attività antivirale di Melaleuca alternifolia fu originariamente studiata in un modello vegetale nel quale aveva dimostrato una attività inibitoria della replicazione e diffusione del “Virus del mosaico del tabacco” e successivamente, sempre in modelli sperimentali, venne studiata l’attività del TTO e dell’olio essenziale di Eucalipto nei confronti di SSV (Herpes Simplex Virus).
Rispetto a questi ceppi virali ed in particolare sia rispetto a Herpes Simplex virus di tipo 1, sia nei confronti di Herpes Simplex di tipo 2, le concentrazioni di TTO utili a ridurre il 50% delle colonie, si sono dimostrate molto basse e cioè rispettivamente dello 0,0009% e 0,0008 % e, concentrazioni, mediamente quattro volte superiori, si sono dimostrate in grado di ridurre le colonie quasi totalmente. L’attività antivirale di TTO è stata poi riportata in diversi ed ulteriori studi. [9,10,11,12,13,14]
9. Bishop, C. D. 1995. Antiviral activity of the essential oil of Melaleuca alternifolia (Maiden & Betche) Cheel (tea tree) against tobacco mosaic virus. J. Essent. Oil Res. 7:641–644.
10. Schnitzler, P., K. Scho¨n, and J. Reichling. 2001. Antiviral activity of Australian tea tree oil and eucalyptus oil against herpes simplex virus in cell culture. Pharmazie 56:343–347.
11. Minami, M., M. Kita, T. Nakaya, T. Yamamoto, H. Kuriyama, and J. Imanishi. 2003. The inhibitory effect of essential oils on herpes simplex virus type-1 replication in vitro. Microbiol. Immunol. 47:681–684
12. C.F. Carson, K. A. Hammer and T.V. Riley Clin. Microbial. Rev. 2006, 19(1):50. Melaleuca alternifolia (Tea Tree) Oil: a Review of Antimicrobial and Other Medicinal Properties
13. Garozzo,A.,et al., Activity of Melaleuca alternifolia (tea tree)oil on Influenza virus A/PR/8:Study on the mechanism of action. AntiviralRes.(2010), doi:10.1016
14. AkramAstani, J¨urgen Reichling and Paul Schnitzler, Screening for Antiviral Activities of Isolated Compounds from Essential Oils. Evidence- Based Complementary and Alternative Medicine. Volume 2011, Article ID 253643, 8 pages doi:10.1093/ecam/nep187]
L’articolo in breve
Lo studio di cui proponiamo i contenuti, disponibile in PubMed, rappresenta un’ulteriore strumento di dimostrazione, in vitro, dei razionali antivirali del TTO nei confronti del ceppo influenzale A⁄ PR⁄ 8 H1N1 mentre non dimostrerebbe effetti antivirali significativi nei confronti di altri ceppi virali. Lo studio suggerirebbe in vitro una specificità “anti influenzale” degli effetti antivirali tradizionalmente attribuiti al TTO.
Lo studio, condotto in Italia da Garozzo et al. nel 2009, si è posto l’obiettivo di studiare in vitro l’attività antivirale dell’olio essenziale di Melaleuca alternifolia (TTO) e dei suoi principali componenti bioattivi cioè il terpinen-4-olo, l’alfa-terpinene, il c-terpinene, il p-cimene, il terpinolene e alfa-terpineolo nei confronti del virus influenzale A⁄ PR⁄ 8 H1N1, nei confronti del virus della poliomielite di tipo 1, del virus ECHO 9, del virus Coxsackie B1, dell’adenovirus di tipo 2, del virus dell’herpes simplex (HSV) di tipo 1 e 2 mediante test di riduzione della placca di lisi del 50%.
Questo metodo quantitativo di titolazione biologica si fonda sul principio che, infettando con un virus animale una coltura cellulare o con un batteriofago una coltura batterica, la grandezza del focolaio di infezione sia proporzionale al numero di particelle virali che lo ha causato, ossia che maggiore è il numero di particelle virali infettanti inoculate, più evidenti e numerosi saranno gli effetti citopatici rilevabili sulla coltura. Questo metodo è particolarmente utile per rilevare e saggiare quei virus in grado di lisare la cellula ospite e quelle che la circondano, producendo le tipiche placche di lisi. Il test sullo specifico effetto “antinfluenzale” è stato basato sulla valutazione della capacità del TTO e dei suoi componenti di inibire la citopatogenicità indotta dal virus.
I risultati dello studio indicano che, in questo modello sperimentale, il TTO e alcuni i suoi componenti (il terpinen-4-olo, il terpinolene, l’a-terpineolo) hanno un effetto inibitorio sulla replicazione del virus influenzale H1N1 sottotipo (A⁄ PR⁄ 8) a dosi inferiori alla dose citotossica, infatti il valore ID50 del TTO è risultato essere del 0.0006% (v ⁄ v) ed era molto inferiore al suo CD50 (0.025% v ⁄ v).
Tutti i composti sono invece risultati inefficaci contro il virus della poliomielite 1, l’adeno virus di tipo 2, il virus ECHO 9, il virus Coxsackie B1, i virus HSV-1 e HSV-2.
Un leggero effetto virucida è stato osservato (0.125% v ⁄ v) contro i virus HSV-1 e HSV-2.
Lo studio conclude che il TTO, in vitro, esercita un evidente attività antivirale nei confronti del sottotipo A⁄ PR⁄ 8 del virus influenzale H1N1 e che l’attività antivirale è da attribuire principalmente al terpinen-4-olo che risulta il principale componente attivo.
Lo studio suggerisce che il TTO possa essere una droga promettente nel trattamento dell’infezione da virus dell’influenza.
Alcuni contenuti dall’articolo
L’olio essenziale di Melaleuca alternifolia, noto anche come olio “dell’albero del tè” (TTO), è rappresentato da una miscela complessa di idrocarburi terpenici i e alcoli terziari principalmente distillati dalla pianta di Melaleuca alternifolia Cheel che è nativa dell’Australia e appartiene alla famiglia delle Myrtaceae.
Alcune metodiche di standardizzazione dell’olio consentono di definire e limitare le fisiologiche variazioni dei componenti dell’olio che potrebbero essere soggetti a notevoli variazioni da lotto a lotto a seconda della biodiversità della pianta d’origine.
Scopo dello studio è stato quello di valutare in vitro l’attività antivirale di TTO e dei suoi componenti, (terpinen-4-olo, a-terpinene, c-terpinene, p-cimene, terpinolene e a-terpineolo), nei confronti di alcuni virus (DNA e RNA dipendenti), tra cui sottotipo H1N1 del virus dell’influenza (A⁄ PR8).
Lo studio è stato condotto impiegando cellule renali canine (MDCK) infettate con il virus dell’herpes simplex di tipo 1 (HSV-1) e 2 (HSV-2); cellule LLC-MK2 infettate con Echovirus 9 (Ceppo di Hill); cellule HEp2 infettate con Poliovirus 1 (ceppo di Sabin), Coxsackievirus B1 e Adenovirus 2.
Per la sperimentazione è stato impiegato TTO prodotto da Australian Botanical Products (Hallam, Australia) mentre Terpinen-4-olo, a-terpinene, c-terpinene, p-cimene, terpinolene e a-terpineolo sono stati forniti dall’azienda Sigma Chemical.
Tutte le sostanze sono state opportunamente diluite con dimetil solfossido (DMSO) a concentrazioni massime che non risultassero tossiche per tutte le linee cellulari utilizzate.
Tutte le altre sostanze (siero fetale, antibiotici, etc.) impiegate in fase sperimentale sono state testate nella loro potenziale citotossicità misurando il loro effetto sulla morfologia cellulare (ad es. arrotondamento, restringimento, distacco) mediante microscopia ottica e sulla crescita cellulare.
La dose citotossica del 50% (CD50) è stato espresso come la concentrazione dei composti che ha inibito la crescita cellulare del 50% rispetto alle culture di controllo. [15]
15. Cutrı`, C.C.C., Garozzo, A., Siracusa, M.A., Sarva´, M.C., Tempera, G., Geremia, E., Pinizzotto, M.R. and Guerrera, F. (1998) Synthesis and antiviral activity of a new series of 4-isothiazolecarbonitriles. Bioorg Med Chem 6, 2271–2280.
L’attività antivirale dei composti testati è stata valutata contro i virus della poliomielite 1, ECHO 9, Coxsackie B1, adeno 2, Virus HSV-1 e HSV-2 attraverso il test della riduzione della placca di lisi del 50% mentre l’attività antivirale nei confronti del virus influenzale si basava sulla misurazione della riduzione della citopatogenicità indotta dal virus sulle cellule MDCK.
La concentrazione dei composti richiesta per inibire del 50% la formazione di placche virali di lisi e la citopatogenicità indotta da virus è stata espressa come dose inibitoria del 50% (ID50) e calcolata mediante curva dose-risposta e regressione lineare.
Gruppi di cellule infette e non infette non trattate con il TTO ed i relativi componenti sono stati impiegati come controllo cellulare e virale.
Per testare la possibile attività virucida dei composti studiati, volumi uguali (0-5 ml) di sospensione virale e terreno contenente varie concentrazioni dei composti sono stati miscelati e incubati per 1 ora a 37°C.
L’infettività è stata determinata mediante test della placca di lisi dopo diluizione del virus al di sotto della concentrazione inibitoria.
I risultati ottenuti nello studio hanno dimostrato che il TTO e alcuni dei suoi componenti hanno un effetto inibitore sulla replicazione del virus H1N1 (A ⁄ PR8) dell’influenza.
Dai dati raccolti in effetti, nei confronti del virus H1N1 (A ⁄ PR8), si deduce che il valore ID50 è risultato essere mediamente di 0,0006% (v ⁄ v) ed era molto più basso del suo CD50 (0,025% v ⁄ v); in particolare si sono dimostrati efficaci tre componenti del TTO infatti i valori ID50 risultano 0,0025% (v ⁄ v), 0,0012% (v ⁄ v) e 0,025% (v ⁄ v) per terpinen-4-olo, terpinolene e a-terpineolo mentre composti come a-terpinene, p-cymene e c-terpinene in questo modello di studio si sono dimostrati inefficaci.
Tutti i composti si sono dimostrati inefficaci contro la poliomielite 1, l’adeno virus 2, il virus ECHO 9, il virus Coxsackie B1, i virus HSV-1 e HSV-2.
Lo studio dell’effetto di questi composti sulla neutralizzazione dell’infettività da virus ha dimostrato che nessuno dei composti testati ha mostrato una attività virucida contro il virus della poliomielite 1, l’adeno virus 2, il virus ECHO 9, il virus Coxsackie B1 e il ceppo virale influenzale A⁄ PR8 tuttavia il TTO ha dimostrato alle concentrazioni di 0,125% (v ⁄ v) una leggera riduzione di condizioni di crescita virali in modelli di piantagione agricola. [16]
16. Kawakami, M., Sachs, R.M. and Shibamoto, T. (1990) Volatile constituents of essential oils obtained from newly developed tea tree (Melaleuca alternifolia) clones. J Agric Food Chem 38, 1657–1661.
Nella valutazione degli effetti del TTO bisogna tenere presente che l’area geografica di provenienza della pianta può influire in termini di variabilità delle proprietà antibatteriche, antimicotiche, antinfiammatorie e analgesiche [17,18,19] mentre Shellie et al. hanno identificato circa 72 su 97 possibili componenti in Melaleuca alternifolia. [20]
Le analisi Gas Cromatografiche e di Spettrofotometria di Massa dimostrano che il TTO è caratterizzato da un’alta percentuale di terpinen-4-olo (36-71%) e c-terpinene (20-22%) e livelli moderati di 1,8 cineolo, p-cimene, a-terpinene, terpinolene e a-terpineolo. [20]
17. Carson, C.F. and Riley, T.V. (1993) Antimicrobial activity of the essential oil of Melaleuca alternifolia. Lett Appl Microbiol 16, 49–55
18. Hammer, K.A., Carson, C.F. and Riley, T.V. (2003) Antifungal activity of the components of Melaleuca alternifolia (tea tree) oil. J Appl Microbiol 95, 853–860.
19. Caldefie-Che´zet, F., Fusillier, C., Jarde, T., Laroye, H., Damez, M., Vasson, M.P. and Guillot, J. (2006) Potential anti-inflammatory effects of Melaleuca alternifolia essential oil on human peripheral blood leukocytes. Phytother Res 20, 364–370.
20. Shellie, R., Marriott, P., Zappia, G., Mondello, L. and Dugo, G. (2003) Interactive use of linear retention indices on polar and apolar columns with an MS-library for reliable characterisation of Australian tea tree and other Melaleuca sp. oils. J Essent Oil Res 15, 305–312.
Diversi autori hanno dimostrato che il TTO possiede un ampio spettro di attività antimicrobica contro batteri anaerobici e aerobici Gram-positivi e Gram-negativi e analogamente contro lieviti e funghi. Il TTO risulta anche clinicamente attivo in modo significativo contro vari ceppi isolati di Candida resistenti al fluconazolo. [21,22,23]
Di recente, è stata anche dimostrata un’attività antimicrobica, in vitro, contro patogeni della polmonite come Mycoplasma, Mycoplasma fermentans e Mycoplasma hominis. [24]
21. Hammer, K.A., Carson, C.F. and Riley, T.V. (2004) Antifungal effects of Melaleuca alternifolia (tea tree) oil and its components on Candida albicans, Candida glabrata and Saccharomyces cerevisiae. J Antimicrob Chemother 53, 1081–1085.
22. Wilkinson, J.M. and Cavanagh, H.M. (2005) Antibacterial activity of essential oils from Australian native plants. Phytother Res 19, 643–646.
23. Carson, C.F., Hammer, K.A. and Riley, T.V. (2006) Melaleuca alternifolia (tea tree) oil: a review of antimicrobial and other medicinal properties. Clin Microbiol Rev 19, 50–62.
24. Furneri, P.M., Paolino, D., Sajia, A., Marino, A. and Bisignano, G. (2006) In vitro antimycoplasmal activity of Melaleuca alternifolia essential oil. J Antimicrob Chemother 58, 706–707.
Contrariamente a quanto dimostrato da Carson et al. nel 2001 e nel 2008 e da Schnitzler et al. nel 2001, il TTO, in questo studio, non ha mostrato alcuna attività nei confronti del ciclo replicativo di HSV-1 e HSV-2; la discordanza dei risultati potrebbe dipendere dal coinvolgimento di molti fattori coinvolti e cioè dall’origine del TTO, dalla diversità dei componenti antimicrobici e delle relative concentrazioni oppure dal sierotipo virale.
Lo studio conclude che il TTO ed i suoi principali componenti confermano in vitro una specifica attività antivirale contro il virus influenzale H1N1 (A ⁄ PR8) ma non contro altri ceppi virali (herpes simplex di tipo 1 (HSV-1) e 2 (HSV-2), Echovirus 9 (Ceppo di Hill), Poliovirus 1 (ceppo di Sabin), Coxsackievirus B1 e Adenovirus 2.
Letters in applied microbiology 49.6 (2009): 806-808 PubMed.
In Vitro Antiviral Activity of Melaleuca Alternifolia Essential Oil
A Garozzo (1), R Timpanaro, B Bisignano, P M Furneri, G Bisignano, A Castro
Author information:
Abstract
Aims: To investigate the in vitro antiviral activity of Melaleuca alternifolia essential oil (TTO) and its main components, terpinen-4-ol, alpha-terpinene, gamma-terpinene, p-cymene, terpinolene and alpha-terpineol.
Methods and results: The antiviral activity of tested compounds was evaluated against polio type 1, ECHO 9, Coxsackie B1, adeno type 2, herpes simplex (HSV) type 1 and 2 viruses by 50% plaque reduction assay. The anti-influenza virus assay was based on the inhibition of the virus-induced cytopathogenicity. Results obtained from our screening demonstrated that the TTO and some of its components (the terpinen-4-ol, the terpinolene, the alpha-terpineol) have an inhibitory effect on influenza A/PR/8 virus subtype H1N1 replication at doses below the cytotoxic dose. The ID(50) value of the TTO was found to be 0.0006% (v/v) and was much lower than its CD(50) (0.025% v/v). All the compounds were ineffective against polio 1, adeno 2, ECHO 9, Coxsackie B1, HSV-1 and HSV-2. None of the tested compounds showed virucidal activity. Only a slight virucidal effect was observed for TTO (0.125% v/v) against HSV-1 and HSV-2.
Conclusions: These data show that TTO has an antiviral activity against influenza A/PR/8 virus subtype H1N1 and that antiviral activity has been principally attributed to terpinen-4-ol, the main active component.
Significance and impact of the study: TTO should be a promising drug in the treatment of influenza virus infection.
PMID: 19843207
DOI: 10.1111/j.1472-765X.2009.02740.x8
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Newsletter Ayurveda nr. 56 – Settembre 2019
Newsletter n° «56»
Settembre 2019
FOCUS TAILAM: Aspetti qualitativi dei Taila medicati
Indian journal of pharmaceutical sciences 71.6 (2009): 656. PubMed
“A COMPARATIVE EVALUATION OF MEDICATED OILS PREPARED USING AYURVEDIC AND MODIFIED PROCESSES.”
Lahorkar, P., et al.
Uno dei problemi più significativi che gli operatori dell’Ayurveda devono affrontare è la limitata disponibilità di parametri tipici di controllo della qualità di formulazioni a base di piante medicinali che comunemente impiegano [1].
Questo problema può essere in parte risolto attraverso il principio della “standardizzazione” che ad esempio già viene applicato per le singole piante medicinali; infatti attraverso metodiche chimiche e fisiche (titolazioni), è possibile ottenere un predefinito indicatore (maggiore o minore) della qualità delle piante medicinali, e dei loro derivati, principalmente grazie alla determinazione della quantità dei costituenti bioattivi in essi presenti; questi indicatori consentono non solo di stabilire il dosaggio ottimale di queste sostanze ma anche di poterne prevedere l’effetto terapeutico e la relativa riproducibilità sperimentale e clinica.
La standardizzazione è quindi la tecnica per sviluppare un insieme di valori standard o valori di caratteristiche intrinseche, parametri costanti, valori qualitativi e quantitativi eccellenti che assicurano qualità, efficacia, sicurezza e riproducibilità di effetti [2].
Un principio analogo è applicabile anche a formulazioni rappresentate da più ingredienti erbali e fito medicinali come ad esempio ai Taila i cui effetti possono dipendere in maniera minore o maggiore dal rispetto di più parametri produttivi nell’osservanza delle prescrizioni degli originari formulari di riferimento.
1. Mosihuzzaman M, Choudhary MI. Protocols on Safety, Efficacy, Standardization, and Documentation of Herbal Medicine. Pure and Applied Chemistry, 2008; 80(10):2195–2230.
2. Rasheed AA review on standardization of herbal formulations. International Journal of Phytotherapy, 2012; 2(2): 74-88.
E’ comprensibile che la globalizzazione produttiva e le relative esigenze di contenimento dei costi possa influire sugli standard qualitativi anche di prodotti come i Taila medicati che dovrebbero osservare standard produttivi secondo le raccomandazioni dei riconosciuti formulari tradizionali [3,5] e secondo le attuali normative GMP. I Taila medicati inoltre dovrebbero offrire e garantire alcuni standard di parametri chimico fisici del prodotto finito [4].
Il settore di medicine e formulazioni a base di piante medicinale è molto vasto e c’è ancora molto da investigare in proposito alla standardizzazione di questa tipologia di prodotti [4]; nella oggettiva impossibilità, nell’attività quotidiana, di misurare sperimentalmente i parametri qualitativi dei prodotti impiegati, avrà un ruolo fondamentale la fiducia nella qualità produttiva dei prodotti utilizzati e nel lavoro di ricerca e selezione per la loro commercializzazione; proponiamo in questa newsletter alcuni spunti di riflessione sui generali criteri di standardizzazione di base dei Taila medicati e alcune generali loro caratteristiche qualitative fondamentali.
Criteri generali di valutazione della qualità di un Taila medicato
Come insegnato nei corsi di formazione Ayurvedica, dal punto di vista pratico si può già riconoscere la qualità dei Taila medicati dalla valutazione degli aspetti sensoriali (colore, odore, densità al tatto) ma queste valutazioni osservazionali possono completarsi anche con la garanzia (fornita dal produttore e da chi lo commercializza) che il prodotto finito venga realizzato nel moderno ma pieno rispetto delle originali prescrizioni di formulazione tradizionale e che offra e rispetti, alcuni parametri chimico fisici che hanno un ruolo fondamentale nel determinare gli effetti medicamentosi e la generale sicurezza d’impiego [4]; quindi l’insieme di esperienza personale, formazione e la disponibilità di informazioni tecniche consentono di stabilire identità, purezza e qualità del prodotto scelto per l’intervento [4].
In generale anche per i Taila medicati vale la regola di valutarne la qualità attraverso il confronto con prodotti ritenuti oggettivamente d’eccellenza.
Le caratteristiche sensoriali di valutazione del campione del Taila sono principalmente: colore e odore e densità al tatto che sono specifici per ciascun taila a seconda delle piante medicinali che contengono e dalla metodica di lavorazione (ad esempio per l’olio di sesamo sull’aromaticità incide il tempo e la temperatura di tostatura dei semi prima dell’estrazione); il colore dell’olio dovrebbe essere valutato ad occhio nudo alla luce del giorno; l’odore dovrebbe esprimere le note individuali dei componenti fitomedicinali prevalenti [4].
Per quanto relativo agli aspetti chimico fisici sono ritenuti parametri fondamentali [4]:
– Determinazione del peso specifico calcolato secondo la seguente relazione: Peso specifico a 30° C = A-B / C-B (dove, A = peso della bottiglia a gravità specifica con olio a 30° C (g); B = peso della bottiglia a gravità specifica a 30° C (g); C = peso della bottiglia a gravità specifica con acqua a 30° C (g).
– Determinazione del pH (attraverso pHmetro digitale)
– Determinazione del valore acido secondo la seguente relazione: Valore acido = 5,61 V N / W (Dove, V = volume standard di idrossido di sodio utilizzato (ml); N = Normalità della soluzione di idrossido di sodio; W = Peso del campione (g).
– Determinazione del valore di perossido secondo la seguente relazione: Valore di perossido = 10 (a-b) / sett(Dove, a = NaOH in ml richiesto per neutralizzare la sostanza, b = NaOH in ml richiesto per il bianco, w = peso del campione (g).
– Determinazione del valore di saponificazione secondo al seguente relazione: Valore di saponificazione = 28,05 (B-S) W (Dove, S = KOH in ml richiesto per neutralizzare la sostanza; B = ml di KOH richiesto per il bianco; W = Peso del campione prelevato per la prova (g).
Sull’argomento uno studio recente (2018) condotto da Sharma et al. ha analizzato le principali caratteristiche fisico chimiche di 5 diverse formulazioni di Mahanarayana Taila commercializzate da note aziende indiane ritenute produttrici di prodotti di qualità; lo studio ha concluso che tutti i prodotti presi in considerazione rispettavano (con minime diversità individuali) i parametri chimico-fisici standard per colore e profumazione, densità, pH e valori di perossido [4]
– Determinazione del valore di iodio (IV) che è una misura del numero totale di doppi legami presenti in grassi ed oli. Viene espresso come il “numero di grammi di iodio che reagirà con i doppi legami in 100 grammi di grassi o oli. Per una miscela di oli il valore di Iodio si calcola moltiplicando il numero di iodio di ogni singolo olio per la sua frazione in peso nella miscela e si sommano tutti i risultati parziali ottenendo la media ponderale.
Significato pratico dei parametri chimico-fisici
Premesso che tutte le caratteristiche di cui sopra variano a seconda delle specificità di ciascun Taila i parametri di cui sopra possono essere interpretati secondo i seguenti criteri generali:
– un adeguato peso specifico è indice di qualità con influenza diretta sulla densità (che è un ulteriore parametro) dell’olio stesso e che nei Taila, in presenza di olio di sesamo come solvente, dipende anche dalla densità e dal peso specifico dello stesso [6]; il peso specifico del taila medicato può variare a seconda delle diverse formulazioni;
– il grado di acidità del prodotto finito deve in ogni caso rispettare il fisiologico pH della pelle nell’intervallo tra 5-7; al proposito è importante ricordare anche che maggiore è il livello di acidità dell’olio maggiore è il suo potenziale di inrancidimento quindi una bassa acidità dell’olio è un indice della sua buona qualità e della sua stabilità nel tempo [4];
– un corretto valore di perossido, non elevato, è un parametro fondamentale di valutazione e di sicurezza d’impiego del Taila infatti se il valore di perossido è elevato conseguentemente può aumentare il coefficiente di irritazione cutanea del taila; questo è il motivo per il quale molte fragranze e oli essenziali da applicare sulla pelle devono rispettare per legge un indice di perossidi inferiore a un certo valore [4].
– un corretto valore di saponificazione è indice di elevata presenza nell’olio di acidi grassi a basso peso molecolare ed il valore di saponificazione aumenta con la riduzione dell’acidità dell’olio [4]; è sull’argomento importante ricordare quindi che un basso valore di acidità indica la presenza nell’olio una minore quantità di acidi grassi liberi e contribuisce all’aumento del valore di saponificazione che indica un contenuto più elevato di acidi grassi a basso peso molecolare; i ghee e i taila contenenti elevati quantitativi di acidi grassi a basso peso molecolare vengono assorbiti più rapidamente quindi una presenza adeguata di acidi grassi a basso peso molecolare è direttamente correlata ad un miglior assorbimento topico cutaneo del Taila; questi aspetti dovrebbero essere tenuti in massima considerazioni quando i Taila venissero messi direttamente a contatto con le mucose [5].
– un corretto valore di Iodio oscillante nei normali intervalli analitici di riferimento è indicatore di resistenza all’irrancidimento della miscela oleosa presa in considerazione a causa di una minore o maggiore presenza di doppi legami potenzialmente reattivi con altre sostanze (es. acqua) o in alterazioni di condizioni fisiche (temperatura); la conoscenza del numero di iodio non costituisce a priori una garanzia contro il deterioramento dell’olio bensì ci indica la maggiore o minore probabilità che una miscela di oli possiede di irrancidire in funzione del suo più elevato o più basso numero di iodio. Ad esempio l’olio di cocco (l’unico grasso da ritenersi realmente saturo) possiede un basso numero di Iodio medio uguale a 9 (in un corretto intervallo tra 5 e 13) e risulta un olio molto stabile mentre l’olio di vinaccioli possiede un elevatissimo numero di Iodio medio uguale a 134 (in un corretto intervallo tra 130 e 138) e risulta un’olio relativamente stabile.
3. Lahorkar, P., et al. “A comparative evaluation of medicated oils prepared using ayurvedic and modified processes.” Indian journal of pharmaceutical sciences 71.6 (2009): 656.
4. Sharma, Alok, et al. “Comparative Assessment of Some Physicochemical Properties of marketed Ayurvedic Mahanarayan massage oils.” Current Research in Pharmaceutical Sciences (2018): 254-257.
5. Karande, Nishika Manoj, and Satwasheel Desai. “Concept of taila kalpana in ayurvedic pharmaceutics “a critical review”.” Ayurline: IJ-RIM 1.01 (2017): 55-62.
6. Zanardi, Iacopo, et al. “Physico-chemical characterization of sesame oil derivatives.” Lipids 43.9 (2008): 877-886.
Aspetti importanti nella preparazione tradizionale dei Taila
La produzione dei Taila secondo metodiche originali e tradizionali e secondo le prescrizioni dei formulari di riferimento, è una questione cruciale per avere garanzia di qualità del prodotto ottenuto. Le preparazioni rispettose delle metodiche tradizionali, infatti consentono di concentrare nel prodotto finito molteplici proprietà medicamentose, nutrienti toniche e rinfrescanti che sono frutto di complesse e naturali reazioni chimiche specifiche i cui prodotti difficilmente possono essere ottenuti con altre metodiche di preparazione (es. estrazioni con solventi chimici) che influiscono sul profilo del prodotto ottenuto; in altro modo invece devono essere interpretata l’applicazione di innovazioni tecnologiche applicate agli originali metodi produttivi che consentono di ottenere comunque prodotti di elevata qualità [7].
7. Lahorkar, P., et al. “A comparative evaluation of medicated oils prepared using ayurvedic and modified processes.” Indian journal of pharmaceutical sciences 71.6 (2009): 656.
Di seguito vengono esposti alcuni principi che dovrebbero essere seguiti per produrre una Taila medicato di qualità.
Acharya Charaka descrisse per primo i dosaggi di diverse forme farmaceutiche primarie come Swarasa (succhi), Kalka (paste), Kwatha (decotti), Hima (infusioni a freddo) e Phanta (infusioni a caldo) e ha introdotto per primo il concetto di “Panchvidhakasaya Kalpana” [8] suggerendo che qualità primaria del farmaco fosse quella di produrre Arogya (stato di salute) [9]. Dalle preparazioni di base sopracitate sono poi derivate un certo numero di successive preparazioni come ad esempio Asavarishta (fermentati), Lepa, Churna (polveri), Sneha Kalpana (preparazioni grasse), Vati (pillole) ecc. Sneha Kalpana appartiene a pieno titolo a questa seconda famiglia di preparati [10].
8. Pt. Kashinath Shastri, Acharya Charaka’s Charaka Samhita, Part I,Chaukhamba Sanskrit Samsthana, 8th Edition Page No 67
9. Pt. Kashinath Shastri, Acharya Charaka’s Charaka Samhita, Part I,Chaukhamba Sanskrit Samsthana, 8th Edition Page No. 193.
10. Karande, Nishika Manoj, and Satwasheel Desai. “Concept of taila kalpana in ayurvedic pharmaceutics “a critical review”.” Ayurline: IJ-RIM 1.01 (2017): 55-62.
Secondo Nishika Manoj Karande [10] Sneha Kalpana può essere definito come: “Un processo farmaceutico per la preparazione di farmaci in base oleosa/grassa da sostanze (preparati) come Kalka, Kwatha e Drava dravyas, in proporzioni specifiche, attraverso un modello standardizzato di riscaldamento per temperatura e per durata per soddisfare determinati parametri farmaceutici, secondo le necessità della terapia” [11].
Il rispetto delle fasi di questo processo è fondamentale per assicurare la trasformazione delle proprietà terapeutiche attive degli ingredienti attraverso i solventi per ottenere bioattivi sia liposolubili e sia idrosolubili o componenti chimici solubili in intermedi specifici come Kanji, burro di latte ecc.; questi aspetti sono fondamentali per la preparazione di Ghrita e Taila Kalpana che sono ritenute tra le migliori formulazioni Sneha [10].
Nella letteratura ayurvedica sono descritti 4 tipi di Sneha [12] e cioè Ghrita, Taila, Vasa e Majja. Taila indicherebbe una frazione oleosa estratta dalle droghe delle piante medicinali e secondo le fonti i Taila alleviano Vata e non aggravano Kapha [13], promuovono la forza del corpo, sono benefici per la pelle; la loro caratteristica Ushna rinvigorisce e ripulisce anche l’apparato genitale femminile. Secondo Acharya Charaka, Tila Taila (olio di sesamo) è ritenuto il migliore per contributo rinforzante e nutriente (unzione) ed è considerato il migliore per la pacificazione di Vata. Nell’olio di sesamo vengono assimilate le proprietà di altre piante medicinali (ad esso aggiunte durante “Paka di Sneha”) senza che esso perda le sue proprietà; questa trasferimento radicale di proprietà medicinali non sarebbe possibile nei Ghee (Harita) [10].
10. Karande, Nishika Manoj, and Satwasheel Desai. “Concept of taila kalpana in ayurvedic pharmaceutics “a critical review”.” Ayurline: IJ-RIM 1.01 (2017): 55-62.
11. Krisna Murthy MS et al, M.D. thesis, RSBK, IPGT&R, Jamnagar, 2002
12. Pt. Kashinath Shastri, Acharya Charaka’s Charaka Samhita, Part I,Chaukhamba Sanskrit Samsthana, 8th Edition Page No. 257.
13. Pt. Kashinath Shastri, Acharya Charaka’s Charaka Samhita, Part I,Chaukhamba Sanskrit Samsthana, 8th Edition Page No. 258.
I Taila Kalpana vengono prodotti secondo una generale metodica [14] per la quale 1 parte di Kalka Dravya (pasta di erbe medicinali) viene mescolata a 4 parti di olio e 16 parti di Drava (liquido); questa procedura apparentemente semplice risulta tuttavia complessa e laboriosa. Per preparare qualsiasi Taila medicato i componenti devono essere mescolati e riscaldati rispettando specifici parametri di temperatura e di durata del riscaldamento e rispettando le precise indicazioni dell’aggiunta di liquidi specifici o di acqua per procedere alle successive fasi di produzione come ad esempio la filtrazione [10].
Un aspetto fondamentale della preparazione di Taila Klapana è la durata del procedimento che per i Taila medicati dovrebbe richiedere di più di un giorno per aumentare l’assorbimento, nei nel solvente grasso/oleoso, delle componenti bioattive delle piante medicinali che aumentano la potenza dello Sneha [15]. Secondo Acharya Harita Taila Paka dovrebbe essere completato in 15 giorni e secondo Vaidyaka Paribhasa Pradip, un noto testo ayurvedico chimico farmaceutico, la durata di preparazione dovrebbe dipendere anche dalla natura delle sostanze liquide aggiunte alla materia grassa [10].
