Newsletter Fitoterapia nr. 45 – Maggio 2019

Gimnema: un aiuto naturale per la “gestione” del peso corporeo

Progress in Nutrition 2019; Vol. 21, N. 2: 00-00 DOI: 10.23751/pn.v21i2.7780.

Clinical Applications of Gymnema sylvestre against type 2 diabetes mellitus and its Associated Abnormalities.

Dhananjay Yadav, Minseok Kwak, Jun-O Jin

 

Il problema

Secondo i dati forniti dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il numero di persone obese nel mondo è raddoppiato a partire dal 1980: nel 2014 oltre 1,9 miliardi di adulti erano in sovrappeso, tra cui più di 600 milioni, obesi. Obesità e sovrappeso, prima considerati problemi dei soli Paesi ricchi, sono in aumento anche nei Paesi a basso e medio reddito, specialmente negli insediamenti urbani, e sono ormai riconosciuti come veri e propri problemi di salute pubblica; in Africa nel 2014 il numero di bambini in sovrappeso o obesità è quasi raddoppiato dai 5,4 milioni del 1990 ai 10,6 milioni, sempre nel 2014, circa 41 milioni di bambini sotto i 5 anni di età erano in sovrappeso o obesi.

L’obesità è un fattore di rischio per una serie di condizioni e patologie croniche, come le malattie ischemiche del cuore, l’ ictus, l’ ipertensione arteriosa, il diabete tipo 2, le osteoartriti e alcuni tipi di cancro (corpo dell’utero, colon e mammella).

Secondo il rapporto Osservasalute 2016 in riferimento ai risultati dell’Indagine Multiscopo dell’Istat “Aspetti della vita quotidiana” emerge che in Italia, nel 2015, più di un terzo della popolazione adulta (35,3%) è in sovrappeso, mentre una persona su dieci è obesa (9,8%); complessivamente, il 45,1% dei soggetti di età ≥18 anni è in eccesso ponderale. Come negli anni precedenti, le differenze sul territorio confermano un gap Nord-Sud in cui le Regioni meridionali presentano la prevalenza più alta di persone maggiorenni obese (Molise 14,1%, Abruzzo 12,7% e Puglia 12,3%) e in sovrappeso (Basilicata 39,9%, Campania 39,3% e Sicilia 38,7%) rispetto a quelle settentrionali (obese: PA di Bolzano 7,8% e Lombardia 8,7%; sovrappeso: PA di Trento 27,1% e Valle d’Aosta 30,4%)”. La percentuale di popolazione in eccesso ponderale cresce all’ aumentare dell’ età e, in particolare, il sovrappeso passa dal 14% della fascia di età 18-24 anni al 46% tra i 65-74 anni, mentre l’obesità passa, dal 2,3% al 15,3% per le stesse fasce di età. Inoltre, la condizione di eccesso ponderale è più diffusa tra gli uomini rispetto alle donne (sovrappeso: 44% vs 27,3%; obesità: 10,8% vs 9%). [91]

[91] Fonte: Epicentro, maggio 2017

Secondo i dati epidemiologici quindi il problema della gestione del peso corporeo, inteso come necessità di affrontare sovrappeso e obesità (che sono due condizioni distinte) o comunque come esigenza di mantenere una situazione di normo peso per motivi di salute (ma attualmente anche estetici), sta assumendo negli ultimi anni dimensioni rilevanti; il sovrappeso e l’obesità sono infatti altamente correlati a conseguenze negative in generale per lo stato di salute aggravando il rischio di patologie metaboliche anche gravi come quelle cardiovascolari talvolta fatali; il problema socialmente si profila con allarmante gravità soprattutto perché tende a coinvolgere soggetti in età sempre più precoce.

Accanto allo stretto problema della gestione del peso corporeo con l’obiettivo del calo ponderale si pone anche quello di controllare situazioni dismetaboliche “borderline” come ad esempio lo stato prediabetico rispetto al quale si impone la necessità di trattamento con più strategie, per evitarne l’evoluzione verso lo stato patologico conclamato, mentre se adeguatamente trattato, può essere condotto ad una potenziale reversibilità.

Come noto, da un punto di vista clinico, quando nei pazienti in sovrappeso o obesi, non vi sia addirittura indicazione di trattamento chirurgico, la gestione del problema può essere affrontata esclusivamente attraverso una complessa strategia che comprenda, solo per fare qualche esempio, approcci psicologici, di educazione alimentare, di abitudine all’ attività fisica, di stimolazione generale del metabolismo e, quando necessario, ricorrendo al trattamento con potenti farmaci per contenere il senso di fame o per limitare l’assorbimento di sostanze favorenti l’ incremento del peso corporeo (zuccheri, grassi); è quindi doveroso concludere e premettere che il problema verosimilmente non potrà trovare facile soluzione ricorrendo ad approcci univoci.

Negli ultimi anni si sta profilando sempre di più l’abitudine (anche mediaticamente indotta) al ricorso ad un ampio utilizzo di integratori naturali che promettono risultati significativi nella perdita di peso corporeo. L’impiego di sostanze naturali di natura erbale nella gestione del peso corporeo e nelle malattie metaboliche è nota da secoli, basti pensare a quanto abbiano fatto ricorso alle piante medicinali, in questi casi,  ad esempio la medicina ayurvedica o quella tradizione cinese; molto frequentemente i più moderni integratori naturali oggi proposti per la gestione del peso corporeo o per le problematiche metaboliche, sono formulati sulla base di antiche conoscenze degli effetti pro metabolici di numerose piante medicinali.

Per avere un’ idea di quanto oggi il ricorso alle piante medicinali sia crescente basti pensare che in India derivano dalle piante quasi il 70% dei farmaci normalmente impiegati e che la loro efficacia ne ha accresciuto esponenzialmente la loro commercializzazione (+15 % su base annua).

Attualmente il mercato lordo globale di preparati a base di erbe ammonta a circa 62 miliardi di US $ e approssimativamente potrebbe esponenzialmente arrivare a 5 trilioni di dollari nel 2050. Solo l’Ayurveda contribuisce circa con 813 milioni di US $ all’anno al mercato internazionale. [80]

[80] Joshi K, Chavan P, Warude D, Patwardhan B. Molecular markers in herbal drug technology. Curr Sci 2004; 87: 159- 65.

Rispetto all’ emergente proposta di integratori naturali che promettono effetti di “dimagrimento” è doveroso precisare che, secondo letteratura scientifica, questi raramente dimostrano una evidenza clinica della loro efficacia “dimagrante” (intesa come la dimostrazione clinica statisticamente significativa che una singola sostanza o una miscela di sostanze induca un’ evidente perdita di peso corporeo indipendentemente da modificazioni di stile alimentare o di vita) invece per diverse sostanze naturali e per diverse piante medicinali è robustamente sostenuta la loro effettiva valenza nell’ aiutare a ridurre i fattori che determinano un incremento del peso corporeo. Questi preparati potrebbero essere definiti più propriamente come aiuti naturali “per non ingrassare” che diventano utili quando inseriti in una globale strategia clinica di gestione del peso corporeo; come noto sono invece credibili le evidenze sugli effetti di diverse sostanze naturali nel controllare il profilo lipidico e glucidico.

Attualmente gli integratori naturali promossi per la perdita del peso corporeo potrebbero genericamente essere suddivisi in gruppi sulla base del loro effetto prevalente (stimolatori metabolici, antifame, pro-sazianti, pasti sostitutivi ipocalorici, limitatori dell’assorbimento di zuccheri e grassi, etc.) tuttavia non sono rari i casi di formulazioni che mirino ad agire su più fronti del problema. Sempre più frequente è il ricorso all’ associazione di piante medicinali con altre sostanze utili a modulare il fisiologico equilibrio metabolico (es. Cromo, Niacina, Chitosano, etc.).

Gymnema sylvestre è una pianta medicinale di antichissimo uso che, nell’ attuale panorama degli integratori naturali proposti per la gestione del peso corporeo, potrebbe essere idealmente ascritta al gruppo dei limitatori dell’assorbimento intestinale degli zuccheri, tuttavia è importante sottolineare che Gymnema sylvestre è stata tradizionalmente impiegata prevalentemente come ipoglicemizzante nella malattia diabetica per diversi motivi di seguito illustrati e su questi razionali fonda il suo più moderno uso nella gestione del peso corporeo.

Gymnema sylvestre, il cui nome tradizionale Indi è “Gurmar” (letteralmente: mangia zuccheri), è una pianta medicinale che è stata impiegata tradizionalmente, nella medicina ayurvedica ed in quella tradizionale cinese, per la gestione del diabete di tipo 1 e 2, di patologie metaboliche in generale e quindi anche per il controllo del peso corporeo; di questa pianta infatti sono da sempre conosciute le capacità di rallentare l’assorbimento intestinale degli zuccheri e di esercitare generali effetti protettivi a livello pancreatico; una felice definizione moderna dell’officinale potrebbe essere “frena – zuccheri”.

Gymnema sylvestre in alcune forme, applicata localmente sulla mucosa linguale, si distingue anche per una particolare attività topica di soppressione della sensazione del gusto del dolce e questo effetto può essere di aiuto nello svezzamento dall’ assunzione compulsiva di sostanze o alimenti dolci.

In generale Gymnema sylvestre viene ritenuta una pianta medicinale utile anche in altre patologie e ad ogni parte dell’officinale vengono attribuiti valori medicamentosi.

Attualmente sono disponibili in commercio diversi prodotti a base di Gymnema sylvestre in diverse forme estrattive od anche in forma di tisana o di tè; dalla letteratura scientifica emergerebbe un valido effetto delle forme in estratto secco da foglie titolato in acidi gymnemici min. 25 % (fino a titolazioni del 75 %); una associazione molto valida viene ritenuta quella tra l’estratto secco da foglie titolato e la polvere delle foglie.

Il moderno utilizzo di Gymnema sylvestre, soprattutto in Europa, è attualmente indirizzato a sfruttarne gli effetti integrativi nella gestione del peso corporeo, per valenze ipoglicemizzanti, ipolipemizzanti, e nel trattamento delle forme pre-diabetiche (borderline), basandosi tuttavia sull’ esperienza d’ uso, anche etnomedica, in situazioni francamente patologiche come la malattia diabetica, rispetto alla quale, gran parte della letteratura scientifica disponibile per Gymnema sylvestre è riferita. I potenziali di Gymnema sylvestre a scopi dietologici sono infatti principalmente sostenuti da letteratura clinica, anche piuttosto ampia, che ne conferma i potenziali come ipoglicemizzante naturale.

Nel 2016 Gymnema sylvestre è stata direttamente menzionata, in un lavoro in PubMed pubblicato su World Journal of Diabetes, unitamente a pochi altri officinali dei quali si riconosce il reale potenziale beneficio nel trattamento della sindrome metabolica [90]

[90] Martínez-Abundis et al., Novel nutraceutic therapies for the treatment of metabolic syndrome. World J Diabetes. 2016 Apr 10;7(7):142-52. doi: 10.4239/wjd.v7.i7.142. Review. PubMed PMID: 27076875; PubMed Central PMCID: PMC4824685.

 

Dall’articolo

La correlazione tra sovrappeso, obesità e rischio di insorgenza di malattia diabetica, è ormai fatto ampiamente riconosciuto e la proiezione dell’ evoluzione dell’ incidenza della malattia diabetica risulta allarmante anche nei paesi a sviluppo economico emergente, poiché il diabete mellito è uno dei più frequenti disordini metabolici associato con complicanze macrovascolari e microvascolari.
L’incremento della prevalenza del diabete in tutto il mondo è associato ad un aumento degli oneri finanziari, di morbilità e mortalità e di una diminuzione di qualità della vita.
Secondo quanto emergente dalla letteratura scientifica Gymnema sylvestre rappresenta una promessa nella gestione del diabete mellito ed anche l’approccio etnomedico ad esso, con Gymnema sylvestre, risulterebbe pratico, logico ed economicamente utile.

Poiché tuttavia Gymnema sylvestre richiede ancora una convalida scientifica ed una riconosciuta tecnologia di standardizzazione dei preparati, per giustificarne la sua ampia accettabilità in un moderno sistema di medicina, ad essa si può attualmente guardare come approccio integrato alla medicina convenzionale.
La medicina Ayurvedica impiega tradizionalmente diverse erbe medicinali per la gestione e il trattamento del diabete mellito e tra queste Gymnema sylvestre (Asclepiadaceae) è ritenuta come un potenziale “farmaco antidiabetico” vegetale che dimostra la capacità di ridurre l’assorbimento degli zuccheri nell’ intestino e di rigenerare simultaneamente le cellule β contribuendo ad allineamento a livelli fisiologici di secrezione di insulina; a Gymnema sylvestre viene riconosciuto anche un effetto anti-obesità, anti-iperlipidemico, anti-infiammatorio e anti-cancro.

L’articolo di cui segnaliamo la recente pubblicazione nel 2019 su Progress in Nutrition illustra, in una buona sintesi, alcuni degli studi sperimentali e di quelli clinici condotti su Gymnema sylvestre a supporto dei razionali che ne sostengono l’impiego come rimedio efficace per il diabete mellito ed in generale la gestione del peso corporeo. Lo studio inoltre riferisce una valutazione del profilo tossicologico di Gymnema sylvestre e dei suoi potenziali nella formulazione di nuovi prodotti per la prevenzione e il controllo del diabete.
L’uso ricorrente sempre più ampio ad integratori a base di erbe per la loro efficienza allo stato di salute non deve stupire poiché le piante sono sempre state utilizzate, praticamente in tutte le civiltà, come fonte di principi medicamentosi e come farmaci. L’Organizzazione Mondiale della Sanità mette in evidenza l’uso di preparati a base di piante medicinali da parte di quasi l’80% della popolazione che viveo in paesi in via di sviluppo [1] ed in particolare si ritiene che maggiormente dai paesi Asiatici provengano informazioni fondamentali sull’uso di specie erbacee per il trattamento di varie condizioni metaboliche [2]; almeno il 25% dei farmaci della moderna farmacopea contiene derivati da piante.