10. Karande, Nishika Manoj, and Satwasheel Desai. “Concept of taila kalpana in ayurvedic pharmaceutics “a critical review”.” Ayurline: IJ-RIM 1.01 (2017): 55-62.
14. Dr. Shailaja Srivastava, Acharya Sarngadhar’s Sgarngdhar Samhita, Chaukhamba Orientallie, 3rd Edition, 2003, Page no. 215.
15. Dr. Shailaja Srivastava, Acharya Sarngadhar’s Sgarngdhar Samhita, Chaukhamba Orientallie, 3rd Edition, 2003, Page no. 218.
Durante la preparazione di Taila Kalpana dovrebbero essere adottate alcune le precauzioni in base alle diverse fasi della preparazione; 1) prima della preparazione bisognerà accertare che l’olio di sesamo usato sia “nuovo”, “puro” e senza contaminazioni. 2) Durante il processo bisognerà assicurarsi di mantenere la corretta intensità del fuoco e mantenere un grado di temperatura ottimale; l’ebollizione dei Taila dovrà essere dolce e mantenuta costante; la miscela dovrà essere agitata costantemente e con attenzione per garantire che Kalka (che è collosa) non si attacchi al fondo del contenitore di preparazione; tutte le fasi di Taila Paka dovranno essere seguite con adeguata cura per garantirne l’adeguatezza. 3) Al termine del processo di Sneha Paka, per ottenere una quantità ottimale di Taila, Kalka dovrebbe essere schiacciato allo stato caldo. Il contenitore di conservazione dovrà essere privo di umidità e l’aggiunta di sostanze aromatiche (profumate) deve essere effettuata delicatamente, con agitazione gentile, quando il Taila sarà tiepido. Secondo il governo indiano, i Taila così preparati hanno una durata di 3 anni dalla data della notifica di produzione [10].
Nella letteratura ayurvedica sono descritti principalmente 5 stadi di Taila Paka sulla base delle condizioni di lavorazione (temperatura di preparazione, tempo di esposizione alla temperatura, livello di disidratazione della miscela, etc.) e cioè: Ama, Mridu, Madhyama, Khara e Dagdha Paka. Gli stadi che consentono di ottenere preparati terapeuticamente più importanti sono: Mridu, Madhyama e Khara Paka mentre le proprietà medicinali dei derivati dello stadio Ama (a causa di minore riscaldamento a temperatura di bassa intensità) e dello stadio Dagdha Paka (a causa dell’eccessivo riscaldamento ad alta temperatura) sono terapeuticamente inutilizzate [10,16,17,18].
10. Karande, Nishika Manoj, and Satwasheel Desai. “Concept of taila kalpana in ayurvedic pharmaceutics “a critical review”.” Ayurline: IJ-RIM 1.01 (2017): 55-62.
16. Pt. Kashinath Shastri, Acharya Charaka’s Charaka Samhita, part II Chaukhamba Sanskrit Samsthana, 8th Edition Page No. 892.
17. Pt. Ambika Dutt Shastri,, Acharya Sushruta’s Sushrut Samhita,Chikitsa Sthana Chaukhamba Prakashan, 14th Edition, Page No.135.
18. Dr. Shailaja Srivastava, Acharya Sarngadhar’s Sgarngdhar Samhita, Chaukhamba Orientallie, 3rd Edition, 2003, Page no. 218.
Sono segni di completamento della preparazione dei Taila alcune caratteristiche visive di Kalka che nello stadio Mridu risulta con una parte liquida, nello stadio Madhya risulta senza liquido ma morbido; nello stadio Khara risulta duro [10].
Sono segni di completamento della preparazione dei Taila alcune caratteristiche visive dell’olio come il colore voluto e l’aspetto schiumoso; nel Taila dovrebbero emergere colore, odore, gusto del contenuto fitomedicinale; il Taila dovrebbe essere privo di acqua; il Taila non dovrebbe produrre un suono scoppiettante quando esposto alla fiamma [19,20].
10. Karande, Nishika Manoj, and Satwasheel Desai. “Concept of taila kalpana in ayurvedic pharmaceutics “a critical review”.” Ayurline: IJ-RIM 1.01 (2017): 55-62.
19. Dr. Shailaja Srivastava, Acharya Sarngadhar’s Sgarngdhar Samhita, Chaukhamba Orientallie, 3rd Edition, 2003, Page no. 217.
20. Dr. Shailaja Srivastava, Acharya Sarngadhar’s Sgarngdhar Samhita, Chaukhamba Orientallie, 3rd Edition, 2003, Page no. 218.
Shankar et al. (1991) nello studiare il processo di standardizzazione di Ksheerabala Taila avevano osservato che la gradazione della temperatura nel procedimento produttivo influenzavano nell’olio alcune costanti fisico-chimiche come indice di rifrazione, gravità specifica e valore acido senza tuttavia trovare differenze cromatografiche nei diversi stadi di Paka [21].
21. K. Sankhar Rao et al., Standardization of Ksheer Bala Taila, M.D. Thesis, 1992, BHU.
Anil Nagle et al. (B.H.U.,2000) hanno studiato la preparazione di Bhringraj Taila secondo il metodo tradizionale (ayurvedico) e secondo un moderno metodo produttivo (estrazione chimica) e hanno accertato che comparando i due Taila ottenuti si trovavano sostanziali differenze analitiche con valori migliori per l’olio preparato secondo il metodo tradizionale ayurvedico; inoltre attraverso HPTLC è stato determinato che nell’olio preparato secondo la metodica moderna (estrazione con solventi) il principale componente fitomedicinale era presente solo in tracce e non rilevabile mediante analisi TLC. e U.V. L’analisi spettrofotometrica ha inoltre indicato che Bhringraj Taila preparato secondo il metodo moderno (che offre una maggiore quantità produttiva) era più impuro di quello preparato con il metodo tradizionale [10].
Più di un elemento deporrebbe a favore dell’ipotesi che i Taila medicati, per una loro globale standardizzazione, dovrebbero essere prodotti nel rispetto di tutti i parametri stabiliti nei testi antichi secondo un moderno approccio scientifico di standardizzazione qualitativa [10].
10. Karande, Nishika Manoj, and Satwasheel Desai. “Concept of taila kalpana in ayurvedic pharmaceutics “a critical review”.” Ayurline: IJ-RIM 1.01 (2017): 55-62.
Dallo studio
L’articolo che presentiamo, pubblicato nel 2009 da Indian Journal of Pharmaceutical Sciences e disponibile in PubMed, rappresenta un esempio e fornisce un’idea del moderno approccio scientifico nelle valutazioni qualitative per la produzione dei Taila.
In particolare lo studio si è dato l’obiettivo di valutare come alcune deviazioni dalle procedure tradizionali di produzione dei Taila influiscano sul profilo del prodotto finito in caso di variazioni di temperatura, utilizzo o meno di pressione, utilizzo di solo Qwatha, solo Kalka o Qwatha e Kalka [29].
Nello studio vengono riportati i risultati preliminari dei profili fisico-chimici e cromatografici dei Taila quando vengono apportate modifiche ai loro processi produttivi tradizionali.
Lo studio trae conclusioni sulle variazioni chimico fisiche e qualitative dei Taila in base a diverse metodiche di preparazioni e suggerisce riflessioni su possibili positive ottimizzazioni dei processi produttivi di qualità [29].
Gli oli medicinali preparati usando il processo tradizionale ayurvedico vengono impiegati per uso esterno e, quando specificatamente formulati, anche per uso interno per il trattamento di vari disturbi.
Come noto gli oli medicinali vengono preparati mediante cottura prolungata di olio di sesamo con un massa pastosa di erbe e/o di decotti di erbe in presenza di grandi quantità di acqua [29].
Come anticipato la preparazione dettagliata degli oli medicati è descritta in testi di riferimento ayurvedici come “Drugs and Cosmetic Act” [22] e nel Ayurvedic Formulary of India (AFI) [23]. Gli oli medicinali vengono preparati principalmente attraverso tre componenti, vale a dire Drava o Qwatha (un liquido che può essere un decotto acquoso di una o più erbe, o succo di erbe o latte), Kalka (una pasta fine delle erbe) e Sneha Dravya (un olio vegetale). Normalmente come “Sneha Dravya” viene impiegato l’olio di sesamo grezzo (SO) anche se occasionalmente possono essere utilizzati, in parte o totalmente, l’olio di ricino e l’olio di cocco. Secondo AFI, se non diversamente indicato da una specifica ricetta di un olio ayurvedico, il rapporto dei tre componenti è, Kalka 1 parte, Sneha Dravya 4 parti e Drava 16 parti [29].
Il processo generale prevede che le erbe vengono macinate per ottenere una polvere grossolana e mescolate con una sufficiente quantità di acqua (q.b.) per ottenere una massa pastosa e cioè Kalka [29].
Le erbe grezze o in polvere vengono idratate con acqua e bollite con un volume d’acqua pari a 16 volte a quello della quantità di erbe e l’ebollizione deve essere continuata per ridurre il volume di un quarto [29].
Il decotto viene quindi filtrato usando un panno di mussola per ottenere il Qwatha (anche scritto a volte Kwatha). L’olio di sesamo viene quindi messo in un apposito contenitore e riscaldato; all’olio di sesamo riscaldato vengono aggiunte la massa pastosa delle piante medicinali ed il decotto acquoso. Questa miscela viene fatta bollire a fuoco moderato mescolando per evitare che Kalka si attacchi al fondo del bollitore e l’ebollizione deve continuare in condizioni di temperatura controllata fino a quando tutta l’acqua è evaporata. Il procedimento ayurvedico prescrive di bollire fino a quando sia evaporata tutta l’acqua del decotto o della massa pastosa [29].
L’olio caldo viene filtrato attraverso un panno di mussola e lasciato raffreddare. Come previsto da AFI, quando la preparazione prevede la presenza del decotto acquoso come uno dei componenti, i processi di cottura devono essere eseguiti per molti giorni (oltre a 5 in alcuni casi) [29].
È noto che gli oli vegetali si degradano e sviluppano irrancidimento per esposizione a calore e umidità. Nel processo sopra descritto entrambi questi fattori sono coinvolti intensamente per lunghi periodi, fino a più giorni. I processi avvengono ovviamente ad alta intensità energetica per il raggiungimento delle temperature di bollitura con elevati costi di lavorazione [29]. Una ricerca tra gli oli elencati in AFI dimostra che i Taila possono contenere da 2 a 73 piante medicinali e risulta quindi molto difficile eseguire uno studio preciso sugli oli medicati ayurvedici per stabilire come diverse metodiche di preparazione ad esempio influiscano sul totale contenuto di principi fitomedicinali derivanti dalla piante impiegate, per cui lo studio si è concentrato sull’influenza di diversi processi produttivi su tre piante medicinali rappresentative come le foglie di Neem (Azadirachtaa indica), gli steli di Manjista (Rubia cordifolia), il rizoma di Mulethi (Glycyrrhiza glabra) [29].
La preparazione degli oli per lo studio [29]
I Taila sono stati preparati aggiungendo un’erba per volta e usando solo Kalka e Kalka con Qwatha insieme, aggiungendo la seconda e la terza erba nella stessa sequenza ottenendo 14 campioni di oli preparati in condizioni diverse di miscelazione.
Sono state poi apportate diverse e significative modifiche al processo produttivo in relazione alla proporzione di Qwatha, al tempo di cottura, a cottura in bollitore aperto e in bollitore chiuso (diversità di pressione) ponendo come obiettivo che un olio ben cotto non debba presentare umidità residua (inferiore allo 0,1%).
Per la preparazione degli oli tutte le erbe indicate in farmacopea [24] sono state acquistate da commercianti locali e autenticate da un ricercatore botanico. Gli oli sono stati preparati in una piccola farmacia ayurvedica in un lotto di 1,5 litri ciascuno usando recipienti di acciaio inossidabile e cotti su stufe a gas sotto la supervisione di un medico ayurvedico (Vaidya).
Per valutare gli effetti della sola acqua sull’olio di sesamo è stato preparato un lotto di olio di “controllo”, chiamato “SO trattato con acqua”, aggiungendo all’olio di Sesamo un volume di acqua uguale a quello del decotto utilizzato in altri lotti, ma senza l’aggiunta di alcuna erba o massa pastosa di erbe. In nessuno dei lotti sono stati aggiunti antiossidanti o stabilizzanti esterni.
Un lotto di olio è stato preparato in una pentola a pressione per ridurre i tempi di cottura e ottenere l’eliminazione dell’acqua con una velocità maggiore, mentre per gli altri lotti la cottura avveniva esattamente secondo il processo AFI in recipienti aperti.
Gli oli finiti sono stati filtrati e imbottigliati in bottiglie di colore ambra poi tappate e conservate a temperatura ambiente. I campioni di questi lotti sono stati utilizzati per tutte le analisi.
Per la preparazioni di tutti gli oli è stato usato il medesimo olio di sesamo grezzo (appartenente allo stesso lotto).
Durante le preparazioni è stato osservato che la temperatura dell’olio durante il processo di cottura era ben al di sotto di 100°C, tranne che nell’ultima fase, in cui la maggior parte dell’acqua è evaporata, dove l’olio raggiunge i 105-110°C per un breve periodo.
Nel lotto invece in cui la cottura è avvenuta sotto pressione la temperatura è salita fino a 125°C.
Le analisi sugli oli ottenuti [29]
Tutti i campioni di olio sono stati esaminati visivamente e valutati descrivendone colore e odore e sono stati quindi valutati analiticamente per proprietà fisico-chimiche come saponificazione e valori di iodio [24]. Per valutare elementi di degradazione dell’olio di sesamo per tutti i campioni sono stati misurati i valori di acido e perossido [25-26-27-28].
Tutti i campioni sono stati analizzati mediante tecniche standard di gascromatografia utilizzando standard di riferimento per determinare la composizione di acidi grassi nei Taila [25] e mappare eventuali cambiamenti nella stessa.
Per trovare la percentuale di componenti fitomedicinali che avrebbero potuto essere estratti nell’olio di sesamo SO, nella difficoltà di reperire una metodo o un solvente specifici e selettivi per l’estrazione in olio di questi bioattivi, è stata messa a punto una specifica metodica estrattiva idroalcolica per estrarli dagli oli cotti.
Tutti i campioni sono stati sottoposti a cromatografia HPTLC in particolare per la presenza di flavonoidi e sostanze alcaloidi.
Le conclusioni dello studio [29]
Lo studio riporta in forma tabellare le variazioni dell’aspetto visivo e olfattivo oltre ai valori dei principali parametri chimico – fisici, dei valori estrattivi, della composizione degli acidi grassi dei Taila in base alle diverse metodiche di preparazione.
Lo studio conclude che i diversi oli apparivano con un colore e un odore caratteristici rispetto alla pianta medicinale utilizzata ed emergeva una maggiore nota di bruciato nei campioni ottenuti utilizzando solo Kalka.
Analogamente i campioni dei Taila cotti sotto pressione mostravano una leggera nota bruciata.
Per tutti i campioni indipendentemente dalle condizioni di preparazione (proporzioni di Qwatha e assenza di Qwatha, variazioni del tempo di cottura) il valore di saponificazione ed i valore di iodio oscillavano in un intervallo normale intervallo se paragonati a quello dell’olio di sesamo grezzo.
L’olio di sesamo è caratterizzato da circa l’80% di insaturazione che si mantiene costante in tutti i Taila preparati indicando che l’esposizione alla temperatura non ha prodotto variazioni sui legami insaturi alterando così i livelli di insaturazione e che l’aggiunta delle altre sostanze erbali non ha formato alcun legame con i legami insaturi ma che le sostanze fitomedicinali si sono semplicemente dissolte in una certa misura nell’olio.
In tutti gli oli preparati vi è stato un fisiologico aumento del valore dell’acido.
Il valore di perossido mostrava variazioni significative e risultava più elevato nei casi dei Taila preparati con olio di sesamo e acqua, olio di sesamo e decotto, o in presenza di temperatura e pressione più elevate.
Le preparazioni con Qwatha hanno mostrato un aumento della quantità di componenti fitomedicinali disciolti negli oli rispetto a quelle con solo Kalka.
È interessante notare che, nonostante la cottura con le erbe, l’olio di sesamo non dimostra cambiamenti nella sua composizione in acidi grassi che sono risultati nell’intervallo normale dell’olio di sesamo grezzo.
Un’attenta visualizzazione dei profili HPTLC dei bioattivi fitomedicinali presenti nei Taila mostra alcuni risultati indicativi infatti, nonostante i picchi quantitativi dei bioattivi risultino somiglianti per le varie metodiche di preparazione dei Taila, in particolari condizioni di separazione analitica, risultano avere un’intensità maggiore quando l’olio viene cotto con Qwatha rispetto a quando l’olio viene cotto con solo Kalka.
L’osservazione dell’area sotto la curva di picco HPTLC a 10 minuti RT (che è indicativa della quantità della sostanza bioattiva analizzata) risulta maggiore per i Taila preparati sia con Kalka che con Qwatha rispetto a quelli preparati solo con Kalka.
Lo studio osserva inoltre che nonostante la cottura in presenza di decotto acquoso, l’olio di sesamo non ha mostrato un aumento elevato del valore di perossido indicando che non ha subito un danno ossidativo, mentre ha evidenziato che, nelle stesse condizioni, l’olio di sesamo subisce un naturale reazione idrolitica indicata da un aumento del valore di acidità che tuttavia rimane nell’intervallo accettabile.
Gli autori dello studio hanno ipotizzato che l’assenza di modificazioni ossidative nell’olio di sesamo sia da attribuire alla presenza di sostanze in esso naturalmente presenti come sesamolo e sasamina [26] ed anche grazie alla dissoluzione in esso di sostanze derivanti dai fitomedicinali che contribuiscono con ulteriore proprietà stabilizzanti.
Lo studio dimostra anche che l’olio preparato con Qwatha concentrerebbe in se stesso maggiori quantità dei componenti estrattivi fitomedicinali.
Lo studio suggerirebbe anche che una mirata gestione delle proporzioni di Qwatha potrebbe essere utile per ridurre i tempi di cottura con conseguente risparmio di energia.
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29. Lahorkar, P., et al. “A comparative evaluation of medicated oils prepared using ayurvedic and modified processes.” Indian journal of pharmaceutical sciences 71.6 (2009): 656.
A cura della direzione scientifica di Benefica
Indian journal of pharmaceutical sciences 71.6 (2009): 656. PubMed
“A COMPARATIVE EVALUATION OF MEDICATED OILS PREPARED USING AYURVEDIC AND MODIFIED PROCESSES.”
Lahorkar P(1), Ramitha K, Bansal V, Anantha Narayana DB.
Author information:
1 Herbal Research Laboratory, Hindustan Unilever Research Centre, 64 Main Road, Whitefield, Bangalore-560 066, India.
ABSTRACT
Medicated oils prepared using process as mentioned in Ayurveda are used for external and internal administrations to treat various disorders. Taila pak vidhi provides detailed description of such processes. Medicated oils are prepared by prolonged cooking of sesame oil with pasty mass of herbs and decoction of herbs in presence of large quantity of water. We report preliminary findings of physicochemical and chromatographic profiles of changes brought out by such processes and the role of each component. Changes observed when the processes were altered to deviate from those prescribed in Ayurveda are also reported.
Keywords Shalaparni, Desmodium gangeticum DC. Aphrodisiac, Cardio-protective, Anti-inflammatory
DOI: 10.4103/0250-474X.59548
PMCID: PMC2846471
PMID: 20376219
Newsletter Fitoterapia nr. 48 – Settembre 2019
Lo zenzero per gli sportivi?
The Journal of Strength & Conditioning Research 29.10 (2015): 2980-2995.
“Ginger (Zingiber officinale) as an analgesic and ergogenic aid in sport: a systemic review.”
Wilson, Patrick B.
Lo Zenzero (Zingiber officinale Rosc.) è una pianta molto nota non solo come spezia ma anche per alcune sue proprietà medicinali pro gastrointestinali, antinfiammatorie, analgesiche, antibatteriche che risultano ampiamente dimostrate dall’uso tradizionale e dalla letteratura scientifica disponibile, ma attualmente lo zenzero viene frequentemente proposto per usi medicinali o integrativi diversi rispetto a quelli tradizionali; è il caso ad esempio della proposta dello Zenzero come integratore specifico per l’attività sportiva o come lipogenico a scopo dimagrante ritenendolo un acceleratore metabolico.
Sull’argomento è importante da subito sottolineare che anche una dimostrata attività farmacologica di un officinale non necessariamente si traduce nel relativo dimostrabile effetto clinico e che sulla base di questo presupposto, in assenza di dati clinici disponibili, può accadere che, per ottenere presunti e promessi effetti “miracolosi”, gli utilizzatori di queste sostanze naturali ne abusino in termini di dosaggio andando incontro a dannosi eventi avversi.
Questa newsletter propone una revisione critica dell’impiego dello zenzero come integratore specifico per l’attività sportiva sfruttandone gli effetti antinfiammatori ed analgesici e ne valuta criticamente l’effettività di potenziali effetti ergogenici specifici.
L’articolo di cui pubblichiamo i contenuti principali, pubblicato nel 2015 da “The Journal of Strength & Conditioning Research”, offre una sintesi di conferme degli effetti tradizionalmente noti dello Zenzero come quelli antinfiammatori e analgesici, che ad esempio risultano utili anche in area respiratoria, ed offre una valutazione critica di quali, di questi effetti, possano essere utili come integrazione specifica per gli sportivi.
Note introduttive
Le citazioni dell’uso medicinale ed alimentare dello Zenzero ricorrono già nei dialoghi di Confucio e Dioscoride ne riportò con enfasi le proprietà medicinali nel “Materia medica” che fu un testo di riferimento medico dall’epoca romana fino alla fitoterapia monastica medioevale. Citazioni allo Zenzero ricorrono nella Bibbia, nel Talmud e nel Corano ma è la medicina tradizionale cinese che lo considera un ingrediente “fondamentale” in quasi tutte le preparazioni fitoterapiche ritenendolo di base un potente “armonizzatore”. Dello Zenzero si utilizza per scopi alimentare e medicinali il rizoma, dal cui nome sanscrito “radice di corno” deriva il nome stesso della pianta [127].
Lo Zenzero è tradizionalmente usato sia fresco sia essiccato per alleviare disordini gastrointestinali come dispepsia, inappetenza, flatulenza, coliche ma anche come diaforetico nel trattamento del comune mal di gola, raffreddore e influenza sfruttandone appunto gli effetti analgesici, antinfiammatori ed antinfettivi e sempre l’uso tradizionale ne riporta anche l’impiego come naturale antiasmatico.
Nel rizoma della pianta infatti sono presenti molecole bioattive che dimostrano diversi effetti farmacologici anche potenzialmente superiori a quelli pro digestivi come e primariamente quelli antinfiammatori ed analgesici, ma anche antibatterici ed immunomodulatori [121,127].
Nel sistema tradizionale ayurvedico ed in quello Tibb (arabo) lo Zenzero viene descritto anche come un potente antinfiammatorio ed antidolorifico utile nelle problematiche osteoarticolari [126]; sempre l’utilizzo tradizionale ci tramanda l’uso dello Zenzero in contrasto ai disturbi delle prime vie respiratorie, come il mal di gola e come antinfluenzale sfruttandone appunto gli effetti analgesici, antinfiammatori ed antinfettivi e sempre nell’utilizzo tradizionale ne ricorre anche l’impiego come naturale antiasmatico [126].
Recentemente la ricerca scientifica ha ampiamente confermato le proprietà terapeutiche dello Zenzero sulla base dei dati ottenuti da studi randomizzati e meta analisi.
Dall’uso tradizionale in generale si deduce solidamente che l’impiego medicinale dello Zenzero sia correlabile al trattamento di disturbi accomunati da componente infiammatoria ed algica in ambito respiratorio, osteoarticolare e gastrointestinale.
Il rizoma di questa pianta, che appartiene alla famiglia delle Zingiberaceae, risulta già utilmente medicamentoso in forma di droga fresca o essiccata in pezzi o in polvere (anche in tisana); basti pensare ai potenti effetti stimolanti, anche olfattivi, che derivano dalle sostanze volatili del rizoma a crudo del quale è noto che non se ne debba abusare. Il crescente interesse per le proprietà medicinali dello Zenzero ne ha generato un ricorrente impiego in prodotti ad uso integrativo/medicinale che ha portato al perfezionamento di moderne forme estrattive tecnico farmaceutiche come ad esempio gli estratti secchi titolati o gli oli essenziali che vengono utilizzati come fonte concentrata delle sostanze bioattive.
Le molecole bioattive che caratterizzano il fitocomplesso del rizoma dello Zenzero, prese nel loro insieme vengono generalmente chiamate gingeroli; i gingeroli sono molecole chimicamente diverse tra loro che, nel loro complesso determinano i principali effetti medicamentosi attribuiti alla pianta in toto.
Il rizoma dello Zenzero è ricco di amidi (circa 60%) e contiene una discreta quantità di olio essenziale, compresa tra lo 0,8 e il 2%. I costituenti responsabili del sapore tipico pungente della droga sono i gingeroli (vanillil chetoni) oltre ad altri analoghi dei gingeroli come gli shogaoli, il paradolo ed lo zingerone. Da queste sostanze dipende primariamente l’attività farmacologica dello Zenzero (Duke e Beckstrom 1999); i vanillil chetoni dello Zenzero includono 6-gingerolo e 8-gingerolo, il 10-gingerolo, il 6-shogaolo e 8-shogaolo, il 10-shogaolo e lo zingerone. Sono stati inoltre identificati altri composti come il 6-Paradolo, il 10-dehydrogingerdione e il 6 e 10-gingerdione [120-122].
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Lo studio in breve
Lo Zenzero è una spezia molto popolare nel trattamento di una varietà di malattie, incluso il dolore.
Gli atleti in particolare sono abituati ad impiegare farmaci antinfiammatori non steroidei [FANS] per gestire e prevenire il dolore; sfortunatamente l’efficacia dei FANS si accompagna a sostanziali effetti aversi come i disturbi gastrointestinali, broncocostrizione durante l’esercizio fisico, iponatriemia, compromissione del rimodellamento del tessuto connettivo, difficoltà di resistenza nell’esercizio fisico con conseguente ritiro dalla competizione e malattie cardiovascolari.
In questo contesto lo Zenzero, tuttavia, può agire come promotore dell’integrità gastrointestinale e come broncodilatatore. Di questi effetti potenzialmente positivi dello Zenzero, è stata eseguita una revisione sistematica di studi randomizzati per valutare l’effettività dello Zenzero come aiuto analgesico ed ergogenico per l’esercizio fisico e lo sport.
Da 7 studi esaminati relativi all’impiego dello Zenzero come analgesico, le evidenze indicano che una opportuna supplementazione di Zenzero, se assunta per un minimo di 5 giorni, può ridurre modestamente il dolore muscolare da esercizio di resistenza eccentrica (es. pesistica) e da corsa prolungata.
Da 9 studi esaminati relativi all’impiego dello Zenzero come aiuto ergogenico non sono emersi effetti apprezzabili sulla composizione corporea, sul tasso metabolico, il consumo di ossigeno, la generazione di forza isometrica e/o lo sforzo percepito.
I dati raccolti suggeriscono che lo Zenzero può accelerare il recupero di massima forza dopo l’esercizio di resistenza eccentrica e ridurre la risposta infiammatoria all’esercizio cardiorespiratorio.
Lo Zenzero preso per 1-2 settimane può ridurre il dolore dovuto all’esercizio di resistenza eccentrica e alla corsa prolungata e sarebbe necessaria ulteriore ricerca per valutare la sua sicurezza ed efficacia come analgesico in una più vasta gamma di attività atletiche.
Dallo studio
Lo Zenzero è una spezia molto popolare rappresentata dai rizomi della pianta di Zingiber officinale [30] ed è stato usato per secoli per trattare diverse malattie, in particolare nelle culture non occidentali; tuttavia lo Zenzero è usato in tutto il mondo come integratore alimentare ed ingrediente alimentare. Nel 2002 l’Health and Diet Survey su commissione della Food and Drug Administration, ha reso pubblici i risultati di un’indagine da cui si deduceva che circa l’1,4% degli americani adulti avevano riferito di aver usato Zenzero come un integratore alimentare negli ultimi 12 mesi [92].
Diverse recensioni scientifiche e meta-analisi hanno esaminato l’uso dello Zenzero per la gestione di nausea e il vomito [31], la gestione del dolore [91], la prevenzione del cancro [84] e come antinfiammatorio [36]. Questo studio rappresenta un contributo di informazioni rispetto alla più generale mancanza di revisioni complete per delineare gli effetti fisiologici ed i potenziali usi dello Zenzero nel contesto dell’allenamento fisico e nello sport. Lo studio tuttavia rappresenta un ulteriore contributo alle conferme dei reali effetti antinfiammatori ed analgesici dello Zenzero e dei suoi potenziali in area respiratoria.
Questa revisione sugli effetti fisiologici, sui potenziali benefici e sugli effetti avversi dello Zenzero potrebbe risultare utile ad atleti e sportivi che ne vogliano prendere in considerazione l’uso nel contesto dell’allenamento fisico e dello sport.
Negli ultimi decenni l’industria degli integratori alimentari sportivi è cresciuta esponenzialmente in un mercato globale che ha raggiunto i 31,2 miliardi di dollari nel 2008 [9].
Per i motivi di cui sopra è stato obiettivo di questo articolo il fornire una panoramica sull’uso dello Zenzero come integratore alimentare specifico per atleti e per gli sportivi in genere. Particolare attenzione è stata rivolta alle proprietà analgesiche dello Zenzero e alla spiegazione dei meccanismi plausibili relativi ai notevoli effetti collaterali che possono derivare dall’uso del Fans, come antidolorifici, comunemente assunti da atleti e sportivi [109]. In generale lo studio si concentra sull’uso degli analgesici nello sport ed in particolare sugli effetti fisiologici dello Zenzero sul tratto gastrointestinale (GI) e sul sistema respiratorio in quanto apparati sottoposti a notevole stress durante l’esercizio prolungato e intenso e che possono essere aiutati dall’assunzione dello Zenzero. L’articolo riporta inoltre i dati di studi, disponibili in PubMed, che esaminano nel dettaglio gli effetti analgesici ed ergogenici dello Zenzero nell’allenamento e nello sport.
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L’uso dello Zenzero come analgesico nello sport
Sull’effetto analgesico del Ginger sono stati condotti diversi studi significativi sia nel modello umano [8,75,91] sia su quello animale [23,76,83].
In entrambi i modelli la determinazione degli effetti analgesici dello Zenzero è stata di grande importanza per indicarlo come un analgesico alternativo specialmente per l’uso nello sport e nell’esercizio fisico data la pletora di effetti avversi che accompagna l’impiego di farmaci analgesici ed in particolare di FANS che sono i farmaci analgesici più utilizzati dagli atleti [109].
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Prevalenza dell’uso di FANS nello sport
L’uso di farmaci antinfiammatori non steroidei è molto diffuso durante le competizioni atletiche internazionali, con una sostanziale percentuale di atleti che usano i FANS in modo profilattico e che consumano più FANS contemporaneamente [24,99.100]. Durante il XV Pan American Games, per esempio, quasi il 65% degli atleti ha riferito di aver utilizzato FANS [24]. Durante le Olimpiadi di Sydney del 2000, negli atleti sottoposti a controllo antidoping, le stime di positività sono risultate inferiore del 25,6% e agli atleti era stato chiesto di dichiarare soli farmaci che avevano assunto negli ultimi 3 giorni [22].
Durante le Coppe del Mondo FIFA 2002 e 2006, il 30,8% degli atleti ha assunto FANS prima di una partita e il 10,6% ha preso i FANS prima di ogni partita [100].
Negli sport che coinvolgono contatti violenti, come il calcio americano, l’uso dei FANS è altrettanto frequente. Da una ricerca condotta sui calciatori nei College è emerso che il 73% degli atleti ha riferito di aver utilizzato FANS per il dolore durante la stagione precedente, con circa un terzo dei giocatori che ha dichiarato di aver assunto più della dose raccomandata [117]. Allo stesso modo, in un sondaggio tra i calciatori delle scuole superiori, il 75% aveva usato i FANS negli ultimi 3 mesi [111].
Se da un lato un prevalente uso di Fans sarebbe atteso in sport di contatto anche violento, risulta invece evidente che l’uso di FANS è molto diffuso anche tra atleti di sport non da contatto; in particolare il 50 – 70% degli atleti di sport di resistenza (triathlon, maratone, etc.) riferiscono di utilizzare regolarmente i FANS [35,45]. Dagli studi emergerebbe che l’incidenza degli effetti collaterali dei Fans sarebbero comunque non severi e limitati a quelli gastrointestinali tuttavia di seguito vengono riportate alcune considerazioni specifiche [35].
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Effetti avversi dei FANS nell’allenamento e nello sport
L’uso eccessivo di FANS suscita una serie di preoccupazioni sia nell’uso acuto sia in quello cronico. E’ da sottolineare che di seguito vengono riportati gli eventi avversi dell’uso di FANS in una condizione particolare e quindi del loro possibile abuso; pertanto le osservazioni di seguito riportate non possono essere generalizzate e diventare limitanti del corretto uso dei FANS utili ed efficaci in molte patologie.
Come noto i farmaci antinfiammatori non steroidei possono causare dolore gastrointestinale, emorragia gastrointestinale, nefropatia, epatite e reazioni anafilattiche [87,90] e sono spesso implicati nelle cause di ricoveri ospedalieri per interazioni farmacologiche con altri farmaci [10].
Se da un lato da tempo si è stabilito che i FANS possono causare effetti avversi noti, ricerche recenti hanno sollevato preoccupazioni sul loro uso nel contesto dell’allenamento fisico e dello sport anche per altri motivi; in breve, secondo questi studi, nei giovani atleti, i FANS potrebbero essere coinvolti nel sopprimere la sintesi proteica muscolare e la rigenerazione muscolare seguenti ad un esercizio fisico intenso [55,97]. L’ipotesi alla base di questi studi scientifici è che gli enzimi cicloossigenasi (COX) siano anche coinvolti nella regolazione della sintesi proteica muscolare e che l’inibizione delle COX possa ridurre l’incremento della sintesi proteica muscolare che normalmente si accompagna all’esercizio [112]. I farmaci antinfiammatori non steroidei che inibiscono gli enzimi COX sono stati quindi ritenuti possibili modificatori negativi degli adattamenti nell’allenamento [55], tuttavia, esaminando gli effetti a lungo termine del consumo di FANS sugli adattamenti funzionali e morfologici nell’allenamento di resistenza, non si è riusciti a individuare effetti negativi [47,96].
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Un ulteriore motivo di preoccupazione dell’uso dei FANS nell’attività sportiva sarebbe l’effetto di questi farmaci sull’adattamento mitocondriale all’esercizio fisico sulla base di quanto evidente in vitro e sull’animale e cioè che i FANS possono avere effetti deleteri sulla funzione mitocondriale, tuttavia mancano ancora conferme nell’uomo [78].
Rispetto al funzionamento dell’apparato gastrointestinale i FANS riducono l’integrità della barriera intestinale con conseguente aumento della permeabilità gastrointestinale durante l’esercizio fisico [50.105], ed il determinarsi di questa condizione può aumentare la risposta infiammatoria all’esercizio prolungato [68] ed aggravare il rischio di malattie infiammatorie [49].
Gli effetti negativi dei FANS sulla funzionalità gastrointestinale si estendono anche alla capacità di resistenza; i partecipanti alla Bonn Marathon del 2010 che avevano usato analgesici (la maggior parte dei quali erano FANS) aveva 5.1 volte in più la probabilità di incorrere in un evento avverso ed avevano 10 volte di più la probabilità di avere crampi gastrointestinali rispetto agli atleti che non avevano assunto i farmaci [48]. Sempre in questo contesto, negli atleti che avevano assunti i farmaci, i crampi gastrointestinali si sono rivelati tra le maggiori cause di ritiro dalla gara; di maggiore preoccupazione si sono invece rivelati 9 casi di ricovero ospedaliero, tutti verificatisi negli utenti che avevano assunto i farmaci analgesici [48].
Gli atleti consumano abitualmente i FANS nella convinzione di potere ridurre al minimo il dolore esistente o prevedibile durante l’esercizio e nella convinzione che questi farmaci permetteranno loro di poter continuare a competere grazie alla riduzione del dolore; nella letteratura scientifica tuttavia mancano le prove di questo ipotetico vantaggio [109] e, di conseguenza, non è chiaro se gli effetti collaterali gastrointestinali causati dai FANS addirittura prevalgano sui loro possibili effetti di sollievo dal dolore muscoloscheletrico, lasciando incertezza su come l’equilibrio di questi fattori influenzi le prestazioni.
E’ dimostrato che farmaci antinfiammatori non steroidei possono indurre iponatriemia durante la competizione [25.113], una condizione potenzialmente fatale poiché causa disorientamento, nausea, mal di testa e debolezza muscolare [66]; lo sviluppo di iponatriemia viene ricondotto in parte ad un’alterazione dell’azione dell’arginin-vasopressina (AVP); i FANS infatti riducono la sintesi renale di prostaglandine che inibiscono l’AVP, per cui l’assunzione di FANS comporta un aumento dell’azione dell’AVP e una riduzione dell’escrezione di fluidi [53]; non tutti gli studi concludono che i FANS aumentino il rischio di iponatriemia [2,38,76] tuttavia viene osservato che l’inconclusività di questi studi sulla questione dipenderebbe dalle modeste dimensioni del campione [38], da miti condizioni ambientali [2,76] e da altre variabili come la disponibilità di liquidi durante la gara [76].
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Per quanto riguarda la funzione respiratoria, i FANS hanno proprietà broncocostrittive che possono esacerbare i sintomi in soggetti con asma e broncocostrizione indotti dall’esercizio fisico [67]. Nell’uomo gli enzimi COX-1 e COX-2 sono espressi nell’epitelio delle vie aeree [26] e si ritiene che giochino un ruolo nella funzione respiratoria influenzando la produzione di prostaglandine E2 [73]. La prostaglandina E2 agisce sui recettori delle prostaglandine E sui mastociti respiratori, influenzando il rilascio di istamina e di leucotrieni [37]. L’assunzione di farmaci antinfiammatori non steroidei inibisce gli enzimi COX, che a loro volta diminuiscono la produzione di prostaglandine E2, contribuendo all’ipersensibilità delle vie aeree agli antigeni [73]. Nonostante le stime varino a seconda della popolazione studiata, il 21% degli adulti e il 5% dei bambini con asma dimostra una risposta asmatica durante l’assunzione di FANS [più comunemente aspirina] [43]. Sorprendentemente, l’influenza della broncocostrizione indotta dall’esercizio sull’esercizio stesso rimane in gran parte sconosciuta [74] di conseguenza, sono necessarie ulteriori ricerche per delineare le interrelazioni tra uso di FANS, broncocostrizione indotta dall’esercizio fisico, e prestazione atletica.
L’uso frequente e ad alti dosaggi di FANS, a lungo termine, aumenta il rischio di eventi cardiovascolari [61]. Questo aumento del rischio di eventi cardiovascolari è in parte attribuibile agli effetti dei FANS sul rischio di ipertensione [33,34], una condizione responsabile di 7,6 milioni di decessi annuali in tutto il mondo [5].
Recentemente è aumentata la preoccupazione per il rischio di malattie cardiovascolari in particolare per gli atleti con una grande massa corporea e che praticano sport che prevedono collisioni fisiche violente, come il football americano. I calciatori con un alto indice di massa corporea (BMI. 28) incontrano una maggiore probabilità di usare i FANS [39] e mostrano elevati fattori di rischio cardiometabolico [7,17]; di conseguenza, l’uso cronico di FANS in questi atleti può essere particolarmente deleterio, a lungo termine, per la loro salute cardiovascolare.
Infine, i FANS possono avere effetti indesiderati sul rimodellamento e sulla riparazione del tessuto connettivo e osseo. In uno studio è stato dimostrato che il consumo cronico di FANS ha inibito l’incremento della sintesi del collagene rotuleo a seguito di una corsa di 36 km [20], suggerendo che l’uso di FANS per le tendinopatie croniche potrebbe avere effetti dannosi sul rimodellamento del tessuto connettivo.
A sostegno di questa ipotesi, la ricerca sperimentale sugli animali dimostra che i FANS ritardano la riparazione dei legamenti [110] e dei tendini [21,32] oltre a interferire con la guarigione della frattura ossea [11]; sull’argomento i dati sull’uomo sono limitati ma l’uso di FANS viene associato ad un rischio di frattura superiore del 44% come dimostrato in uno studio condotto su donne in condizioni perimenopausali [107] e nel Regno Unito è stato concluso che i pazienti (uomini e donne) che assumevano regolarmente FANS avevano un rischio più elevato di fratture (non vertebrali) rispetto ai non utilizzatori di questi farmaci. In particolare, è stato osservato che l’entità del rischio di frattura variava, per motivi sconosciuti, a seconda dei diversi tipi di FANS assunti [108].
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Meccanismi analgesici dello zenzero
Le proprietà analgesiche dello Zenzero rappresentano tutt’ora un’attiva area di ricerca; i meccanismi analgesici dello Zenzero vengono ricondotti al coinvolgimento di più sistemi attivi nel determinare la risposta infiammatoria.
E’ accertato che, analogamente ai FANS, lo Zenzero determina un blocco dell’attività degli enzimi COX [51,93] e quindi della sintesi di prostaglandine e leucotrieni [46]; oltre a quest’attività è stato accertato che lo Zenzero, analogamente a certi cannabinoidi, è un agonista del recettore vanilloide-1 [91], che si trova in tutto il sistema nervoso periferico e centrale, e che influenza l’elaborazione del dolore [63]. Il Ginger, in vitro, ha anche mostrato la capacità di inibire il rilascio di citochine proinfiammatorie da macrofagi [98]; le citochine proinfiammatorie vengono ritenute avere un ruolo nell’esacerbazione del dolore muscolare indotto dall’esercizio [18].
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Effetti gastrointestinali dello zenzero
Lo Zenzero, a differenza dei FANS, può agire come promotore della funzione gastrointestinale. In uno studio su soggetti con osteoartrite, un estratto di Zenzero si è dimostrato efficace quanto il diclofenac nella gestione del dolore con trascurabile disagio gastrointestinale e un aumento di prostaglandine della mucosa dello stomaco [29]. Studi sugli animali confermano che lo Zenzero riduce le lesioni gastriche dovute all’esposizione a sostanze gastroerosive [3,56]; questi effetti sarebbero dovuti all’inibizione di attività di H + gastrico e K + ‐ ATPasi e alla riduzione della secrezione acida gastrica [85].
Lo Zenzero si dimostra in grado di aumentare le prostaglandine della mucosa dello stomaco [29], contrariamente a quanto fanno i FANS che le esauriscono [87]; questi diversi effetti vengono ricondotti alla capacità dei componenti dello Zenzero di inibire selettivamente le COX-2 [102].
Lo Zenzero è da sempre considerato un agente antiemetico. Una revisione di studi randomizzati controllati che esaminano l’efficacia dello Zenzero per la nausea ed il vomito indotti dalla gravidanza ha concluso che lo Zenzero ha ridotto in gravidanza la frequenza del vomito e l’intensità della nausea [28]; esiste poi una revisione di studi randomizzati che esaminano l’efficacia dello Zenzero per la nausea e il vomito indotti dalla chemioterapia; questa revisione non indica prove conclusive che lo Zenzero, in questa situazione, sia un efficace agente antiemetico [52]. Sempre sull’effetto antiemetico dello Zenzero la recensione di Palatty et al. [70] ha confermato che la ricerca fino ad oggi ha portato a risultati contraddittori ed ha suggerito che i risultati discordanti potrebbero essere dovuti, tra l’altro anche a diversi fattori, come le variazioni nei composti bioattivi dello Zenzero a seguito dei trattamenti a cui viene sottoposto.
Nonostante i dati della sperimentazione clinica mostrino risultati discordanti, gli studi meccanicistici sostengono fortemente la plausibilità biologica dello Zenzero come antiemetico. In particolare,i componenti dello Zenzero agiscono come antagonisti dei recettori serotoninergici nel tratto gastrointestinale, prevenendo l’iperattivazione dei nervi afferenti vagali coinvolto nella patogenesi della nausea e del vomito [40,44]. Il rilascio di serotonina nel tratto gastrointestinale può causare contrazioni antrali che contribuiscono ai sintomi della nausea [86].
La nausea è un disturbo comunemente sperimentato durante l’esercizio fisico, in particolare nella corsa intensa di resistenza. In un sondaggio su maratoneti, circa il 20% ha riferito di avere nausea durante i tratti “difficili”, con prevalenza maggiore tra le femmine [77]; per questi motivi lo Zenzero rappresenta un composto “intrigante” per la prevenzione e la gestione della nausea indotta dall’esercizio fisico tuttavia non risultano pubblicazioni sugli effetti dello Zenzero sulla nausea indotta dall’esercizio.
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Effetti respiratori dello zenzero
Prove preliminari indicano che lo Zenzero agisce come broncodilatatore e potrebbe essere potenzialmente utilizzato come trattamento per contrastare la broncocostrizione indotta dall’esercizio fisico. I meccanismi degli effetti broncodilatatori dello Zenzero non sono del tutto chiari ma sembrano dipendere da un’azione sul recettore b-adrenergico [57] e da alterazioni del Ca2 + intracellulare nelle cellule muscolari lisce delle vie aeree [94].
La ricerca sperimentale su topi [94] e ratti [57] ha dimostrato che lo Zenzero riduce l’iper-reattività delle vie aeree. Inoltre, cellule muscolari lisce delle vie aeree umane isolate mostrano un rapido e significativo rilassamento a seguito dell’esposizione allo Zenzero [94] anche quando queste cellule sono contemporaneamente esposte ai beta-agonisti [95].
Così come i b-agonisti sono una terapia di prima scelta per l’asma, lo Zenzero potrebbe essere usato come trattamento integrativo. In uno studio controllato, che ha valutato l’effetto dell’integrazione con Zenzero per due mesi in pazienti asmatici, si sono dimostrati miglioramenti nel respiro sibilante, nel senso di costrizione toracica e nella dispnea senza cambiamenti nella spirometria [79].
La broncocostrizione indotta dall’esercizio, che è transitoria e che si verifica durante o dopo l’esercizio fisico, colpisce fino al 90% di soggetti con asma e fino al 50% di atleti professionisti [80]. Malgrado nessuna ricerca pubblicata abbia valutato gli effetti della supplementazione di Zenzero sulla broncocostrizione indotta dall’esercizio, data la forte plausibilità biologica dello Zenzero come broncodilatatore, più studi clinici invitano a valutare ulteriormente l’efficacia e la sicurezza dello Zenzero come trattamento primario o integrativo per contrastare la broncocostrizione indotta dall’esercizio fisico.
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EVIDENZE SULLO ZENZERO COME AIUTO ANALGESICO ED ERGOGENICO NELL’ATTIVITA’SPORTIVA
Metodologia di ricerca
Per trarre conclusioni sugli effetti dello Zenzero come analgesico ed ergogenico specifico nell’attività sportiva, questo studio nel 2015 ha proceduto ad una ricerca bibliografia in PubMed per identificare gli articoli che avessero esaminato gli effetti dello Zenzero in questo contesto. Non sono stati inclusi gli studi che esaminavano lo Zenzero come componente di un integratore multi-ingrediente per l’impossibilità di differenziare gli effetti dello Zenzero da quelli degli altri ingredienti.
In totale, sono stati identificati 7 studi che hanno esaminato le proprietà analgesiche dello Zenzero nell’esercizio fisico e nello sport [12-14,58,60,116] e 9 studi relativi agli effetti dello Zenzero come aiuto ergogenico [6,12-14,58,60,116,118].
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Lo Zenzero come analgesico per allenamento e sport
Black e O’Connor [13] per primi hanno valutato le proprietà analgesiche dello Zenzero nel contesto del dolore indotto dall’esercizio fisico. Utilizzando un design crossover, a 25 giovani in età universitaria (non professionisti) sono stati somministrati per via orale 200 mg di Zenzero oppure placebo 30 minuti prima di andare in bicicletta per 30 minuti (al 60% V_ O2peak), e venivano raccolti i punteggi del dolore al quadricipite ogni 5 minuti. Sebbene il dolore ai quadricipiti mostrasse piccoli aumenti dall’inizio alla fine dell’esercizio in entrambi i gruppi, non sono state riscontrate differenze significative nel dolore.
Un ulteriore studio di Black and O’Connor [14] ha valutato gli effetti di 200 mg di Zenzero o di placebo sul dolore derivante da esercizi eccentrici dei flessori del gomito. I partecipanti arruolati per lo studio hanno assunto lo Zenzero essiccato oppure capsule di placebo 24 e 48 ore dopo gli esercizi ed è stato valutato il dolore muscolare circa 30 minuti dopo. Lo studio ha utilizzato un design crossover, in modo tale che metà dei partecipanti consumasse Zenzero a 24 ore, mentre l’altra metà consumasse placebo alle 24 ore. Successivamente, i partecipanti che hanno consumato Zenzero a 24 ore hanno assunto placebo a 48 ore e vice versa è stato fatto per il gruppo placebo. Nel gruppo placebo non sono stati osservati effetti sul dolore muscolare mentre tra i partecipanti che hanno ricevuto lo Zenzero a 24 ore, il dolore al braccio è stato ridotto del 13% rispetto a partecipanti che hanno ricevuto placebo a 24 ore, la differenza tuttavia non era statisticamente significativa (Cohen’s = 0,48, p = 0,219).
Sebbene gli studi di cui sopra non abbiano indicato un chiaro beneficio della supplementazione acuta di Zenzero sul dolore muscolare indotto dall’esercizio fisico, ulteriori studi condotti da Black et al. [12] hanno concluso che in 11 giorni di supplementazione di Zenzero (200 mg /die) si è osservata un riduzione significativa del dolore derivante da azioni eccentriche dei flessori del gomito. L’indolenzimento muscolare era indotto, facendo completare ai partecipanti (non professionisti) 3 serie da 6 ripetizioni di esercizi di flessione del gomito usando un peso pari al 120% della ripetizione concentrica (1RM). L’articolo ha presentato i risultati di 2 studi separati, uno dei quali ha confrontato lo Zenzero crudo macinato verso placebo, mentre l’altro ha valutato gli effetti di Zenzero sottoposto a riscaldamento termico verso placebo. In entrambi gli studi, i partecipanti hanno consumato capsule di Zenzero o placebo per 7 giorni prima dell’allenamento, il giorno dell’allenamento e per 3 giorni dopo l’allenamento (un protocollo specifico si sollecitazione dei flessori del gomito). Gli studi hanno concluso che lo Zenzero crudo ha indotto un riduzione del dolore muscolare del 25% (p = 0,041) rispetto al placebo, mentre lo Zenzero trattato termicamente ha ridotto il dolore del 23% (p = 0,049) rispetto al placebo. La durata dell’integrazione è stata la principale differenza nella metodologia di questi studi rispetto ai precedenti suggerendo che le proprietà analgesiche dello Zenzero potrebbe richiedere diversi giorni per avere pieno effetto.
Lo studio più lungo identificato è stato condotto per un periodo di 6 settimane [58]. Sessanta atlete iraniane di taekwondo femminile sono state randomizzate in doppio cieco a 300 mg /die di polvere di Zenzero, polvere di cannella o placebo per 6 settimane, e sono stati rilevati i livelli di interleuchina 6 (IL-6) e il punteggio dell’indolenzimento muscolare (7- punto scala Likert).
Un totale di 49 atlete ha completato l’intervento di 6 settimane e lo studio ha concluso che il dolore muscolare dopo 6 settimane era più basso nel gruppo trattato con lo Zenzero rispetto a placebo (0,67 vs. 1,57, p, 0,01).
Più recentemente, Matsumura et al. [60] hanno esaminato gli effetti di 5 giorni di supplementazione di polvere di Zenzero (400 mg /die) sull’indolenzimento derivante da esercizi eccentrici di flessione del gomito.
A differenza dello studio di Black et al. [12], che ha esaminato l’effetto dello Zenzero per un periodo più lungo di trattamento, in questo studio l’integrazione è stata limitata ai 5 giorni prima dell’esercizio e non è stata continuata durante il periodo di valutazione post esercizio; questo studio non ha riportato risultati conclusivi sull’effetto dell’integrazione con lo Zenzero.
Infine, Wilson et al. [116] hanno valutato se 5 giorni di trattamento con 220 mg/die di estratto di radice di Zenzero riducessero il dolore muscolare in studenti di college impegnati nella corsa di addestramento 20–22 miglia. Il dolore muscolare è stato valutato a riposo e durante i movimenti dinamici come il jogging. Sebbene l’indolenzimento a riposo su un 100 mm della scala analogica visiva non sia stata significativamente ridotta dall’estratto di radice Zenzero, invece l’indolenzimento mediano durante il jogging 24 ore dopo la corsa di allenamento risultava inferiore nel gruppo trattato con lo zenzero rispetto al gruppo placebo (37 contro 62 mm; p = 0,04).
Nel complesso, 200 mg /die di Zenzero presi per una settimana prima e 3 giorni dopo l’esercizio di resistenza eccentrica possono contribuire a ridurre il dolore muscolare. Allo stesso modo, lo Zenzero preso per 3 giorni prima e il giorno dopo una corsa prolungata può contribuire a ridurre il dolore durante il jogging.
Un singolo dosaggio di 2 g di Zenzero non riduce sostanzialmente il dolore muscolare derivante da esercizi di resistenza o esercizio cardiorespiratorio.
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13. Black, CD and O’Connor, PJ. Acute effects of dietary ginger on quadriceps muscle pain during moderate-intensity cycling exercise. Int J Sport Nutr Exerc Metab 18: 653–664, 2008.
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58. Mashhadi, NS, Ghiasvand, R, Askari, G, Feizi, A, Hariri, M, Darvishi, L, Barani, A, Taghiyar, M, Shiranian, A, and Hajishafiee, M. Influence of ginger and cinnamon intake on inflammation and muscle soreness endued by exercise in Iranian female athletes. Int J Prev Med 4: S11–S15, 2013.
60. Matsumura, MD, Zavorsky, GS, and Smoliga, JM. The effects of pre‐exercise ginger supplementation on muscle damage and delayed onset muscle soreness. Phytother Res 29: 887–93, 2015.
116. Wilson, PB, Fitzgerald, JS, Rhodes, GS, Lundstrom, CJ, and Ingraham, SJ. Effectiveness of ginger root [Zingiber officinale] on running-induced muscle soreness and function: A pilot study. Int J Ath Ther Train 2015. In press.
Lo Zenzero come aiuto ergogenico nell’esercizio fisico e nello sport
Black e O’Connor [13], oltre a valutare la capacità dello Zenzero nel ridurre dolore muscolare derivante da 30 minuti di attività ciclistica moderata, hanno misurato anche lo sforzo percepito, la frequenza cardiaca e il consumo di ossigeno 30 minuti dopo l’assunzione di 2 g di ingestione di Zenzero macinato; dallo studio non sono state osservate differenze significative tra le misure, indicando che l’ingestione acuta di Zenzero non influenza la funzione cardiorespiratoria durante un breve esercizio di moderata intensità. Un secondo studio di Black e O’Connor [14] ha valutato gli effetti dello Zenzero sulla mobilità, volume del braccio e tasso metabolico dopo azioni eccentriche del flessori del gomito; lo studio ha concluso che una singola dose di 2 g di estratto di Zenzero essiccato non aveva nessun effetto significativo su nessuno dei parametri valutati.
Black et al., in un articolo già sopra citato [12], hanno valutato gli effetti di un estratto di Zenzero (200 mg/die) somministrato per 11 giorni sui cambiamenti nella forza isometrica e sullo sforzo percepito.
L’articolo ha presentato i risultati di 2 studi separati, uno che ha confrontato lo Zenzero crudo con il placebo mentre l’altro ha valutato gli effetti dello Zenzero trattato termicamente con placebo.
All’inizio e al termine del trattamento è stata valutata la forza isometrica, con il gomito flesso a 90 gradi, facendo afferrare ai partecipanti una barra di legno collegata a un trasduttore di forza; analogamente sono stati valutati i tempi di intervallo dei movimenti, il volume del braccio e le prostaglandine E2, così come la lo sforzo percepito durante una serie di 3 ripetizioni di azioni concentriche/eccentriche dei flessori del gomito usando un peso pari al 50% del 1RM concentrico. L’articolo non riferisce differenze dei parametri valutati nei due modelli di studio per quanto relativo a movimento del gomito, forza isometrica o livelli prostaglandine E2 tuttavia le variazioni nei punteggi dello sforzo percepito risultavano da grado lievi a moderate (delta di Glass = da 20,35 a 20,59) tuttavia senza avere rilevanza significativa.
Le conclusioni di Black et al. [12] suggeriscono che lo Zenzero riduce il dolore muscolare ma non ha alcun effetto sulla funzione muscolare e avvalora l’ipotesi che lo Zenzero possa influenzare diversamente i percorsi coinvolti in questi 2 tipi di effetto. A sostegno di questa possibilità, la ricerca condotta con altri composti nutrizionali ha mostrato riduzioni del dolore muscolare senza paralleli miglioramenti della funzione muscolare [16,41]. L’inibizione della COX, una via primaria dell’effetto dello Zenzero, può ridurre il dolore muscolare ma con scarso effetto sulla funzione muscolare [71], suggerendo una logica meccanicistica per cui lo Zenzero può differenziarsi da altre sostanze nell’influire sul dolore muscolare e sugli esiti funzionali.
Atashak et al. [6] in uno studio randomizzato, di piccole dimensioni, hanno studiato gli effetti di 1 g/die di Zenzero somministrato per 10 settimane insieme ad allenamento di resistenza, valutandone l’impatto su eventuali cambiamenti nella composizione corporea misurando la pelle. Trentadue uomini obesi sono stati randomizzati a ricevere quattro diversi interventi e cioè (1) solo placebo, (2) solo Zenzero, (3) placebo + esercizio di resistenza, (4) Zenzero + esercizio di resistenza; al termine dello studio, come atteso, è emerso che i gruppi che avevano fatto esercizio di resistenza mostravano riduzioni della massa grassa e aumento della massa magra tuttavia in modo indipendente dalla supplementazione di Zenzero.
Mashhadi et al. [59] hanno poi valutato gli effetti di 3 g /die di polvere di Zenzero rispetto a cannella o placebo sulle prestazioni nell’esercizio fisico, sulla composizione corporea e sullo stress ossidativo in un campione di atlete iraniane di taekwondo; per alcuni limiti metodologici questo studio non suggerisce, relativamente a questo contesto, risultati concludenti, mentre suggerirebbe che lo Zenzero abbia contribuito a ridurre il dolore muscolare.
Zehsaz et al. [118] hanno studiato gli effetti dell’integrazione con lo Zenzero in corridori professionisti maschi che svolgevano un programma di 12 settimane complessive di allenamento. Ventotto corridori sono stati randomizzati a ricevere 1,5 g / die di polvere di Zenzero essiccata oppure placebo, per le ultime 6 settimane di un programma di allenamento di 12 settimane. Al termine delle 6 settimane di somministrazione dello Zenzero o di placebo sono stati misurati i marcatori infiammatori, il fattore di necrosi tumorale (TNF)-a, IL-6, IL-1b; i marcatori sono stati misurati a riposo e dopo un test sul tapis roulant per stabilire se lo Zenzero avesse esercitato effetti anti-infiammatori solo nel contesto dell’esercizio fisico. Alla fine del periodo di integrazione di 6 settimane, i livelli di TNF-a, IL-6 e IL-1b dopo il test al tapis roulant, erano inferiori di circa il 20–45% nel gruppo “Zenzero” rispetto al placebo. Nessuna differenza tra i 2 gruppi è stata osservata per i livelli di marker infiammatori a riposo.
Matsumura et al. [60] hanno valutato l’impatto della somministrazione di 400 mg/die di Zenzero per 5 giorni, verso placebo, sulla forza del bicipite, sui miglioramenti di movimento, sulla circonferenza del braccio ed i livelli di creatinchinasi. Il gruppo di atleti che ha ricevuto lo Zenzero ha mostrato un recupero della forza del flessore del gomito 1RM già nel periodo di recupero post-esercizio di 24-48 ore, mentre non è stato osservato nessun miglioramento significativo nel gruppo trattato con placebo nel periodo di post esercizio di 48-96 ore [60]. Questi effetti di miglioramento sono risultati in un tempo significativo di interazione terapeutica, suggerendo che lo Zenzero ha accelerato il recupero della forza di 1RM; nello studio non sono stati invece osservati miglioramenti nel movimento o sulla circonferenza del braccio.
Wilson et al. [116] hanno valutato se un estratto di radice di Zenzero, per 5 giorni a 220 mg /die, migliorasse il grado di funzione muscolare rispetto al placebo dopo una corsa di allenamento di 20–22 miglia. Per valutare la funzione muscolare prima e dopo il trattamento sono stati impiegati test specifici come lo squat o il salto da pedana elastica ma nel complesso, nessuna differenza nell’altezza di salto, nella forza di picco o nella velocità di sviluppo della forza è stata rilevata tra il gruppo di trattamento ed il placebo.
In generale questi studi indicano che lo Zenzero esercita una riduzione del dolore muscolare senza alcun beneficio sostanziale per la funzione muscolare supportando il risultati dello studio di Black et al. [12].
La letteratura scientifica attualmente disponibile sull’argomento non indica chiaramente un beneficio ergogenico dello Zenzero sul consumo di ossigeno, sulla frequenza cardiaca, sul metabolismo, sulla composizione corporea, sulla generazione di forza isometrica o sulla percezione sforzo.
Uno studio suggerisce che una dose relativamente elevata di Zenzero (400 mg/die) può accelerare il recupero di forza della parte superiore del corpo dopo esercizio eccentrico di resistenza.
L’integrazione cronica di Zenzero può ridurre il risposta infiammatoria derivante dall’esercizio cardiorespiratorio tuttavia sono necessarie ricerche per determinare se l’integrazione di Zenzero influisca su altri risultati di performance come gli adattamenti funzionali alla resistenza cronica e cardiorespiratoria.
6. Atashak, S, Peeri, M, Azarbayjani, MA, Stannard, SR, and Haghighi, MM. Obesity-related cardiovascular risk factors after long-term resistance training and ginger supplementation. J Sports Sci Med 10: 685–691, 2011.
12. Black, CD, Herring, MP, Hurley, DJ, and O’Connor, PJ. Ginger [Zingiber officinale] reduces muscle pain caused by eccentric exercise. J Pain 11: 894–903, 2010.
13. Black, CD and O’Connor, PJ. Acute effects of dietary ginger on quadriceps muscle pain during moderate-intensity cycling exercise. Int J Sport Nutr Exerc Metab 18: 653–664, 2008.
14. Black, CD and O’Connor, PJ. Acute effects of dietary ginger on muscle pain induced by eccentric exercise. Phytother Res 24: 1620– 1626, 2010.
16. Bryer, SC and Goldfarb, AH. Effect of high dose vitamin C supplementation on muscle soreness, damage, function, and oxidative stress to eccentric exercise. Int J Sport Nutr Exerc Metab 16: 270–280, 2006.
41. Jackman, SR, Witard, OC, Jeukendrup, AE, and Tipton, KD. Branched-chain amino acid ingestion can ameliorate soreness from eccentric exercise. Med Sci Sports Exerc 42: 962–970, 2010.
59. Mashhadi, NS, Ghiasvand, R, Hariri, M, Askari, G, Feizi, A, Darvishi, L, Hajishafiee, M, and Barani, A. Effect of ginger and cinnamon intake on oxidative stress and exercise performance and body composition in Iranian female athletes. Int J Prev Med 4: S31– S35, 2013.
60. Matsumura, MD, Zavorsky, GS, and Smoliga, JM. The effects of pre‐exercise ginger supplementation on muscle damage and delayed onset muscle soreness. Phytother Res 29: 887–93, 2015.
116. Wilson, PB, Fitzgerald, JS, Rhodes, GS, Lundstrom, CJ, and Ingraham, SJ. Effectiveness of ginger root [Zingiber officinale] on running-induced muscle soreness and function: A pilot study. Int J Ath Ther Train 2015. In press.
118. Zehsaz, F, Farhangi, N, and Mirheidari, L. The effect of Zingiber officinale R. rhizomes [ginger] on plasma pro-inflammatory cytokine levels in well-trained male endurance runners. Cent Euro J Immunol 39: 174–180, 2014.
SICUREZZA DELL’IMPIEGO DELLO ZENZERO
Lo Zenzero è generalmente riconosciuto come sicuro dalla Food and Drug Amministrazione [101] e dagli studi clinici non emergono eventi avversi gravi che sono generalmente di tipo gastrointestinale come a volte il bruciore di stomaco e quindi lo Zenzero risulta generalmente bel tollerato. Eventuali altri effetti avversi di tipo irritativo intestinale sono stati rilevati solo a dosaggi molto elevati e molto superiori a quelli usati per scopi terapeutici o integrativi [27]. In letteratura sono presenti alcuni riferimenti al potenziale dello Zenzero di poter aumentare il rischio di sanguinamento e di interagire con i con i farmaci anticoagulanti [64,82] tuttavia questi riferimenti si basano principalmente sulla ricerca in vitro che mostra che lo Zenzero inibisce la sintesi del trombossano e l’aggregazione piastrinica [69,88] mentre gli studi condotti sull’uomo sono contradditori [42,54,89]. Non esistono evidenze che lo Zenzero agisca negativamente sulla fisiologia renale o sul tessuto connettivo o sul rimodellamento osseo [112].
27. Desai, HG, Kalro, RH, and Choksi, AP. Effect of ginger & garlic on DNA content of gastric aspirate. Indian J Med Res 92: 139–141, 1990.
42. Janssen, PL, Meyboom, S, van Staveren, WA, de Vegt, F, and Katan, MB. Consumption of ginger [Zingiber officinale roscoe] does not affect ex vivo platelet thromboxane production in humans. Eur J Clin Nutr 50: 772–774, 1996.
54. Lumb, AB. Effect of dried ginger on human platelet function. Thromb Haemost 71: 110–111, 1994.
82. Saw, JT, Bahari, MB, Ang, HH, and Lim, YH. Potential drug–herb interaction with antiplatelet/anticoagulant drugs. Complement Ther Clin Pract 12: 236–241, 2006.
89. Srivastava, KC. Effect of onion and ginger consumption on platelet thromboxane production in humans. Prostaglandins Leukot Essent Fatty Acids 35: 183–185, 1989.
101. U.S. Food and Drug Administration. Code of Federal Regulations Title 21. Available at: http://www.accessdata.fda.gov/scripts/cdrh/ cfdocs/cfcfr/CFRSearch.cfm?fr=182.20. Accessed January 3, 2015.