Già in Atharvaveda Saṃhitā è descritta l’efficacia di formulazioni a base di erbe per la guarigione del diabete che come noto rappresenta una situazione di disordine metabolico inter-correlato glucidico, lipidico e proteico che si si traduce in alterazioni nella secrezione di insulina o nella sua attività o in entrambe le situazioni. [3]

Secondo l’OMS, in tutto il mondo, nel 2000 circa 171 milioni di persone soffrivano di diabete e la prevalenza è proiettata a 366 milioni entro il 2030. [4]

[1] Shelar DB, Shirote PJ. Natural product in drug discovery: back to future. J Pharm Res 2010; 3: 2007-8.
[2]  Kala CP, Farooquee NA, Dhar U. Prioritization of medicinal plants on the basis of available knowledge, existing practices and use value status in Uttaranchal, India. Biodivers Conserv 2004; 13: 453-69.
[3] Shah D, Agarawal V, Parikh R. Noninvasive insulin delivery system: a review. Int J Appl Pharm 2010; 2: 35-40.
[4] Wild S, Roglic G, Green A, Sicree R, King H. Global prevalence of diabetes: estimates for the year 2000 and projections for 2030. Diabetes Care 2004; 27: 1047-53.

 

Cenni generali sull’uso tradizionale

Gymnema sylvestre (Gurmar/Madhunashini) è una pianta medicinale che è stata ampiamente utilizzata nella medicina tradizionale per quasi duemila anni.
E’ originaria dell’India e cresce nelle sue foreste meridionali, tuttavia la si ritrova anche nell’Africa tropicale, in Australia così come in Asia, Malesia, Giappone, Vietnam e Sri Lanka. [5]

Le parti della pianta di Gymnema sylvestre utilizzate per i preparati medicali sono le foglie e le radici. [6]

La polvere ottenuta dalle foglie è di colore giallo [7] e con generale valenza epatoprotettiva e capacità di soppressione dell’assorbimento dello zucchero [8, 9] e la miscela di estratti da foglia essiccata e dalla radice sono stati tradizionalmente impiegati anche per disturbi come tosse, lebbra, malattie della pelle e ferite.
L’estratto acquoso ottenuto dalle radici di Gymnema è stato usato per curare nausea, vomito e dissenteria, mentre la pasta ottenuta dalla macinazione della pianta fresca, mescolata al latte materno si dimostra efficace per curare l’ulcera orale. [10,11]

Alla pianta vengono attribuiti inoltre effetti secondari antimicrobici, anti-cancerosi e anti-artritici.

[5] Pham HTT, Hoang MC, Ha TKQ et al. Discrimination of different geographic varieties of Gymnema sylvestre, an anti-sweet plant used for the treatment of type 2 diabetes. Phytochemistry 2018; 150: 12-22.
[6] Yadav D, Tiwari A, Mishra M et al. Anti-hyperglycemic and anti-hyperlipidemic potential of a polyherbal preparation “Diabegon” in metabolic syndrome subject with type 2 diabetes. Afr J Tradit Complement Altern Med 2014; 11: 249-56.
[7] Singh SP, Patra CN, Dinda SC. A comparative evaluation of the flow and compaction characteristics of Gymnema sylvestre leaf powder.. J Adv Pharm Res 2010; 1: 1-11.
[8] Hajare R. Comparing Modified and Relationship Study of Gymnema Sylvestre Against Diabetes. SF J Pub Health 2018; 2.
[9] Smruthi G, Mahadevan V, Sahayam S, Rajalakshmi P, Vadivel V, Brindha P. Anti-Diabetic Potential of Selected Indian Traditional Medicinal Plants-An Updated Review. Journal of Pharmaceutical Sciences and Research 2016; 8: 1144.
[10] Ekka NR, Dixit VK. Ethno-pharmacognostical studies of medicinal plants of jashpur district (Chhattisgarh). Int J Green Pharm 2007; 1.
[11] Meena AK, Bansal P, Kumar S. Plants-herbal wealth as a potential source of ayurvedic drugs. Asian J Tradit Med 2009; 4: 152-70.

 

L’attività antidiabetica di Gymnema sylvestre negli studi sugli animali

In un primo studio di Gupta et al, nel 1962, in un modello di diabete indotto sul ratto è stata studiata l’attività antidiabetica di un estratto alcolico (100 mg/kg/giorno), da foglie di Gymnema somministrato per un mese, che ha determinato una riduzione significativa dei livelli medi di glucosio nel sangue già dalla seconda settimana di terapia; dallo studio è emerso che l’estratto sperimentato non ha avuto nessun effetto sui livelli di tiroxina e sui livelli di corticosteroidi indotti dal diabete mellito facendo concludere che probabilmente Gymnema sylvestre non influisce sulla tiroide nel diabete mellito di tipo 2 ormono-mediato. [20]

Nel 1988, in conigli resi diabetici, Gymnema sylvestre aveva dimostrato miglioramenti nella sintesi di glicogeno, nella glicolisi, nella gluconeogenesi epatica e nell’ assorbimento del glucosio nei muscoli [21,22] mentre in un altro studio Gymnema sylvestre aveva migliorato lo stato dell’ emoglobina e della glicosilazione proteica. [23]

Già nel 1985 Srivastava et al. avevano dimostrato l’attività anti-iperglicemia e di prolungamento della vita di un estratto acquoso dell’essiccato foglie di Gymnema sylvestre in ratti resi diabetici con alloxan; nello studio erano stati sperimentati quattro diversi dosaggi dell’estratto in questione (0,2 g – 0,4 g – 0,6 g – 0,8 g) in situazioni di valori di glicemia diversi; lo studio ha concluso che il risultato migliore di riduzione della glicemia era stato ottenuto nei casi di ratti moderatamente diabetici impiegando l’estratto alla dose di 0,6 g e lo stesso gruppo aveva di mostrato anche la massima aspettativa di vita; dallo studio è inoltre emerso che la somministrazione di un dosaggio superiore 0,6 g di estratto di Gymnema non dimostrava miglioramenti superiori nella gestione della glicemia. [24]

Sempre negli anni ’80, nel modello animale, di Gymnema sylvestre è stata dimostrata anche l’attività insulinotropica con riduzione dei livelli di glucosio a digiuno (a variazioni significative, P <0,001) insieme ad una riduzione considerevole dei livelli sierici dei lipidi migliorando contemporaneamente anche i livelli di proteine nel siero. [25]

Shanmugasundaram et al., (1990) hanno successivamente dimostrato che un particolare estratto etanolico (50%) da foglie di Gymnema sylvestre, chiamato GS3, ed il suo residuo processato chiamato GS4, nel ratto, hanno determinato un incremento del 30% nella massa totale delle cellule beta e anche del numero del isolotti pancreatici (p <0,001) accompagnandosi ad un significativo effetto nella gestione della glicemia a digiuno in 60 giorni per GS3 ed in 20 giorni per GS4. [26]

Persaud et al (1999) e successivamente Sheoran et al (2015) hanno dimostrato che, nel modello animale, Gymnema sylvestre stimola il rilascio di insulina da parte delle cellule HIT-T15, MIN-6, e da parte delle β-cellule RINm5F aumentando la permeabilità della membrana. In particolare il test con il tripan blu indica che l’estratto di Gymenma sylvestre è in grado di aumentare la permeabilità delle cellule alla tintura a causa dell’elevato contenuto di saponina nei composti glucosidici e che le componenti del fitocomplesso “Ca ++ sensibili” stimolano il rilascio di insulina migliorando l’afflusso di Ca ++ all’interno delle cellule beta. [27,28]

Conclusioni analoghe sono state proposte da Liu et al. (2009) studiando un estratto idroalcolico di Gymnema sylvestre (0,06-0,25 mg / ml conc.) attraverso la misurazione dei quantitativi di insulina secreta dalla linea di cellule beta MIN6; la concentrazione più elevata dell’estratto (> 0,5 mg / ml) determinava un maggiore assorbimento del tripan blu e aumentava i livelli di Ca ++ nelle cellule β. [29]

Anche Ahmed et al nel 2010 hanno dimostrato in vitro ed in vivo che l’estratto metanolico di foglie Gymnema sylvestre e del suo callo botanico esercitavano attività antidiabetiche attraverso la rigenerazione delle cellule beta. [30]

Sujin et al. nel 2008 hanno concluso che dosaggi incrementali molto elevati di Gymnema sylvestre (5 g – 10 g – 15 g – 20 g per 25 giorni) non hanno determinato un incremento della mortalità delle cavie ma sono stati osservati cambiamenti comportamentali cioè movimenti letargici e evidente soppressione dell’appetito. [31]

E’ storicamente noto che la polvere di Gymnema sylvestre è in grado di sopprimere potentemente lo stimolo del gusto del dolce a livello delle papille gustative; in particolare un composto isolato nell’ estratto acquoso delle foglie di Gymnema sylvestre si dimostra in grado, nel ratto, di alterare la risposta neurale del nervo chorda tympani verso il saccarosio; è stato stabilito che questo effetto dipenda da una particolare famiglia di amino acidi peptidici chiamati Gurmarine (35 aminoacidi acidi) dei quali il potenziale di alterazione della percezione dolce è stato misurato aspergendoli direttamente sulla lingua (1×10-6M) [32]; in un altro studio si è poi stabilito che l’effetto inibitorio delle gurmarine differisce tra le diverse regioni della lingua e in ceppi diversi di topi [33]; in particolare è stato dimostrato che sull’ apice della lingua dei ratti le gurmarine alterano la percezione del gusto principalmente per il loro legame con la proteina recettore responsabile del percezione del gusto dolce. [34]

Kamble et al. (2016) in un modello di diabete indotto nel ratto, hanno studiato l’interazione farmacocinetica e farmacodinamica di 400 mg / kg di estratto di Gymnema sylvestre unitamente a 0,8 mg/kg di glimepiride per quattro settimane; i risultati dello studio hanno rivelato una interazione farmacodinamica positiva con un significativo aumento delle attività anti-iperglicemiche senza alterazioni nei principali parametri farmacocinetici. [35]

Un estratto di Gymnema sylvestre complessato con nanoparticelle di chitosano è stato valutato nel ratto in un modello di diabete indotto con streptozotocina e l’estratto in questione ha dimostrato di diminuire i livelli di glicemia digiuno e di emoglobina glicosilata alla dose di 100 mg/kg di peso corporeo. [36]

[20] Gupta SS, Seth CB. Experimental studies on pituitary diabetes. II. Comparison of blood sugar level in normal and anterior pituitary extract-induced hyperglycaemic rats treated with a few Ayurvedic remedies. Indian J Med Res 1962; 50: 708.
[21] Porchezhian E, Dobriyal RM. An overview on the advances of Gymnema sylvestre: chemistry, pharmacology and patents. Pharmazie 2003; 58: 5-12.
[22] Shanmugasundaram KR, Panneerselvam C, Samudram P, Shanmugasundaram ERB. Enzyme changes and glucose utilisation in diabetic rabbits: the effect of Gymnema sylvestre, R. Br. J Ethnopharmacol 1983; 7: 205-34.
[23] Shanmugasundaram ERB, Venkatasubrahmanyam M, Vijendran N, Shanmugasundaram KR. Effect of an isolate from Gymnema sylvestre, R. Br. in the control of diabetes mellitus and the associated pathological changes. Anc Sci Life 1988; 7: 183.
[24] Srivastava Y, Nigam SK, Bhatt HV, Verma Y, Prem AS. Hypoglycemic and life-prolonging properties of Gymnema sylvestre leaf extract in diabetic rats. Isr J Med Sci 1985; 21: 540.
[25] Shanmugasundaram KR, Panneerselvam C, Samudram P, Shanmugasundaram E. The insulinotropic activity of Gymnema sylvestre, R. Br. An Indian medical herb used in controlling diabetes mellitus. Pharmacol Res Commun 1981; 13: 475-86.
[26] Shanmugasundaram ERB, Gopinath KL, Shanmugasundaram KR, Rajendran VM. Possible regeneration of the islets of Langerhans in streptozotocin-diabetic rats given Gymnema sylvestre leaf extracts. J Ethnopharmacol 1990; 30: 265-79.
[27] Persaud SJ, Al-Majed H, Raman A, Jones PM. Gymnema sylvestre stimulates insulin release in vitro by increased membrane permeability. J Endocrinol 1999; 163: 207-12.
[28] Sheoran S, Panda BP, Admane PS, Panda AK, Wajid S. Ultrasound- assisted extraction of gymnemic acids from Gymnema sylvestre leaves and its effect on insulin-producing RINm-5 F β cell lines. Phytochem Anal 2015; 26: 97-104.
[29] Liu B, Asare-Anane H, Al-Romaiyan A et al. Characterisation of the insulinotropic activity of an aqueous extract of Gymnema sylvestre in mouse β-cells and human islets of Langerhans. Cell Physiol Biochem 2009; 23: 125-32.
[30] Ahmed ABA, Rao AS, Rao MV. In vitro callus and in vivo leaf extract of Gymnema sylvestre stimulate β-cells regeneration and anti-diabetic activity in Wistar rats. Phytomedicine 2010; 17: 1033-9.
[31] Sujin RM. Anti-diabetic effect of Gymnema sylvestre (asclepiadaceae) powder in the stomach of rats. Ethnobot Leafl 2008; 2008: 153.
[32] Imoto T, Miyasaka A, Ishima R, Akasaka K. A novel peptide isolated from the leaves of Gymnema sylvestre—I. Characterization and its suppressive effect on the neural responses to sweet taste stimuli in the rat. Comp Biochem Physiol A Comp Physiol 1991; 100: 309-14.
[33] Shigemura N, Nakao K, Yasuo T et al. Gurmarin sensitivity of sweet taste responses is associated with co-expression patterns of T1r2, T1r3, and gustducin. Biochem Biophys Res Commun 2008; 367: 356-63.
[34] Miyasaka A, Imoto T. Electrophysiological characterization of the inhibitory effect of a novel peptide gurmarin on the sweet taste response in rats. Brain Res 1995; 676: 63-8.
[35] Kamble B, Gupta A, Moothedath I et al. Effects of Gymnema sylvestre extract on the pharmacokinetics and pharmacodynamics of glimepiride in streptozotocin induced diabetic rats. Chem Biol Interact 2016; 245: 30-8.
[36] Venkatachalam P, Thiyagarajan M, Sahi SV. Fabrication of bioactive molecules loaded chitosan nanoparticles using Gymnema sylvestre leaf extracts and its antidiabetic potential in experimental rat model. J Bionanosci 2015; 9: 363-72.