102. van Breemen, RB, Tao, Y, and Li, W. Cyclooxygenase-2 inhibitors in ginger [Zingiber officinale]. Fitoterapia 82: 38–43, 2011.
APPLICAZIONI PRATICHE
Le prove indicano che 200 mg/die di Zenzero possono modestamente ridurre il dolore muscolare derivante dall’esercizio di resistenza eccentrica, in particolare in individui non allenati e se assunto per 1-2 settimane. Allo stesso modo, 5 giorni di integrazione di Zenzero (200 mg/die) può ridurre l’indolenzimento derivante da un esercizio prolungato, mentre 5 giorni di integrazione ad alte dosi (400 mg/die) può accelerare il recupero della forza muscolare dopo allenamento di resistenza eccentrica. Al contrario, una singola dose dello Zenzero ha effetti quasi impercettibili sul dolore muscolare, sul metabolismo, sul consumo di ossigeno, sulla generazione di forza isometrica o sullo sforzo percepito. Inoltre, il consumo cronico di Zenzero non sembra modificare le risposte alla composizione corporea durante l’allenamento di resistenza. Tuttavia, l’integrazione cronica di Zenzero può ridurre la risposta infiammatoria all’esercizio fisico.
La letteratura scientifica attualmente disponibile e prove circostanziali suggeriscono che lo Zenzero possa offrire una favorevole combinazione di effetti analgesici, gastrointestinali e respiratori, e quindi, sembra ragionevole condurre ulteriori ricerca per approfondire le conoscenze sullo Zenzero come analgesico ed ergogenico per l’allenamento fisico e lo sport. [128]
128.Wilson, Patrick B. “Ginger (Zingiber officinale) as an analgesic and ergogenic aid in sport: a systemic review.” The Journal of Strength & Conditioning Research 29.10 (2015): 2980-2995.
The Journal of Strength & Conditioning Research: October 2015 – Volume 29 – Issue 10 – p 2980–2995
Ginger (Zingiber officinale) as an analgesic and ergogenic aid in sport: a systemic review
Patrick B. Wilson
Author information:
Abstract
Ginger is a popular spice used to treat a variety of maladies, including pain. Nonsteroidal anti-inflammatory drugs (NSAIDs) are frequently used by athletes to manage and prevent pain; unfortunately, NSAIDs contribute to substantial adverse effects, including gastrointestinal (GI) dysfunction, exercise-induced bronchoconstriction, hyponatremia, impairment of connective tissue remodeling, endurance competition withdrawal, and cardiovascular disease. Ginger, however, may act as a promoter of GI integrity and as a bronchodilator.
Given these potentially positive effects of ginger, a systematic review of randomized trials was performed to assess the evidence for ginger as an analgesic and ergogenic aid for exercise training and sport.
Among 7 studies examining ginger as an analgesic, the evidence indicates that roughly 200 mg/die of ginger may modestly reduce muscle pain stemming from eccentric resistance exercise and prolonged running, particularly if taken for a minimum of 5 days. Among 9 studies examining ginger as an ergogenic aid, no discernable effects on body composition, metabolic rate, oxygen consumption, isometric
force generation, or perceived exertion were observed.
Limited data suggest that ginger may accelerate recovery of maximal strength after eccentric resistance exercise and reduce the inflammatory response to cardiorespiratory exercise.
Major limitations to the research include the use of untrained individuals, insufficient reporting on adverse events, and no direct comparisons with NSAID ingestion.
While ginger taken over 1–2 weeks may reduce pain from eccentric resistance exercise and prolonged running, more research is needed to evaluate its safety and efficacy as an analgesic for a wide range of athletic endeavors.
KEY WORDS excercise, nutrition, pain, dietary
DOI: 10.1519/JSC.0000000000001098
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Newsletter Ayurveda nr. 55 – Luglio 2019
Newsletter n° «55»
Luglio 2019
Shalaparni nei Taila
Int J Ayu Pharm Chem e2016 Vol. 5 Issue 3
SHALAPARNI (DESMODIUM GANGETICUM DC.) – A SARVADOSHAHARA DRAVYA
Nitesh Shambharkar, Nitu Dongre, and Amol Kadu
Shalaparni (Desmodium gangeticum DC.), è una pianta medicinale che ricorre nella medicina Ayurvedica in diverse importanti formulazioni ed in diversi classici taila come “Dashmoola Taila”, “Dhanwantharam Taila”, “Mahachandanadi Taila”, “Mahanarayana Taila” e “Sahacharadi Taila”.
A Desmodium gangeticum è dedicata questa newsletter nella quale segnaliamo un breve articolo pubblicato da International Journal of Ayurveda and Pharmaceutical Chemistry nel 2016 che risulta particolarmente interessante per la particolarità di proporre il profilo dell’officinale nella visione storica ayurvedica secondo una ricerca tra le principali fonti vediche oltre a riassumerne il profilo farmacologico rispetto alla moderna ricerca scientifica; i contenuti proposti nell’articolo offrono il vantaggio di un grande equilibrio tra le informazioni storiche rispetto alle fonti e le informazioni farmacologiche.
Nell’insieme l’articolo fornisce un rapido strumento di conoscenza di questa importante pianta medicinale che ricorre frequentemente oltre che nella formulazione di numerosi Taila anche in formulazioni e preparati tradizionali ayurvedici: come Shalparnyadikwath, Chyavanprash, Dashmoolarishta, Chitrakaharitaki, Bruhat Chagalyadyaghrit.
Usi tradizionali
Il nome tradizionale Hindi della pianta è Shalaparni (Sālaparni) [32] ed in Charaka Samhita è descritto come Sarvadoṣhahara (cioè capace di pacificare tutti gli umori/disturbi/disequilibri) [1].
In India è un officinale molto diffuso ed i suoi usi medicinali vengono ritenuti significativi come tonico amaro, febbrifugo, digestivo, anti-catarrale, anti-emetico e anti-infiammatorio ed in Ayurveda è ampiamente utilizzato per il miglioramento dei sintomi neurologici [3].
Le letterature vediche descrivono la sua potenzialità come regolatore del sistema nervoso (Vata), venoso (Pitta) e arterioso (Kapha) [31] indicandone quindi anche una generale valenza pro-vascolare.
Nel subcontinente indiano, l’arbusto viene tradizionalmente usato come antipiretico, diuretico, astringente (usato nell’irritabile sindrome dell’intestino, diarrea e dissenteria), tonico anticatarrale, diuretico, antielmintico, lassativo e nervino cosi come in Cina dove Desmodium gangeticum è usato come medicina popolare principalmente per curare la febbre, neutralizzare le tossine, inibire il dolore, rinvigorire il sangue, favorire la circolazione, sopprimere la tosse e alleviare la dispnea [31].
Le radici di Desmodium gangeticum (nome locale: Kaganila akatono) vengono masticate dal popolo tribale della comunità Bulamogi,(Uganda) per curare l’eiaculazione precoce; la tribù Pawara, nel distretto di Nandurbar, si è soliti miscelare la polvere di radice di D. gangeticum (nome locale: Salvan) con miele e il composto viene applicato per trattare le ulcere orali [31].
Le comunità Kharwa, Polekero, Kevat, di Dhobhi del distretto di Chandauli (Uttar Pradesh), usano frequentemente Desmodium gangeticum mescolato con Aloe vera come antiforfora e per prevenire la caduta dei capelli [31].
Gli assamesi della provincia di Assam in India, applicano topicamente la pasta di foglie per curare l’infezione da eczema e per altri disturbi cutanei [31].
Le popolazioni tribali di Waynad del Kerala, impiegano 10 g di radici frantumate e essiccate di Desmodium Gangeticum e di Pseudarthria (un’altra Fabacea), bollite in 200 ml di acqua per 3 minuti; il decotto (2 ml tre volte al giorno) viene prescritto per trattare il diabete mellito di tipo 2 [31]; la polvere di radice bollita con latte viene prescritta (mezzo bicchiere) per sette o più giorni dalle popolazioni tribali di Jalgaon (Distretto, Maharastra, India), per trattare la flatulenza [31]; la tribù Jhalod Taluka (del distretto di Dhahod), impiega il Desmodium gangeticum nel tonico “Salampak” per trattare i disturbi ginecologici [31].
Gli abitanti del distretto di Sivagangai, (Tamilnadu, India), bevono il decotto di foglie (localmente noto come Pulladi) due volte al giorno per 2- 3 giorni, per curare la diarrea e la dissenteria e la pasta delle foglie viene applicata sull’ano, una volta al giorno per due settimane, per curare le emorroidi [31].
Le comunità tribali di Chenchu e Rudrakod delle catene montuose di Nallamalai (Andhra Pradesh), assumono oralmente l’estratto di radice di Desmodium gangeticum (localmente noto come Gitanaramu) due volte al giorno, per curare la pertosse; le foglie in polvere, con un pizzico di sale, vengono applicate su bolle e vesciche [31].
Le tribù Bheel e Bhilala, (distretto di Jhabua, Madhya Pradesh), applicano succo di foglie fresche per il trattamento della scabbia e tigna [31].
Le tribù cinesi somministrano per via orale l’estratto di radice (9-15 g/giorno) per trattare la diarrea e come sedativo nei bambini. Le paste di radice e di foglia vengono applicate esternamente per ottenere sollievo da mal di denti e mal di testa. Il decotto acquoso di radici e delle parti aeree di Desmodium gangeticum è usato come antipiretico, antinfiammatorio e antinocicettivo ed è ritenuto una fito-medicina da varie tribù indiane in tutta l’India [31].
Le tribù Paliyar e Muthuvar, (distretto di Theni del Tamil Nadu), prescrivono il decotto di radici essiccate all’ombra (localmente chiamato Muvilai kurunthu) contro l’asma e altre complicanze bronchiali [31].
Le Tribù Gond, Kols, Mushar, Baiga e Nutts nella regione di Vindhya (Uttar Pradesh), somministrano la pasta e la polvere per via orale per trattare la febbre tifoide, la meningite cerebrospinale e anche come antidoto al veleno di serpente [31].
Diverse tribù indiane bevono il decotto di polvere di foglie secche come tonico per la salute [31].
1. Charakasamhita, Acharya Y.T. (Editor) Sutra Sthana, 25/40. Chaukhamba Sanskrit Sansthan, Varanasi, Reprint ed.2011;132
3. Mobulesa & Dowlathabad MuralidharRao(2011). Effect of plant extracts on Alzheimers disease: An insight into therapeutic avenues, J Neurosci Rural Pract. Jan-Jun; 2(1); 56-61
31. Bhattacharjee, A., S. C. Shashidhara, and S. Saha. “Phytochemical and ethno-pharmacological profile of Desmodium gangeticum (L.) DC. A review.” International Journal of Biomedical Research 4.10 (2013): 507-515.
32. Sālaparni.THE AYURVEDIC PHARMACOPOEIA OF INDIA, PART–I, VOLUME – VI (2008)
Sintesi dell’inquadramento ayurvedico
La radice del Desmodium gangeticum DC è ad esempio uno dei componenti del famoso preparato ayurvedico Dashamoolakwatha (decotto di un gruppo di dieci radici) che è impiegato come antipiretico e tonico amaro nel trattamento della febbre tifoide, biliare ed anche come diuretico e afrodisiaco [4]; in India nella medicina tradizionale se ne tramanda l’uso contro il morso di serpente [5].
Il nome botanico latino “Desmodium” deriva dalla parola greca “Desmos” che significa “legame” o “catena” a causa della somiglianza della disposizione dei baccelli della pianta come in una catena; Desmodium gangeticum cresce principalmente nelle regioni tropicali e subtropicali del mondo. Con 20-25 specie diverse, Desmodium gangeticum, in India, mostra la sua più alta biodiversità [31].
Una possibile etimologia del nome Shalaparni potrebbe derivare dalla somiglianza delle foglie, di grandi dimensioni, con quelle della Shorea robusta chiamata “Shala”; le radici vengono descritte come profonde, forti e fibrose emananti un profumo dolce; alla pianta vengono attribuite proprietà: Vataghni (pacifica Vatadosha), Shophaghni (è anti-infiammatorio), Dhruva (cura diverse malattie) [6]. In Kaushika Sutra 26/36 il nome Anshumati sarebbe sinonimo di Shalaparni e Prishniparni [33].
Nel periodo Samhitakala, molti riferimenti alla droga Shalaparni si ritrovano in Brihatrayi, Laghutrayi e anche in Kashyapa Samhita e Harita Samhita [33].
In Charaka Samhita, Acharya Charaka ha citato la droga Shalaparni in Shothahara, Balya, Snehopaga e Angamardaprashamana mahakashaya, Madhura skandha e anche in molte altre formulazioni [33].
In Sushruta Samhita, Acharya Sushruta ha citato questo farmaco con il nome di Vidarigandha e i suoi sinonimi sono Sthira e Saumya [33].
Ashtanga hridaya ha citato questo farmaco con il nome di Shalaparni ed anche il sui sinonimi (Sthira, Saumya ecc.) [33].
In Samhita Grantha, Shalaparni è menzionata in Chatushparni, Laghupancamoola e Dashamoola [33].
Tutti i Nighantus come Dhanvantari Nighantu, Shodhala Nighantu, Kaiyadeva Nighantu, Bhavaprakasha Nighantu, Raja Nighantu, Shaligrama Nighantu, Priya Nighantu, Mahaushadhi Nighantu hanno descritto il farmaco Shalaparni con i suoi sinonimi, proprietà ed azioni [33].
Secondo The Ayurvedic Pharmacopoeia of India “Sālaparni” è così classificato [32]:
Rasa: Tikta, Madhura
Guna: Guru, Snigdha
Virya: Ushna
Vipaka: Madhura
Karma: Balya, Brumhana, Mutrala, Rasayana, Tridoshahara, Vatahara, Veerya [32].
Parte degli effetti di Shalaparni potrebbero così essere interpretati [33]: Tikta rasa stimola Agni (fuoco digestivo), Madhura rasa stimola tutti i Dhatus [7], Guru e Snigdha guna stimolano tutti i Dhatus e gli upadhatus [8]; grazie a Madhura vipaka, agisce come Sristavinamootra (aiuta a facilitare la minzione e la defecazione) [9].
4. Anonymous(2009). Rewievs on Indian Medicinal plants, Vol 9, ICMR, New Delhi;: 315
5. Abhijit Dey & Jitendra Nath De(2012), Afr J Tradit complement Altern Med.; 9(1):153-174
7. Ibid 1, Sutrasthana 26/42, p.144
8. AshtangaHridaya, Paradakar H.S.(Editor),Sutrasthana1/18, ChaukhambaSurbharatiPrakashan, Varanasi, Reprint Ed.2010; 12
9. Ibid 1, Sutrasthana 26/61, p. 146.
31. Bhattacharjee, A., S. C. Shashidhara, and S. Saha. “Phytochemical and ethno-pharmacological profile of Desmodium gangeticum (L.) DC. A review.” International Journal of Biomedical Research 4.10 (2013): 507-515.
32. Sālaparni.THE AYURVEDIC PHARMACOPOEIA OF INDIA, PART–I, VOLUME – VI (2008)
33. Nitesh Shambharkar, Nitu Dongre and Amol Kadu. Shalaparni (Desmodium gangeticum DC.)- A Sarvadoshahara Dravya. Int J Ayu Pharm Chem (2016), Vol. 5, Issue 3
La specie Desmodium è diffusa nelle basse colline e pianure di tutta l’India, ma la si ritrova fino a 1500 m dell’Himalaya esterno; è diffusa nel Punjab, nella foresta del Bihar e dell’Orissa, nel Palghat, nelle foreste aperte e desolate del Rajasthan, nella foresta di Ganjam a Godavari, nei Gathi occidentali, dal meridione di Canara fino a Travancore e Madras [10].
Negli antichi sistemi popolari di descrizione botanica, per i singoli officinali, si ricorreva spesso all’uso di sinonimi che erano indicativi dei loro caratteri fisici, delle loro proprietà, azioni, dell’habitat, degli usi terapeutici, di caratteristiche naturali specifiche [14].
In Ayurveda l’impiego di questi sinonimi, nell’identificazione delle piante medicinali, ha rivestito quindi un ruolo fondamentale in Dravyaguna Vigyana poiché questi sinonimi sono serviti come fonte principale di descrizione dell’dentità delle droghe; Desmodium gangeticum è citato in Samhita e dai Nighantus con quasi 49 sinonimi. Di questi sinonimi 7 sono citati in Brihatrayi ed i più noti indicano il carattere morfologico della pianta; ad esempio il nome Shalaparni indica la sua somiglianza con la foglia dell’albero di Shala, Dirghapatra indica la foglia come di forma allungata o lunga, Dridhamoola indica che la radice di Shalaparni è molto lunga [33].
Altri sinonimi si riferiscono all’azione della pianta come ad esempio Vataghni che indica che la pianta agisce come Vataghna, Shothaghni indica che la pianta agisce come antinfiammatorio, Dhruva indica che ha mitigato qualsiasi malattia [33].
Quasi tutti gli Autori anno descritto Shalaparni con gli stessi attributi e cioè: Guru guna, Tikta e Madhura Rasa e Ushna Veerya [33].
Solo Shaligram Nighantu menziona Vipaka di Shalaparni come Madhura mentre altri Nighantus non hanno menzionato alcun Vipaka di Shalaparni [33].
Per quanto relativo a Doshaghnata, Acharya Charaka cita Shalaparni come Sarvadoshahara mentre Acharya Sushruta e Acharya Vagbhata lo hanno menzionato per proprietà Vatapittaghna [33].
Altri Nighantus, come ad esempio Dhanvantari, citano Shalaparni con Doshaghnata diversi e per proprietà Madhava Dravya guna; Raja Nighantu ha citato Shalaparni per proprietà Vataghna [33].
Madanpala Nighantu, Kaiyadeva Nighantu, Bhavaprakash Nighantu, Shaligram Nighantu hanno menzionato Shalaparni come Tridoshaghna. In Charaka Samamita Shalaparni è descritto come Sarvadoṣahara dravya [33].
Tutti gli Acharya hanno menzionano l’azione di Shalaparni come Rasayana, Brimhana, Vrishya e hanno descritto Rogaghnata come Vishamajwaraghna, Pramehaghna, Shoolaghna, Arshoghna [33].
10. Anonymous(2005), Database on Medicinal plants used in Ayurveda Vol 2, CCRAS, New Delhi, Reprint,p.472-80
14. Raja Nighaṇtu, Hindi CommetaryDravyaguṇaPrakashika by Dr. Indradev, ChaukhambaKrishnadas Academy, Varanasi, 1st Edi,1982, p.4
33. Nitesh Shambharkar, NituDongre and Amol Kadu. Shalaparni (Desmodium gangeticum DC.)- A Sarvadoshahara Dravya. Int J Ayu Pharm Chem (2016) Vol. 5 Issue 3
Sintesi delle principali attività farmacologiche
Nella classificazione botanica questo officinale viene descritto con il nome botanico Desmodium gangeticum DC (Linneo) e appartenente alla famiglia delle Fabaceae.
La composizione chimica di Desmodium gangeticum DC. è molto articolata; il fitocomplesso contiene principalmente alcaloidi: flavonoidi, desmocarpina; pterocarpan, desmodina, gangetina, gangetinina; altre sostanze importanti: 2-(N,N-dimethyl amino)acetophenone [32].
La moderna ricerca scientifica ha dimostrato le azioni farmacologiche menzionate nell’Ayurveda per Desmodium gangeticum che come abbiamo anticipato viene impiegato in formulazioni sia per uso topico sia per uso orale.
Nel modello farmacologico Desmodium gangeticum dimostra una significativa capacità di eliminare i radicali liberi generati durante l’ischemia e la riperfusione da ischemia, preservando così gli enzimi respiratori mitocondriali con una conseguente attività cardio-protettiva; Desmodium gangeticum dimostra una potenziale efficacia profilattica e terapeutica contro l’infezione da Leishmania [15].
Coerentemente con l’uso ayurvedico nei disturbi neurologici, Desmodium gangeticum dimostra promettenti attività di miglioramento della memoria e per questo motivo ne viene approfondito il potenziale nella gestione della demenza e della malattia di Alzheimer [16].
Un decotto acquoso di Desmodium gangeticum dimostra una significativa attività antinfiammatoria e anti-nocicettiva [17] e la frazione flavonoide possiede una potente attività antiossidante rispetto alla frazione alcaloide anche in confronto all’indometacina utilizzata come farmaco di riferimento determinando un aumento delle attività di SOD, CAT e GPX nel fegato e nella milza; parallelamente questi attivi dimostrano la capacità di ridurre la perossidazione lipidica [18].
In vivo, in un modello di artrosi nel ratto, l’estratto alcolico della pianta intera di Desmodium gangeticum dimostra una significativa attività antiossidante grazie alla presenza nel fitocomplesso di due potenti composti antiossidanti, (acido caffeico e acido clorogenico) che sono ritenuti responsabili di questa attività [19].
Nel ratto l’estratto di acetato di etile della radice di Desmodium gangeticum dimostra di protegge il miocardio dal danno indotto da ischemia-riperfusione attraverso un meccanismo correlabile all’inibizione della perossidazione lipidica [20].
I batteri della specie Rhizobium, isolati dai noduli di radice di Desmodium gangeticum producono, in coltura in vitro a partire dal triptofano, una quantità elevata di acido acetico indolo (IAA) che è un importante stimolatore di diversi e utili processi metabolici [21].
Desmodium gangeticum dimostra, nel modello sperimentale, un interessante effetto anti-ulcera, citoprotettivo ed anti secretorio con potenziali terapeutici contro l’ulcera peptica [22].
Un estratto acquoso della radice di Desmodium gangeticum mostra attività scavenger dei radicali liberi nel in un modello di infarto miocardico [23].
In ratti,resi diabetici sperimentalmente, l’estratto delle parti aeree di Desmodium gangeticum (100 e 250 mg / kg di peso corporeo) per 3 settimane ha mostrato una significativa riduzione della glicemia. L’estratto di Desmodium gangeticum ha causato un aumento significativo della secrezione di insulina dalle cellule MIN6 coltivate (mono-strati e pseudoisolotti), indicando che l’attività antidiabetica è il risultato di una maggiore secrezione di insulina [24].
Desmodium gangeticum è ampiamente utilizzato in Ayurveda per il miglioramento dei sintomi neurologici e nel ratto ha prodotto risultati considerevoli nel miglioramento dei sintomi del defici di attenzione (DA) attraverso l’attività nootropica e la riduzione dell’attività dell’acetilcolinesterasi (AChE) [25].
Desmodium gangeticum dimostra una potenziale efficacia profilattica e terapeutica contro l’infezione da Leishmania [26] infatti i glicolipidi e altri componenti del Desmodium gangeticum dimostrano significative attività anti leishmaniali in vitro e immunomodulatorie [27].
Shalaparni dimostra in generale la capacità di eliminare i radicali liberi generati durante la riperfusione da ischemia e l’ischemia e quindi preservare gli enzimi respiratori mitocondriali contribuendo alla cardio protezione [28].
Gli estratti di Desmodium gangeticum dimostrano una potente attività antiossidante [29].
Nel ratto Desmodium gangeticum ha dimostrato una potente attività di riduzione dei sintomi nel test di nocicezione addominale (contorcimento) indotta con acido acetico, attraverso una attività depressiva del coinvolgimento del sistema nervoso centrale nell’attività motoria spontanea [30].
15. Rastogi S, Pandey MM, Rawat AK. (2011), An ethnomedicinal, phytochemical and pharmacological profile of Desmodium gangeticum (L.) DC. and Desmodium adscendens (Sw.) DC. J Ethnopharmacol., Jun 22;136(2):283-96. Epub 2011 Apr 20
16. Joshi H, Parle M(2006), Antiamnesic effects of Desmodium gangeticum in mice, YakugakuZasshi. Sep;126(9):795-804.
17. Rathi A, Rao ChV, Ravishankar B, De S, Mehrotra S. (2004), Anti-inflammatory and anti-nociceptive activity of the water decoction Desmodiumgangeticum, J Ethnopharmacol. Dec;95(2-3):259-63.
18. Govindarajan R, Vijayakumar M, RaoChV, Shirwaikar A, Kumar S, Rawat AK, Pushpangadan P (2007), Antiinflammatory and antioxidant activities of Desmodium gangeticum fractions incarrageenan-induced inflamed rats, Phytother Res. Oct;21(10):975-9.
19. Govindarajan R, Vijayakumar M, Shirwaikar A, Rawat AK, Mehrotra S, Pushpangadan P. (2006), Antioxidant activity of Desmodium gangeticum and its phenolics in arthritic rats., Acta Pharm. Dec;56(4):489-96.
20. Gino A Kurian, Srilalitha Suryanarayanan, Archana Raman, and Jose Padikkala(2010), Antioxidant effects of ethyl acetate extract of Desmodium gangeticum root on myocardial ischemia reperfusion injury in rat hearts, Chin Med. 2010; 5: 3.
21. Bhattacharyya RN, Basu PS. (1997), Bioproduction of indoleacetic acid by a Rhizobium sp. from the root nodules of Desmodium gangeticum DC., ActaMicrobiolImmunol Hung.;44(2):109-18.
22. Dharmani P, Mishra PK, Maurya R (2005), Chauhan VS, Palit G., Desmodium gangeticum: a potent anti-ulcer agent, Indian J Exp Biol. Jun;43(6):517-21.
23. Kurian GA, Philip S, Varghese T. (2005),Effect of aqueous extract of the Desmodium gangeticum DC root in the severity of myocardial infarction, J Ethnopharmacol. Mar 21;97(3):457-61
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25. M Obulesu and DowlathabadMuralidhara Rao(2011), Effect of plant extracts on Alzheimer’s disease: An insight into therapeutic avenues, J Neurosci Rural Pract. Jan-Jun; 2(1): 56–61.
26. Singh N, Mishra PK, Kapil A, Arya KR, Maurya R, Dube A. (2005), Efficacy of Desmodium gangeticum extract and its fractions against experimental visceral leishmaniasis, J Ethnopharmacol. Apr 8;98(1-2):83-8.
27. Mishra PK, Singh N, Ahmad G, Dube A, Maurya R. (2005), Glycolipids and other constituents from Desmodium gangeticum with antileishmanial and immunomodulatory activities, Bioorg Med ChemLett. Oct 15;15(20):4543-6.
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29. Govindarajan R, Rastogi S, Vijayakumar M, Shirwaikar A, Rawat AK, Mehrotra S, Pushpangadan P. (2003), Studies on the antioxidant activities of Desmodium gangeticum, Biol Pharm Bull. Oct;26(10):1424-7.
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32. Sālaparni.THE AYURVEDIC PHARMACOPOEIA OF INDIA, PART–I, VOLUME – VI (2008)
Rispetto alle evidenze delle fonti storiche e alla conferme della moderna ricerca scientifica si può dedurre che Shalaparni è una pianta molto importante in Ayurveda e dimostra attività antiossidante, cardioprotettiva, antinfiammatoria, antiulcera, antidiabetica, nootropica, antileshmaniale, immunomodulante; la multidimensionalità degli usi di Shalaparni, in diverse condizioni di malattia, ne dimostrano il suo karma Sarvadoshahara [33].
33. Nitesh Shambharkar, NituDongre and Amol Kadu. Shalaparni (Desmodium gangeticum DC.)- A Sarvadoshahara Dravya. Int J Ayu Pharm Chem (2016) Vol. 5 Issue 3
A cura della direzione scientifica di Benefica
Int J Ayu Pharm Chem 2016 Vol. 5 Issue 3
SHALAPARNI (DESMODIUM GANGETICUM DC.) – A SARVADOSHAHARA DRAVYA
Nitesh Shambharkar 1* Nitu Dongre 2 and Amol Kadu 3
Author information:
1 Dept. of Dravyagunavigyan, MGACH &RC, Salod(H), Wardha, Maharashtra, India
2 Dept. of Kayachikitsa, Ayurved College, Pusad, Maharashtra, India
3 Dept. of Agadtantra, MGACH &RC, Salod(H), Wardha, Maharashtra, India
Review Article
ABSTRACT
Shalaparni is a Sarvadoshahara drug mentioned in Charaka Samhita. Leaves of Shalaparni are like Shala. Shalaparni is having Madhura and Tikta Rasa, Guru and Snigdha Guna and Ushna Veerya.
It is a common species found on lower hills and plains throughout India, ascending to 1500m in the Himalayas.
It’s useful part is root and whole plant. It acts as Rasayana, Brimhana, Vrishya and useful in Vishamajwara, Prameha, Shoola, Arsha.
It has having anti-oxidant, cardio-protective, anti-inflammatory, anti-ulcer, antidiabetic, nootropic, anti leshmanial, immunomodulatory activity.
Keywords Shalaparni, Desmodium gangeticum DC. Aphrodisiac, Cardio-protective, Anti-inflammatory
e-ISSN 2350-0204
Newsletter Fitoterapia nr. 47 – Luglio 2019
Phyllanthus niruri: l’alleato naturale nella calcolosi renale
Int Braz J Urol. 2018 Jul-Aug;44(4):758-764. PubMed.
Effect of phyllanthus niruri on metabolic parameters of patients with kidney stone: a perspective for disease prevention.
Pucci ND, Marchini GS, Mazzucchi E, Reis ST, Srougi M, Evazian D, Nahas WC.
Phyllanthus niruri L. è una pianta medicinale della famiglia delle Euphorbiaceae tra le più note, anche nell’uso tradizionale, per la prevenzione dell’urolitiasi e attualmente anche come coadiuvante naturale ai trattamenti chirurgici della stessa [27].
Questo officinale è infatti stata tradizionalmente utilizzato nei principali sistemi etnomedici per i suoi generali effetti nelle problematiche genitourinarie tra le quali la calcolosi urinaria, ma alla pianta vengono attribuite numerose altre attività, a carico del sistema digerente, epatico e metaboliche, che non sono ritenute minori rispetto a quelle anti urolitiasiche [27].
La pianta è diffusa in gran parte delle regioni tropicali e sub tropicali in diversi continenti e, a seconda delle biodiversità del luogo di origine (anche nella stessa regione), prende nomi botanici e tradizionali diversi pur mostrando differenze morfologiche e fitochimiche non sostanziali; per questo motivo spesso viene fatta confusione ad esempio tra Phyllanthus niruri e Phyllanthus amarus (a volte considerati sinonimi) che sostanzialmente identificano la stessa pianta tuttavia di origine geografica diversa [27].
Phyllanthus niruri è stato largamente impiegato in India nelle medicine Ayurvediche, Siddha e Unani, in Malesia, Indonesia, in Cina, in Brasile ma anche nel sud Italia dove ne ricorre un antico uso erboristico nella problematiche urinarie; non a caso il nome tradizionale italiano è “Fillanto” o “Erba spaccapietra” e quello spagnolo/portoghese è “Chanca piedra” mentre nelle culture di lingua inglese viene chiamato “Stonebreaker”. Con alcune diversificazioni nelle varie etnomedicine ricorre l’uso di questa pianta medicinale per il contrasto dell’urolitiasi anche se la stessa pianta è nota in gran parte del mondo come epatoprotettiva e potenzialmente utile per contrastare le epatiti B [27].
Per quanto relativo ai diversi effetti farmacologici viene generalmente ritenuto che le forme estrattive da radice siano preferibili per le problematiche epatiche mentre quelle della pianta intera siano più attive nelle problematiche urinarie [26].
Phyllanthus niruri ricorre come singolo componente o in associazione con altri attivi nella formulazione di moderni integratori fitoterapici consigliati per prevenire l’urolitiasi o per coadiuvarne i trattamenti convenzionali.
26. https://www.infoerbe.it: Phyllanthus niruri L.; Phyllanthus amarus L.
27. Narendra, K., et al. “Phyllanthus niruri: a review on its ethno botanical, phytochemical and pharmacological profile.” Journal of Pharmacy Research 5.9 (2012): 4681-4691.
Phyllanthus niruri nella calcolosi renale
Sulla calcolosi renale Phyllanthus niruri agisce con diversi meccanismi potenzialmente utili sia in prevenzione sia in associazione alla moderna chirurgia e la letteratura scientifica a supporto risulta generalmente indicativa di questa potenzialità.
La calcolosi renale è un problema comune dovuto in prevalenza all’accumulo di cristalli ossalato di calcio che determina la formazione di calcoli urinari in più fasi come la nucleazione, la crescita e l’aggregazione di cristalli [27].
L’estratto di Phyllanthus niruri dimostra di interferire con la crescita e con l’aggregazione di cristalli di ossalato di calcio [CaOx] nei calcoli; in particolare l’estratto ha dimostrato, nell’urina di ratto, di inibire l’aggregazione dei cristalli di CaOx nelle prime fasi della formazione soddisfacendo al razionale dell’utilità di trattare la formazione di calcoli nelle fasi iniziali [18]. L’estratto di Phyllanthus niruri [5% v/v] dimostra di ridurre significativamente il limite metastabile di CaOx, arrivando ad eliminare i cristalli di CaOx ed anche ad inibire significativamente la fase di nucleazione della formazione del calcolo [19].
In generale gli estratti di Phyllanthus niruri dimostrano la capacità di prevenire la crescita dei calcoli ed anche di modificarne la forma e la consistenza, infatti sui calcoli preformati questi estratti possono formare una matrice materica che modifica il loro aspetto e la loro consistenza [23].
L’estratto di Phyllanthus niruri somministrato in pazienti sovrappeso per dieta iper calorica può diminuire i livelli di calcio urinario [11] e ridurre i livelli di acido urico in soggetti iperuricemici; questi effetti sarebbero dovuti principalmente ai lignani con azione uricosurica contenuti nel estratto [9].
Nel 2010 Boim et al. hanno pubblicato una complessa recensione che riassume i dati sperimentali e clinici che valutano l’effetto della pianta Phyllanthus niruri come potenziale agente per prevenire e/o trattare urolitiasi. La revisione conclude che il Phyllanthus niruri dimostra di interferire con molti stadi della formazione del calcolo, riducendo l’aggregazione dei cristalli, modificandone la struttura e la composizione e alterando l’interazione dei cristalli con le cellule tubulari, portando a una ridotta endocitosi successiva. Gli effetti benefici clinici del Phyllanthus niruri possono essere correlati al rilassamento ureterale ed al suo contributo all’eliminazione dei calcoli o all’eliminazione dei frammenti degli stessi dopo la litotripsia ed anche ad una presunta riduzione dell’escrezione dei promotori della cristallizzazione urinaria come il calcio. In nessuno degli studi esaminati sono stati rilevati effetti avversi renali, cardiovascolari, neurologici o tossici. Complessivamente, questi studi suggeriscono un effetto preventivo del Phyllanthus niruri nella formazione o eliminazione dei calcoli [24].
Uno studio clinico condotto da Micali e Coll. nel 2006 ha valutato l’effetto dell’estratto di Phyllanthus niruri quando somministrato in pazienti dopo litotrisia extracorporea ad onde d’urto. 150 pazienti con calcoli renali di ossalato di calcio (mediamente 25 mm di diametro) sono trattati con litotripsia extracorporea ad onde d’urto e successivamente sono stati divisi in due gruppi ed in uno di questi (78 pazienti) è stata iniziato un trattamento con estratto di Phyllanthus niruri (2 g al giorno) per almeno 3 mesi. I 72 pazienti dell’altro gruppo sono stati studiati come controllo. I due gruppi risultavano omogenei per dimensioni dei calcoli. A 30, 60, 90 e 180 giorni, mediante radiografia addominale e ecografia, è stata valutata la clearance dei calcoli. Al termine dello studio (180 giorni) nel gruppo trattato con Phyllanthus niruri la percentuale di pazienti “stone free” (cioè con assenza di qualsiasi calcolo o frammenti residui inferiori a 3 mm) era del 93,5 % mentre nel gruppo non trattato era inferiore (83,3%) e l’assenza di calcoli caliceali inferiori era maggiore nel gruppo trattato (93,7 %) mentre era inferiore (70,8 %) nel gruppo di controllo. Nel gruppo trattato la percentuale di pazienti con assenza di calcoli caliceali inferiori era maggiore (93,7 %) e risultava statisticamente significativa (p = 0,01) mentre era inferiore (39,7%) nel gruppo di controllo. La necessità di re-trattamento risultava inferiore nel gruppo trattato (39,7%) e maggiore nel gruppo non trattato (43,3%). Nel gruppo trattato non sono stati osservati effetti collaterali. Lo studio ha concluso che la somministrazione regolare di Phyllanthus niruri dopo litotripsia dei calcoli renali si traduce in un aumento della clearance dei calcoli che appare statisticamente significativa per la posizione caliceale inferiore. Secondo questo studio, l’efficacia di Phyllanthus niruri e la mancanza assoluta di effetti collaterali rende questo trattamento adatto a migliorare complessivamente i risultati dopo litotripsia extracorporea ad onde d’urto [12].
Un studio clinico randomizzato verso placebo, condotto da Nishiura et al., nel 2004, su 69 pazienti ha concluso che la somministrazione di un estratto di Phyllanthus niruri (450 mg tre volte al giorno) induceva una riduzione significativa del calcio urinario medio nei pazienti ipercalciurici (4,8 ± 1,0 vs 3,4 ± 1,1 mg / kg / 24 ore, P <0,05) senza differenze statisticamente significative sul dolore, suggerendo che l’assunzione di Phyllanthus niruri riduce il calcio urinario in pazienti che presentano ipercalciuria [11].
Freitas et al. (2002) hanno valutato nel ratto l’effetto di una somministrazione cronica di Phyllanthus niruri sull’escrezione urinaria di inibitori endogeni di litogenesi, citrato, magnesio e glicosaminoglicani (GAG) in un modello di litiasi urinaria. Ai ratti per 42 giorni sono stati somministrati per via orale 1,25 mg di Phyllanthus niruri in un modello di urolitiasi indotta con ossalato di calcio. I ratti sono stati suddivisi in quattro gruppi dei quali uno di controllo che non riceveva nessuna sostanza, uno che riceveva solo Phyllanthus niruri, uno che riceveva ossalato di calcio e acqua; uno che riceveva ossalato di calcio e Phyllanthus niruri. Dopo 42 giorni di trattamento nei diversi gruppi sono stati raccolti plasma e urine per le analisi biochimiche e per determinare l’escrezione di citrato urinario, magnesio e GAG. Attraverso esame autoptico sono stati poi analizzati i calcoli. Lo studio ha concluso che il trattamento con Phyllanthus niruri ha fortemente inibito la crescita della matrice del calcolo e ridotto il numero di calcoli satelliti rispetto al gruppo che riceve solo acqua; in un certo numero di animali nel gruppo trattato con Phyllanthus niruri i calcoli sono stati eliminati o sciolti. Nel gruppo trattato non è stata osservata una significativa influenza dell’estratto sull’escrezione urinaria di citrato e magnesio ma è stata osservata una significativa riduzione della concentrazione urinaria di GAG nel gruppo che riceveva ossalato di calcio e Phyllanthus niruri con un miglioramento della creatinina rispetto al gruppo che riceveva ossalato di calcio ed acqua. Il contenuto di GAG nei calcoli era più alto nei ratti trattati con CaOx + Phyllanthus niruri rispetto al gruppo trattato con CaOx + acqua. Lo studio ha concluso che Phyllanthus niruri nell’urolitiasi esercita un effetto inibitorio sulla crescita dei cristalli, che è indipendente dai cambiamenti nell’escrezione urinaria di citrato e Mg, ma potrebbe essere correlata alla maggiore incorporazione di GAG nei calcoli [17].
Alle piante del genere Phyllanthus vengono attribuite anche proprietà diuretiche infatti i loro estratti si dimostrano capaci di modulare la contrazione della vescica urinaria provocata da vari neurotrasmettitori; questo meccanismo risulta indipendente da quello dell’acetilcolina o da meccanismi adrenergici o peptidergici [25,26].
9. Murugaiyah V, Chan KL. Mechanisms of antihyperuricemic effect of Phyllanthus niruri and its lignan constituents. J Ethnopharmacol. 2009;124:233-9.
11. Nishiura JL, Campos AH, Boim MA, Heilberg IP, Schor N. Phyllanthus niruri normalizes elevated urinary calcium levels in calcium stone forming (CSF) patients. Urol Res. 2004;32:362-6.
12. Micali S, Sighinolfi MC, Celia A, De Stefani S, Grande M, Cicero AF, et al. Can Phyllanthus niruri affect the efficacy of extracorporeal shock wave lithotripsy for renal stones?A randomized, prospective, long-term study. J Urol. 2006;176:1020-2.
17. Freitas AM, Schor N, Boim MA. The effect of Phyllanthus niruri on urinary inhibitors of calcium oxalate crystallization and other factors associated with renal stone formation. BJU Int. 2002;89:829-34.
18. Barros ME, Lima R, Mercuri LP, Matos JR, Schor N, Boim MA. Effect of extract of Phyllanthus niruri on crystal deposition in experimental urolithiasis. Urol Res. 2006;34:351-7.
19. Ramsout R, Rodgers A, Webber D. Investigation of the effects of Phyllanthus niruri L. on in vitro calcium oxalate crystallization. Eur Urol Suppl. 2011;10:461-74.
23. Barros, M. E., et al. “Effect of extract of Phyllanthus niruri on crystal deposition in experimental urolithiasis.” Urol. Res. 2006 Dec; 34(6): 351-7.
24. Boim, Mirian A., Ita P. Heilberg, and Nestor Schor. “Phyllanthus niruri as a promising alternative treatment for nephrolithiasis.” International braz j urol 36.6 (2010): 657-664.
25. Calixto JB, Santos AR, Cechinel Filho V, Yunes RA (1998) A review of the genus Phyllanthus: their chemistry, pharmacology, and therapeutic potencial. Med Res Rev 18: 225.
26. https://www.infoerbe.it: Phyllanthus niruri L.; Phyllanthus amarus L
27. Narendra, K., et al. “Phyllanthus niruri: a review on its ethno botanical, phytochemical and pharmacological profile.” Journal of Pharmacy Research 5.9 (2012): 4681-4691.
L’articolo
Nella Newsletter segnaliamo un articolo pubblicato da International Brazilian Journal of Urology nel 2018 e disponibile in PubMed relativo ad un recente studio clinico che propone una ulteriore valutazione di Phyllanthus niruri nell’urolitiasi; lo studio risulta di interesse poiché rappresenta uno dei pochi studi sull’uomo condotti negli ultimi anni sull’argomento e che si è posto l’obiettivo di valutare prospetticamente l’effetto di P. niruri sui parametri metabolici urinari di pazienti con litiasi urinaria.
Lo studio è stato condotto con una metodica molto complessa attraverso valutazioni cliniche, biochimiche, radiologiche e per immagini ed ha comportato per la selezione dei 75 pazienti ammissibili allo studio l’arruolamento iniziale e l’esame di 430 soggetti.
Lo studio in breve
I fattori di rischio per l’urolitiasi includono aspetti congeniti, genetici, ambientali, dietetici e metabolici; inoltre malattie croniche tra cui l’obesità, l’ipertensione e il diabete vengono associate alla possibile formazione di calcoli urinari [1].
Nel complesso i calcoli urinari derivano da una combinazione di alcuni dei fattori coinvolti nella sua patofisiologia [1]; la prevalenza mondiale della calcolosi urinaria è dell’8,8% ed è più frequente in soggetti caucasici, obesi e in quelli a basso reddito [1]; il tasso di ricorrenza di calcoli urinari è del 50% entro 10 anni del primo episodio [2] e in aggiunta alle condizioni di cui sopra, sono in genere coinvolti nella genesi dei calcoli urinari, disturbi metabolici come l’ipercalciuria elì ipocitraturia [3].
La conoscenza dei meccanismi patofisiologici coinvolti e i loro fattori di rischio, come ad esempio un basso volume urinario e l’alta assunzione di calorie, sodio e proteine sono importanti per la modifica la storia naturale della malattia [2] e è dimostrato che la riduzione nella ricorrenza di calcoli urinari di a almeno il 50% può essere raggiunto con linee guida dietetiche, cambiamenti dello stile di vita e l’uso di farmaci specifici [4, 5].
Oltre al trattamento convenzionale per la litiasi, alcune piante medicinali vengono utilizzate da tempo in tutto il mondo [6] e tra queste Phyllanthus niruri o “stone breaker” che è una alternativa naturale ed economica, facile da ottenere e con una bassa incidenza di effetti negativi [7]; ad oggi sono state descritti per questa pianta gli effetti antinfiammatori [8], anti-iperuricemici [9] e diuretici [10]; gli effetti di P. niruri e il suo potenziale di inibire il formazione di calcoli renali sono dimostrati in un certo numero di studi anche clinici [11,12].
1. Stamatelou KK, Francis ME, Jones CA, Nyberg LM, Curhan GC. Time trends in reported prevalence of kidney stones in the United States: 1976-1994. Kidney Int. 2003;63:1817-23.
2. Curhan GC, Willett WC, Knight EL, Stampfer MJ. Dietary factors and the risk of incident kidney stones in younger women: Nurses’Health Study II. Arch Intern Med. 2004;164:885-91.
3. Worcester EM, Coe FL. New insights into the pathogenesis of idiopathic hypercalciuria. Semin Nephrol. 2008;28:120-32.
4. Pearle MS, Calhoun EA, Curhan GC; Urologic Diseases of America Project. Urologic diseases in America project: urolithiasis. J Urol. 2005;173:848-57.
5. Ettinger B, Pak CY, Citron JT, Thomas C, Adams-Huet B, Vangessel A. Potassium-magnesium citrate is an effective prophylaxis against recurrent calcium oxalate nephrolithiasis. J Urol. 1997;158:2069-73.
6. Cruces IL, Patelli THC, Tashima CM, Mello-Peixoto ECT. Plantas medicinais no controle da urolitíase. Rev Bras Pl Med. 2013;15(4 Supl 1):780-8.
7. Campos AH, Schor N. Phyllanthus niruri inhibits calcium oxalate endocytosis by renal tubular cells: its role in urolithiasis. Nephron. 1999;81:393-7.
8. Bagalkotkar G, Sagineedu SR, Saad MS, Stanslas J. Phytochemicals from Phyllanthus niruri Linn. and their pharmacological properties: a review. J Pharm Pharmacol. 2006;58:1559-70.
9. Murugaiyah V, Chan KL. Mechanisms of antihyperuricemic effect of Phyllanthus niruri and its lignan constituents. J Ethnopharmacol. 2009;124:233-9.
10. Devi MV, Satyanarayana S, Rao AS. Effect of Phyllanthus niruri on the diuretic activity of Punarvana tablets. J Res Edu Ind Med.1986; 5:11-3.
11. Nishiura JL, Campos AH, Boim MA, Heilberg IP, Schor N. Phyllanthus niruri normalizes elevated urinary calcium levels in calcium stone forming (CSF) patients. Urol Res. 2004;32:362-6.
12. Micali S, Sighinolfi MC, Celia A, De Stefani S, Grande M, Cicero AF, et al. Can Phyllanthus niruri affect the efficacy of extracorporeal shock wave lithotripsy for renal stones?A randomized, prospective, long-term study. J Urol. 2006;176:1020-2.
Materiali e metodi
Lo studio è stato condotto presso la Divisione Urologica dell’Ospedale universitario di São Paulo presso la facoltà di medicina e tutti i pazienti inclusi nello studio presentavano uno o più calcoli di dimensione inferiore ai 10 mm; la diagnosi era basata sull’ecografia e sulla tomografia (CT) e l’età dei pazienti variava tra i 18 e i 60 anni.
Dei 430 pazienti inizialmente arruolati ed inizialmente esaminati ne sono stati presi in considerazione 75 ammissibili in base ai criteri di inclusione.
Dallo studio sono stati esclusi i pazienti con un livello di creatinina sierica > 2,0 mg / dl, con infezione del tratto urinario, con diabete non controllato, con malattia epatica cronica, cancro e le donne in gravidanza.
Lo studio è stato diviso in tre fasi: Fase basale (prima della somministrazione di Phyllanthus niruri), Fase di intervento con Phyllanthus niruri (12 settimane) e Fase di washout (12 settimane).
Durante la fase di intervento con Phyllanthus niruri è stato somministrato ai pazienti un preparato della pianta prodotto secondo le raccomandazioni della letteratura [13]; nello studio i pazienti stessi fungevano anche da controllo e sono stati seguiti complessivamente per 26 settimane. I pazienti sono stati sottoposti a esami clinici, antropometrici, sierici e urinari ed ad analisi metaboliche in tutte le fasi dello studio.
La raccolta dei dati demografici riguardava età, razza, sesso, storia familiare e uso di farmaci; la raccolta dei dati clinici comprendeva la pressione sanguigna sistolica e diastolica e la valutazione antropometrica (peso, altezza, indice di massa corporea (BMI).
Le analisi biochimiche sul siero, le analisi sull’urina e l’ecografia renale sono state eseguite al basale, immediatamente dopo la somministrazione di P. niruri e alla fine del periodo di washout; la valutazione per immagini è stata eseguita dai medici radiologi, in cieco, per tutti i pazienti.
L’analisi biochimica del siero è stata eseguita al basale, nella fase di intervento con P. niruri e nella fase di washout includendo un esame emocromocitometrico completo e la valutazione di urea, creatinina, sodio, potassio, glucosio (a digiuno), acido urico, calcio totale e ionizzato, beta gonadotropina corionica umana (HCG; solo femmine), colesterolo totale e frazioni, trigliceridi, alanina aminotransferasi, aspartato amminotransferasi, gamma-glutamil transpeptidasi, livelli di amilasi e bilirubina. I campioni di siero sono stati raccolti in tutti i partecipanti dopo digiuno per 12 ore.
Le misurazioni urinarie sono state effettuate nelle ventiquattro ore includendo calcio, ossalato, citrato, acido urico, magnesio, sodio, potassio, creatinina, urea e livelli di fosforo e pH urinario in urina spontanea.
Per la valutazione delle anomalie metaboliche in campioni di urina nelle 24 ore (mg / g di creatinina), sono stati adottati i seguenti criteri: ipercalciuria (calcio> 240 /> 200 mg / 24 ore), iperossaluria (ossalato> 40 mg / 24 ore), ipocitraturia (citrato <320 / <290mg / 24 ore), iperuratriuria (sodio> 150 mg / 24 ore) iperuricosuria (acido urico> 0,75 /> 0,6 g / 24 ore), pH anormale (<5.8 e> 6.2), basso volume di urina (<2 L / giorno) per uomini e donne [4].
I pazienti arruolati dopo essere stati sottoposti a valutazione clinica, biochimica ed ecografica sono stati sottoposti ad un’ulteriore visita mensile ed hanno assunto un preparato due volte al giorno (infuso 4,5 g di estratto in polvere da assumere in infusione in 250 ml di acqua bollita) per 12 settimane.
La pianta utilizzata per la preparazione dell’estratto era di origine brasiliana e l’estratto aveva un contenuto minimo di tannino del 1,5%.
Le indicazioni d’uso di Phyllanthus niruri nei disturbi del tratto urinario comprendono la litiasi renale, i crampi, la cistite e la nefrite e la pianta è conosciuta per esercitare effetti analgesici, antinfiammatori e metabolici.
Durante lo studio non sono stati sospesi farmaci per l’ipertensione o per altre malattie e solo ai pazienti che usavano citrato di potassio è stato indicato di interromperne l’uso due mesi prima dell’inizio dello studio per evitare interferenze con i risultati del dosaggio di citrato di urina nelle 24 ore.
4. Pearle MS, Calhoun EA, Curhan GC; Urologic Diseases of America Project. Urologic diseases in America project: urolithiasis. J Urol. 2005;173:848-57.
13. Brasil. Ministério da Saúde. ANVISA. Diário Oficial da União, 9 de março de 2010, 46, seção 1, 1677-7042. Agência de Vigilância Sanitária (RDC 10, ANVISA), ISSN Março 2010, p.16-17. Dispõe sobre a notificação de drogas vegetais junto à Agência Nacional de Vigilância Sanitária (ANVISA) e outras providências.
Risultati
Cinquantasei pazienti dei 75 arruolati hanno completato lo studio mentre altri pazienti hanno abbandonato lo studio a causa di lavoro o problemi personali, interventi chirurgici o altri trattamenti per motivi non urologici (carcinoma della mammella, calcoli biliari); dei 56 pazienti rimasti, 36 (64,3%) erano donne e 52 (92,8%) erano caucasici. L’età media era di 44 ± 9.2 anni (22-58 anni) e l’indice di massa corporea basale era 27,2 ± 4,4 kg/m2. Trenta pazienti (53,6%) avevano una storia familiare di calcoli, 53 (94,6%) erano abitudinariamente sedentari, 27 (48,2%) avevano ipertensione e 26 (46,4%) avevano sindrome metabolica. Della coorte studiata, 26 pazienti (46,4%) stavano usando farmaci antipertensivi; un paziente (1,8%) assumeva farmaci ipoglicemizzanti, e quattro pazienti (7,1%) assumevano antidepressivi. Durante il trattamento con Phyllanthus niruri è stato osservato un leggero aumento, però non significativo, della pressione sanguigna diastolica raggiungendo 76,0 ± 10,5mmHg con una decrescita a 72,5 ± 10,5mmHg (p = 0,02) durante il periodo di washout.
Durante il trattamento 37 (66,1%) pazienti hanno segnalato dolore addominale, in 11 casi (19,6%) si è verificata disuria, in otto casi (14,3%) ematuria e in sei casi (10,7%) nausea e dolore epigastrico tuttavia questi sintomi non hanno portato alla sospensione del trattamento.
Dopo l’uso di Phyllanthus niruri è stata osservata una significativa diminuzione delle fosfatasi alcaline (67,7 ± 22,2 x 63,5 ± 20,6 mg / dL; p = 0.017).
L’analisi delle urine nelle 24 ore ha rivelato un aumento significativo dei livelli di potassio tra il periodo basale e di washout, da 47.3 ± 16,7 mg / 24 ore a 56,2 ± 21,8 mg / 24 ore (p = 0,017) e durante l’uso del preparato a base di Phyllanthus niruri è stata osservata una tendenza di aumento del potassio urinario.
L’analisi degli elettroliti nelle 24 ore e la creatinina nelle urine nelle 24 ore ha rivelato un aumento di livelli di potassio e magnesio. Questo aumento ha raggiunto un significato statistico nel periodo di washout.
Al basale il disturbo urinario più frequente che si è verificanto in 34 pazienti (60,7%) era l’ipernatriuria mentre ipocitraturia e ipercalciuria sono state osservate in 24 casi (42,8%), iperuricosuria in sei (10,7%), iperossaluria in cinque (8,9%) e basso volume di urina in 31 (55,3%) inoltre in 21 pazienti (37,5%) il valore del pH risultava alterato.
Dopo il trattamento i pazienti con anomalie urinarie al basale mostravano una tendenza verso un aumento del citrato urinario tra i pazienti ipocitratici (211,8 ± 123,7 a 322,3 ± 145,8 mg / 24 ore, p = 0,2193), inoltre, l’ossalato risultava significativamente ridotto da 59,0 ± 11,7 a 28,8 ± 16,0 mg / 24 ore (p = 0,0002) ed in particolare l’iperossaluria e l’acido urico risultavano significativamente diminuiti da 0,77 ± 0,22 a 0,54 ± 0,07 mg / 24 ore (p = 0,0057) nei pazienti iperuricosurici.
La valutazione ecografica nelle tre fasi dello studio ha evidenziato una diminuzione dei calcoli totali in 38 pazienti (67,8%) (da 3,2 ± 2,02 a 2,0 ± 2,07) ed una diminuzione della dimensione dei calcoli. In 10 pazienti (17,8%) non è stata osservata nessuna variazione nel numero dei calcoli e in otto pazienti (14,3%) è stato osservato un aumento del numero dei calcoli dopo il trattamento con P. periodo di niruri. Alcuni pazienti hanno riferito l’espulsione spontanea di calcoli tra il 21° e il 70° giorno del periodo di trattamento con P. niruri: quattro pazienti ne hanno eliminati sei mentre cinque pazienti hanno riportato la presenza di frammenti sabbiosi nelle urine durante il periodo di trattamento con l’estratto.
Riflessioni dall’articolo
La formazione di calcoli urinari è associata con diversi fattori di rischio e la sua prevalenza è alta in tutto il mondo con un aumento della morbilità e costi sanitari tuttavia restano ancora da stabilire trattamenti terapeutici e preventivi completamente efficaci e l’uso di piante medicinali può essere utile come coadiuvante. Phyllanthus niruri, che è una pianta molto comune in diversi paesi, ha dimostrato di essere una valida alternativa, sebbene siano necessari ulteriori studi clinici per la completa dimostrazione della sua efficacia.
In questo studio si è cercato di valutare l’uso di P. niruri, in forma d’infuso, in pazienti con piccoli calcoli urinari; analizzando le variabili urinarie non è stato osservato nessun cambiamento significativo nel volume urinario nelle 24 ore infatti il volume delle urine era vicino al minimo raccomandato in letteratura, che è 2 L / giorno [3,4] ed i volumi medi giornalieri di urina dei pazienti erano di 1927 ml al basale, 2029 ml nel periodo di trattamento con P.niruri e 2015 ml nel periodo di washout senza differenze significative tra le tre fasi dello studio; al riguardo è possibile che i pazienti fossero consapevoli dell’importanza del consumo di liquidi per prevenire la formazione di nuovi calcoli e stessero quindi già consumando la quantità di liquido raccomandato all’inizio dello studio e quindi questo aspetto non avrebbe comportato alcun cambiamento significativo nel volume di urina. Gli effetti diuretici di P. niruri hanno stato descritti in studi sperimentali [10,15] ma Nishiura et al. [11] hanno raggiunto conclusioni diverse in uno studio clinico.
L’aumento degli elettroliti delle urine nelle 24 ore, osservato in questo studio, può essere correlato alla diminuzione del numero di calcoli riscontrata nella valutazione per immagini infatti gli aumenti di potassio urinario e dei livelli di magnesio portano ad alcalinizzazione dell’urina e di conseguenza ad un aumento del citrato urinario che è un potente inibitore della formazione di calcoli di calcio [5]. Il potassio può moderare la concentrazione di sodio nelle urine e promuovere l’incremento di citrato, che agisce per correggere il pH urinario e l’acidità, eventualmente contribuendo ad un aumento della solubilità del calcio [5]. Queste variazioni degli elettroliti, nel loro insieme, potrebbero interferire con alcune fasi di cristallizzazione nelle urine, come la riduzione della nucleazione, la crescita e l’aggregazione di cristalli di ossalato di calcio [5, 14].
Nello studio è stato osservato un significativo aumento del potassio nei campioni di urina nelle 24 ore tra il basale ed il washout coinvolgendo anche il rapporto potassio/creatinina e il rapporto magnesio/creatinina. L’aumento dei livelli di potassio e magnesio osservato nello studio possono aiutare a spiegare la normalizzazione dei cambiamenti metabolici osservati dopo l’uso di Phyllanthus niruri.
Il pH delle urine non è cambiato durante lo studio e è rimasto ad un valore medio tra 6.0 e 6.1.
Tra il periodo di trattamento con Phyllanthus niruri ed il periodo di washout è stata osservata una significativa riduzione della pressione diastolica [16] ed in letteratura è stato segnalato 1 caso di effetto ipotensivo [8].
Nello studio attraverso la valutazione per immagini dei calcoli è emersa una riduzione del numero di calcoli dopo il trattamento con di P. niruri, pur considerando che in alcuni pazienti alcuni calcoli erano stati espulsi spontaneamente durante il trattamento; lo stesso metodo di valutazione per immagini era stato impiegato da Nishiura et al. che non avevano riportato variazioni del numero di calcoli e della loro dimensione prima e dopo l’uso di un estratto di P. niruri in individui con litiasi urinaria [11] mentre in altri studi è stato dimostrato che P. niruri ha promosso una riduzione del numero di calcoli, ne ha modificato l’aspetto e ne ha reso più fragile la struttura [7,17-19].
Sebbene l’ecografia non sia considerata un “gold standard” per la valutazione di calcoli piccoli, nello studio questa valutazione è stata utilizzata a scopo di monitoraggio clinico in pazienti che sono stati esaminati con scansioni TC ripetute in un breve periodo di tempo, per limitare l’eccessiva esposizione alla radioattività che non è raccomandata [20].
Durante lo studio alcuni pazienti hanno manifestato ematuria e dolore addominale tuttavia la causa esatta di questi eventi non era chiare e come precauzione è stato effettuato un monitoraggio continuo dei pazienti che sono stati sottoposti a visite mensili.
L’ematuria ed il dolore addominale possono essersi manifestati in correlazione all’eliminazione di piccoli calcoli ed i pazienti hanno osservato la presenza di frammenti di sabbia nelle urine; poiché questi sintomi sono molto frequenti nei pazienti con litiasi urinaria, il dolore non può essere direttamente correlato al consumo di P. niruri.
Nello studio non sono stati osservati cambiamenti nel siero dei livelli di enzimi epatici, urea e creatinina.
Negli studi precedenti sull’uso di Phyllanthus niruri non è stato rilevato nessun evento avverso acuto o cronico a carico di reni, cuore, fegato o effetti neurologici [17,18] e in uno studio sull’uomo Wang et al. [21] in presenza di malattia epatica cronica hanno dimostrato che la pianta aveva normalizzato gli enzimi epatici.
Numerosi studi fino ad oggi si sono concentrati nel dimostrare gli effetti epatoprotettivi di Phyllanthus niruri in vari disturbi del fegato [8] e di questi studi risultano particolarmente utili i risultati che dimostrano la capacità della pianta di ridurre i livelli di fosfatasi alcaline; in questi studi viene dimostrato che non vi è tossicità con l’uso dell’estratto vegetale ma la dimostrazione che l’estratto sia capace di ridurre le fosfatasi alcaline è correlabile con la riduzione del numero dei calcoli renali dimostrata anche in questo studio, poiché la fosfatasi alcalina è un marker biochimico del metabolismo osseo e può essere coinvolta nel meccanismo della formazione dei calcoli nell’ipercalciuria [22].
Secondo i risultati dello studio in pazienti con alterazioni metaboliche a seguito del trattamento con Phyllanthus niruri si è osservata una significativa normalizzazione dell’urina nei pazienti con iperuricosuria e iperossaluria; analogamente negli stessi pazienti è stata osservata una tendenza alla normalizzazione dei livelli di citrato tuttavia senza significatività statistica; nessun cambiamento significativo è stato notato per i pazienti con ipercalciuria o ipernatriuria alla fase basale.
Conclusione
L’assunzione di P. niruri è sicura e non provoca effetti avversi significativi e aumenta l’escrezione urinaria di magnesio e potassio; i pazienti con specifici cambiamenti metabolici urinari come iperuricosuria e iperossaluria possono trarre beneficio dall’assunzione di Phyllanthus niruri.
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Int Braz J Urol. 2018 Jul-Aug;44(4):758-764. doi: 10.1590/S1677 5538.IBJU.2017.0521.
Effect of phyllanthus niruri on metabolic parameters of patients with kidney stone: a perspective for disease prevention.
Pucci ND(1), Marchini GS(2), Mazzucchi E(2), Reis ST(3), Srougi M(2), Evazian D(1), Nahas WC(2)
Author information:
Abstract
Phyllanthus niruri (P.niruri) or stone breaker is a plant commonly used to reduce stone risk, however, clinical studies on this issue are lacking.
OBJECTIVE: To prospectively evaluate the effect of P. niruri on the urinary metabolic parameters of patients with urinary lithiasis.
MATERIALS AND METHODS: We studied 56 patients with kidney stones <10mm. Clinical, metabolic, and ultrasonography assessment was conducted before (baseline) the use of P. niruri infusion for 12-weeks (P. niruri) and after a 12-week (wash out). Statistical analysis included ANOVA for repeated measures and Tukey’s/McNemar´s test for categorical variables. Significance was set at 5%.
RESULTS: Mean age was 44±9.2 and BMI was 27.2±4.4kg/m2. Thirty-six patients (64%) were women. There were no significant changes in all periods for anthropometric and several serum measurements, including total blood count, creatinine, uric acid, sodium, potassium, calcium, urine volume and pH; a significant increase in urinary potassium from 50.5±20.4 to 56.2±21.8 mg/24-hour (p=0.017); magnesium/creatinine ratio 58±22.5 to 69.1±28.6mg/ gCr24-hour (p=0.013) and potassium/creatinine ratio 39.3±15.1 to 51.3±34.7mg/gCr24- hour (p=0.008) from baseline to wash out. The kidney stones decreased from 3.2±2 to 2.0±2per patient (p<0.001). In hyperoxaluria patients, urinary oxalate reduced from 59.0±11.7 to 28.8±16.0mg/24-hour (p=0.0002), and in hyperuricosuria there was a decrease in urinary uric acid from 0.77±0.22 to 0.54±0.07mg/24-hour (p=0.0057).
CONCLUSIONS: P.niruri intake is safe and does not cause significant adverse effects on serum metabolic parameters. It increases urinary excretion of magnesium and potassium caused a significant decrease in urinary oxalate and uric acid in patients with hyperoxaluria and hyperuricosuria. The consumption of P.niruri contributed to the elimination of urinary calculi.
Copyright® by the International Brazilian Journal of Urology.
DOI: 10.1590/S1677-5538.IBJU.2017.0521
PMCID: PMC6092661
PMID: 29617079 [Indexed for MEDLINE]
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Newsletter Ayurveda nr. 54 – Giugno 2019
Newsletter n° «54»
Giugno 2019
Gokshur: Tribulus terrestris nei Taila
Pharmacogn Rev. 2014 Jan;8(15):45-51. doi: 10.4103/0973-7847.125530. PubMed
PHYTOPHARMACOLOGICAL OVERVIEW OF TRIBULUS TERRESTRIS.
Chhatre S, Nesari T, Somani G, Kanchan D, Sathaye S.
“Gokshur” (oppure “Gokshura” o “Gokharu”) [71] è il nome di origine sanscrita del Tribulus terrestris L. che è una pianta usata fin dall’antichità in diverse medicine tradizionali come ad esempio quella ayurvedica e cinese; in particolare in Ayurveda il Tribulus terrestris ricorre in numerose formule medicinali e nella composizione di alcuni noti oli medicati come Mahanarayana Taila, Dhanwantharam Taila, Dashmoola Taila, Mahachandanadi Taila, Sahacharadi Taila.
A questa preziosa pianta medicinale è dedicata questa newsletter che segnala in particolare un articolo scientifico pubblicato da “Pharmacognosy Reviews” nel 2014 e disponibile in Pub Med.