 

Componenti bioattivi responsabili dell’attività antidiabetica

La componente principale di Gymnema sylvestre è rappresentata dagli acidi gymnemici, che sono una miscela complessa di almeno 17 diverse saponine [37] per lo più oleananiche [38] e una frazione di composti del dammarano [39]; recentemente sono state isolate nel fitocomplesso di Gymnema sylvestre 7 altre nuove saponine del dammarano chiamate gymnemidesidi (I-VII).
I principali componenti saponinici responsabili dell’ effetto anti-iperglicemico di Gymnema sylvestre sono i gymnemosidi e lacido gymnemico [40] ed in particolare la frazione triterpenica glicosidica della pianta è responsabile della riduzione del consumo di glucosio nel tessuto muscolare. [41,42]

Nel ratto i composti glicosidi triterpenici e vari gymnemosidi estratti da Gymnema sylvestre dimostrano evidenti effetti inibitori dell’assorbimento di glucosio [43] ed in particolare un nuovo composto chiamato triacetato diidrossilato gymnemico, isolato nell’estratto da acetone, alla dose di 20 mg/kg, ha potentemente ridotto il livello di zucchero nel sangue del 65% e l’emoglobina glicosilata del 39,56% con un aumento dei livelli di insulina plasmatica del 63%. [44]

La somministrazione dell’acido gymnemico IV isolato (13,5 mg/kg) ha dimostrato di ridurre i livelli di zucchero nel sangue del 60% con effetti simili alla glibenclamide a dosaggio di 14,8 mg / kg. [45] 

Studi recenti basati sull’ analisi cristallografica della gymnemagenina ne hanno confermato un ruolo chiave nella regolazione del metabolismo dei carboidrati. [46]

[37] Yoshikawa K, Kondo Y, Arihara S, Matsuura K. Antisweet natural products. IX. Structures of gymnemic acids XVXVIII from Gymnema sylvestre R. Br. V. Chem Pharm Bull (Tokyo) 1993; 41: 1730-2.
[38] Ye WC, Zhang QW, Liu X, Che CT, Zhao SX. Oleanane saponins from Gymnema sylvestre. Phytochemistry 2000; 53: 893-9.
[39] Yoshikawa K, Arihara S, Matsuura K, Miyaset T. Dammarane saponins fromGymnema sylvestre. Phytochemistry 1992; 31: 237-41.
[40] Murakami N, Murakami T, Kadoya M, Matsuda H, Yamahara J, Yoshikawa M. New hypoglycemic constituents in “gymnemic acid” form gymnema sylvestre. Chem Pharm Bull (Tokyo) 1996; 44: 469-71.
[41] Shenoy RS, Prashanth KVH, Manonmani HK. In Vitro Antidiabetic Effects of Isolated Triterpene Glycoside Fraction from Gymnema sylvestre. Evid Based Complement Alternat Med 2018; 2018: 7154702.
[42] Bnouham M, Ziyyat A, Mekhfi H, Tahri A, Legssyer A. Medicinal plants with potential antidiabetic activity-A review of ten years of herbal medicine research (1990-2000). Int J Diabetes Metab 2006; 14: 1.
[43] Yoshikawa M, Murakami T, Matsuda H. Medicinal foodstuffs. X. Structures of new triterpene glycosides, gymnemosides- c,-d,-e, and-f, from the leaves of Gymnema sylvestre R. Br.: influence of gymnema glycosides on glucose uptake in rat small intestinal fragments. Chem Pharm Bull (Tokyo) 1997; 45: 2034-8.
[44] Daisy P, Eliza J, Farook KAMM. A novel dihydroxy gymnemic triacetate isolated from Gymnema sylvestre possessing normoglycemic and hypolipidemic activity on STZ-induced diabetic rats. J Ethnopharmacol 2009; 126: 339-44.
[45] Sugihara Y, Nojima H, Matsuda H, Murakami T, Yoshikawa M, Kimura I. Antihyperglycemic effects of gymnemic acid IV, a compound derived from Gymnema sylvestre leaves in streptozotocin-diabetic mice. J Asian Nat Prod Res 2000; 2: 321-7.
[46] Rathore PK, Arathy V, Attimarad VS, Kumar P, Roy S. Insilico analysis of gymnemagenin from Gymnema sylvestre (Retz.) R. Br. with targets related to diabetes. J Theor Biol 2016; 391: 95-101.

 

Attività anti iperlipidemica

Il diabete mellito è spesso associato a disturbi nel metabolismo dei lipidi coinvolgendo i livelli di lipoproteine [47] e queste anomalie sono coinvolte nel determinare l’ insulino resistenza attraverso diversi fattori. La somministrazione orale nel ratto di un estratto di foglie di Gymnema sylvestre (25-100 mg/kg), per due settimane, ha determinato un declino significativo del profilo lipidico in modo dose dipendente; l’estratto in questione (a 100 mg/kg) di Gymnema sylvestre ha ridotto significativamente i trigliceridi sierici e il colesterolo totale dimostrando proprietà anti aterosclerotiche quasi comparabili con un agente ipolipemizzante standard. [48]

Mall et al. (2009) hanno dimostrato che elevati dosaggi di un estratto acquoso da foglie di Gymnema sylvestre (fino a 800 mg/kg di peso corporeo per 30 giorni) ha indotto una evidente attività ipolipemizzante in ratti resi diabetici con alloxan con un aumento contemporaneo di lipoproteine ad alta densità. [49]

A conclusioni simili sono arrivati Rachh et al. nel 2010 che hanno dimostrato che un estratto idroalcolico da foglie di Gymnema sylvestre (200 mg/kg), in ratti sottoposti ad una dieta ad alto contenuto di colesterolo (colesterolo 2% + 1% cholato di sodio + 2% di olio di cocco), ha determinato un considerevole decremento dei parametri lipidici e un aumento significativo (p <0,05) nel livello di HDL. [12]

Una miscela (4,68 g/kg) di Gymnema sylvestre con chitosano e acido ascorbico (1:10:2), ha dimostrato effetti protettivi contro l’ipercolesterolemia attraverso la diminuzione significativa dei trigliceridi sierici (35,87%), di colesterolo totale (43,89%), di LDL (54,00%) e dell’indice aterogenico (AI) (41,47%) [50]; inoltre Shigematsu et al. (2001) hanno osservato che un estratto da foglie dell’officinale, nel ratto, induceva una evidente riduzione della digestione dei grassi [51]; un composto isolato, il triacetato di-idrossi gymenmico, ha dimostrato di determinare una riduzione del colesterolo totale, dei trigliceridi, delle LDL del 54%, 55% e 40% rispettivamente e contemporaneamente di aumentare i livelli di HDL. [44]

[12] Rachh PR, Rachh MR, Ghadiya NR et al. Antihyperlipidemic activity of Gymenma sylvestre R. Br. leaf extract on rats fed with high cholesterol diet. Int J Pharmcol 2010; 6:138-41.
[44] Daisy P, Eliza J, Farook KAMM. A novel dihydroxy gymnemic triacetate isolated from Gymnema sylvestre possessing normoglycemic and hypolipidemic activity on STZ-induced diabetic rats. J Ethnopharmacol 2009; 126: 339-44.
[47] Omae T, Shimamoto C, Hiraike Y et al. Hyperlipidemia and fat absorption in model rats with type 2 diabetes mellitus. Bull Osaka Med Coll 2006; 52: 45-58.
[48] Bishayee A, Chatterjee M. Hypolipidaemic and antiatherosclerotic effects of oral Gymnema sylvestre R. Br. Leaf extract in albino rats fed on a high fat diet. Phytother Res 1994; 8: 118-20.
[49] Mall GK, Mishra PK, Prakash V. Antidiabetic and hypolipidemic activity of Gymnema sylvestre in alloxan induced diabetic rats. Global J Biotechnol Biochem 2009; 4: 37-42.
[50] Osman M, Fayed SA, Ghada IM, Romeilah RM. Protective effects of chitosan, ascorbic acid and gymnema sylvestre against hypercholesterolemia in male rats. Aust J Basic Appl Sci 2010; 4: 89-98.
[51] Shigematsu N, Asano R, Shimosaka M, Okazaki M. Effect of administration with the extract of Gymnema sylvestre R. Br leaves on lipid metabolism in rats. Biol Pharm Bull 2001; 24: 713-7.

 

Attività anti-obesità

La deposizione di grasso addominale è ritenuto un punto chiave come fattore precursore del diabete, infatti l’aumento di adipociti diminuisce la quantità di recettori dell’ insulina sulle cellule che nel nostro corpo ne sono bersaglio; questa situazione determina una sostanziale riduzione della richiesta di insulina circolante e potenzialmente ne riduce le sue funzioni metaboliche. Attualmente una percentuale allarmante (40-80 %) dei pazienti diabetici è classificata come obesa. Come noto gli adipociti secernono ormone resistivo [52] e studi nel ratto hanno concluso che la prevalenza della resistenza nella circolazione sanguigna accentui lo sviluppo dell’ insulino-resistenza. Recenti indagini in vivo e in vitro hanno dimostrato che la resistenza induce il metabolismo del glucosio e nei modelli murini la somministrazione di resistina amplifica palesemente la glucogenesi nel fegato. [53]

In generale è stato dimostrato Gymnema sylvestre possiede utili proprietà per la gestione sia di obesità sia di diabete. Ad esempio la somministrazione di una miscela contenente Gymnema sylvestre, glucomannano, fieno greco, vitamina C e chitosano in pazienti obesi (indice 30 kg/m2 o più) ha comportato una riduzione significativa nel loro peso e della percentuale complessiva di grasso. La somministrazione di acido gymnemico dimostra di aumentare l’ escrezione fecale di steroidi e colesterolo [55] e nel ratto l’estratto di Gymnema sylvestre ha frenato l’aumento del peso [56] così come l’estratto da foglie in esano (150 mg/kg e 250 mg/kg di peso corporeo) che ha ridotto in modo significativo (p <0,001) l’ aumento del peso corporeo in Ratti Sprague Dawley. [13]

Uno studio ha valutato l’ effetto di un estratto di Gymnema sylvestre ad elevata biodisponibilità in un integratore per la perdita di peso in soggetti leggermente obesi; in questo integratore l’ estratto della pianta era miscelato con cromo e niacina; lo studio ha concluso che la miscela in questione ha determinato effetti positivi sulla perdita di peso valutandone gli effetti in termini di variazione del peso corporeo, di indice di massa corporea, sull’ appetito, sui trigliceridi sierici, sul colesterolo totale, HDL, LDL, sulla leptina e sulle concentrazioni di serotonina oltre che sull’ eliminazione dei metaboliti del grasso nelle urine [57]; in generale l’ estratto di Gymnema sylvestre è utile nella perdita di peso in quanto riduce la voglia di dolci e controlla le concentrazioni di zucchero nel sangue.

[13] Manish K, Aditi K, Renu A, Gajraj S, Poonam M. Antiobesity property of hexane extract from the leaves of Gymnema sylvestre in high fed cafeteria diet induced obesity rats. International Research Journal of Pharmacy 2011; 2: 112-6.
[52] Steppan CM, Bailey ST, Bhat S et al. The hormone resistin links obesity to diabetes. Nature 2001; 409: 307-12.
[53] Rajala MW, Obici S, Scherer PE, Rossetti L. Adipose-derived resistin and gut-derived resistin-like molecule–β selectively impair insulin action on glucose production. J Clin Invest 2003; 111: 225-30.
[54] Pravenec M, Kazdová L, Landa V et al. Transgenic and recombinant resistin impair skeletal muscle glucose metabolism in the spontaneously hypertensive rat. J Biol Chem 2003; 278: 45209-15.
[55] Nakamura Y, Tsumura Y, Tonogai Y, Shibata T. Fecal steroid excretion is increased in rats by oral administration of gymnemic acids contained in Gymnema sylvestre leaves. J Nutr 1999; 129: 1214-22.
[56] Shigematsu N, Asano R, Shimosaka M, Okazaki M. Effect of long term-administration with Gymnema sylvestre R. BR on plasma and liver lipid in rats. Biol Pharm Bull 2001; 24: 643-9.
[57] Preuss HG, Bagchi D, Bagchi M, Rao CVS, Satyanarayana S, Dey DK. Efficacy of a novel, natural extract of (–)-hydroxycitric acid (HCA-SX) and a combination of HCASX, niacin-bound chromium and Gymnema sylvestre extract in weight management in human volunteers: A pilot study. Nutr Res 2004; 24: 45-58.

 

Attività antiossidante

Lo stress ossidativo conseguente alla condizione diabetica viene ritenuto responsabile dello sviluppo di complicanze secondarie infatti le specie reattive dell’ossigeno (ROS) vengono generate dalle reazione di glicazione che si verifica in vari tessuti e svolge un ruolo deleterio nelle complicanze secondarie diabetiche. [58]

L’ instaurarsi della situazione di stress ossidativo, in peggioramento del diabete, è stato dimostrato dipendere anche da un’ulteriore produzione di radicali liberi generati da glicosilazione proteica non enzimatica, auto-ossidazione del glucosio, alterazioni di enzimi antiossidanti e aumento della perossidazione lipidica. [59]

Gli antiossidanti sono efficaci nel ridurre le complicazioni del diabete e infatti numerosi ricercatori hanno sostenuto la guarigione dalla resistenza all’ insulina, in pazienti diabetici di tipo 2 con malattie cardiovascolari, grazie alla somministrazione di antiossidanti come vitamina C, glutatione e vitamina E.
L’estratto alcolico di Gymnema sylvestre si dimostra in grado di migliorare i test DPPH e limitare l’espressione di superossido e idrogeno perossido; questa capacità di Gymnema sylvestre di ridurre i radicali liberi è stata anche confermata in un modello di riduzione ferrica in cui la capacità antiossidante si è dimostrata di 17,54 mg/g espressa in termini di acido ascorbico. [14]

La somministrazione di una miscela (4,6 g/kg) di chitosano, vitamina C e Gymnema sylvestre (10:2:1) ha determinato una notevole riduzione (19,27%) (p <0,05) nell’ alanino aminotransferasi plasmatica. [50]

[14] Rachh PR, Patel SR, Hirpara HV et al. In vitro evaluation of antioxidant activity of Gymnema sylvestre r. br. leaf extract. Romanian J Biology Plant Biol 2009; 54: 141-8.
[50] Osman M, Fayed SA, Ghada IM, Romeilah RM. Protective effects of chitosan, ascorbic acid and gymnema sylvestre against hypercholesterolemia in male rats. Aust J Basic Appl Sci 2010; 4: 89-98.
[58] Kaneto H, Kajimoto Y, Miyagawa J et al. Beneficial effects of antioxidants in diabetes: possible protection of pancreatic beta- cells against glucose toxicity. Diabetes 1999; 48: 2398-406.
[59] Moussa SA. Oxidative stress in diabetes mellitus. Romanian J Biophys 2008; 18: 225-36.

 

Attività immunomodulatorie

Come noto il diabete di tipo 2 coinvolge per più aspetti il sistema immunitario correlandosi ad infiammazione ed anomalie del metabolismo del glucosio con specifico riferimento alle citochine che vengono prodotte quando i macrofagi entrano negli adipociti; queste citochine inducono specificamente sul fegato, muscolo o sulle cellule di grasso situazione di insulino resistenza; nella malattia diabetica risultano aumentati diversi marcatori di infiammazione come la proteina C-reattiva, il fibrinogeno, le interleuchine e il fattore di necrosi tumorale-α. [60]

Gli estratti di Gymnema sylvestre dimostrano di limitare il rilascio di istamina in vitro [21] e l’ estratto di foglie ha dimostrato di indurre una elevata chemiotassi dei neutrofili ed una riduzione dei neutrofili dimostrando un coinvolgimento nell’ attività metabolica dei neutrofili fagocitanti.
Questi effetti sono probabilmente dovuti alla presenza di tannini nelle foglie di Gymnema che hanno proprietà antinfiammatorie e immunomodulatorie [16]; inoltre l’estratto metanolico di foglie di Gymnema sylvestre ha mostrato un potenziale effetto sul sistema immunitario nella proliferazione dei linfociti che porta alla stimolazione di mieloide e linfoide dimostrando di poter ripristinare l’ immunità innata [61].

[16] Malik JK, Manvi FV, Nanjwade BK, Alagawadi KR, SinshS. Immunomodulatory activity of Gymnema sylvestre R. Br.. leaves on in vitro human neutrophils. J Pharm Res 2009; 2: 1284-6.
[21] Porchezhian E, Dobriyal RM. An overview on the advances of Gymnema sylvestre: chemistry, pharmacology and patents. Pharmazie 2003; 58: 5-12.
[60] Rizvi AA. The role of inflammation in diabetes and its complications. South Med J 2006; 99: 8-10.
[61] Singh VK, Dwivedi P, Chaudhary BR, Singh R. Immunomodulatory Effect of Gymnema sylvestre (R. Br.) Leaf Extract: An In Vitro Study in Rat Model. PLoS One 2015; 10: e0139631

 

Attività di guarigione delle ferite

Il diabete riduce esponenzialmente la capacità del corpo nella guarigione delle ferite, quindi una ferita grave o l’ infezione mai guarita da una semplice ferita, rappresenta sempre una grande minaccia. [18] 

In un recente studio del 2011, due preparati in gel a base di estratto idroalcolico di Gymnema sylvestre e di Tageteserecta Linn. sono stato studiati in comparazione con un gel contente entrambi gli officinali, per determinare la loro attività di cicatrizzazione in topi albini; per entrambi i preparati contenenti i singoli officinali è stata osservata una importante riduzione nel tempo richiesto per la rigenerazione dei tessuti epiteliali mentre il gel combinato contenente entrambi gli officinali ha dimostrato una evidente accelerazione del processo di guarigione della ferita. [62]

Gli estratti idroalcolici di Gymenma sylvestre dimostrano un potenziale nell’ accelerare la guarigione delle ferite grazie al loro potenziale antiossidante e principalmente per il loro elevato contenuto in flavonoidi.

[18] Meyer JS. Diabetes and wound healing. Crit Care Nurs Clin North Am 1996; 8: 195-201. 10 D. Yadav, M. Kwak, J-O Jin
[62] Kiranmai M, Kazim SM, Ibrahim M. Combined wound healing activity of Gymnema sylvestere and Tagetes erecta Linn. Int J Pharm Appl 2011; 1: 135-40.

 

Alcuni studi sull’uomo

Gymnema sylvestre ha dimostrato nelle prove cliniche di essere un efficace agente antidiabetico.
L’ attività insulinotropica di Gymnema sylvestre è stata osservata già negli anni 80 da Shanmugasundaram et al., in soggetti adulti (età 25-40 anni), somministrando 2 g/die dell’ estratto in due dosi. [25]

Un estratto acquoso di foglie di Gymnema sylvestre quando somministrato a dosaggio di 2 g tre volte al giorno in 10 individui normali per un periodo di dieci giorni e in 6 pazienti diabetici per quindici giorni, ha dimostrato di ridurre la glicemia a digiuno e di migliorare il test orale di tolleranza al glucosio (OGTT). [63]

La somministrazione due volte al giorno di 400 mg di un estratto di foglie di Gymnema sylvestre ha dimostrato di diminuire la concentrazione di emoglobina (HbA1C) in pazienti diabetici. [64]

In generale l’ applicabilità di Gymnema sylvestre nel diabete sia di tipo 1 sia di tipo 2 è stata stabilita da vari studi; in uno di questi sono stati valutati gli effetti dell’ estratto “GS4” al dosaggio di 400 mg/die su 22 pazienti con diabete di tipo 2; dallo studio è emerso che l’ estratto sperimentato riduceva significativamente i livelli di glucosio plasmatici (p <0,001), HbA1c (p <0,001) e livelli di proteina plasmatica glicosilata (GPP) durante i 18-20 mesi del tempo di valutazione. [65]

In un altro studio è stata valutata l’ efficacia di un estratto di Gymnema sylvestre su 27 pazienti diabetici tipo 1 per 6 fino a 30 mesi e dallo studio è emerso che Gymnema sylvestre è stata in grado di ridurre drasticamente i livelli del GPP nei primi sei-otto mesi e quindi di ridurre l’ amilasi sierica (p <0,001) entro 16 – 18 mesi. Rispetto alla terapia insulinica (n = 37), Gymnema sylvestre dimostrava una notevolmente capacità di incremento del C-peptide sierico tra i 16 e i 18 mesi (p <0,001). [66]

Paliwal et al. nel 2009 hanno studiato gli effetti della somministrazione di polvere di Gymnema sylvestre sulla concentrazione plasmatica di glucosio in 20 donne diabetiche di tipo 2 di età compresa tra 40-60 anni che vivevano in Udaipur (Rajasthan); alle pazienti ogni giorno sono stati somministrati 6 grammi di Gymnema sylvestre foglia in polvere in tre diverse somministrazioni e questo intervento ha dimostrato di ridurre la glicemia, senza effetti collaterali indesiderati, rivelandosi un efficace rimedio e un potenziale agente terapeutico ipoglicemizzante. [67]

Yadav et al. (2017) hanno condotto una valutazione clinica su una formulazione polierbale a base di Gymnema sylvestre e di altre 10 erbe (GSPF “kwath”) che ha dimostrato di esercitare una significativa riduzione della glicemia (23,5% e 26,7% per il livello di glucosio a digiuno e postprandiale, rispettivamente) e dell’ emoglobina glicosilata (11,7%). In 6 mesi di terapia con GSPF si è evidenziata inoltre una riduzione dei livelli di colesterolo sierico (14,4%), dei trigliceridi (21,7%), delle LDL (26,8%) e delle VLDL (21,7%) inoltre si è osservato un forte aumento dei marker biochimici antiossidanti. [68].

Analogamente in un altro studio (Kurian et al., 2014), una poli formulazione erbale contenente Gymnema sylvestre (G-400), al dosaggio di 1000 mg/giorno per 8 settimane, ha dimostrato effetti di attenuazione dell’ iperglicemia e dell’ iperlipidemia. [69]

Yadav et al. nel 2017 hanno ulteriormente puntualizzato gli aspetti preventivi e terapeutici di Gymnema sylvestre nel diabete di tipo 2. [70]

[25] Shanmugasundaram KR, Panneerselvam C, Samudram P, Shanmugasundaram E. The insulinotropic activity of Gymnema sylvestre, R. Br. An Indian medical herb used in controlling diabetes mellitus. Pharmacol Res Commun 1981; 13: 475-86.
[63] Khare AK, Tondon RN, Tewari JP. Hypoglycaemic activity of an indigenous drug (Gymnema sylvestre,’Gurmar’) in normal and diabetic persons. Indian J Physiol Pharmacol 1983; 27: 257.
[64] Joffe DJ, Freed SH. Effect of extended release gymnema sylvestre leaf extract (Beta Fast GXR) alone or in combination with oral hypoglycemics or insulin regimens for type 1 and type 2 diabetes. Diabetes Control Newslett 2001; 76.
[65] Baskaran K, Ahamath BK, Shanmugasundaram KR, Shanmugasundaram ERB. Antidiabetic effect of a leaf extract from Gymnema sylvestre in non-insulin-dependent diabetes mellitus patients. J Ethnopharmacol 1990; 30: 295-305.
[66] Shanmugasundaram ERB, Rajeswari G, Baskaran K, Kumar BRR, Shanmugasundaram KR, Ahmath BK. Use of Gymnema sylvestre leaf extract in the control of blood glucose in insulin-dependent diabetes mellitus. J Ethnopharmacol 1990; 30: 281-94.
[67] Paliwal R, Kathori S, Upadhyay B. Effect of Gurmar (Gymnema sylvestre) powder intervention on the blood glucose levels among diabetics. Stud Ethno-Med 2009; 3: 133-5.
[68] Mahajan S, Chauhan P, Subramani SK et al. Evaluation of “GSPF kwath”: A Gymnema sylvestre-containing polyherbal formulation for the treatment of human type 2 diabetes mellitus. Eur J Integr Med 2015; 7: 303-11.
[69] Kurian GA, Manjusha V, Nair SS, Varghese T, Padikkala J. Short-term effect of G-400, polyherbal formulation in the management of hyperglycemia and hyperlipidemia conditions in patients with type 2 diabetes mellitus. Nutrition 2014; 30: 1158-64.
[70] Yadav D, Cho K-H. Preventive and therapeutic aspects of selected herbal medicines in diabetes mellitus. Progress in Nutrition 2017; 19: 117-26.

 

Altri potenziali terapeutici di Gymnema sylvestre

Gymnema sylvestre ha dimostrato di possedere diverse altre attività terapeutiche infatti varie parti del pianta sono state impiegate come tonico per il fegato, contro il vomito, come diuretici, come rinfrescanti, come astringenti, per la guarigione ed il trattamento delle anomalie di fegato e milza, come anti gas, anti acidi, come lassativi, anti itterici, contro elmintiasi e per regolare le mestruazioni anormali.
In vitro gli estratti in etere di petrolio, in cloroformio, in miscela idroetanolica, in esano di Gymnema sylvestre dimostrano attività antibiotica verso diversi specie batteriche come ad esempio il Bacillus subtilis, lo Staphylococcus aureus ma non l’Escherichia coli. [17,71,72]

Gli acidi gymnemici agiscono come antifungini nei confronti di Candida albicans. [73]

[17] Satdive RK, Abhilash P, Fulzele DP. Antimicrobial activity of Gymnema sylvestre leaf extract. Fitoterapia 2003; 74: 699-701.
[71] Saumendu DR, Jeet K, Dipankar S, Singh TB, Prabha BA. In vitro antibiotic activity of various extracts of Gymnema sylvestre. Int J Pharma Res Devel 2010; 2.
[72] Thalikunnil ST, Sukesh K, Densingh J. Phytochemical investigation and antibacterial activity of Gymnema sylvestre and Andrographis paniculata from western ghats. Phytomedicine 2011; 3: 254.
[73] Vediyappan G, Dumontet V, Pelissier F, d’Enfert C. Gymnemic acids inhibit hyphal growth and virulence in Candida albicans. PLoS One 2013; 8: e74189.