La newsletter descrive il profilo tradizionale e farmacologico di “Gokshur” (Tribulus terrestris L.) a supporto della conoscenza degli effetti farmacologici come quello antinfiammatorio, analgesico, tonico, rinfrescante e battericida.
Secondo tradizione il nome di origine sanscrita “Gokshur” oppure “Gokshura” significherebbe “zoccolo di mucca” o per il fatto che la forma del frutto della pianta assomigli allo zoccolo di una mucca oppure perché i frutti, di fatto come delle piccole spine, tenderebbero a rimanere bloccate negli zoccoli degli animali al pascolo, da cui go-ksura (zoccolo di mucca) identificando la pianta con il problema che comunemente provoca.
l nome botanico latino Tribulus deriverebbe dalla parola greca τρίβολος, che identificava la “castagna d’acqua” (Trapa natans L.) una pianta dai frutti morfologicamente simili a quelli del Tribulus terrestris [68], e che è stata tradotta in latino come “tribulos”. Il nome latino “tribulus” in origine indicava “il piede di corvo”, o tribolo (un’arma tri appuntita), e la similitudine dei frutti della pianta con quest’arma, portò già in tempi classici ad identificare anche la pianta medicinale stessa [69].
Il Tribulus terrestris L. è una pianta appartenente alla famiglia delle Zygophyllaceae, al genere Tribulus, che cresce in zone subtropicali in tutto il mondo, compresa la Cina, ed è ampiamente distribuita in tutta l’India [61], ma cresce anche nelle Americhe e nel sud dell’Australia [62]; in Africa meridionale i semi di questa pianta vengono trattati con succo di Acokanthera venenata e impiegati nella costruzione di armi velenose [63]; il Tribulus terrestris è un arbusto che si trova anche in regioni mediterranee o desertiche (India, Cina, Stati Uniti meridionali, Messico, Spagna e Bulgaria) [3,4].
Il genere Tribulus comprende circa 20 specie nel mondo e, tra queste, tre sono molto diffuse in India e cioè il Tribulus cistoides, il Tribulus terrestris e il Tribulus alatus [1]; di queste tre specie il Tribulus terrestris è molto impiegato nella medicina ayurvedica così come nella moderna erboristeria e fitoterapia [2]; cresce in tutta l’India fino a 3000 metri di altezza nel Kashmir, Ceylon e in tutte le regioni calde; è un’erba comune nei pascoli, ai lati delle strade ed in altri luoghi periferici, in habitat caldi, secchi e sabbiosi come nel Rajasthan occidentale e nel Gujarat [5].
La pianta viene usata come singolo agente terapeutico oppure come componente principale o secondario in molte formulazioni complesse in moderni integratori naturali e nei Taila ayurvedici.
1. Trease GE, Evans WC. Trease and Evans Pharmacognosy. 15th ed. Singapore: Harcourt Brace and Company Asia PvTribulus Ltd; 2002. A taxonomic approach to the study of medicinal plants and animal derived drugs; p. 27.
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3. Nadkarni KM. Mumbai: Popular Prakashan; 1927. Indian Materia Medica; pp. 1230–1.
4. Publications and Information Directorate. Vol. 9. New Delhi: CSIR; 1972. The wealth of India. Raw materials; p. 472.
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71.“Gokshura – Ayurveda Glossary”. Ayurveda Glossary. Retrieved 2017-07-17.
Nella medicina Siddha il Tribulus terrestris, in lingua Tamil, viene chiamato Nerunjil, yanai vanangi, thirikandam, siru nerunjil e la pianta intera è usata sotto forma di decotto per trattare infezioni del tratto urinario, l’urolitiasi, la dismenorrea, e l’edema.
In Ayurveda il Tribulus terrestris viene principalmente usato in forma di polvere delle parti aeree, in particolare i frutti, e come anticipato viene chiamato “gokshur” (o “gokshura”) che significa “zoccolo di mucca”; il nome “gokshura” in India tuttavia indica anche un’altra pianta di diversa specie cioè il Pedalium (Pedalium murex L.) che è simile al Tribulus terrestris ma appartenente ad altra famiglia, pertanto il nome preciso del Pedalium è ”bada gokshura” (“zoccolo di una grande mucca”), mentre il nome preciso del Tribulus è “chhota gokshura” (“zoccolo di una piccola mucca”). Le due erbe si trovano spesso mescolate in miscele di polveri [70].
In Ayurveda si ritiene che Gokshura contribuisca alla forza fisica, oltre che a quella sessuale, rigenerando tutti i tessuti, specialmente shukra dhatu (tessuto riproduttivo), ma non verrebbe considerato un’erba specifica di vajikarana (funzioni sessuali) [71].
Si ritiene che sia utile nelle malattie renali, per la vescica, per il tratto urinario ed in generale le problematiche uro-genitali ritenendo che agisca come un diuretico [72].
70. Kevalia J, Patel B (2011). “Identification of fruits of Tribulus terrestris Linn. and Pedalium murex Linn.: A pharmacognostical approach”. Ayu. 32 (4): 550–3.
71. “Gokshura – Ayurveda Glossary”. Ayurveda Glossary. Retrieved 2017-07-17.
72. “National R&D Facility for Rasayana products in Indian System of Medicines” (Drugs & Pharmaceuticals Research Programme)
Nella medicina Unani il Tribulus terrestris è chiamato in urdu Khar-e-Khasak Khurd e il Pedalium è chiamato Khar-e-Khasak Kalan; la loro somministrazione e le indicazioni sono essenzialmente simili a quelle dell’Ayurveda.
Nelle etnie di lingua Kashmiri il Tribulus è usato come diuretico; il tè viene somministrato per trattare le febbri di tutti i tipi. Nella medicina tradizionale cinese il Tribulus terrestris è conosciuto con il nome di ”bai ji li” ma il suo nome più preciso è “ci ji li”; la confusione nella denominazione verrebbe dalla notevole somiglianza del Tribulus terrestris con Astragali complanati Semen (sha yuan zi) il cui nome corretto è appunto “bai ji li” [73].
I frutti di Tribulus terrestris L. sono stati utilizzati nella medicina tradizionale cinese per il trattamento di problemi agli occhi, edema, distensione addominale, flatulenza, leucorrea, disfunzione sessuale e velatura degli occhi. Le radici e i frutti sono stati utilizzati per reumatismi, catarro, calcoli renali e vescicali, menorragia, impotenza, eiaculazione precoce, debolezza generale [61].
61. Akram, M., et al. ” Tribulus terrestris Linn.: a review article.” J Med Plants Res 5.16 (2011): 3601-3605.
73. Bensky and Clavey (2004). Materia medica (3rd ed.). pp. 975–976.
Botanicamente il Tribulus terrestris L. si presenta come un piccolo arbusto prostrato, di altezza tra i 10 e i 60 cm, irsuto o setoso e peloso. Le foglie sono opposte, spesso disuguali, paripennate; le pinne variano da cinque a otto paia, sono lanceolate ellittiche o oblunghe.
I fiori sono di colore giallo e i suoi frutti sono carpelli (foglie modificate con funzione riproduttiva), di caratteristica forma stellata, un po’ tondi, compressi, con fino a cinque punte. In ogni croco vi sono diversi semi contenenti una elevata componente oleosa. I frutti e le radici sono le parti principalmente utilizzate per gli scopi medicinali e sono aromaticamente odorosi; posseggono un sapore leggermente acre (astringente) e dolciastro [74].
Le diverse parti della pianta contengono una varietà di componenti chimici con attività medicamentosa come flavonoidi, flavonol glicosidi, saponine steroidee e alcaloidi [74].
Alla pianta vengono attribuite generali capacità diuretiche, afrodisiache, anti urolitiasiche, immunomodulatorie, antidiabetiche, ipolipemizzanti, cardiotoniche, favorenti la funzionalità del sistema nervoso centrale, epatoprotettive, antinfiammatorie, analgesiche, antispasmodiche, antitumorali, antibatteriche, antielmintiche, larvicide e anticariogeniche [74].
74. Chhatre S, Nesari T, Somani G, Kanchan D, Sathaye S. Phytopharmacological overview of Tribulus terrestris. Pharmacogn Rev. 2014 Jan;8(15):45-51. doi: 10.4103/0973-7847.125530. Review. PubMed PMID: 24600195; PubMed Central PMCID: PMC3931200.
Gokshur in Ayurveda
In Ayurveda Tribulus terrestris L. è come di seguito inquadrato:
Rasa: Madhura (dolce); Guna: Guru (pesante da digerire), Snigdha (untuoso); Veerya: Sheeta (rinfrescante); Vipaka: Madhura (dolce); Karma: Brumhana (nutriente), Vatanut (pacifica Vata-dosha), Vrusya (afrodisiaco), Ashmarihara (antilitiasico), Vastishodhana (cura i disturbi della vescica) [74].
74. Chhatre S, Nesari T, Somani G, Kanchan D, Sathaye S. Phytopharmacological overview of Tribulus terrestris. Pharmacogn Rev. 2014 Jan;8(15):45-51. doi: 10.4103/0973-7847.125530. Review. PubMed PMID: 24600195; PubMed Central PMCID: PMC3931200.
Gokshur nell’uso tradizionale
Il Tribulus terrestris è stato usato nelle medicine popolari come tonico, afrodisiaco, palliativo, astringente, stomachico, antiipertensivo, disinfettante diuretico, anti litiasico e pro urinario infatti i frutti essiccati della pianta risultano molto efficaci nella maggior parte dei disturbi del tratto genitourinario come confermato dal fatto che il Tribulus è un componente fondamentale di Gokshuradi Guggul, una potente medicina ayurvedica utilizzata per supportare il corretto funzionamento del tratto genitourinario e per rimuovere i calcoli urinari.
Sempre in Ayurveda il Tribulus terrestris è stato usato per secoli per curare l’impotenza, le malattie veneree e la debolezza sessuale. In Bulgaria ancora oggi la pianta è usata come medicina tradizionale per il trattamento dell’impotenza. Oltre a tutte queste applicazioni ayurvediche la Farmacopea Indiana attribuisce alla radice e ai frutti della pianta proprietà cardiotoniche.
Nella medicina tradizionale cinese i frutti sono stati utilizzati per il trattamento di problemi agli occhi, edema, distensione addominale, flatulenza, leucorrea e disfunzione sessuale infatti il Tribulus terrestris è descritto come un farmaco di grande valore nella farmacopea Shern-Nong (la più antica opera farmacologica conosciuta in Cina) per ripristinare l’affaticamento epatico, per la mastite, le disfunzioni ormonali del seno, la flatulenza, la congiuntivite acuta, il mal di testa e la vitiligine. Nella medicina Unani il Tribulis terrestris è usato come diuretico, blando lassativo e tonico generale [19].
19. Khare CP. Berlin, Heidelberg: Springer Verlag; 2007. Indian medicinal plants: An illustrated dictionary; pp. 669–71.
Attività diuretica
Le proprietà diuretiche del Tribulus terrestris sono dovute alle grandi quantità di nitrati e di olio essenziale presenti nei suoi frutti e nei semi oltre che alla presenza di sali di potassio in alta concentrazione. Ali et al. hanno dimostrato che un estratto acquoso di Tribulus terrestris preparato dal suo frutto e dalle foglie, nel ratto, ha indotto una diuresi positiva, che era leggermente superiore a quella della furosemide con aumento delle concentrazioni di sodio e cloruri nell’urina.
Nello studio è stato inoltre osservato che l’estratto testato aveva indotto una maggiore tonicità dei muscoli lisci che insieme alla sua attività diuretica ha contribuito alla propulsione di calcoli lungo il tratto urinario [20].
Saurabh et al. hanno valutato diversi estratti (acquosi o alcolici) di frutti di Tribulus terrestris; gli estratti si distinguevano per concentrazioni estrattive basse oppure elevate; nel ratto gli estratti a concentrazioni elevate hanno dimostrato un effetto diuretico paragonabile a quello della furosemide usata come farmaco di confronto con un miglior effetto nel modulare i livelli di potassio [21].
L’azione diuretica del Tribulus terrestris lo rende utile come agente antipertensivo.
20. Al-Ali M, Wahbi S, Twaij H, Al-Badr A. Tribulus terrestris: Preliminary study of its diuretic and contractile effects and comparison with Zea mays. J Ethnopharmacol. 2003;85:257–60. [PubMed: 12639749]
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Attività afrodisiaca
Adaikan et al. hanno concluso che un estratto di Tribulus terrestris somministrato per via orale, in otto settimane, esibiva un effetto pro-erettile sul corpo cavernoso del coniglio agendo sulla muscolatura liscia; lo studio ha stabilito che l’effetto rilassante derivava dell’aumento del rilascio di ossido nitrico dalle terminazioni nervose dell’endotelio confermando i razionali dell’uso della pianta come afrodisiaco [22].
Singh et al. hanno invece valutato la somministrazione di dosi acute e croniche di un estratto acquoso liofilizzato dei frutti essiccati di Tribulus terrestris (LAET) come potenziatore sessuale nella gestione della disfunzione sessuale nel ratto maschio; lo studio ha concluso che l’estratto in questione (LAET) ha determinato un miglioramento dose dipendente del comportamento sessuale; il miglioramento è risultato maggiore per la somministrazione cronica dell’estratto che ha determinato anche un aumento significativo dei livelli di testosterone sierico. Questi risultati confermano l’uso tradizionale di Tribulus terrestris come potenziatore sessuale nella gestione della disfunzione sessuale nei maschi [23].
L’estratto etanolico di Tribulus terrestris ha mostrato un effetto protettivo contro il danno testicolare indotto dal cadmio e questo effetto protettivo sembra essere mediato direttamente dall’inibizione della perossidazione del tessuto testicolare attraverso attività antiossidante e chelante del metallo o attraverso l’incremento della produzione di testosterone da parte dalle cellule di Leydig [24].
Il trattamento con estratto di Tribulus terrestris in una colonia di pesci si è dimostrato efficace nell’aumentare la percentuale di maschi nella popolazione, inoltre è stato osservato che nei testicoli di pesci trattati con estratto di Tribulus terrestris, si ha avuto un miglioramento di tutte le fasi della spermatogenesi [25].
La protodioscina e la protogracillina, che sono le due componenti principali della frazione di saponine nel Tribulus terrestris, sono ritenute le principali responsabili dell’attività biologica afrodisiaca [26]; in particolare risulterebbe che la protodioscina agirebbe aumentando la conversione del testosterone nel potente deidrotestosterone, che stimola non solo l’aumento del desiderio sessuale, ma anche la produzione di globuli rossi dal midollo osseo stimolando lo sviluppo muscolare, contribuendo al miglioramento della circolazione sanguigna e dei sistemi di trasporto dell’ossigeno, che nell’insieme mantengono un ottimale stato di salute.
22. Adaikan PG, Gauthaman K, Prasad RN. Proerectile pharmacological effects of Tribulus terrestris extract on the rabbit corpus cavernosum. Ann Acad Med. 2000;29:22–6. [PubMed: 10748960]
23. Singh S, Nair V, Gupta YK. Evaluation of the aphrodisiac activity of Tribulus terrestris Linn. in sexually sluggish male albino rats, J Pharmacol Pharmacother. 2012;3:43–7. [PMCID: PMC3284036] [PubMed: 22368416]
24. Rajendar B, Bharavi K, Rao GS, Kishore PV, Kumar PR, Kumar CS, et al. Protective effect of an aphrodisiac herb Tribulus terrestris Linn on cadmium-induced testicular damage. Indian J Pharmacol. 2011;43:568–73. [PMCID: PMC3195129] [PubMed: 22022002]
25. Kavitha P, Ramesh R, Subramanian P. Histopathological changes in Poecilia latipinna male gonad due to Tribulus terrestris administration. In Vitro Cell Dev Biol Anim. 2012;48:306–12. [PubMed: 22580910]
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Attività anti urolitiasica
Anand et al. hanno testato un estratto etanolico ottenuto da frutti di Tribulus terrestris in un modello di urolitiasi indotta con impianto di perle di vetro in ratti albini; lo studio ha dimostrato che l’estratto di Tribulus terrestris ha esercitato una significativa protezione dose-dipendente nei confronti della deposizione di materiale calculogenico sulle perle di vetro e ha determinato un aumento dei livelli di urea sierica [27].
In altri modelli di studio Tribulus terrestris ha dimostrato di migliorare, in modo dose-dipendente, diversi parametri biochimici nelle urine, nel siero, e l’istopatologia della vescica urinaria; in particolare è stata isolata nella pianta una particolare proteina anti litiasica e citoprotettiva [28]; nello stesso studio condotto da Aggarwal è stato dimostrato che Tribulus terrestris riduce la nucleazione e la crescita dei cristalli di ossalato di calcio e riduce la lesione cellulare indotta da ossalato sulle cellule epiteliali renali NRK 52E dimostrando che l’estratto di Tribulus terrestris possiede potenziale di inibizione della nucleazione e della crescita dei cristalli di ossalato di calcio ed anche un effetto citoprotettivo [28].
Il Tribulus terrestris dimostra generalmente di inibire la formazione di calcoli in vari modelli di urolitiasi indotta utilizzando glicolato di sodio e glicole etilenico [29].
La glicolato ossidasi (GOX) è uno dei principali enzimi coinvolti nel percorso della sintesi di ossalato; l’attività anti urolitiasica di Tribulus terrestris è attribuita alla sua capacità di inibizione delle GOX; in particolare la quercetina e il kemferolo, due componenti attivi del Tribulus terrestris, sono risultati essere inibitori delle GOX [30].
26. Adaikan PG, Gauthaman K, Prasad RN. History of herbal medicines with an insight on the pharmacological properties of Tribulus terrestris. Aging Male. 2001;4:163–9.
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28. Aggarwal A, Tandon S, Singla SK, Tandon C. A novel antilithiatic protein from Tribulus terrestris having cytoprotective potency. Protein Pept LetTribulus 2012;19:812–9. [PubMed: 22702898]
29. Sangeeta D, Sidhu H, Thind SK, Nath R. Effect of Tribulus terrestris on oxalate metabolism in rats. J Ethnopharmacol. 1994;44:61–6. [PubMed: 7853865]
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Attività immunomodulatoria
Le saponine isolate dai frutti di Tribulus terrestris hanno dimostrato di incrementare in modo dose-dipendente la fagocitosi, indicando una stimolazione della risposta immunitaria non specifica; un estratto alcolico della pianta intera di Tribulus terrestris ha dimostrato un aumento significativo dose dipendente del titolo anticorpale umorale suggerendo un aumento anche della risposta immunitaria specifica [31].
Attività antidiabetica
Alle saponine di Tribulus terrestris vengono attribuite proprietà ipoglicemizzanti [32].
In alcuni studi è stato dimostrato che il Tribulus terrestris è stato in grado di ridurre significativamente i livello sierici di glucosio, di trigliceridi e di colesterolo, e di incrementare l’attività delle superossido dismutasi (SOD) in un modello di diabete indotto con alloxan nel ratto; in particolare il decotto della pianta ha dimostrato la capacità di inibire la gluconeogenesi nei topi [33,34]; l’estratto etanolico di Tribulus terrestris ha prodotto un effetto protettivo in ratti resi diabetici con streptozotocina inibendo lo stress ossidativo [35].
Le saponine del Tribulus terrestris nel ratto hanno dimostrato di indurre una diminuzione significativa dei livelli glicemici postprandiali; il Tribulus terrestris dimostra di indurre dilatazione dell’arteria coronaria e un miglioramento della circolazione coronarica; per questi motivi in Ayurveda è raccomandato per il trattamento dell’angina pectoris e di altre complicanze cardiache correlate con il diabete; il Tribulus terrestris quindi potrebbe essere utile nel trattamento del diabete poiché riduce la glicemia, i livelli dei lipidi ed anche per il suo meccanismo antiossidante.
31. Tilwari A, Shukla NP, Devi U. Effect of five medicinal plants used in Indian system of medicines on immune function in Wistar rats. Afr J Biotechnol. 2011;10:16637–45.
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Enhancer di assorbimento
L’estratto etanolico di Tribulus terrestris dimostra interesse biofarmaceutico poiché migliora l’assorbimento della metformina cloridrato [36].
Attività ipolipidemica
L’estratto acquoso dei frutti di Tribulus terrestris dimostra attività ipolipidemica nei ratti albini, nei quali è stata osservata una riduzione dell’iperlipidemia, con una diminuzione di colesterolo, trigliceridi, lipoproteine a bassa densità (LDL), lipoproteine a densità molto bassa (VLDL), e indice aterogenico (AI) con un parallelo aumento dei livelli di lipoproteina ad alta densità (HDL) nel sangue; l’attività ipolipidemica può essere dovuta alla presenza di composti fenolici che portano ad un aumento delle lipasi delle lipoproteine anche nei muscoli [37].
In uno studio su conigli neozelandesi alimentati con una dieta ricca di colesterolo, l’aggiunta di un estratto di Tribulus terrestris ha determinato un effetto pleiotropico sull’endotelio dell’aorta addominale modificando il profilo lipidico e vascolare con riduzione del profilo lipidico sierico e del danno cellulare alla superficie endoteliale; nello studio è stato inoltre osservato che l’estratto in questione era stato in grado di riparare parzialmente il danno endoteliale derivante dall’iperlipidemia [38].
Nel ratto le saponine del Tribulus terrestris, in un modello di iperlipidemia indotta con la dieta, hanno dimostrato effetti preventivi e terapeutici attraverso la diminuzione dei livelli di colesterolo totale sierico (TC) e colesterolo LDL; analogamente è stata osservata una riduzione del colesterolo totale e dei trigliceridi anche nel fegato con un aumento dell’attività delle SOD epatiche [39].
36. Ayyanna, Ayyanna C. “C, Chandra Mohan Rao. G, Sasikala. M, Somasekhar. P. Absorption Enhancement Studies of Metformin Hydrochloride by Using Tribulus terrestris Plant Extract.” Int J Pharm Technol 4 (2012): 4118-25.
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Attività nei disturbi cardiaci
Il Tribulus terrestris ha mostrato un effetto significativo nel trattamento di varie malattie cardiache inclusa la malattia coronarica, l’infarto miocardico, l’arteriosclerosi cerebrale e le sequele di trombosi cerebrali.
Zhang et al. hanno studiato nel ratto l’effetto protettivo della tribulosina contenuta nel Tribulus terrestris contro l’ischemia cardiaca e il danno da riperfusione dimostrando che la Tribulosina ha protetto il miocardio dall’ischemia e dal danno da riperfusione attraverso l’attivazione della proteina chinasi C. Il trattamento con la tribulosina ha comportato una significativa riduzione di numerosi enzimi coinvolti nel danno cardio vascolare riducendo il tasso di apoptosi miocardica incrementando l’attività delle SOD [40].
La frazione delle saponine totali della pianta si è dimostrata significativamente attiva nel trattamento di varie malattie cardiache tra cui l’ipertensione, la malattia coronarica, l’infarto miocardico, l’arteriosclerosi cerebrale e la trombosi; in particolare l’estratto acquoso dei frutti del Tribulus terrestris dimostra effetti inibitori significativi dell’acetilcolinesterasi (ACE) in vitro; nel ratto gli estratti acquosi e quelli metanolici, somministrati per via intra arteriosa, dimostrano di possedere un’attività antipertensiva significativa attraverso rilassamento muscolare e iper polarizzazione della membrana [41]; il Tribulus terrestris sembra proteggere le cellule del cuore e anche migliorare la funzione cardiaca a seguito di un attacco di cuore [42].
40. Zhang S, Li H, Yang SJ. Tribulosin protects rat hearts from ischemia/reperfusion injury. Acta Pharmacol Sin. 2010;31:671–8. [PMCID: PMC4002968] [PubMed: 20453871]
41. Phillips OA, Mathew KT, Oriowo MA. Antihypertensive and vasodilator effects of methanolic and aqueous extracts of Tribulus terrestris in rats. J Ethnopharmacol. 2006;104:351–5. [PubMed: 16289603]
42. Zhang S, Li H, Xu H, Yang SJ. Effect of gross saponins of Tribulus terrestris on cardiocytes impaired by adriamycin. Yao Xue Xue Bao. 2010;45:31–6. [PubMed: 21351446]
Attività sul sistema nervoso centrale (SNC)
In topi albini svizzeri la somministrazione di Rasayana Ghana (Tinospora cordifolia, Emblica officinalis e Tribulus terrestris in parti uguali) ha dimostrato attività antidepressiva e ansiolitica; sembrerebbe che l’armina, un alcaloide presente nel Tribulus terrestris, sarebbe uno dei principali componenti attivi che contribuiscono alle attività sopra menzionate; l’armina è un inibitore della monoammina ossidasi, che aiuta ad aumentare il livello di dopamina nel cervello [43].
Attività epatoprotettiva
Un estratto di Tribulus terrestris ha dimostrato nei pesci (Oreochromis mossambicus) una notevole attività epatoprotettiva contro l’epatotossicità indotta con acetaminofene ed ha normalizzato i parametri biochimici in un modello di tossicità indotta con paracetamolo in pesci d’acqua dolce [44].
Attività antiinfiammatoria
L’estratto etanolico di Tribulus terrestris ha inibito l’espressione della cicloossigenasi-2 (COX-2) e la sintetasi inducibile dell’ossido nitrico (iNOS) in macrofagi di ratto stimolati con lipopolisaccaridi; analogamente è stata osservata una soppressione dell’espressione di citochine pro infiammatorie come il fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-α) e l’interleuchina (IL) -4. Pertanto l’estratto etanolico di Tribulus terrestris inibisce l’espressione dei mediatori correlati all’ infiammazione e all’espressione di citochine infiammatorie, risultando utile in varie condizioni infiammatorie [45].
L’estratto metanolico di Tribulus terrestris mostra una inibizione dose-dipendente dell’infiammazione indotta da carragenina nella zampa di ratto [46].
43. Deole YS, Chavan SS, Ashok BK, Ravishankar B, Thakar AB, Chandola HM. Evaluation of antidepressant and anxiolytic activity of Rasayana Ghana tablet (a Compound Ayurvedic formulation) in albino mice. Ayu. 2011;32:375–9. [PMCID: PMC3326886] [PubMed: 22529654]
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46. Baburao B, Rajyalakshmi G, Venkatesham A, Kiran G, Shyamsunder A, Gangarao B. Antiinflammatory
Attività analgesica
L’estratto di Tribulus terrestris nel ratto produce effetto analgesico che può essere mediato centralmente e/o perifericamente; l’effetto dell’estratto si dimostra inferiore a morfina e superiore all’acido acetilsalicilico (aspirina); il pretrattamento degli animali con antagonisti dei recettori oppioidi (naloxone), non ha modificato l’effetto analgesico dell’estratto pertanto è escluso il coinvolgimento dei recettori oppioidi nell’effetto analgesico del Tribulus terrestris anche se gli altri meccanismi responsabili dell’effetto analgesico della pianta rimangono da indagare.
I risultati degli studi ulcerogeni, nello stomaco del ratto, indicano che l’ulcerogenicità gastrica del Tribulus terrestris è inferiore all’indometacina [47].
Attività antispasmodica
La miscela di saponine liofilizzate della pianta ha mostrato una significativa diminuzione dei movimenti peristaltici nel digiuno del coniglio in modo dose-dipendente; questi risultati suggeriscono che la miscela di saponina può essere utile per gli spasmi dei muscoli lisci o per i dolori colici [48].
Attività antitumorale
Nei topi albini gli estratti acquosi della radice e dei frutti del Tribulus terrestris dimostrano un potenziale chemiopreventivo sulla papillomagenesi indotta con olio di Croton tiglium, con una significativa riduzione, rispetto ai gruppi non trattati, dell’incidenza del tumore, del carico tumorale e del numero cumulativo di papillomi; i ratti pretrattai con gli estratti di Tribulus terrestris mostravano anche un aumento significativo del periodo medio di latenza prima che si verificasse la papillomagenesi [49].
L’estratto acquoso di Tribulus terrestris si dimostra in grado di bloccare la proliferazione nelle cellule HepG2 (cellule cancerogene epatiche umane) e di indurne l’apoptosi, pertanto la pianta potrebbe avere effetti terapeutici clinici nel cancro del fegato [50]; l’estratto di acquoso di radice acquosa di Tribulus terrestris dimostra una significativa capacità radioprotettiva quando somministrato per via orale (800 mg / kg) per sette giorni consecutivi prima dell’irradiazione gamma pertanto il pretrattamento con l’estratto di Tribulus terrestris dimostra capacità protettive nel fegato dei topi contro i danni da radiazioni per esaurimento del glutatione indotto dalle radiazioni e riduzione del livello di lipoperossidazione [51].
47. Heidari MR, Mehrabani M, Pardakhty A, Khazaeli P, Zahedi MJ, Yakhchali M, et al. The analgesic effect of Tribulus terrestris extract and comparison of gastric ulcerogenicity of the extract with indomethacine in animal experiments. Ann N Y Acad Sci. 2007;1095:418–27. [PubMed: 17404054]
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Attività antibatterica
Tutte le parti di Tribulus terrestris (frutti, steli, foglie e radici) di origine turca e iraniana hanno mostrato attività antibatterica contro Enterococcus faecalis, Staphylococcus aureus, Escherichia coli e Pseudomonas aeruginosa, al contrario delle parti aeree del Tribulus dello Yemen che non avevano attività antibatterica rilevabile contro questi batteri mentre i frutti e le foglie del Tribulus terrestris indiano risultano molto attivi contro E. coli e S. aureus. Queste diverse attività antibatteriche del Tribulus terrestris possono essere dovute alle diverse aree geografiche di provenienza della pianta, o ai diversi tipi di ceppi batterici, o a diverse metodiche di analisi.
L’estratto metanolico dei frutti del Tribulus terrestris è risultato più attivo contro i batteri gram-positivi e gram-negativi, mentre questo effetto è risultato moderato per gli estratti in etere di petrolio e in cloroformio [53,54].
Attività antielmintica
L’estratto metanolico di Tribulus terrestris è risultato efficace per attività antielmintica in vitro sul nematode Caenorhabditis elegans e questi effetti bioattivi dipenderebbero principalmente dalla tribulosina e dal p-sitosterolo-d-glucoside [55,56].
Attività larvicida
L’estratto in etere di petrolio delle foglie di Tribulus terrestris mostra attività larvicida contro il terzo stadio larvale e quello adulto della zanzara Aedes aegypti che è il vettore della febbre Dengue [57,58].
Attività anticariogena
L’estratto etanolico di frutti di Tribulus terrestris possiede una notevole attività anti cariogena contro Streptococcus mutans, l’agente patogeno responsabile della carie dentale. La crescita, la produzione di acido, l’adesione, e la sintesi di glucano insolubile in acqua di S. mutans vengono significativamente inibiti in presenza di estratto etanolico di Tribulus terrestris [59].
53. Al-Bayati FA, Al-Mola HF. Antibacterial and antifungal activities of different parts of Tribulus terrestris L. growing in Iraq. J Zhejiang Univ Sci B. 2008;9:154–9. [PMCID: PMC2225498] [PubMed: 18257138]
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59. Oh HK, Park SJ, Moon HD, Jun SH, Choi NY, You YO. Tribulus terrestris inhibits caries-inducing properties of Streptococcus mutans. J Med Plants Res. 2011;5:6061–6.
Tribulus terrestris è una pianta medicinale comunemente disponibile con un suo valore significativo confermato per secoli nei principali sistemi di medicina tradizionale come quello ayurvedico, cinese, Siddha e Unani e per questi motivi risulta utile in un certo numero di malattie.
Le conoscenze su Tribulus terrestris sono esaustive sia nella fitochimica sia nella farmacologia e confermano l’attività dell’officinale come diuretico, afrodisiaco, antiurolitico, immunomodulatore, antiipertensivo, antiiperlipidemico, antidiabetico, epatoprotettivo, antitumorale, antielmintico, antibatterico, analgesico e antinfiammatorio. Considerata la letteratura scientifica disponibile Tribulus terrestris potrebbe in particolar modo avere un potenziale come fitoterapico per il controllo efficace della pressione arteriosa grazie alla sua attività diuretica, all’attività anti iperlipidemica e cardioprotettiva.
Ulteriori studi a livello clinico e molecolare saranno utili per comprenderne ulteriormente i meccanismi terapeutici anche per la produzione di nuovi farmaci avvalorando l’uso del Tribulus terrestris come farmaco o integratore alimentare in varie condizioni di malattia.
A cura della direzione scientifica di Benefica
Pharmacogn Rev. 2014 Jan;8(15):45-51. doi: 10.4103/0973-7847.125530.
PHYTOPHARMACOLOGICAL OVERVIEW OF TRIBULUS TERRESTRIS.
Chhatre S(1), Nesari T(1), Somani G(2), Kanchan D(2), Sathaye S(2).
Author information:
1 Department of Dravyaguana, Centre for Post Graduate Studies and Research in Ayurveda, Tilak Ayurveda Mahavidyalaya, Pune, India.
2 Department of Pharmaceutical Sciences and Technology, Pharmacology Research Lab-II, Institute of Chemical Technology, (University under Section 3 of UGC Act-1956, Elite Status and Centre of Excellence – Government of Maharashtra, TEQIP Phase II Funded), Mumbai, Maharashtra, India.
ABSTRACT
Tribulus terrestris (family Zygophyllaceae), commonly known as Gokshur or Gokharu or puncture vine, has been used for a long time in both the Indian and Chinese systems of medicine for treatment of various kinds of diseases.
Its various parts contain a variety of chemical constituents which are medicinally important, such as flavonoids, flavonol glycosides, steroidal saponins, and alkaloids.