 

Potenziali anticancro

In vitro alcuni estratti di Gymnema sylvestre in cloroformio, etil acetato ed alcolici sono stati testati su linee cellulari A549 (cancro polmonare umano) e MCF7 (linee cellulari umane di cancro al seno) a concentrazioni di 50 e 100 μg / ml; questi estratti hanno dimostrato di influenzare positivamente le linee cellulari MCF 7 con effetti dose-dipendenti mentre l’ effetto sulle celle A549 è risultato banale [74]; l’ attività antitumorale potrebbe essere ricondotta in generale alla presenza degli acidi gymnemici infatti le saponine isolate dimostrano evidenti effetti citotossici sulle cellule tumorali. [15,75,76]

[15] Arunachalam KD, Arun LB, Annamalai SK, Arunachalam AM. Potential anticancer properties of bioactive compounds of Gymnema sylvestre and its biofunctionalized silver nanoparticles. Int J Nanomedicine 2015; 10: 31.
[74] Jayachitra A, Muniyandi MJ. Pharmacological potential of Gymnema sylvestre: A review. J Pharmacol Toxicol Investig 2015; 1: 54-8.
[75] Khanna V, Kannabiran K. Anticancer-cytotoxic activity of saponins isolated from the leaves of Gymnema sylvestre and Eclipta prostrata on HeLa cells. Int J Green Pharm 2009; 3: 227.
[76] Nakkala JR, Mata R, Bhagat E, Sadras SR. Green synthesis of silver and gold nanoparticles from Gymnema sylvestre leaf extract: study of antioxidant and anticancer activities. J Nanopart Res 2015; 17: 151.

 

Attività anti-artritica

Un estratto in etere di petrolio ed un estratto acquoso di foglie di Gymnema sylvestre sono stati studiati per dimostrarne l’ attività anti-artritica in un modello di artrite indotta in ratti albini; in particolare la presenza di steroidi, triterpenoidi e glicosidi saponinici in Gymnema sylvestre spiegherebbe il potenziale antiartritico dell’ officinale ed in particolare l’ estratto di etere di petrolio ha dimostrato una significativa capacità di ridurre il gonfiore nella zampa probabilmente per inibizione delle cellule infiammatorie. [19,77]

[19] Malik JK, Manvi FV, Nanjware BR, Dwivedi DK, Purohit P, Chouhan S. Anti-arthritic activity of leaves of Gymnema sylvestre R. Br. leaves in rats. Pharm Lett 2010; 2: 336-41.
[77] Eric G, Lawrence J. Rheumatoid arthritis and its therapy. The textbook of therapeutics drug and disease management Baltimore: Williams and Wilkins Company 1996: 579-95.

 

Valutazione tossicologica di Gymnema sylvestre

Anche negli studi a lungo termine non vi è segnalazione di effetti indesiderati significativi causati da Gymnema sylvestre, tuttavia la sua somministrazione potrebbe (secondo i dosaggi) causare ipoglicemia e potenzialmente aumentare gli effetti di farmaci ipoglicemizzanti. Alte dosi di foglie di Gymnema sylvestre non mostrano alcun effetto negativo sulla mucosa gastrointestinale [78]; studi di tossicità acuta nel ratto hanno evidenziato modifiche comportamentali negative con evidenti scatti neurologici ed autonomici. Il rapporto di sicurezza (LD50 / ED50) era sedici anni nei ratti diabetici e undici anni in quelli normali. [79]

La tossicità della pianta (o di sue parti) sull’ uomo è stata prevalentemente valutata in pazienti che facevano uso quotidiano di Gymnema sylvestre senza evidenziare anomalie dell’ urea sierica, dell’ acido urico e dei livelli di emoglobina tuttavia, si suggerisce di evitare la somministrazione di Gymnema sylvestre durante la gravidanza. Gymnema sylvestre è generalmente sicura e priva di effetti collaterali tuttavia la sua somministrazione è raccomandata sotto la supervisione clinica del professionista sanitario.

[78] Diwan PV, Margaret I, Ramakrishna S. Influence ofGymnema sylvestre on inflammation. Inflammopharmacology 1995; 3: 271-7.
[79] Chattopadhyay RR. A comparative evaluation of some blood sugar lowering agents of plant origin. J Ethnopharmacol 1999; 67: 367-72.

 


Progress in Nutrition 2019; Vol. 21, N. 2: 00-00 DOI: 10.23751/pn.v21i2.7780.

Clinical Applications of Gymnema sylvestre against type 2 diabetes mellitus and its Associated Abnormalities.

Dhananjay Yadav(1), Minseok Kwak(2), Jun-O Jin(1,3)

Author information:

(1)Department of Medical Biotechnology, Yeungnam University, Gyeongbuk, Republic of Korea;
(2)Department of Chemistry, Pukyong National University, Busan, Republic of Korea
(3)Shanghai Public Health Clinical Center, Shanghai Medical College, Fudan University, Shanghai, China

Abstract

Summary. Diabetes mellitus (Madhumeha) is one of the leading metabolic disorder prevalent in the developing countries which is characterized by high blood sugar level and is associated with macrovascular and microvascular complications. The Indian Ayurveda describes several herbs for the management and treatment of diabetes mellitus among which Gymnema sylvestre (Asclepiadaceae) is revered as a potential antidiabetic herbal drug which has the capability of simultaneously regenerating β-cell and stimulating insulin secretion. Gymnema sylvestre also possesses anti-obesity, anti-hyperlipidemic, anti-inflammatory, and anti-cancerous activities.
This review updates the recent developments in the experimental studies conducted on the Gymnema sylvestre as an effective remedy for diabetes mellitus evidenced by both animals and human studies. Moreover, this study also discussed the toxicity of Gymnema sylvestre and future challenges in the roadmap of formulation for prevention and control of diabetes.

ISSN: 1129-8723

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Newsletter Ayurveda nr. 52 – Aprile 2019

Newsletter n° «52»

Aprile 2019

FOCUS TAILAM

Shankhpushpi” in Shankhapushpi Taila

 

ASIAN PACIFIC JOURNAL OF TROPICAL BIOMEDICINE 4.3 (2014): 245-252.

AN UPDATE ON AYURVEDIC HERB CONVOLVULUS PLURICAULIS CHOISY.

Parul Agarwa*, Bhawna Sharma, Amreen Fatima, Sanjay Kumar Jain

Shankhapushpi Taila è uno dei classici oli della tradizione ayurvedica del quale origine e formulazione sono riportati negli antichi testi Asthanga Hridaya e Sahasrayogam.

Questo particolare olio per il massaggio ayurvedico è armonizzante per i tre Dosha nei suoi effetti più generalizzati e prende il nome da una delle piante in esso contenute e cioè lo “Shankhpushpi” o “Shankhapushpi” che è un nome tradizionale attribuito a più piante apparentemente simili, ma delle quali una soltanto una è impiegata in Ayurveda e cioè il Convolvulus pluricaulis Choisy che in Shankhapushpi Taila è contenuto.

In Shankhapushpi Taila sono contenute inoltre altre numerose piante medicinali tra le quali ricordiamo il Phyllanthus emblica, la Terminalia belerica, la Terminalia chebula (i tre componenti di Triphala) e la Terminalia arjuna nota per i suoi benefici cardiovascolari e anti stress psico-fisico.

Alla conoscenza di “Shankhpushpi” è dedicata questa newsletter nella quale segnaliamo un articolo scientifico, pubblicato nel 2014 da Asian Pacific journal of tropical biomedicine (Elsevier) e disponibile in PubMed, che riassume i principali razionali farmacologici che sostengono il generale utilizzo tradizionale della pianta come medicinale ed i suoi potenziali nella pratica clinica.

La newsletter, utilizzando come riferimento principale i contenuti dell’articolo segnalato, impiega per la sua stesura anche informazioni rintracciabili in altri diversi articoli scientifici riguardanti “Shankhpushpi” e che sono citati come riferimenti bibliografici.

Cenni etimologici e storici

Secondo anche l’interpretazione di Sethiya et al., in un articolo pubblicato in PubMed nel 2010, “Shankhpushpi” è una parola di origine sanscrita composta dal vocabolo “shankh(a)”: conchiglia e dal vocabolo “pushp(a)”: fiore, che significherebbe “la pianta con i fiori a forma di conchiglia” e, sempre gli stessi Autori, fanno osservare che “Shankha” (la conchiglia) ricorre nell’iconografia classica come uno degli strumenti sacri spesso usati nell’adorazione rituale di Lord Shiva. [1]

Tutti i “Brihattrayees”, cioè Charaka, Sushruta e Vagbhatta Samhita, citano Shankhapushpi come ingrediente fondamentale in varie formulazioni per il potenziamento della memoria e per altre proprietà terapeutiche. [38]

In particolare Charaka descrive le “Medhya Guna” (proprietà nootropiche) di Shankhapushpi come “Medhya Visheshena cha Shankhapushpi” [38] volendo probabilmente indicarne la unicità (diversità, particolarità, qualità dalle caratteristiche distintive). [41] Indu nel commentario di Vagbhatta ha attribuito a Shankhapushpi il sinonimo di “Supushpi” e Chandra ha chiamato Shankhapushpi anche come “Shankhakusuma”. [38,42]

Il nome “Shankhpushpi” è generalmente impiegato in India per identificare quattro diverse piante ad uso medicinale [1] molto diffuse nel continente e cioè: il Convolvulus pluricaulis (Convolvulaceae), l’Evolvulus alsinoides (Convolvulaceae), la Canscora decussata (Gentianaceae) e la Clitorea ternatea (Papilionaceae).

Queste piante risultano morfologicamente simili all’esame macroscopico [37] con evidenti grandi somiglianze per habitat, caratteristiche del loro stelo, foglie e radici, tuttavia esistono alcuni caratteri distintivi salienti per i quali queste piante possono essere differenziate l’una dall’altra. [1]

Per questi motivi le succitate piante sono state oggetto di numerosi studi farmacognostici [30] e botanici (anche molto recenti) per la loro corretta identificazione e per dissipare anche la possibile ambiguità di interpretazione di nomi e di descrizione delle droghe riportati nei testi classici che, prima dell’istituzione del dominio Britannico, venivano trascritti a mano. [1]

L’Ayurvedic Pharmacopoeia of India stabilisce che “Shankapushpi” identifichi l’intera pianta del solo Convolvulus pluricaulis Choisy (sin.: Convolvulus microphyllus Sieb. ex Spreng). [1,3]

“Shankapushpi” (Convolvulus pluricaulis Choisy) è una pianta erbacea perenne, appartenente alla famiglia delle Convolvulaceae, che si presenta con infiorescenze simili anche alle comuni “campanelle”; cresce nelle regioni dell’India del Sud, Sri Lanka, Africa tropicale e Asia sud-orientale, su terreni sabbiosi o terreno roccioso in condizioni xerofitiche ed è ampiamente diffusa nelle pianure indiane del Punjab, Bihar e Chhota Nagpur [9,38]; la fioritura inizia tra settembre e ottobre ed i fiori variano dal bianco al rosa chiaro. [38]

1. Sethiya, Neeraj K., et al. “Comparative pharmacognostical investigation on four ethanobotanicals traditionally used as Shankhpushpi in India.” Journal of advanced pharmaceutical technology & research 1.4 (2010): 388. PubMed
3. Ministry of Health and Family Welfare, Department of Indian Systems of Medicine and Homeopathy. The Ayurvedic Pharmacopoeia of India. New Delhi: Controller of Publications; 2001.
9. Kumar DC. Pharmacognosy can help minimize accidental misuse of herbal medicine. Curr Sci 2007; 93: 1356-1358.
30. Verma S, Singh V, Tanwar S. Pharmacognostic validation of whole plant of Convolvulus pluricaulis Choisy (Convulvulaceae). Int J Pharm Pharm Sci 2012; 4: 241-246
37. Sethiya NK, Nahata A, Mishra SH, Dixit VK. An update on shankhpushpi, a cognition-boosting Ayurvedic medicine. Zhong Xi Yi Jie He Xue Bao. 2009;7(11):1001–22. [PubMed]
38. Yerne, Ajaya D. “Shankhapushpi from the view of Samhita: a literary review.” National Journal of Research in Ayurved Science 5.5 (2017).
41. Pandey, Deep Narayan, and Neha Pandey Prakash. “Universal significance of the principle of Samanya and Vishesha beyond Ayurveda.” Journal of Ayurveda and integrative medicine 9.4 (2018): 308-311.
42. Amin, Hetal, et al. “Shankhapushpi (Convolvulus pluricaulis Choisy): Validation of the Ayurvedic therapeutic claims through contemporary studies.” International Journal of Green Pharmacy (IJGP) 8.4 (2014).

Cenni sull’uso tradizionale

L’antica tradizione erboristica indiana ha impiegato per secoli molte erbe delle quali si conoscevano le “proprietà medicinali” per sostenere forza, immunità, per promuovere longevità e per prevenire le malattie oltre che per il trattamento di molti disturbi come l’ansia e l’insonnia. Tra queste piante C. pluricaulis è stata tradizionalmente impiegata per sostenere in generale la forza, per migliorare il potere digestivo, migliorare la carnagione e la voce ma anche per la cura dei vermi intestinali, la disuria, l’avvelenamento da animali, la dispnea, la tosse, il diabete, i disturbi uterini, l’epilessia, l’insonnia, alcune malattie cardiache e l’ematemesi. [40]

In generale le foglie ed i fiori sono stati tradizionalmente impiegati principalmente per le loro proprietà ipotensive e nel trattamento delle nevrosi d’ansia ma le popolazioni tribali di Chhindwara (Madhya Pradesh) descrivono la pianta anche come antielmintico, ottimo antidiarroico, pianta medicinale utile in generale nei disturbi della pelle e per il trattamento dell’ipertensione. A Gonda (Uttar Pradesh), le foglie sono raccomandate per i disturbi mentali e la depressione.

Complessivamente all’officinale si possono attribuire effetti stimolanti del rafforzamento della salute in aiuto anche al recupero del peso corporeo. Sempre l’uso tradizionale ci conferma che in generale la pianta è ben tollerata.
Gli erboristi indiani ritengono che Shankhpushpi calmi i nervi regolando la produzione del corpo degli ormoni dello stress di cortisolo e adrenalina. [39]

Come noto secondo il concetto ayurvedico, la terapia Rasayana produce effetti contemporanei sul corpo e sulla mente determinando un miglioramento fisico e psichico; la terapia Rasayana previene gli effetti dell’invecchiamento, sviluppa intelligenza e aumenta la resistenza del corpo contro le malattie.