It has diuretic, aphrodisiac, antiurolithic, immunomodulatory, antidiabetic, absorption enhancing, hypolipidemic, cardiotonic, central nervous system, hepatoprotective, anti-inflammatory, analgesic, antispasmodic, anticancer, antibacterial, anthelmintic, larvicidal, and anticariogenic activities.
For the last few decades or so, extensive research work has been done to prove its biological activities and the pharmacology of its extracts.
The aim of this review is to create a database for further investigations of the discovered phytochemical and pharmacological properties of this plant to promote research.
This will help in confirmation of its traditional use along with its value-added utility, eventually leading to higher revenues from the planTribulus
DOI: 10.4103/0973-7847.125530
PMCID: PMC3931200
PMID: 24600195
Newsletter Fitoterapia nr. 46 – Giugno 2019
Gli Oli essenziali, un potenziale alleato contro l’antibiotico resistenza
Journal of Infectious Diseases & Preventive Medicine (2013) 1.2.
Essential Oils and Future Antibiotics: New Weapons against Emerging ‘Superbugs’?
Nicholas A Boire, Stefan Riedel and Nicole M Parrish.
L’impiego degli oli essenziali per scopi medicamentosi risale a tempi antichissimi e, con alternanza di periodi di maggiore o minore uso, si è mantenuto nei secoli tornando di grande attualità negli ultimi anni grazie alle medicine complementari (CAM) e ricorrono nella formulazione di moderni integratori alimentari.
Nella classica “aromaterapia” gli oli essenziali vengono impiegati come tali (cioè nella loro forma liquida più o meno diluita in solventi anche alimentari) e somministrati prevalentemente per via inalatoria, topica od orale; l’uso degli oli essenziali in forma liquida più o meno diluita è attualmente raccomandata e ritenuta sicura per l’uso topico o inalatorio mentre molta cautela deve essere impiegata nella somministrazione di oli essenziali in forma pura o diluita per via orale, per evitare possibili effetti collaterali ad esempio di tipo irritativo.
Di tutt’altra natura risulta invece l’impiego di alcuni oli essenziali in moderni integratori naturali per uso orale nei quali non sono presenti nello loro forma liquida originale ma come “fonte” di sostanze naturali utili alla salute, presenti in alcune piante medicinali, e che si trovano particolarmente concentrate nella forma estrattiva olio essenziale; nei prodotti naturali di stampo farmaceutico infatti gli oli essenziali vengono inseriti attraverso particolari tecniche farmaceutiche (es. spray driyng) sulle diverse matrici che poi costituiranno ad esempio capsule o compresse; queste tecniche farmaceutiche offrono generali vantaggi di omogeneità di distribuzione delle fonti degli attivi nelle varie forme farmaceutiche ed evitano che gli oli essenziali, in forma liquida concentrata, entrino direttamente in contatto con le mucose, in forma e quantità potenzialmente nocive; queste metodiche rendono generalmente questi prodotti contenenti una “fonte” di oli essenziali sicure e ben tollerate anche per via orale.
L’impiego degli oli essenziali come fonte di fitonutrienti nei moderni integratori naturali viene oggi sfruttato per le diverse capacità degli oli essenziali di agire in contrasto a diversi disturbi, tuttavia ne prevale in generale l’uso nelle problematiche gastrointestinali (come antifermentativi, carminativi, procinetici, etc.) oppure in problematiche di natura infettiva nelle quali gli oli essenziali sono noti per gli effetti antivirali e significativamente antibatterici/antifungini come preventivi e coadiuvanti di trattamento, ad esempio nelle infezioni delle vie urinarie e delle vie respiratorie (Tea tree, Ravensara, Uva ursi, etc.).
L’utilità degli oli essenziali come antibatterici naturali sta assumendo in questi ultimi anni un ruolo importante alla luce del crescente problema delle antibiotico resistenze che necessariamente deve passare attraverso la limitazione dell’uso degli antibiotici se non nei casi strettamente necessari; gli oli essenziali possono infatti diventare utili alleati nelle forme di prevenzione o coadiuvando l’uso degli antibiotici potenziandone l’effetto; alla luce delle nuove evidenze alcuni oli essenziali si dimostrano potenzialmente in grado di indurre minimi meccanismi di antibiotico resistenza.
Un ulteriore vantaggio degli oli essenziali è rappresentato da un generale buon corredo di “evidence” e, soprattutto per gli effetti antibatterici, antimicotici ed antivirali, sono disponibili numerosi studi scientifici che ne determinano la potenza stabilendo le M.I.C. per un’ampia varietà di microorganismi. Agli oli essenziali viene riconosciuta un elevata capacità antisettica ed il loro effetto antibatterico risulta di ampio spettro su batteri aerobi ed anaerobi; alcuni oli essenziali, come quello di Tea tree, dimostrano anche potenti effetti antifungini (candida).
L’attualità degli oli essenziali contro l’antibiotico resistenza
In tempi recentissimi (2017-2018) si sono terminate le sperimentazioni cliniche del primo farmaco, messo a punto nel 2014, che sfrutta i potenziali degli oli essenziali nel combattere l’antibiotico resistenza. Il docente di Biologia marocchino, Adnane Remmal, che è stato inserito fra i finalisti dello European Inventor Award 2017, ha sviluppato infatti un farmaco che per combattere le infezioni batteriche, unisce le proprietà medicamentose naturali delle piante con la provata efficacia degli antibiotici. In termini generici il farmaco potrebbe essere ritenuto un “antibiotico rinforzato”.
Il farmaco ottenuto attraverso l’associazione di oli essenziali e farmaci antibiotici, si è dimostrato più efficace di una terapia a base di soli oli essenziali naturali o di soli antibiotici. Protetto da un brevetto ottenuto dallo European Patent Office nel 2014, Remmal ha usato un mix di oli essenziali e antibiotici per sviluppare un farmaco di cui è imminente l’immissione in commercio.
Secondo Benoît Battistelli, presidente dello European Patent Office, «L’invenzione di Remmal potrebbe salvare delle vite umane e offrire una nuova arma nella lotta alla minaccia emergente costituita dai microbi resistenti agli antibiotici», «Utilizzando le proprietà delle piante locali, Remmal ha mostrato che gli antibiotici e gli oli essenziali naturali possono avere un effetto maggiore se combinati insieme. Con il suo lavoro collabora allo sviluppo farmaceutico in Marocco».
L’importanza e l’innovazione delle ricerche di Remmal risiede nel fatto che sapendo che le piante usano gli oli essenziali per combattere i batteri, Remmal ha cercato di capire esattamente come avviene questo processo.
La consapevolezza di Remmal che il poter trattare potenzialmente le infezioni con i soli oli essenziali ne comporterebbe un uso in elevate quantità a dosaggi elevati con il rischio di effetti collaterali, lo ha portato a sfruttare i comunque elevati effetti degli oli essenziali in associazione con i farmaci antibiotici. aprendo pertanto la strada all’impiego anche integrativo di prodotti a base di oli essenziali per limitare l’uso di antibiotici solo in caso di stretta indicazione terapeutica; l’associazione delle sostanze naturali con gli antibiotici dimostra un’efficacia superiore a quella che gli uni e gli altri singolarmente avrebbero avuto.
Il pensiero di Remmal fonda sulla conoscenza che gli antibiotici in generale sfruttano i punti deboli dei batteri distruggendo le pareti delle loro cellule, impedendo loro di riparare il DNA danneggiato o di riprodursi. Remmal paragona i batteri a una porta chiusa a chiave: «Quando la chiave apre la porta il batterio muore; ma se una mutazione cambia anche leggermente la forma della serratura, la chiave non riesce più ad aprire la porta. Ecco che il batterio diviene resistente all’antibiotico». Rafforzando l’antibiotico con gli oli naturali, Remmal non solo apre la serratura ma distrugge completamente la porta.
La chiave speciale combina le proprietà antimicrobiche di alcune piante con gli attuali antibiotici come le penicilline, le cefalosporine e i ceppi di Stafilococco meticillino resistenti (MRSA) usati per le infezioni più difficili da trattare. L’interazione crea complessi molecolari che non sono facilmente riconosciuti dai meccanismi responsabili dell’antibiotico resistenza. Questo crea una terapia efficace per le infezioni e rende molto difficile, e forse impossibile, sviluppare un’effettiva resistenza.
Tra i brevetti europei di Remmal vi sono anche quelli di un fungicida ed una formula per trattare i parassiti, soprattutto il plasmodium falciparum che causa la malaria.
Gli utilizzi del brevetto di Remmal non si fermano al solo uso farmaceutico ma anche come additivo da inserire nell’alimentazione animale che permette di sostituire completamente gli antibiotici; come noto una delle radici dell’antibiotico resistenza negli esseri umani è l’uso eccessivo di antibiotici nell’allevamento degli animali.
Nel 2016 uno studio della Banca Mondiale ha stimato dai 300 milioni al miliardo di dollari (da 283 a 984 milioni di euro) l’impatto dei batteri antibiotico resistenti sulla spesa sanitaria mondiale nel 2050. Sviluppare un nuovo antibiotico sintetico potrebbe costare da mezzo miliardo a un miliardo di dollari e i nuovi farmaci possono portare nuove forme di resistenza, avere effetti secondari imprevisti o manifestare tossicità con il rischio di non ottenere i ritorni sperati dal tempo e dalle risorse investite. Gli antibiotici rafforzati di Remmal usano molecole naturali che sono già state testate e approvate nell’industria farmaceutica. I nuovi farmaci risultano così poco costosi da produrre e possono essere commercializzati a prezzi accessibili. [www.siroe.it/servizi/163 oli essenziali per rafforzare gli antibiotici.html]
L’articolo
L’articolo proposto nella newsletter, firmato da due ricercatori del Maryland, è stato pubblicato nel 2013 su Journal of Infectious Diseases & Preventive Medicine e spiega, in una completa review, i razionali dell’utilità degli oli essenziali nel contrastare il fenomeno dell’antibiotico resistenza.
Cenni storici sull’uso degli oli essenziali
Per migliaia di anni, gli oli essenziali (aromatici) sono stati usati per curare un ampia varietà di malattie tra le quali numerose sono correlate alla presenza batterica come la bronchite, la polmonite, faringite, diarrea, malattia parodontale.
La conoscenza dell’uso tradizionale di gran parte di questi oli è sepolta nell’antichità, ed è stata tramandata oralmente da maestro a studente e la conoscenza dell’origine dei trattamenti specifici si è persa nel corso dei secoli.
Nell’antichità, gli oli medicinali erano ottenuti da piante aromatiche e resine mediante estrazione in altre sostanze grasse (oleose) come l’olio d’oliva ed in generale erano rappresentati da una miscela della componente estrattiva e di quella estraente (spesso lunghe macerazioni). Dopo un periodo di abbandono degli oli essenziali nel medioevo, si deve al periodo rinascimentale ed in particolare al medico e filosofo persiano Avicenna il progresso nelle tecniche della distillazione, grazie all’invenzione della serpentina: un tubicino che permette ai vapori aromatici di raffreddarsi rapidamente passando dallo stato gassoso a liquido. Prima di questa invenzione il vapore veniva raffreddato mediante delle spugne umide, il che faceva perdere una grande quantità di liquido. Questa importante invenzione è alla base delle metodiche che ancora oggi vengono impiegate [67].
I primi usi, tramandati in forma scritta, di oli aromatici, risale al 4500 a.C. nell’antico Egitto. Gli antichi egizi riconoscevano che gli oli potevano essere usati per uso medicamentosi nel trattamento di malattie, di natura infettiva ed infiammatoria. Nell’antico Egitto questi oli erano ritenuti così preziosi, che il re Tutankhamon fu sepolto con circa 350 litri di oli aromatici tra cui quello del legno di cedro, di incenso e di mirra. Gli antichi egizi chiamavano la mirra “le lacrime di Horus” (oppure Horo, nella mitologia egizia, dio del cielo, della luce e della bontà) [3].
La Mirra è uno degli oli aromatici più antichi e conosciuti e nell’antichità abbondano i riferimenti al suo uso. Gli antichi ebrei chiamavano la mirra “olio santo” e la ritenevano più preziosa dell’oro. La mirra è ottenuta dalla resina di un arbusto legnoso del genere Commiphora, che cresce in climi caldi e aridi. Gli antichi Sumeri impiegavano la mirra per il trattamento delle infezioni parassitarie e la malattia parodontale. Il medico greco Dioscoride usò la mirra per le infezioni bronchiali e di altra natura incluse le infezioni della pelle [4]. Nell’antichità la mirra era spesso combinata con l’incenso e l’olio essenziale veniva usato in generale per trattare le malattie infettive e l’infiammazione. Come la mirra, l’incenso appartiene alla famiglia di piante resinose (Burseraceae) che crescono comunemente in regioni aride del Medio Oriente e dell’Africa nord orientale [5,6]. Come noto l’uso di incenso e mirra è menzionato numerose volte in testi antichi, compresi quelli biblici [7].
In generale questi oli, da soli o in combinazione, sono stati ampiamente utilizzati per il trattamento (disinfezione e cicatrizzazione) di ferite, infiammazioni, cistite, malattie reumatiche ed articolari, piaghe della pelle, sanguinamento, infezioni fungine, ustioni, faringite, sifilide e lebbra [8,9].
In altre culture mediche, in tutto il mondo, ma in particolare nelle Americhe, in Australia e nel lontano Oriente, ricorre l’uso di oli aromatici e di altri prodotti di origine vegetale, ed in particolare nelle tradizioni Ayurvedica, Unani e Cinese. La tradizione ayurvedica include anche un ampio uso della canfora (Cinnamomum camphora) e del cardamomo (Elettaria cardamomo). L’uso medicamentoso di questi oli è ancora tutt’oggi diffuso dal nord al sud di America e Australia [4].
In Cina l’uso della medicina erboristica risale al 3000 a.C., ed in particolare all’epoca del mitologico e leggendario sovrano Shen Nong Shi (o Shennong) che insegnò agli umani l’uso delle piante medicinali. Il suo lavoro cumulativo, “Shennong Bencao Jing”, è considerato una dei primi trattati medici in Cina [10].
Intorno al 500 dopo Cristo l’uso degli oli aromatici era ampiamente diffuso in gran parte dell’Asia Minore, e del Mediterraneo, diffondendosi insieme all’impero romano e in seguito negli imperi persiani [11].
Gli oli aromatici più comunemente usati erano quelli derivati dal timo (ritenuto uno dei più potenti come confermato in seguito), dai chiodi di garofano, dal rosmarino, dalla lavanda e dalla cannella.
Oggi, il termine “oli essenziali” è usato per descrivere le miscele oleose, derivate da piante medicinali aromatiche, ottenute con tecniche convenzionali come la distillazione e la separazione cromatografica. Questi oli continuano ad essere utilizzati per il trattamento di malattie infettive e infiammazioni nella medicina tradizionale in tutto il mondo.
Gli oli essenziali possono essere somministrati per via orale, topicamente, o tramite inalazione e, in base anche al loro uso storico, per molti oli essenziali è stata determinata la composizione ottenendo una quantità significativa di dati sulla tossicità non solo per gli oli ma anche per i singoli componenti; sulla base di questi dati gli oli essenziali (se usati correttamente) vengono generalmente considerati sicuri secondo la lista GRAS (Generally Recognized As Safe) dalla FDA.
Secondo quando previsto da GRAS l’uso degli oli essenziali è consentito per aromatizzare alimenti (o essere inseriti negli integratori alimentari) o per il loro uso come additivi in cosmetici, profumi e prodotti per la pulizia. Gli oli essenziali derivano da diverse fonti naturali tra le quali in particolare le piante medicinali, o parti delle stesse, come i fiori, le foglie, corteccia, radici, bacche, semi e/o frutti. Questi oli sono miscele complesse di sostanze chimiche che possono contenere vari alcoli, aldeidi, terpeni, eteri, chetoni, fenoli e ossidi. Molti oli essenziali hanno una solubilità molto limitata in acqua ed una limitata capacità di formare emulsioni con tensioattivi non ionici.
Gli oli essenziali (heteroleum) vengono in generale ritenuti una forma estrattiva molto concentrata e si caratterizzano per una elevata capacità di essere assorbiti e di determinare molto velocemente concentrazioni plasmatiche degli attivi. Vi sono alcuni oli essenziali che, applicati topicamente in pochi minuti, raggiungono le concentrazioni plasmatiche di alcuni chemiotipi, uguali a quelle ottenute attraverso somministrazione per vie endovenosa. Gli oli essenziali vengono ritenuti un capitolo a parte nella fitoterapia e sono stati molto studiati dall’aromaterapia francese che ha creato le basi per la moderna aromaterapia clinica. In Germania la prescrizione di alcune forme di oli essenziali, può essere effettuata solo da medici.
Le prime e più antiche conoscenze sulle proprietà degli oli aromatici nacque dall’osservazione degli effetti che esercitavano quando inalati e successivamente se ne sperimentarono altre vie di somministrazione.
L’aromaterapia nacque in Francia nel secolo scorso, grazie alle sperimentazioni di Gattefossé e di Valnet, autore di un ampio studio sulle proprietà farmacologiche degli oli pubblicato nel 1964. Le capacità terapeutiche degli oli sono numerose, vanno dall’azione antibatterica a quella sedativa, anche per la loro complessa composizione chimica, basti pensare che nel solo olio essenziale di Lavanda sono state individuate più di 160 componenti.
Nel 1928 il chimico francese, Rene Gattefosse, mentre sta lavorando in laboratorio proprio sugli oli essenziali, si ustionò gravemente una la mano e istintivamente la immerse disperatamente nella vasca più vicina contenente olio di lavanda. Gattefosse si stupì di quanto velocemente il dolore si riducesse e di come la formazione di vesciche si fosse ridotta; Gattefosse osservò anche che la guarigione della mano era avvenuta più rapidamente del normale senza formazione di cicatrici. Successivamente Gattefosse studiò i benefici terapeutici degli oli essenziali e coniò la parola “Aromatherapie” (Aromaterapia) e pubblicò il primo trattato sull’aromaterapia nel 1937; secondo la definizione di Gattefosse quindi l’aromaterapia è definita come l’uso di oli essenziali per scopi terapeutici.
L’aromaterapia è stata accettata come parte integrante nell’assistenza infermieristica nel regno unito e le infermiere britanniche sono sostenute dal Royal College of Nurses nell’utilizzo di oli essenziali sia per uso topico che per inalazione per migliorare le cure del paziente.
L’olio essenziale di lavanda grazie ai suoi miti poteri sedativi viene utilizzato in sostituzione ai farmaci per il trattamento di insonnia, ansia e depressione in pazienti anziani e nei malati terminali.
A New York negli ospedali l’olio essenziale di vaniglia viene fatto inalare al paziente per favorirne il rilassamento prima di una risonanza magnetica [66].
Il Dott. Jean Valnet (1920 – 1995), padre della “Fitoaromaterapia Moderna”, medico e chirurgo militare, nel 1948 ha ridefinito in modo più specifico e scientifico i trattamenti naturali, determinando scientificamente il potere curativo degli oli essenziali che utilizzò correntemente durante la seconda guerra mondiale come antibiotici. Gli oli essenziali sono stati generalmente utilizzati come sostanze “antibiotiche” nelle malattie infettive respiratorie, nelle infezioni delle vie urinarie, nelle infezioni dermatologiche e come potenti antifungini (candidosi).
3. http://ttngmai.files.wordpress.com/2012/09/handbookofessentionaloil.pdf
4. Gurib Fakim A (2006) Medicinal Plants: Traditions of Yesterday and Drugs of Tomorrow. Mol Aspects Med 27: 1 93.
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7. Tucker AO (1986) Frankincense and Myrrh. Econ Bot 40: 425 433.
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9. Nomicos EY (2007) Myrrh: medical marvel or myth of the Magi? Holist Nurs Pract 21: 308 323.
10. http://tcm.chinese.cn/en/article/2009 08/24/content_10979.htm
11. Worwood VA (1991) The Complete Book of Essential Oils and Aromatherapy: Over 600 Natural, Non Toxic and Fragrant Recipes to Create Health Beauty a Safe Home Environment (1stedn) New World Library.
66. Garg, S. C. “Essential oils as therapeutics.” (2005).
67. www.consigli dei sensi.it/storia oli essenziali/
Qualche caratteristica degli oli essenziali
Gli oli essenziali sono miscele di sostanze fitochimiche (etheroleum secondo F.U.) che vengono estratte quasi esclusivamente da parti diverse delle piante, fiori, foglie, legno, resina e rami.
E’ opportuno precisare che il termine “olio essenziale” principalmente identifica queste miscele di sostanze (cioè gli oli essenziali) che sono comunemente presenti in natura in più parti di diverse piante (es finocchio, zenzero, curcuma, etc) con diverse funzioni; per estensione il termine “olio essenziale” è stato poi impiegato per definire il prodotto finito e concentrato di queste sostanze ottenuto attraverso la forma estrattiva (Etheroleum secondo F.U.).
Gli oli essenziali, nonostante il loro nome, non sono grassi e possono avere una consistenza da molto liquida a densa (sandalo); gli oli essenziali puri versati su materiali assorbenti (es. carta) evaporano e non lasciano residui untuosi come invece avviene per altri oli; all’aria la maggior parte degli oli essenziali evapora completamente confermandone la prevalente composizione aromatica volatile.
Quasi tutti gli oli essenziali esercitano effetti antisettici ed antibatterici anche solo per contatto (lavanda, camomilla); questi effetti in alcuni casi sono superiori a quelli del fenolo (disinfettante di sintesi).
La struttura molecolare degli oli essenziali (idrofoba) ne consente un rapido assorbimento attraverso la pelle e le mucose; alcuni oli essenziali, applicati per via topica, in pochi minuti raggiungono le concentrazioni plasmatiche di alcuni attivi uguali a quelle ottenute attraverso somministrazione per vie endovenosa; gli oli essenziali entrano nel circolo ematico rapidamente e altrettanto rapidamente ne sono eliminati (4-6 ore dopo l’assorbimento).
La temperatura influenza in parte la conservazione di alcune qualità di oli essenziali modificandone l’aspetto come nel caso dell’aria fredda che tende intorbidire gli oli essenziali degli agrumi e far solidificare completamente l’olio di Rosa di Damasco.
Anche se i costituenti principali sono gli stessi le proprietà degli oli possono differire per vari motivi; le caratteristiche degli oli essenziali quindi possono variare a secondo della stagione e della regione dove sono raccolte anche piante della stessa specie; un esempio tipico è quello dell’olio essenziale ottenuto dalla pianta della Canfora (Cinnamomum camphora (l.) J. Presl) che se proveniente dal Madagascar (Ravintsara) esprime alcune proprietà medicamentose mentre se proveniente dall’Asia (Cinnamomum camphora) ne esprime delle altre; a seconda della provenienza delle piante all’origine dell’estrazione gli oli essenziali possono presentare una percentuale diversa di principi attivi che possono determinare piccole o grandi variazioni dell’aroma.
Gli oli essenziali contengono mediamente più di 100 sostanze suddivise in Alcoli (conferiscono all’olio bassa tossicità e sicurezza d’uso, hanno proprietà antivirali, antibatteriche e antisettiche; es: lavanda, geranio, tea tree, neroli, legno di rosa); Aldeidi (determinano il profumo della pianta, sono sedative, antinfiammatorie, antidepressive, antiallergiche; es. limone, lemongrass, melissa); Chetoni che sono mucolitici, cicatrizzanti, antinfiammatori (simili alle aldeidi, danno la nota caratteristica all’olio essenziale; se sono presenti in quantità, come nell’issopo e nella salvia, possono essere pericolosi e devono essere usati con molta cautela; es. menta piperita, rosmarino); Esteri: hanno proprietà antispasmodiche, calmanti sono presenti in piccola concentrazione; es. salvia sclarea e lavanda; Fenoli: antisettici, antibatterici e stimolanti, ma da usare sotto controllo medico; Sesquiterpeni: antinfiammatori, antispasmodici, stimolanti del sistema nervoso, moderatamente tonici e rilassanti; Terpeni: presenti nella maggior parte degli oli essenziali, sono idrocarburi insaturi.
Gli oli essenziali sono rappresentati quindi da “miscele di chemiotipi” (in specifiche combinazioni di principi) provenienti da diverse parti della pianta (fiori, resina, corteccia, radici, buccia, foglie); nei secoli sono state impiegati diversi metodi estrattivi ma più frequentemente la spremitura, la macerazione o la moderna distillazione in corrente di vapore; un’estrazione molto frequente nell’antichità è stata quella in oli specifici. Una menzione particolare va all’affascinante metodica dell “’enfleurage” messa a punto in Francia (Grasse) dalla grande scuola dell’antica profumeria francese riprendendo una tecnica già nota nell’antico Egitto.
Gli oli essenziali risultano attivi già in diluizione acquosa e diffusi negli ambienti con la lampada per aromi o il diffusore; l’alta volatilità delle essenze permette ad esse di penetrare nel nostro sistema olfattivo, con effetti benefici anche sull’umore; questa metodica viene adottata anche per sfruttare gli effetti antisettici degli oli essenziali che ad esempio in Francia vengono diffusi negli ambienti peri-operatori a scopi disinfettanti.
Gli oli essenziali in forma liquida anche diluita (per via sistemica o topica) possono potenzialmente creare fenomeni allergici e per verificare un’eventuale allergia ad un olio essenziale, è sufficiente metterne una goccia nella piega del gomito, attendere 15 minuti e verificare se si verifica reazione cutanea. La buona tollerabilità degli oli essenziali dipende dalla loro naturalità e purezza che deve essere certificata (da evitare prodotti di sintesi); gli oli essenziali sono controindicati in gravidanza, allattamento, nei soggetti epilettici, nella prima infanzia, nelle infezioni renali acute; in nessun caso sono da usarsi puri e soltanto impiegati dietro consiglio di un medico o di un aromaterapeuta esperto [67].
67. Rene Maurice Gattefosse, Gattefosse’s Aromatherapy, Random House 2012
Alcuni spunti dall’articolo
La spiccata attività antimicrobica degli oli essenziali suscita oggi molto interesse anche per il noto problema (di rilevanza mondiale) dell’antibiotico resistenza che rende difficile il trattamento di patologie di origine batterica e l’attuale ricerca scientifica è molto concentrata nello studiare i meccanismi d’azione “antibiotici“ degli oli essenziali e delle sostanze in essi contenute.
Secondo l’ampia letteratura scientifica disponibile, risulta infatti che diversi oli essenziali si dimostrano significativamente efficaci nel combattere comuni infezioni senza indurre fenomeni di resistenza o limitandoli notevolmente.
L’ipotesi scientifica di studio di questa realtà fonda sul fatto che gli oli essenziali sono miscele complesse di composti e che sia probabile che questa potente attività antimicrobica specifica dipenda dall’inibizione o dall’interazione con più bersagli nella cellula [20,21]; questo aspetto spiegherebbe anche la capacità degli oli essenziali di agire ad ampio spettro su diversi ceppi batterici.
A priori viene oggi comunque riconosciuto che gli oli essenziali posseggano effetti antimicrobici non specifici dovuti alle proprietà idrofobiche (lipofile) della miscela dei componenti; infatti la natura lipofila (idrofobica) di molti oli essenziali facilita il loro l’ingresso nelle membrane cellulari che portano alterazione nell’architettura di membrana, perdita di contenuto cellulare e conseguentemente morte del batterio [22 26].
Nel 2009, Fisher e Phillips hanno dimostrato che gli oli essenziali di Citrus sinensis (Arancio) e di Citrus bergamia (Bergamotto) sull’Enterococcus faecium e E. faecalis hanno determinato più cambiamenti sulla membrana batterica modificandone la permeabilità, riducendo il pH intracellulare, inducendo perdita del potenziale di membrana e una riduzione della concentrazione di ATP [25].
Queste conclusioni si sono rivelate coerenti con il fatto che molti oli essenziali contengono alte concentrazioni di composti fenolici tra cui carvacrolo, timolo, e eugenolo. E’ accertato che i fenoli sono in grado di alterare le membrane cellulari per riduzione della forza proton motrice con una successiva diminuzione nella sintesi di ATP [27 29]; gli studi scientifici tuttavia concludono anche che la riduzione di ATP potrebbe essere anche determinata in modo specifico dall’interazione dell’olio essenziale nell’ostacolare il legame tra proteine nella membrana cellulare oppure dalla specifica interazione degli idrocarburi ciclici contenuti nell’olio con le regioni lipofile di proteine legate alla membrana [28,30]; la riduzione generale dei livelli di ATP ostacolerebbe necessariamente altri processi cellulari dipendenti dall’energia, inclusa la sintesi di enzimi e tossine [31]; in alcuni studi è stato dimostrato che l’esposizione al carvacrolo del Bacillus cereus ha determinato una significativa riduzione della quantità di tossine presenti nella diarrea.
Il fatto che gli oli essenziali agiscano come antibatterici in modo generale coinvolgendo la membrana batterica, spiega, come ci si può aspettare, il motivo per il quale gli oli essenziali posseggano un ampio spettro di attività tuttavia emergono sempre maggiori prove che gli oli essenziali possano agire anche su altri obiettivi specifici che tuttavia possono variare a seconda degli organismi spiegando la diversa attività di alcuni oli essenziali o dei loro componenti. La diversità negli oli essenziali dei singoli componenti ne spiegherebbe la specificità dei vari effetti.
Recentemente si è determinato che Olio di arancio di Valencia spremuto a freddo si comportava (upregulation cwrA) su Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (MRSA) come noti antibiotici (oxacillina, fosfomicina, imipenem e vancomicina) facendone ipotizzare un meccanismo d’azione simile [32]; secondo i ricercatori l’olio dell’agrume, sullo Staphylococcus aureus resistente alla meticillina, agirebbe anche con altri meccanismi specifici interferendo con la sintesi di peptidoglicani ed in generale con l’attività dell’autolisina come ad esempio dimostrato verso S. aureus; il coinvolgimento dell’autolisina da parte degli oli essenziali, era stato precedentemente ipotizzato (Carson et al.,2002) dimostrando che l’olio di Tea tree aveva indotto sui batteri il rilascio di enzimi autolitici della parete cellulare, portando alla lisi cellulare e alla morte del batterio [21,32 35].
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Gli oli essenziali esercitano attività diverse rispetto a vari microorganismi.
Diversi studi hanno dimostrato ad esempio che gli oli essenziali funzionano bene contro un buon numero di batteri Gram – positivi mentre hanno un effetto moderato sugli organismi Gram – negativi [12].
Alcuni studiosi spiegherebbero che gli organismi Gram – negativi sarebbero intrinsecamente più resistenti agli effetti degli oli essenziali per la presenza della membrana esterna che fornirebbe un’ulteriore barriera di permeabilità [36].
Tuttavia la suscettibilità di batteri Gram negativi agli oli essenziali può variare per genere e specie; ad esempio Aeromonas idrofila, un batterio Gram negativo comunemente presente nell’acqua, risulta altamente suscettibile agli effetti degli oli essenziali attraverso un meccanismo sconosciuto; l’Enterobacter aerogenes viene inibito dall’olio di cannella per l’interazione di quest’ultimo con vari aminoacidi (decarbossilasi) [37 40]; in questi esempi, la differenza nella suscettibilità può essere dovuta alla presenza o assenza, nel batterio, dell’obiettivo specifico dell’olio essenziale rispetto ad altri batteri Gram positivi o Gram negativi.
Per diversi oli essenziali sono stati identificati altri meccanismi d’azione specifici che coinvolgono il “quorum sensing”, la divisione cellulare, la sporulazione, le risposte allo stress e il coinvolgimento delle pompe di efflusso.
Molti batteri Gram positivi e negativi comunicano attraverso un complesso meccanismo noto come “quorum sensing” che governa la regolazione di varie funzioni cellulari che vanno dalla formazione di biofilm all’espressione di fattori di virulenza e di tossine [12].
E’ stato ipotizzato che gli oli essenziali interferirebbero con queste reti di comunicazione batteriche inibendo l’aggressione e l’invasione da parte di alcuni agenti patogeni; gli oli essenziali sfrutterebbero un percorso alternativo per lo sviluppo antimicrobico rispetto agli antibiotici attuali [41,42].
L’interferenza con il “quorum sensing” è stata dimostrata per un numero di estratti vegetali, tra cui l’aglio, che ha portato a significativa inibizione della formazione di biofilm in P. aeruginosa [43,44]. Questa inibizione sembra essere dipendente dalla concentrazione [43,44].
Il carvacrolo, un moterpene presente in molto oli essenziali, inibisce la formazione di biofilm in S. aureus e Salmonella enterica.
La capacità degli oli essenziali di interferire con il “quorum sensing” e la formazione di biofilm rappresenterebbe oggi lo spunto per lo sviluppo di nuovi antibiotici; analogamente varrebbe per la capacità degli oli essenziali di interrompere la divisione cellulare e la sporulazione come osservato sui funghi filamentosi.
Nel 2006, Paware e Thaker hanno dimostrato che l’olio di corteccia di cannella era altamente attivo contro l’Aspergillus niger con conseguente riduzione della produzione di ife e spore e, in alcuni casi, con completa inibizione della crescita. In generale la ricerca scientifica aveva già stabilito una correlazione tra alcuni oli essenziali e la riduzione della crescita micotica, attraverso l’inibizione della sporulazione e della respirazione cellulare. In particolare, oli essenziali come quello di cedro e di lavanda inducono una significativa inibizione della sporulazione e della respirazione cellulare, con scarso effetto sulla crescita, mentre gli oli della corteccia di cannella e della citronella inibiscono la crescita micotica, con poco o nessun effetto sulla sporulazione o sulla respirazione cellulare [47].