In Ayurveda “Shankapushpi” viene considerata come un “dono della natura” [39] in grado di favorire le capacità della memoria e di “ringiovanire” le funzioni nervose e viene ritenuto un tonico naturale ideale anche per lo sviluppo mentale dei bambini; il suo gusto è amaro e pungente con generali capacità astringenti e rappresenta uno dei principali “Medhya Rasayana” utile per migliorare l’equilibrio ed i vizi dei Dosha Kapha-Vata-Pitta. [39]

In Ayurveda “Shankapushpi” è stato principalmente impiegato per la cura della tosse cronica, dell’insonnia, dell’epilessia, delle allucinazioni e dell’ansia ed in generale le conoscenze delle proprietà medicamentose della pianta sono confermate anche dalla sua lunga applicazione medicinale in diversi altri sistemi medici tradizionali, in epatopatie, epilessia, malattie microbiche, malattie citotossiche e virali, nervosismo ed in generale nelle malattie del sistema nervoso centrale (CNS) e mentali. In particolare nella medicina tradizionale Cinese è noto che tutte le parti di questa pianta, e soprattutto le foglie, offrano benefici terapeutici per la cura di diverse malattie. [40]

L’uso tradizionale di C. pluricaulis è documentato da ampia letteratura soprattutto a favore del benessere mentale, per il miglioramento della memoria, come psicostimolante e come aiuto a ridurre in generale la tensione mentale ed in Ayurveda ne esiste il chiaro riferimento all’uso come tonico del cervello nelle sindromi ipotensive cerebrali; gli studi farmacologici sulla pianta ne dimostrano un grado variabile di effetti ipotensivi e tranquillizzanti mentre studi clinici ne dimostrano effetti benefici prevalentemente sulle nevrosi da ansia. In generale la pianta induce una diffusa sensazione di calma, migliora il sonno e allevia dalle percezioni ansiose aiutando in caso di stress, affaticamento mentale; si ritiene che questi effetti della pianta derivino dalla sua capacità di modulazione della neurochimica del cervello. [11]

Come anticipato, l’uso tradizionale dell’estratto vegetale di Convolvulus pluricaulis è in generale molto noto nel ridurre la tensione mentale, per il trattamento di alcuni disturbi psichiatrici e per contrastare l’ematemesi, ma in particolare le foglie vengono impiegate anche per il trattamento di bronchite e asma, la radice della pianta viene anche impiegata nel trattamento della febbre infantile, l’estratto della pianta intera dimostra particolare utilità anche in contrasto alla ritenzione di fluidi nel corpo e supporta i processi digestivi; l’estratto etanolico di Convolvulus pluricaulis dimostra inoltre di ridurre i livelli di acido grasso non esterificato (NEFA) che rappresenta la principale causa di morte per arresto cardiaco. [39]

Secondo la visione ayurvedica “Shankapushpi” è responsabile di effetti: Medhya (promuove la capacità intellettuale), Swarakarini (migliora la voce), Grahabhootadi doshaghni (utile nelle malattie ritenute di origine soprannaturale), Rasayani (ringiovanisce il corpo), Kantida (migliora l’aura del corpo e conferisce un aspetto sano), Majjadhatu rasayana (ringiovanisce il tessuto nervoso), Unmadaghna (allevia la follia e l’instabilità emotiva), Vrishya (afrodisiaco), Pachambala (aumenta la forza del sistema digestivo), Chedana (lassativo), Nidrajnana (promuove il sonno). [43]

11. Bhowmik D, Kumar KPS, Paswan S, Srivatava S, Yadav A, Dutta A. Traditional Indian herbs Convolvulus pluricaulis Choisy and its medicinal importance. J Pharmacogn Phytochemistry 2012; 1(1): 50-58.
39. Jalwal, Pawan, et al. “A comprehensive review on shankhpushpi a morning glory.” The Pharma Innovation 5.1, Part A (2016): 14.
40. Agarwa, Parul, et al. “An update on Ayurvedic herb Convolvulus pluricaulis Choisy.” Asian Pacific journal of tropical biomedicine 4.3 (2014): 245-252.
43. Mishra, S. H., and Neeraj K. Sethiya. “Review on ethnomedicinal uses and phytopharmacology of memory boosting herb’Convolvulus pluricaulis’ Choisy.” Australian Journal of Medical Herbalism 22.1 (2010): 19.

Cenni della fitochimica

I principali fitocostituenti in Shankhpushpi (Convolvulus pluricaulis Choisy) sono rappresentati da diverse famiglie di molecole tra le quali carboidrati, alcaloidi, flavonoidi e cumarine che nel loro insieme determinano i vari effetti biologici. [39]

39. F. Jalwal, Pawan, et al. “A comprehensive review on shankhpushpi a morning glory.” The Pharma Innovation 5.1, Part A (2016): 14.

Breve sintesi degli effetti farmacologici preliminari

Gli estratti grezzi della pianta ed anche alcuni metaboliti isolati hanno dimostrato in generale ampi effetti farmacologici sia in vitro e sia in vivo.

L’Indian Council of Medical Research (ICMR) nella sua pubblicazione (Gupta 2005), indica i precisi standard di qualità che ciascuna parte di Convolvulus pluricaulis, utilizzabile come droga, deve possedere [4]. Evidenze scientifiche indicano che queste piante dimostrino un loro potenziale come depressori di alcune attività del sistema nervoso centrale, come ansiolitici, tranquillizzanti, antidepressivi, antistress, neurodegenerativi, antiamnesici, antiossidanti, ipolipemizzanti, immunomodulatori, analgesici, antifungini, antibatterici, antidiabetici, antiulcera (dovuti all’aumentodi fattori di difesa della mucosa come la secrezione di mucina e di glicoproteine), anticatonici, cardiovascolari e anti iperitoroidei (agendo a livello epatico). [5]

4. Gupta AK, Tandon N, Sharma M. Quality standards of Indian medicinal plants. New Delhi: Indian Council of Medical Research; 2005.
5. Sethiya NK, Nahata A, Mishra SH, Dixit VK. An update on Shankhpushpi, a cognition-boosting Ayurvedic medicine. Zhong Xi Yi Jie He Xue Bao 2009; 7(11): 1001-1022.

Gli studi farmacologici in generale indicano che la pianta si è dimostra capace di ridurre diversi tipi di stress come quello psicologico, chimico e traumatico; gli estratti etanolici e metanolici dell’intera pianta si sono dimostrati in grado di ridurre l’attività motoria spontanea, di potenziare l’ipnosi indotta da pentobarbital e l’analgesia da morfina, di migliorare la risposta allo stress (fighting response), di eliminare la reazione di “evitamento condizionato”, di antagonizzare nel ratto,  le convulsioni ed i tremori “indotti”.

Il succo ottenuto dalla pianta intera contrasta le mestruazioni eccessive mentre la pasta ottenuta dalla macinazione della pianta è utile per curare gli ascessi. Nei gerbilli, sottoposti ad un trattamento iper colesterolemizzante, l’estratto etanolico di pianta intera ha ridotto il colesterolo sierico, il colesterolo lipoproteico a bassa densità ed i trigliceridi in 90 giorni.

L’estratto di radice della pianta si è dimostrato in grado di regolare l’ipertiroidismo nei topi femmina e sempre il succo della pianta intera fresca di C. pluricaulis dimostra un effetto anti-ulcerogeno paragonabile al sucralfato.

L’estratto etanolico della pianta intera ha dimostrato di esercitare un’azione inotropa negativa sul miocardio di anfibi e mammiferi oltre che un’attività spasmolitica sulla muscolatura liscia. [6]

Per quanto attualmente evidente dalla letteratura scientifica C. pluricaulis offre diversi razionali per diversi usi medicinali come il trattamento dell’ ipertensione, delle malattie neurodegenerative, delle ulcere, dell’epilessia, del vomito, del diabete, dei colpi di calore e delle problematiche emorragiche; inoltre può anche essere usato per migliorare le prestazioni di memoria e ridurre il colesterolo. [10]

6. Dhingra D, Valecha R. Evaluation of the antidepressant-like activity of Convolvulus pluricaulis Choisy in the mouse forced swim and tail suspension tests. Med Sci Monit 2007; 13(7): BR155- 161.
10. Dubey NK, Kumar R, Tripathi P. Global promotion of herbal medicine: India’s opportunity. Curr Sci 2007; 86: 37-41.

L’estratto di C. pluricaulis, paragonato all’acido ascorbico, ha dimostrato in uno studio nel ratto di possedere una significativa attività antiossidante in un modello di neuro tossicità indotta da alluminio [14] e, in un ulteriore studio, è stata dimostrata la capacità dell’estratto della pianta di esercitare una significativa attività scavenger nei confronti dei radicali liberi in confronto con acido ascorbico ed una significativa attività anticonvulsivante in confronto al farmaco fenitoina. [15]

14. Bihaqi SW, Sharma M, Singh AP, Tiwari M. Neuroprotective role of Convolvulus pluricaulis on aluminium induced neurotoxicity in rat brain. J Ethnopharmacol 2009; 124(3):409-15.
15. Verma S, Sinha R, Kumar P, Amin F, Jain J, Tanwar S. Study of Convolvulus pluricaulis for antioxidant and anticonvulsant activity. Cent Nerv Syst Agents Med Chem 2012; 12(1): 55-59.

Gli effetti antidepressivi di un estratto in cloroformio di C. pluricaulis sono stati dimostrati in uno studio condotto sul modello animale nel quale sono stati osservati effetti significativi antidepressivi in confronto a farmaci antidepressivi come l’imipramina o la fluoxetina. [16]

Un estratto etanolico delle foglie di C. pluricaulis, in uno studio sui roditori, ha dimostrato l’attività ansiolitica dell’officinale in confronto a quella del diazepam; i risultati dello studio hanno indicato che frazioni di acetato di etile, al dosaggio impiegato, riducevano la coordinazione neuromuscolare indicando un’attività miorilassante [17]; analogamente estratti dei fiori della pianta hanno dimostrato nel ratto una evidente attività ansiolitica confrontata con gli effetti del diazepam. [18]

16. Dhingra D, Valecha R. Screening for antidepressant-like activity of Convolvulus pluricaulis Choisy in mice. Pharmacologyonline2007; 1: 262-278.
17. Nahata A, Patil UK, Dixit VK. Anxiolytic activity of Evolvulus alsinoides and Convulvulus pluricaulis Choisy in rodents. Pharm Biol 2009; 47: 444-451.

18. Sharma K, Arora V, Rana AC, Bhatnagar M. Anxiolytic effect of Convolvulus pluricaulis Choisy petals on elevated plus maze model of anxiety in mice. J Herbal Med Toxicol 2009; 3(1): 41-46.

In uno studio di confronto tra C. pluricaulis (foglie) e Aspargus racemosus (radice) è emerso che l’estratto di C. pluricaulis, confrontato con il farmaco piracetam, mostrava potenti effetti di miglioramento della memoria [19]; questi effetti sono stati ulteriormente osservati anche in un altro studio nel ratto nel quale anche un estratto etanolico di radice C. pluricaulis, confrontato con il farmaco piracetam, ha dimostrato evidenti effetti di miglioramento delle capacità mnemoniche. [20]

19. Sharma K, Bhatnagar M, Kulkarni SK. Effect of Convolvulus pluricaulis Choisy and Asparagus racemosus wild on learning and memory in young and old mice: a comparative evaluation. Indian J Exp Biol 2010; 48: 479-485.
20. Nahata A, Patil UK, Dixit VK. Effect of Convulvulus pluricaulis Choisy on learning behaviour and memory enhancement activity in rodents. Nat Prod Res 2008; 22(16): 1472-1482.

Sempre un estratto di radice di C. pluricaulis, confrontato con il metimazolo, in uno studio nel ratto, ha dimostrato evidenti effetti di inibizione della funzione tiroidea mediati principalmente dalla conversione da T4 a T3 indicando la possibile regolazione dell’ ipertiroidismo da parte dell’estratto vegetale. [21]

21. Panda S, Kar A. Inhibition of T3 production in levothyroxinetreated female mice by the root extract of Convolvulus pluricaulis. Horm Metab Res 2001; 33(1): 16-18.

Gli effetti antiulcera di C. pluricaulis vengono indicati da uno studio sul modello animale in cui emerge che un estratto delle foglie, confrontato con sucralfato, ha esercitato evidenti effetti anti ulcera attraverso l’aumento dei fattori difensivi della mucosa come la secrezione di mucina, la durata della vita delle cellule della mucosa, e delle glicoproteine. [22]

22. Sairam K, Rao CV, Goel RK. Effect of Convolvulus pluricaulis Choisy on gastric ulceration and secretion in rats. Indian J Exp Biol 2001; 39(4): 350-354.

Nei Disturbi Ossessivi Compulsivi dosaggi diversi di estratto di parti aeree di C. pluricaulis, confrontati con gli effetti dei farmaci fluoxetina e diazepam, nel ratto, hanno dimostrato di modulare i livelli di serotonina o i livelli di dopamina. [23]

23. Subramani R, Anand M, Muralidharan P. Effect of Convolvulus pluricaulis Choisy in obsessive compulsive disorder using animal models. India: PharmaTutor EduLabs; 2008-2013.

L’attività neuroprotettiva di C. pluricaulis è stata valutata in un complesso studio, nel modello animale, nel quale è stata indotta neurotossicità con scopolamina. Dallo studio è emerso che il pretrattamento di ratti con un estratto acquoso delle parti aeree della pianta, confrontato con gli effetti della rivastigmina tartrato come farmaco di riferimento, ha ridotto significativamente la compromissione della memoria spaziale indotta dalla scopolamina, evidenziando una significativa inibizione dell’attività dell’acetilcolinesterasi (AChE) nella corteccia cerebrale e nell’ippocampo.

Questi effetti sono stati accompagnati da una evidente attività antiossidante espressa come incremento di enzimi antiossidanti. Presi nel loro insieme questi risultati suggeriscono che l’estratto di C. pluricaulis possa esercitare una potente attività neuro protettiva attraverso l’azione anti-AChE ed antiossidante. [24] Effetti neuro protettivi sono stati osservati inoltre in modelli di neuro tossicità indotta da alluminio. [14]

14. Bihaqi SW, Sharma M, Singh AP, Tiwari M. Neuroprotective role of Convolvulus pluricaulis on aluminium induced neurotoxicity in rat brain. J Ethnopharmacol 2009; 124(3):409-15.
24. Bihaqi SW, Singh AP, Tiwari M. In vivo investigation of the neuroprotective property of Convolvulus pluricaulis Choisy in scopolamine-induced cognitive impairments in Wistar rats. Indian J Pharmacol 2011; 43(5): 520-525.

Un estratto etanolico ottenuto da foglie di C. pluricaulis dimostra una evidente attività epatoprotettrice confrontata con quella della silimarina come sostanza di riferimento: nel ratto in un modello di apatotossicità indotta da tioacetamide, l’estratto di C. pluricaulis ha dimostrato capacità protettive epatiche con miglioramenti dei principali markers biochimici (ALT-AST-ALP- bilirubina totale, bilirubina diretta, albumina, proteine totali, ioni). [26]

26. Ravichandra VD, Ramesh C, Sridhar KA. Hepatoprotective potentials of aqueous extract of Convolvulus pluricaulis against thioacetamide induced liver damage in rats. Biomed Aging Pathol 2013; 3(3): 131-135.

Un estratto metanolico delle parti aeree di C. pluricaulis, in uno studio in vitro, evidenzia una potente attività antibatterica contro i ceppi patogeni di Staphylococcus aeures ed E.coli, evidenziando un ampio spettro di attività antibatterica sia nei confronti di Gram positivi che di Gram negativi confrontando questi effetti con quelli della tetraciclina impiegata come farmaco di confronto. Dallo studio è emerso anche che Convolvulus pluricaulis è più attivo nei confronti di E. coli rispetto a S. aureus. [27]

27. Verma S, Sinha R, Singh V, Tanwar S, Godara M. Antibacterial activity of methanolic extract of whole plant of Convolvulus pluricaulis Choisy. J Pharm Res 2011; 4(12): 4450.

Indirettamente è stato dimostrato, in vivo nel modello animale, che un estratto acquoso di C. pluricaulis dimostrerebbe attività antivirale grazie alla presenza di particolari flavonoidi nel fitocomplesso. [28, 44]

28. Bihaqi SW, Singh AP, Tiwari M. Supplementation of Convolvulus pluricaulis Choisy attenuates scopolamine-induced increased tau and amyloid precursor protein (AβPP) expression in rat brain. Indian J Pharmacol 2012; 44(5): 593-598.
44. Ross JA, Kasum CM. Dietary flavonoids: Bioavailability, metabolic effects, and safety. Annu Rev Nutr. 2002;22:19–34.

Uno studio sul ratto ha concluso che l’estratto alcolico di Convolvulus pluricaulis possiede effetti nootropici ma inferiori rispetto a quelli di Evolvulus alsinoides. [29]

29. Kothiyal P, Rawat MS. Comparative nootropic effect of Evolvulus alsinoides and Convolvulus pluricaulis Choisy. Int J Pharma Bio Sci 2011; 2(1): 616-621.

Complessivamente l’articolo offre una sintesi degli aspetti generali farmacognosici, farmacologici e fitochimici di Shankhapushpi (C. pluricaulis) e contribuisce a sostenere l’ipotesi che questa pianta potrebbe rappresentare una preziosa fonte di molecole importanti anche dal punto di vista clinico.

A cura della direzione scientifica di Benefica

ASIAN PACIFIC JOURNAL OF TROPICAL BIOMEDICINE 4.3 (2014): 245-252.

AN UPDATE ON AYURVEDIC HERB CONVOLVULUS PLURICAULIS CHOISY.

Kanika Dhiman1, Usha Sharma2

Author information:

Agarwa P(1), Sharma B(1), Fatima A(1), Jain SK(1).

1 PInstitute of Pharmacy, Bundelkhand University, Jhansi 284121, U.P, India.

ABSTRACT

Convolvulus pluricaulis Choisy (C. pluricaulis) is a perennial herb that seems like morning glory. All parts of the herb are known to possess therapeutic benefits. The plant is used locally in Indian and Chinese medicine to cure various diseases. It is used in Ayurvedic formulation for chronic cough, sleeplessness, epilepsy, hallucinations, anxiety etc. Based on the comprehensive review of plant profile, pharmacognosy, phytochemistry, pharmacological and toxicological data on the C. pluricaulis, there will be more opportunities for the future research and development on the herb C. pluricaulis. Information on the C. pluricaulis was collected via electronic search (using Pub Med, SciFinder, Google Scholar and Web of Science) and library search for articles published in peer-reviewed journals. Furthermore, information also was obtained from some local books on ethnopharmacology. This paper covers the literature, primarily pharmacological, from 1985 to the end of 2012. The C. pluricaulis is an important indigenous medicine, which has a long medicinal application for liver disease, epileptic disease, microbial disease, cytotoxic and viral diseases, central nervous system (CNS) disease in Ayurvedic medicine, traditional Chinese medicine and other indigenous medical systems. The isolated metabolites and crude extract have exhibited a wide of in vitro and in vivo pharmacological effect, including CNS depression, anxiolytic, tranquillizing, antidepressant, antistress, neurodegenerative, antiamnesic, antioxidant, hypolipidemic, immunomodulatory, analgesic, antifungal, antibacterial, antidiabetic, antiulcer, anticatatonic, and cardiovascular activity. A chemical study of this plant was then initiated, which led to the isolation of carbohydrats, proteins, alkaloids, fatty acids, steroids, coumarins, flavanoids, and glycosides as active chemicals that bring about its biological effects. A series of pharmacognostical studies of this plant show that it is a herb, its stem and leaves are hairy, more over it has two types of stomata, anisocytic and paracytic. A herb, C. pluricaulis has emerged as a good source of the traditional medicine for the treatment of liver disease, epileptic disease, microbial disease, cytotoxic and viral diseases, and CNS disease.
Pharmacological results have validated the use of this species in traditional medicine. All the parts of the herb are known to possess therapeutic benefits. Expansion of research materials would provide more opportunities for the discovery of new bioactive principles from C. pluricaulis.

 

DOI: 10.1016/S2221-1691(14)60240-9
PMCID: PMC3868798
PMID: 25182446

 

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Newsletter Fitoterapia nr. 44 – Aprile 2019

Conoscere la Rodiola: i suoi potenziali nelle malattie legate all’età

 Aging Dis. 2019 Feb 1;10(1):134-146. doi: 10.14336/AD.2018.0511. eCollection 2019 Feb. PUBMED.

Rosenroot (Rhodiola): Potential Applications in Aging-related Diseases.

Zhuang W, Yue L, Dang X, Chen F, Gong Y, Lin X, Luo Y.

Rodiola o “Rosenroot” (Rhodiola Rosea L.) è una delle piante medicinali che negli ultimi anni ha riscosso maggiore interesse per le sue spiccate valenze adattogene in contrasto a stanchezza fisica e mentale e per questo motivo la sua presenza ricorre in moderni integratori naturali specifici.
In una precedente newsletter abbiamo proposto un articolo scientifico che riferiva di ulteriori potenziali di Rhodiola di natura prevalentemente antivirale, coerentemente con il suo antico uso tradizionale (Mongolia-Cina) anche nelle malattie respiratorie e nella tubercolosi.
L’articolo che proponiamo in questa newsletter, disponibile in Pubmed da febbraio 2019, offre ulteriori spunti di conoscenza di Rodiola per conoscerne i potenziali razionali di impiego anche nelle malattie correlate all’avanzamento dell’età, infatti anche se l’utilizzo più attuale di Rhodiola sfrutta i suoi ben documentati effetti adattogeni, questa pianta medicinale viene attualmente molto studiata anche per suoi altri importanti razionali di utilizzo in problematiche patologiche socialmente emergenti collegate con l’avanzare dell’età nell’individuo.
L’articolo che proponiamo offre un approfondimento sulle principali evidenze farmacologiche di potenziali effetti di Rhodiola rosea e dei suoi componenti in queste problematiche.

 

Dall’articolo

L’invecchiamento è caratterizzato da progressivi cambiamenti nel corpo, che incrementano la suscettibilità a malattie come il morbo di Alzheimer, il morbo di Parkinson, malattie cerebrovascolari, diabete e le malattie cardiovascolari.
Recentemente le erbe medicinali della tradizione cinese sono state studiate in relazione alla loro potenziale efficacia terapeutica nel trattamento di alcune malattie legate all’invecchiamento e tra queste la Rodiola, conosciuta in cinese come “Hongjingtian”, viene segnalata per avere generali attività proprietà anti-invecchiamento.
L’articolo rappresenta una recensione completa sulla sua origine, sui suoi componenti chimici e sugli effetti sulle malattie legate all’invecchiamento.
Il genere “Rhodiola”, nella famiglia delle Crassulaceae, è rappresentato da piante erbacee perenni che spesso si presentano con rizomi striscianti carnosi.
Le specie Rhodiola sono anche comunemente conosciute come “rosenroot”, “radice d’oro” e “rose d’orpin”.
Nel corso della storia, le specie Rhodiola sono state considerate preziose piante medicinali in Cina, Europa e Nord America.
Nel mondo si ritrovano 96 specie di Rhodiola, la maggior parte in diverse regioni della Cina.
La Cina è considerata la principale area geografica di coltivazione della Rhodiola con 73 specie, due sottospecie e sette varietà, il 90% delle quali nelle regioni nord-ovest, sud-ovest e nord-est come Tibet, Qinghai, Yunnan, Sichuan ed in altre province alpine. La Rodiola di solito cresce in terreni calcarei e granitici ad alta quota (da 3500 a 5000 m), sebbene alcune specie si possano trovare anche nelle praterie alpine o arbustive ad altitudini di circa 2000 m.
La Rhodiola è anche conosciuta anche come “erba del Dio orientale” e “ginseng dell’altopiano” ed è considerata possedere elevato valore medicinale anche per la “conservazione” dello stato di salute, infatti secondo i principi fondamentali della medicina tradizionale cinese, può aumentare il “qi” (l’energia vitale) e contrastare la stasi sanguigna, sbloccare i vasi sanguigni, alleviare il dolore, fortificare la milza, trattare le palpitazioni, alleviare tosse ed affanno, ridurre l’affaticamento e la debolezza.
La Rhodiola è anche tradizionalmente impiegata come erba “anti-invecchiamento” e per il trattamento delle malattie legate al progredire dell’età; in particolare in questo articolo vengono proposti i razionali farmacologici di utilità dell’officinale in diverse malattie come il morbo di Alzheimer (AD), il morbo di Parkinson (PD), le malattie cerebrovascolari, il diabete e le malattie cardiovascolari (CVD).
Malgrado il genere Rhodiola, come anticipato, sia molto ampio, di esso sono state studiate solo poche specie, ed in questo articolo viene proposta la farmacologia di cinque specie tra cui Rhodiola rosea, Rhodiola crenulata, Rhodiola kirilowii, Rhodiola imbricata e Rhodiola sachalinensis.
La Rhodiola contiene salidroside, flavonoidi, terpenoidi, steroli, tannini oltre a molti altri composti ed il loro insieme rappresenta il principale l’obiettivo di studio delle attività biologiche della Rhodiola; è tuttavia importante precisare che il salidroside non è un costituente chimico specifico di Rodiola ma può essere ritrovato anche in numerose altre specie botaniche, per cui nel caso di impiego di estratti titolati di Rodiola è importante indicare il quantitativo di ulteriori sostanze del fitocomplesso (le rosavine) che garantiscono, in precise percentuali della loro presenza, un adeguato contenuto complessivo di salidroside.
Premessa la considerazione che le proprietà medicamentose di Rodiola vengano espresse dalla totalità del fitocomplesso, il salidroside viene ritenuto il principale componente bioattivo della Rhodiola; il salidroside è distribuito in tutte le parti della pianta e possiede varie attività biologiche; l’articolo si concentra principalmente sull’applicazione del salidroside e dell’estratto di Rhodiola per il trattamento delle malattie legate all’invecchiamento.
Secondo recente letteratura scientifica il salidroside potrebbe esercitare effetti utili nella malattia di Alzheimer, nella depressione, in diverse malattie del sistema nervoso centrale (ischemiche, Parkinson, ipomnesia), nelle problematiche cardiovascolari, nel diabete, nelle malattie epatiche ed in problematiche oncologiche.