Gli effetti degli oli essenziali sulla respirazione cellulare suggeriscono nuovi bersagli farmacologici ai fini degli effetti antibiotici, in particolar modo interagendo con i processi cellulari dipendenti dall’energia come le “pompe di efflusso” batteriche che sono responsabili della multi resistenza in un certo numero di batteri; i meccanismi di efflusso batterici sono responsabili della riduzione della suscettibilità di molti batteri Gram negativi a sostanze fitochimiche di origine vegetale e agli oli essenziali.
Il falcarindiolo contenuto nel Levisticum officinale e il geraniolo contenuto nell’Helicrysum italicum hanno dimostrato attività anti efflusso specialmente in combinazione con ciprofloxacina e cloramfenicolo, contro i batteri Gram negativi [48,49].
Negli oli essenziali sono comunemente presenti altre sostanze come gli alcoli e le aldeidi che esercitano specifica attività antimicrobica.
Gli alcoli, in particolare quelli terpenici, dimostrano una significativa attività battericida contro una vasta gamma di microrganismi; questa attività battericida viene ricondotta ad una serie di meccanismi tra cui la denaturazione delle proteine, la disidratazione delle cellule batteriche o la solvatazione delle membrane delle cellule batteriche [50,51].
Le aldeidi si ritiene invece che interferiscano in una serie di reazioni coinvolgendo il trasferimento di elettroni sui doppi legami tra atomi di carbonio; la disposizione molecolare elettronegativa comporterebbe un’interferenza con un gran numero di reazioni biologiche del metabolismo centrale (ad esempio la respirazione e il ciclo del carbonio) comportando rapida morte cellulare [51].
Come noto la ricerca e lo sviluppo di nuovi antibiotici è diminuita significativamente negli anni ’70, quando si pensava che la necessità di nuovi farmaci antibiotici fosse in qualche modo trascurabile poiché le malattie infettive stavano diventando una preoccupazione del passato.
Di conseguenza, quando si sono resi necessari nuovi antibiotici (ad esempio quando è emersa la resistenza), la ricerca farmaceutica si è orientata verso semplici modifiche di antibiotici esistenti proponendo lievi alterazioni strutturali.
Questo approccio risultava più economico rispetto allo sviluppo di farmaci completamente nuovi, specialmente in un momento in cui la percezione prevalente dell’umanità era quella di aver sconfitto la malattia infettiva [52].
Oggi sono documentate infezioni che sono resistenti a tutti i farmaci conosciuti e quindi il relativo trattamento è spesso problematico e infruttuoso [53].
Per questi motivi, in questi casi, si deve fare ricorso, come ultimo rimedio, a farmaci precedentemente abbandonati per la loro evidente tossicità o per gravi effetti collaterali, tuttavia anche questo approccio non rappresenta una soluzione a lungo termine per l’emergente resistenza microbica ai farmaci esistenti e per la prevenzione stessa della resistenza a nuovi farmaci.
Il moderno pensiero scientifico auspicherebbe un cambio di paradigma ed un cambiamento fondamentale del modo in cui vengono usati antibiotici per il trattamento di malattie infettive.
Questo pensiero è sostenuto anche dall’osservazione del mondo delle piante che hanno la necessità di produrre una elevata quantità di composti antimicrobici tra cui un gran numero di oli essenziali.
Già in natura, nella produzione delle piante stesse, questi oli essenziali sono rappresentati da numerosi composti che variano per potenza e spettro di attività sia individualmente sia come miscele; le piante hanno bisogno di questa molteplicità di sostanze antibiotiche considerando la variabilità di minacce microbiche incontrate nell’ambiente in cui crescono; nella pianta gli oli essenziali spesso inibiscono una vasta gamma di microbi per la sinergia tra i singoli componenti contro più bersagli batterici.
Analogamente nell’attuale pratica clinica è documentata la sinergia tra antibiotici di sintesi esistenti, in combinazioni specifiche (ad es. trimetoprim/sulfametossazolo; amoxicillina/clavulanato; piperacillina/ tazobactam) [55].
La sinergia tra antibiotici esistenti e oli essenziali non dispone di una vasta letteratura scientifica ma da tempo suscita l’interesse dei ricercatori e risalgono al 2017 le prime formulazioni di farmaci, rappresentati dall’associazione di antibiotici di sintesi ed oli essenziali, messi a punto da Adnane Remmal.
Ad esempio gli antibiotici β-lattamici inibiscono la sintesi della parete cellulare attraverso interazione con le proteine leganti la penicillina (PBP); in S. aureus PBP2a determina una ridotta affinità per gli antibiotici β-lattamici che determina la resistenza a questi farmaci; è interessante notare che quando gli antibiotici β-lattamici vengono combinati in vitro con la corilagina, un polifenolo derivato da Arctostaphylos uva ursi, la resistenza mediata da PBP2a in MRSA è stata superata con una concomitante riduzione della MIC; sulla base di queste osservazioni viene postulato che la corilagina possa interferire con il legame degli antibiotici β lattamici con l’enzima PBP2a determinando la reversione della resistenza [60]; alcune sostanze contenute nel tè verde hanno dimostrato effetti simili in modo dose dipendente e che suggerirebbero che queste sostanze agiscano su un bersaglio specifico.
Mossa et al., nel 2004 hanno dimostrato che il linalolo e l’α-terpineolo contenuti Melaleuca leucodendron sinergizzano con ampicillina e kanamicina e gli stessi Autori hanno concluso che totarolo, ferulenolo, e plumbagin dimostrano effetti sinergici con isoniazide e rifampicina contro Mycobacterium tuberculosis; più nel dettaglio questa combinazione aumenta di 4 volte la potenza dell’isoniazide verso Mycobacterium tuberculosis [62]. Bapela et al., nel 2006 hanno dimostrato che un composto isolato dalle radici di Euclea natalensis ha diminuito le MIC da 4 a 6 volte dell’isoniazide e della rifampicina [63].
Presi nel loro insieme, questi risultati si dimostrano importanti per valutare nuove strategie nei confronti della rapida comparsa di note multi resistenze nella tubercolosi (MDR – TB) e della comparsa di resistenze sempre a più farmaci anti tubercolotici (XDR – TB); come noto la MDR – TB è definita come resistenza all’isoniazide e alla rifampicina e XDR – TB è definita la resistenza a isoniazide e rifampicina, a qualsiasi altro fluorochinolonico e a farmaci iniettabili di seconda linea (ad es. capreomicina, amikacina o kanamicina) [64,65].
Queste definizioni di modelli di resistenza sono destinati purtroppo a diventare “obsolete” in tempi medio brevi perché le resistenze nel trattamento della tubercolosi crescono in modo allarmante anche in altri modelli di resistenza individuati in più località del mondo.
Questi ceppi hanno dimostrato resistenza a quasi tutti i farmaci mai utilizzati per il trattamento di tubercolosi e altre infezioni da micobatteri tra cui: INH, RIF, etambutolo, pirazinamide, ofloxacina, moxifloxacina, capreomicina, kanamicina, amikacina, acido para aminosalicilico, etionamide, cicloserina, rifabutina, clofazimina, dapsone, claritromicina e thiacetazone [64].
Anche se manca tutt’ora un accordo sull’acronimo specifico per descrivere tutti questi ceppi (estremamente resistenti e quelli totalmente resistenti ai farmaci), il fatto che questi ceppi siano stati isolati è motivo di grande preoccupazione e, in assenza di disponibilità a breve di nuovi antibiotici per il trattamento, un approccio alternativo potrebbe essere il combinare farmaci esistenti con oli essenziali.
Questa realtà deve aprire la strada ad investimenti significativi per valutare l’efficacia di queste combinazioni, il loro meccanismo d’azione, la loro tossicità combinata e per caratterizzare il metabolismo in vivo, così come per definire la loro selettività e biovalenza.
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Essential Oils and Future Antibiotics: New Weapons against Emerging ‘Superbugs’?
Nicholas A Boire(1), Stefan Riedel(2) and Nicole M Parrish (2*)
Author information:
(2)Department of Pathology, Division of Microbiology, The Johns Hopkins University, School of Medicine, Baltimore, Maryland, USA
Abstract
Antibiotic resistance is emerging at an alarming rate, outpacing current research and development efforts to combat this trend.
As a result, many infectious diseases have become difficult to treat; in some cases, no treatment options exist.
The search for new antibiotics must accelerate to avoid returning to the ‘pre antibiotic’era. Ancient remedies, including essential oils and their components, have been explored on a limited basis as a source of new antimicrobials.
Many are known to possess significant antimicrobial activity against a wide range of microorganisms.
lucidation of the mechanism of action of these compounds may lead to identification new antibiotic targets. Such targets, once identified, may represent biosynthetic or regulatory pathways not currently inhibited by available drugs.
Novel drugs and targets are vital for continued control of infectious diseases worldwide.
Keywords: Essential oils; Antibiotic resistance; New antibiotics
ISSN: 2329 8731
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Newsletter Ayurveda nr. 53 – Maggio 2019
Newsletter n° «53»
Maggio 2019
Conoscere Shirodhara: curiosità sul meccanismo d’azione
J AYURVEDA INTEGR MED. 2019 MAR 12. PII: S0975-9476(18)30794-0.
IMPACT FORCE MEASUREMENT IN SHIRODHARA.
Meenraj S, Chebolu LR, Venkatesh B.
“Shirodhara” è un’antica pratica terapeutica ayurvedica che negli ultimi anni sta acquisendo ampia popolarità e diffusione sia in occidente che in Italia, dove viene frequentemente proposta anche in centri estetici o di benessere (SPA) come piacevole esperienza rilassante di corpo e mente; la sua generale buona tollerabilità la identifica come un intervento sicuro ed efficace per il raggiungimento del benessere psico-fisico, tuttavia non deve mai essere dimenticato che Shirodhara rappresenta una vera e propria “terapia” ayurvedica e come tale risulta indicata in numerose situazioni e potenzialmente potrebbe essere controindicata in altre. A supporto della capacità di questo trattamento di stimolare cambiamenti fisiologici esistono diversi studi scientifici anche clinici che ne dimostrano in generale la capacità di indurre effetti psico-neuro-immunologici.
Solo per citarne uno di questi, riportiamo quanto concluso da Uebaba et al. nel 2008, che in un modello di studio controllato su 32 donne, ha dimostrato come i soggetti sottoposti a Shirodhara avevano indicato un evidente variazione di parametri fisiologici, biochimici, immunologici e psicometrici, inclusi effetti sull’ansia e sugli stati di alterazione di coscienza (ASC). In particolare in questo studio è stato osservato che Shirodhara, rispetto al gruppo di controllo, aveva indotto una evidente riduzione di escrezione urinaria di noradrenalina, dei livelli plasmatici di serotonina, dei livelli plasmatici di ormone che rilascia la tireotropina (TRH), dei livelli della dopamina e aveva influito sull’attività delle cellule natural killer (NK). Sempre nel gruppo trattato è stata osservata una correlazione significativa tra ansiolisi e profondità dell’alterazione dello stato di coscienza (valutato come stadio di Trance) ed un aumento della temperatura della pelle del piede suggerendo che Shirodhara, oltre a quanto succitato, è in grado produrre effetti simpatici e di attivazione circolatoria nella pelle del piede, unitamente ad effetti immuno potenzianti [6].
Le attuali evidenze scientifiche convalidano l’antico impiego di Shirodhara come “tecnica di guarigione” che originariamente è inquadrato come “Kerliya Panchakarma” ed è ritenuto una delle tecniche fondamentali di purificazione (Panchakarma); A.K. Sharma concluse che Shirodhara può alleviare il mal di testa, ridurre lo stress mentale, l’insonnia, la depressione, le malattie dei motoneuroni oltre ad essere potenzialmente utile in diversi tipi di disturbi mentali, inclusa la schizofrenia [21] coerentemente con la dimostrazione che in generale i trattamenti Panchakarma posseggono effetti ansiolitici [22]. Altra letteratura scientifica ha dimostrato che Shirodhara può ridurre la frequenza cardiaca e l’escrezione di CO2, influendo sul tono simpatico [23].
6. Uebaba K, Xu FH, Ogawa H, Tatsuse T, Wang BH, Hisajima T, et al. Psychoneuroimmunologic effects of Ayurvedic oil-dripping treatment. J Alternative Compl Med 2008;14(10):1189e98. https://doi.org/10.1089/acm.2008.0273.
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In linea di principio il complesso meccanismo d’azione di Shirodhara, che coinvolge più bersagli, agisce complessivamente nel ristabilire corretti equilibri organici e bioenergetici; porre una corretta indicazione di trattamento con Shirodhara evita potenziali effetti negativi ad esempio psico emotivi.
Una riflessione sulla “delicatezza” della somministrazione di Shirodhara potrebbe essere fatta già a partire dal nome stesso; la parola Shirodhara infatti deriva dal termine sanscrito “shiro” che significa testa e dal termine “dhara“ che generalmente viene tradotto come scorrere, fluire; è intuitivo dedurre che ogni trattamento che coinvolga la “testa” dell’individuo, che viene ritenuta una delle parti più sensibili del corpo, potenzialmente sia correlato con reazioni organiche, psico emotive e comportamentali anche inconsce; per questi motivi Shirodhara dovrebbe essere sempre consigliato (prescritto) e praticato con una elevata consapevolezza del suo meccanismo d’azione e dei potenziali benefici per la salute del paziente.
Lo studio presentato nella newsletter, pubblicato da Journal of Ayurveda and Integrative Medicine, co-pubblicato da Elsevier a marzo 2019 e oggi disponibile in PubMed, offre ulteriori conoscenze, anche curiose, su aspetti fisici e meccanici coinvolti nel meccanismo d’azione di Shirodhara.
L’articolo in breve
Shirodhara è una specifica procedura “snehana”, che consiste nel far gocciolare delicatamente liquidi sulla fronte: per questa procedura la scelta del liquido (farmaco) e la durata del trattamento dipendono da vari fattori tra cui le caratteristiche della malattia, la sua cronicità, il coinvolgimento del dosha, la prakriti del paziente e le condizioni ambientali.
Secondo le fonti tradizionali ayurvediche esistono varie forme specifiche di Shirodhara come Tailadhara, Ksheeradhara, Takradhara, Jaladhara e Kwathadhara; gli studiosi ayurvedici classificano questa procedura non come panchakarma, ma come “snehana karma”; Shirodhara può essere di integrazione al panchakarma principale o al “karma pradhan“ a seconda delle condizioni del paziente.
Shirodhara è classicamente consigliato per molti disturbi come l’insonnia, il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, i disturbi d’ansia, le fobie, la depressione, l’ipertensione essenziale e altri disturbi psicosomatici.
Shirodhara è una procedura ayurvedica di solito somministrata per alleviare lo stress mentale; il processo comporta un impatto sulla fronte di un fluido a temperatura controllata, per caduta libera, con flusso continuo.
Obiettivo di questo studio è stato quello di misurare la forza d’impatto e la sua durata, generata sulla fronte, della caduta del fluido dal dhara (attraverso uno stoppino tradizionale) tenuto ad un’altezza standard di 4 angulas.
Lo studio ha valutato la forza d’impatto e le eventuali variabili per diversi oli medicinali come Ksheerabala taila, Mahanarayana taila e acqua.
Le misure sono effettuate utilizzando uno specifico sensore di forza piezoelettrico progettato per misurare bassi carichi e integrato in apposito circuito.
Lo studio ha concluso che la forza d’urto dei due taila sulla fronte è risultata essere dell’ordine di 10^-2 N (10 alla meno 2 Newton) con variazioni marginali tra i due taila ; la durata media della forza è risultata linearmente di 7,2 ms (millisecondi).
Lo studio conclude che la forza di impatto generata sulla fronte umana da Shirodhara durante trattamento risulta bassa e non varia rispetto agli oli medicinali usati per il trattamento.
Le forze misurate nello studio si sono rivelate correlabili, con alcune diversità, con le stime di forza ottenute attraverso la semplice meccanica dei fluidi; queste forze hanno un ruolo importante nel determinare gli effetti di Shirodhara.
Dall’articolo
L’Ayurveda nei secoli si è dimostrata essere utile per curare vari tipi di malattie. In questo studio sono stati approfonditi alcuni aspetti di una delle più popolari procedure di trattamento ayurvedico, lo Shirodhara il cui nome, come noto, è un termine che deriva dalla combinazione di due parole “Shiro” (capo o testa) e “Dhara” che significa sottile flusso continuo di liquido [1].
Il processo di trattamento comporta un continuo impatto di un liquido a temperatura controllata, sulla fronte del soggetto, attraverso un flusso generato dalla forza gravità originando da un vaso dhara da un’ altezza (specificatamente raccomandata) di 4 “angulas” (circa 7,5 cm) attraverso uno stoppino, per una durata prolungata (ca. 30 /45/60 min.) [2].
Shirodhara è ritenuto una “terapia ayurvedica” raccomandata per il trattamento di diverse condizioni neurologiche come ad esempio lo stress mentale (depressione / ansia), mal di testa e insonnia; in alcuni casi Shirodhara viene prescritto insieme a medicinali e nutrizione specifica [1,3,4]. La quantificazione precisa del trattamento Shirodhara è correlata alla sua comprensione scientifica [3,4] ed i dettagli della somministrazione di Shirodhara sono originariamente affrontati in testi classici come “Dharakalpah” [2] dove ad esempio vengono raccomandati i parametri fisici come l’altezza di caduta, il tipo di liquido, il materiale del vaso dhara ecc.
Kajaria. D et al. nel 2013 hanno suggerito una teoria che ben spiegherebbe il meccanicismo di Shirodhara e, secondo la loro ipotesi, questo dipenderebbe principalmente dal fatto che il fluido, fatto cadere da un’ altezza stabilita, possiede una energia potenziale (PE) che viene convertita in energia cinetica (KE) durante la caduta libera; gli stessi autori chiariscono anche che lo “slancio” del fluido che cade, da un’altezza prestabilita, sulla fronte del soggetto, genera un cambiamento di tensione superficiale sulla fronte che stimola gli impulsi nervosi o ne accentua la conduzione intracranica [5].
Uebaba et al. in due differenti studi del 2005 e del 2008 hanno misurato gli effetti psico – neuro – immunologici di Shirodhara, con olio ayurvedico, in modelli clinici randomizzati, utilizzando un sistema robotizzato [6,7] e quantizzando, come avvenuto in altri studi, l’efficacia di Shirodhara attraverso le variazioni di parametri fisiologici come la frequenza cardiaca, l’emissione di CO2, la pressione sanguigna; nello studio sono inoltre stati impiegati l’elettrocardiogramma (ECG) e l’elettroencefalogramma (EEG) per misurare l’attività elettrica del cuore e del cervello [3,6,8].
Presi nel loro insieme questi studi contribuiscono a spiegare il complesso meccanismo di azione di Shirodhara che dipenderebbe dalla forza naturale generata dall’impatto del liquido sulla fronte del soggetto; questa si tradurrebbe in onde sollecitatorie meccaniche che si trasformerebbero in segnali neurologici che genererebbero effetti fisiologici a lungo termine come la tranquillità dei soggetti trattati.
Malgrado studi precedenti, come quelli summenzionati, abbiano postulato il meccanismo d’attività di Shirodhara, oltre che a dimostrarne l’efficacia, non esiste una letteratura sostanziale che dimostri approfonditamente la “meccanica” del trattamento Shirodhara come ad esempio la misurazione della quantità della forza e della sua durata generata dalla caduta del liquido sulla fronte durante il trattamento.
Questo studio, in un modello sperimentale in laboratorio, si è dato come obiettivo principale proprio la misurazione della grandezza della forza d’impatto e della durata impiegando due taila medicati e l’acqua; l’aspetto interessante di questo studio, oltre alle conclusioni sui due parametri fisici studiati, consiste anche nel fatto che misurazioni sono state condotte sperimentalmente utilizzando un sensore piezoelettrico, avvalorando la teoria che gli effetti di Shirodhara derivino da specifici comportamenti piezoelettrici dei tessuti (fronte) bersaglio del trattamento; i valori fisici misurati sono stati poi confrontati anche con le stime di forza deducibili dalla semplice meccanica dei fluidi.
Secondo la procedura standard di Shirodhara il soggetto giace in posizione supina sul dhroni ed il dhara (terra / rame / ottone) con un foro nella parte inferiore di approssimativamente alle dimensioni di un mignolo (misura standard), viene appeso come di consueto sopra la testa [2,9] posizionando l’altezza dello stoppino a quattro ”angulas” (circa 7,5 cm) [10, 12] rispetto alla fronte del soggetto [2]. Sotto la supervisione di medici, il dhara viene fatto oscillare lungo la lunghezza della fronte per garantire la continuità del flusso; dopo aver completato il trattamento, al soggetto si raccomanda di riposare. I liquidi medicali usati per il trattamento possono essere ghee di mucca, olio di sesamo, olio Ksheerabala, olio Mahanarayana e latte caldo, kasaya. Il tipo di liquido scelto dipende dalle condizioni di salute del soggetto, viene riscaldato e fatto fluire sulla fronte [2,9].
Per questo studio in laboratorio sono state ricreate alcune condizioni di caduta dei liquidi come quando la procedura viene fisicamente condotta sull’uomo; nello studio sono stati impiegati tre liquidi diversi e cioè Ksheerabala taila, olio di Mahanarayana e acqua.
Per misurare la forza d’impatto dei liquidi sulla superficie di destinazione sperimentale (che simulava il punto d’impatto sulla fronte) [13,14] è stato utilizzato un sensore di forza piezoelettrico i cui impulsi di uscita sono stati tradotti da appositi condizionatori di segnali che consentivano di trasmetterli ad un computer traducendoli in valori di forza [9].
1. Vagbhaṭa. Ashtanga hridaya-with commentary of aruna dutta and hemadri. Reprint ed. Varanasi: Chowkhambha Sanskrit Series. 1946.
2. Pavana J, Sankaranarayana Manoj. Keraliya Chikitsa paddhati: Padmasri.DR. K. Rajagopalan ayurveda series-3. 2010. p. 61e62, 73.
3. Uebaba K, Xu FH, Tagawa M, Asakura R, Itou T, Tatsuse T, et al. Using a healing robot for the scientific study of shirodhara. Altered states of consciousness and decreased anxiety through Indian dripping oil treatments. IEEE Eng Med Biol Mag 2005;24(2):69e78. https://doi.org/10.1109/MEMB.2005.1411351.
4. Akiko Tokinobu, Yorifuji Takashi, Tsuda Toshihide, Doi Hiroyuki. Effects of ayurvedic oil-dripping treatment with sesame oil vs. with warm water on sleep: a randomized single-blinded crossover pilot study. J Alternative Compl Med 2016;22(1):52e8. https://doi.org/10.1089/acm.2015.0018.
5. Kajaria D, Tripathi J, Tiwari S. An appraisal of the mechanism of action of shirodhara. Ann Ayur Med 2013;2(3):114e7.
6. Uebaba K, Xu FH, Ogawa H, Tatsuse T, Wang BH, Hisajima T, et al. Psychoneuroimmunologic effects of Ayurvedic oil-dripping treatment. J Alternative Compl Med 2008;14(10):1189e98. https://doi.org/10.1089/acm.2008.0273.
7. Xu F, Uebaba K, Ogawa H, Tatsuse T, Wang BH, Hisajima T, et al. Pharmacophysio- psychologic effect of Ayurvedic oil-dripping treatment using an essential oil from Lavendula angustifolia. J Alternative Compl Med 2008;14(8): 947e56. https://doi.org/10.1089/acm.2008.0240.
8. Dhuri Kalpana D, Bodhe Prashant V, Vaidya Shirodhara Ashok B. A psychophysiological profile in healthy volunteers. J Ayurveda Integr Med 2013;4(1): 40. https://doi.org/10.4103/0975-9476.109550.
9. Lavekar GS, Menon TV. Practical handbook of Panchakarma procedures. 2009.
10. Kauṭalya. The arthashastra. New Delhi; New York, USA: Penguin Books India; 1992.
11. Danino Michel. The lost river: on the trail of Saraswati. Penguin Books; 2010.
12. Balasubramaniam R. New insights on metrology during the Mauryan period. Curr Sci 2009:680e2.
13. Dan Soto, De Lariviere Aur elie Borel, Boutillon Xavier, Clanet Christophe, Qu er e David. The force of impacting rain. Soft Matter 2014;10(27):4929e34. https://doi.org/10.1039/C4SM00513A.
14. Grinspan A Sahaya, Gnanamoorthy R. Impact force of low velocity liquid droplets measured using piezoelectric PVDF film. Colloid Surface Physicochem Eng Aspect 2010;356(1):162e8. https://doi.org/10.1016/j.colsurfa.2010.01. 005.
L’esperimento in breve
Per l’esperimento è stato utilizzato un dhara in rame con il classico foro sul suo fondo in cui era alloggiato il tipico stoppino fatto di apposita tela e con un diametro minimo tale da consentire il gocciolamento continuo senza intasamenti ; questa operazione è stata supervisionata da un medico ayurvedico.
Come illustrato nelle immagini pubblicate nello studio il dhara era sostenuto da un apposito supporto regolabile progettato per mantenere l’altezza d’impatto di quattro “angulas” (1 angula≈1,8 cm) [21] ed il sensore piezoelettrico (opportunamente ambientato per mimare ciò che avviene sul corpo) è stato posizionato sul punto d’impatto del liquido esattamente sotto il foro d’uscita del dhara;
attraverso una semplificazione si può affermare che il sensore ha consentito di effettuare le sue misurazioni nel momento esatto in cui il liquido colpiva la superficie d’impatto cadendo dal dhara e traducendo questo segnale in valore di forza d’impatto sotto forma di segnale elettrico trasmesso ad un computer, inoltre ha consentito di misurare la durata (calcolata in millisecondi) dell’impatto.
Nello studio è stata inoltre determinata la densità dei singoli fluidi e i dati sperimentali relativi alla forza d’impatto misurata, sono stati confrontati con i valori ottenuti attraverso calcoli teorici [15] (considerando gravità, velocità, etc.).
Prese nel loro insieme le conclusioni dello studio, forniscono alcune utili informazioni di quanto verosimilmente avviene durante la pratica di Shirodhara dal punto di vista fisico;
le misurazioni della forza di impatto e della sua durata sono state effettuate 15 volte per ciascun liquido ed è risultato che la forza d’urto dell’acqua (0,03912 N) risulta più elevata rispetto a quella dei due taila e che la forze d’impatto di Ksheerabala taila e di Mahanarayana taila risultano inferiori e con minime differenze tra loro. L’acqua, a causa del suo più alto grado di densità, mostra una forza di impatto più elevata ma di durata inferiore rispetto a quella dei due taila medicati. Dallo studio emerge che Mahanarayana taila e Ksheerabala taila producono circa la stessa forza d’urto nell’ordine di 0,02 N con una durata media d’impatto di 7,33 millisecondi.
I diversi tempi di durata dell’impatto, per i tre liquidi utilizzati nell’esperimento, indicano che l’acqua dimostra la durata d’impatto più breve suggerendo che sia soggetta ad accelerazioni maggiori rispetto agli oli; questi diversi livelli di accelerazioni vengono ritenuti direttamente e fisicamente implicati nel caratterizzare i segnali generati dall’impatto del fluido sulla fronte.
Lo studio nel suo insieme contribuisce ad una maggiore comprensione fisica del funzionamento di Shirodhara anche perché, attraverso la sua metodologia di misurazione (sensore piezoelettrico), avvalorerebbe un’ipotesi sulla natura dell’origine dell’impulso elettrico derivante dall’impatto dei fluidi sulla fronte; durante il trattamento Shirodhara infatti la pressione continua dovuta alla caduta del fluido sulla fronte produce una vibrazione che genera onde elettromagnetiche e raggiunge la corteccia cerebrale producendo un effetto tranquillizzante [5]. Secondo il classico modello di spiegazione di come gli stimoli meccanici si trasferiscano al cervello, la forza di impatto viene percepita dai recettori meccanici (fronte) sotto forma di stimoli che successivamente vengono convertiti in impulsi neurali che sono trasmessi al cervello, generando effetti di tranquillizzanti sulla mente [5]; questa teoria meccanicistica spiega in modo verosimile che gli effetti medicamentosi di Shirodhara siano riconducibili a stimoli elettrici generati dalla forza d’impatto dei fluidi nel momento della loro caduta sul corpo; gli autori dello studio, impiegando per la misurazione della forza d’impatto uno specifico sensore piezoelettrico, confermerebbero l’ipotesi che l’epidermide ed i neuroni presenti nella pelle dimostrerebbero uno specifico comportamento piezoelettrico [18] che si tradurrebbe in segnali elettrici trasmessi al sistema nervoso centrale [19,20]; per comprendere questa ipotesi è necessario far riferimento all’anatomia della fronte che include la pelle, lo strato sottocutaneo e muscoli, superiormente al sottostante osso cranico [17] e che piezoelettrica è definita la capacità di diversi materiali, compresi quelli organici (costitutivi della fronte), di polarizzarsi e di generare una differenza di potenziale elettrico, quando soggetti ad una deformazione meccanica dovuta ad impatto con una forza.
Lo studio conclude che la forza d’impatto dei liquidi impiegati in Shirodhara è nell’ordine di 10^-2 N (0,01 Newton) con alcune minime differenze, tra i due oli testati (Ksheerabala taila, Mahanarayana taila); queste differenze potrebbero essere determinate anche da alcuni aspetti di natura non meccanica. Le conclusioni dello studio supportano ulteriormente l’ipotesi che la durata della forza e la quantità della stessa assumano un ruolo cruciale nell’efficacia del trattamento variando probabilmente con i cambiamenti dell’altezza di caduta del liquido dal Dhara sulla fronte; quest’ultimo aspetto spiegherebbe la stretta raccomandazione tradizionale delle Fonti di rispettare l’altezza di quattro “angulas” nei trattamenti convenzionali.
I risultati dello studio, condotto sperimentalmente in laboratorio, non possono essere strettamente predittivi di quanto avviene in vivo, tuttavia sono indicativi delle motivazioni dell’efficacia del trattamento e aprono la strada a studi analoghi condotti in vivo.
5. Kajaria D, Tripathi J, Tiwari S. An appraisal of the mechanism of action of shirodhara. Ann Ayur Med 2013;2(3):114e7
15. Rao C Lakshmana, Narayanamurthy V, Simha KRY. Applied impact mechanics. John Wiley & Sons; 2016. p. 1. 22.
16. White FM. Fluid mechanics. McGraw-hill; 1986.
17. Xu M, Yang J. Human facial soft tissue thickness and mechanical properties: a literature review. ASME 2015;46363. https://doi.org/10.1115/DETC2015- 46363. V01AT02A045.
18. De Rossi D, Domenici C, Pastacaldi P. Piezoelectric properties of dry human skin. IEEE Trans Electr Insul 1986;3:511e7. https://doi.org/10.1109/TEI.1986. 349102.
19. Athenstaedt H, Claussen H, Schaper D. Epidermis of human skin: pyroelectric and piezoelectric sensor layer. Science 1982;216(4549):1018e20. https:// doi.org/10.1126/science.6177041.
20. Shamos Morris H, Lavine Leroy S. Piezoelectricity as a fundamental property of biological tissues. Nature 1967;213(5073):267e9. https://doi.org/10.1038/ 213267a0.
21. Shukla, Hemangi B. “STANDARDIZATION OF MODIFIED DHUM NETRA.” (2018).
A cura della direzione scientifica di Benefica
J AYURVEDA INTEGR MED. 2019 MAR 12. PII: S0975-9476(18)30794-0.
IMPACT FORCE MEASUREMENT IN SHIRODHARA.
Meenraj S(1), Chebolu LR(2), Venkatesh B(3)
Author information:
1 Department of Applied Mechanics, Indian Institute of Technology Madras, India. Electronic address: swathika8388@gmail.com.
2 Department of Applied Mechanics, Indian Institute of Technology Madras, India.
3 Department of Engineering Design, Indian Institute of Technology Madras, India.
ABSTRACT
BACKGROUND: Shirodhara is an ayurvedic procedure usually administered to alleviate mental stress. The process involves impact on the forehead by a free fall of a continuous stream of temperature controlled fluid.
OBJECTIVE: In this study, the impact force generated on the forehead due to fluid falling from dhara pot held at a standard height of 4 angulas is measured passing through a traditional wick.
MATERIALS AND METHODS: The variation of this impact force for different medicinal oils such as Ksheerabala oil, Mahanarayana oil and water is studied. The measurements are made using an Integrated Circuit Piezoelectric force sensor
designed to measure low loads.
RESULTS: The impact force is found to be order of 10-2 N and is observed to marginally vary with the type of liquid used in the experiment. The force was found to build up an average duration of 7.2 ms linearly over a time.
CONCLUSION: It was observed that the impact force generated on the human forehead due to Shirodhara treatment was low and is invariant to the medicinal oils used in the treatment. The measured forces correlate closely with the force estimates made from simple fluid mechanics. These forces have an important role in the estimate of stresses, displacements and voltage generated due to the impact associated with Shirodhara.
Copyright © 2019 Transdisciplinary University, Bangalore and World Ayurveda
Foundation. Published by Elsevier B.V. All rights reserved.
DOI: 10.1016/j.jaim.2018.12.006
PMID: 30876694