 

Salidroside e estratto di Rhodiola nella malattia di Alzheimer

Gli effetti farmacologici del salidroside nella malattia di Alzheimer sono diversi e complessi e raggruppabili in effetti di contrasto alla formazione e deposizione di β-amiloide (Aβ), in effetti antiossidanti, effetti pro mitocondriali, effetti pro colinergici.
Come noto l’età è il principale fattore di rischio per lo sviluppo della malattia di Alzheimer [1,2] che è una patologia neurodegenerativa legata all’età, che si presenta come disfunzioni dell’apprendimento e della memoria in una fase iniziale e alla fine si evolve in disordine cognitivo; la patogenesi della malattia viene correlata anche alla deposizione di placche di β-amiloide (Aβ) e di grovigli neurofibrillari intracellulari composti da proteina tau iperfosforilata, che possono portare a perdita neuronale seriale e atrofia cerebrale. [3,4]
In alcuni modelli sperimentali (Drosophila) il salidroside ha dimostrato di inibire la perdita neuronale intervenendo con meccanismi di sovra regolazione e sotto regolazione di enzimi e proteine specifiche (p-GSK-3β e tau fosforilata) [5] ed analogamente nel ratto il salidroside ha dimostrato di ridurre i livelli di Aβ e la relativa deposizione nel cervello, riducendo così la compromissione cognitiva indotta da Aβ. [6,7] In cellule SH-SY5Y (cellule neuroepiteliali di neuroblastoma umano) il salidroside dimostra di modulare positivamente l’anormale elaborazione, indotta dall’ipossia, della proteina precursore dell’amiloide (APP), che è un altro fattore di rischio per la malattia di Alzheimer poiché una anormale elaborazione di APP determina livelli significativi di Aβ. [8]
E’ attualmente dimostrato che lo stress ossidativo giochi un ruolo importante nella progressione della malattia di Alzheimer [9]; nei confronti dello stress ossidativo è stato chiarito che il salidroside protegge i neuroni attivando gli enzimi antiossidanti (TRX, HO-1, PRX1), riducendo anche l’espressione della proteina proapoptotica (BAX) ed aumentando il livello della proteina antiapoptotica (BCL-XL) [8]; complessivamente questo meccanismo contribuirebbe a contrastare l’apoptosi neuronale (ippocampo) che è correlata con la malattia di Alzheimer; secondo un ulteriore studio il salidroside ha migliorato il deficit cognitivo associato alla malattia di Alzheimer impedendo l’attivazione della caspasi 3, aumentando il rapporto BAX / BCL-2 e invertendo la perdita neuronale dell’ippocampo causata dall’ ipo perfusione cerebrale cronica nei ratti; lo studio ha anche dimostrato che il salidroside ha ridotto l’apoptosi nell’area CA1 dell’ippocampo [10].
Nella fisiopatologia della malattia di Alzheimer viene tenuta in primaria considerazione l’alterazione del metabolismo energetico (e quindi il danno mitocondriale) ed è stato dimostrato che il salidroside sia in grado di ridurre notevolmente il danno cellulare e protetto i mitocondri dagli effetti del sodio azide [11], indicando che il salidroside migliora la funzione mitocondriale.
Nei pazienti con malattia di Alzheimer il livello di acetilcolina (ACh) nei tessuti cerebrali risulta significativamente ridotto [13] poiché i cambiamenti metabolici dell’APP (proteina precursore dell’amiloide) in Aβ, svolgono un ruolo chiave sull’azione a lungo termine degli inibitori dell’acetilcolinesterasi (AChE) [3, 12]; è stato dimostrato che alcuni estratti in diversi solventi di Rhodiola (H2O, EtOAc o BuOH), alla concentrazione di 100 μg / ml, sono stati in grado di ridurre l’AChE fino (circa -40 %) e di indurre neuroprotezione (circa + 25 %); questi risultati suggerirebbero che l’estratto di Rhodiola rosea possegga potenziali effetti terapeutici nella malattia di Alzheimer ed in particolare l’estratto a base di EtOAc. [14]
Tra le strategie terapeutiche in pazienti con malattia di Alzheimer vengono oggi particolarmente studiati gli effetti degli antiossidanti [15-18]; in vivo un particolare ingrediente attivo di Rhodiola, l’antocianidina oligomerica (OPCRR), ha dimostrato una significativa attività antiossidante incrementando le attività di superossido dismutasi (SOD) e glutatione perossidasi (GSH-Px) e riducendo il contenuto di malondialdeide (MDA) nel siero, cuore, fegato e tessuti cerebrali dei topi, suggerendo che l’OPCRR si comporti un potente antiossidante naturale che potrebbe essere usato per il trattamento della malattia di Alzheimer [19], pertanto Rhodiola rosea può anche essere ritenuta un potente antiossidante con potenziali effetti terapeutici nei pazienti con malattia di Alzheimer.

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Salidroside e estratto di Rhodiola nella depressione

La depressione viene ritenuta un’ulteriore patologia frequente con l’avanzare dell’età con comparsa di tristezza, perdita di interesse o piacere, senso di colpa, senso di vergogna, stanchezza, sonno disturbato, scarso appetito o scarsa concentrazione. La ricerca scientifica ha dimostrato che, nel modello animale, il salidroside può avere attività antidepressiva [20] con effetti di tipo antinfiammatorio, neurotrofico, pro-neuro-trasmettitoriali (serotonina e dopamina), anti apoptotici.
Nei disturbi depressivi maggiori, i livelli sierici di citochine pro-infiammatorie come l’interleuchina 6 (IL-6), il fattore di necrosi tumorale a (TNF-α) e IL-1β risultano elevati; ciò indicherebbe che l’infiammazione giochi un ruolo importante nello sviluppo della patologia. In uno studio nel modello animale sono stati valutati gli effetti antidepressivi del salidroside ed è stato dimostrato che in ratti olfatto-bulbectomizzati (OBX), con sintomi depressivi, il trattamento con salidroside ha ridotto significativamente i livelli di TNF-α e IL-1β nella regione ippocampale [21] e in un altro studio sul ratto è stato concluso che il trattamento con salidroside ha modulato i livelli di norepinefrina (NE) e di 5-idrossitriptamina (5-HT) nella corteccia prefrontale [22], suggerendo che il salidroside abbia un coinvolgimento diretto nella modulazione positiva di queste due sostanze, che svolgono un ruolo importante nella patogenesi della depressione. [22]
Nella fisiopatologia della depressione viene inoltre ritenuto importante il ruolo del BDNF (un fattore proteico neurotrofico del cervello) ed è stato dimostrato che il trattamento con salidroside è stato in grado di incrementare i livelli di BDNF nell’ippocampo del ratto, suggerendo che il salidroside svolga un ruolo neuroprotettivo. [23]
Gli effetti di Rhodiola rosea sulla depressione sono stati documentati anche in uno studio clinico controllato con placebo randomizzato, in doppio cieco di fase III, in cui i risultati indicano che in 6 settimane, la somministrazione orale di 170 mg al giorno di un estratto di Rodiola rosea, ha ridotto significativamente i sintomi depressivi generali, inclusi insonnia, instabilità emotiva e somatizzazioni, rispetto a quelli del gruppo trattato con placebo. [24]
Gli effetti di un estratto alcolico di Rhodiola rosea (di solito contenente il 3% di rosavin e l’1% di salidroside) sono stati studiati sul sistema nervoso centrale dei topi; l’estratto in questione mostrava nei topi un’attività antidepressiva significativa. [25]
Un particolare estratto brevettato (contenente il 3% di rosavin e lo 0,8% di salidroside) ha dimostrato effetti significativi nella modulazione dello stress e nel sostenere i processi di adattamento nell’organismo; il meccanismo di attività dell’estratto in questione è stato correlato alla sua capacità di aumentare la permeabilità della barriera emato-encefalica ai precursori della dopamina (DA) e della 5-HT. [26] La somministrazione di Rhodiola rosea ha anche dimostrato di migliorare la concentrazione e ridurre la risposta allo stress. [27, 28]
Un recente studio ha indicato che la depressione sia associata anche a soppressione della proliferazione cellulare e a fenomeni apoptotici nel tessuto ippocampale [29] e che l’estratto di Rhodiola ha dimostrato di migliorare i livelli di 5-HT nell’ippocampo dei ratti depressi e la vitalità delle cellule neuronali staminali, facendo ipotizzare un meccanismo “riparativo” dei neuroni dell’ippocampo interessato dalla patologia. [26]

[20] Palmeri A, Mammana L, Tropea MR, Gulisano W, Puzzo D (2016). Salidroside, a Bioactive Compound of Rhodiola Rosea, Ameliorates Memory and Emotional Behavior in Adult Mice. J Alzheimers Dis, 52: 65-75.
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[22] Zhu L, Wei T, Gao J, Chang X, He H, Miao M, et al. (2015). Salidroside attenuates lipopolysaccharide (LPS) induced serum cytokines and depressive-like behavior in mice. Neurosci Lett, 606: 1-6.
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[24] Darbinyan V, Aslanyan G, Amroyan E, Gabrielyan E, Malmström C, Panossian A (2007). Clinical trial of Rhodiola rosea L. extract SHR-5 in the treatment of mild to moderate depression. Nord J Psychiatry, 61: 343-348.
[25] Perfumi M, Mattioli L (2007). Adaptogenic and central nervous system effects of single doses of 3% rosavin and 1% salidroside Rhodiola rosea L. extract in mice. Phytother Res, 21: 37-43.
[26] Chen QG, Zeng YS, Qu ZQ, Tang JY, Qin YJ, Chung P, et al. (2009). The effects of Rhodiola rosea extract on 5-HT level, cell proliferation and quantity of neurons at cerebral hippocampus of depressive rats. Phytomedicine, 16: 830-838.
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Salidroside e estratto di Rhodiola in altre malattie del sistema nervoso centrale

Rodiola dimostra effetti farmacologici positivi anche a favore di altre patologie del sistema nervoso centrale; in generale questi effetti possono essere riassunti in una generale capacità dell’officinale di ridurre ad esempio il danno ischemico cerebrale, di contrastare i fenomeni apoptotici cerebrali, di ostacolare la degradazione di neurotrasmettitori (nel Parkinson), di contrasto al decadimento mnemonico e cognitivo derivante ad esempio da stress ossidativo.
Gli anziani spesso vengono colpiti da patologie cerebro vascolari gravi [30] e in uno studio sul ratto, in un modello di danno cerebrale da riperfusione ischemica, il salidroside ha dimostrato di attenuare significativamente il danno ischemico cerebrale [31]; in un altro studio, in un modello transgenico di Caenorhabditis elegans, il salidroside ha ridotto la morte neuronale e la disfunzione comportamentale mediata dalla tossicità del poliQ (poliglutammina) la cui aggregazione svolge un ruolo preminente nel processo patologico della malattia di Huntington. [32]
E’ inoltre noto che lo stress ossidativo sia coinvolto nello stato epilettico; in un modello di epilessia indotta dall’acido kainico, il salidroside ha mostrato un effetto neuro protettivo regolando l’espressione di proteine specifiche (AMPK/SIRT1/FOXO1). [33]
Nella malattia di Parkinson, in cui è noto il coinvolgimento delle monoammino ossidasi (MAO) come modulatori del riciclaggio metabolico di catecolamine e 5-HT nel sistema nervoso centrale (l’inibizione di queste ossidasi è attualmente utilizzata come trattamento della malattia di Parkinson) [1, 34], gli estratti di Rhodiola rosea hanno dimostrato di comportarsi sia come inibitori MAO-A che MAO-B, prevenendo il degrado di importanti neurotrasmettitori [35]. La Rhodiola rosea può anche facilitare la produzione e la proliferazione delle cellule produttrici di dopamina. [36]
L’ipomnesia è un altro sintomo comune negli anziani causato, tra le cause principali, da danno ossidativo e danno neuronale; in uno studio clinico randomizzato in doppio cieco controllato con placebo, un estratto di Rhodiola rosea ha migliorato le prestazioni di memoria. [37]
Rhodiola ha dimostrato di mitigare i disturbi dell’apprendimento e di memoria in ratti in cui la perdita di memoria è stato indotta con scopolamina, facendo ricondurre questi effetti a capacità neuroprotettive e di modulazione dei livelli di ACh cerebrale. [38]
In altri studi si è dimostrato che Rhodiola rosea sia in grado di incrementare i livelli di norepinefrina, dopamina, 5-HT e ACh, stimolando l’attività del sistema nervoso centrale e migliorando l’apprendimento e la memoria. [39] Questi effetti dell’estratto di Rhodiola rosea possono essere correlati alla suo coinvolgimento nella regolazione dell’ACh, delle monoamine e dei peptidi oppioidi, aumentando così l’adattabilità e l’attività del sistema nervoso centrale [40]; per questi motivi Rhodiola rosea potrebbe effettivamente migliorare l’ipomnesia.

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Salidroside e estratto di Rodiola nella malattia cardio vascolare

Gli effetti farmacologici di Rodiola e del salidroside sull’apparato cardio vascolare sono particolarmente interessanti poiché indirettamente confermano la globale valenza dell’uso tradizionale di Rodiola rosea non solo come adattogeno per le prestazioni mentali ma anche per quelle fisiche; gli effetti del salidroside sull’apparato cardiovascolare sono riassumibili in effetti protettivi antiossidanti sul miocardio, effetti pro-mitocondriali, effetti protettivi endoteliali (stimolazione di fattori di crescita) e sul tessuto cardiaco (antiossidanti), effetti antiapoptotici, effetti ipotensivi, effetti di contrasto all’ipertensione polmonare. Ad una particolare frazione dell’estratto di Rodiola vengono attribuiti utili effetti inotropi e cronotropi positivi.
La malattia cardio vascolare (CVD) è una delle più comuni al mondo e comprende disturbi del cuore e/o dei vasi sanguigni determinando le malattie delle arterie coronarie, l’insufficienza cardiaca, l’aritmia cardiaca. Sebbene la comprensione della CVD sia migliorata, la CVD rappresenta ancora la principale causa di morte in tutto il mondo, specialmente nella popolazione anziana. [41]
Notoriamente due meccanismi noti per essere coinvolti nella cardiopatia ischemica sono lo stress ossidativo e l’apoptosi cellulare. Molti studi hanno dimostrato che il salidroside protegge dalle lesioni da ischemia-riperfusione del miocardio e da lesioni ipossiche miocardiche; è stato infatti dimostrato che il salidroside può attenuare il danno cellulare indotto dal perossido di idrogeno (H2O2). [43]
In uno studio su cellule endoteliali di vena ombelicale umana (HUVEC), il pretrattamento con salidroside ha dimostrato di proteggere le cellule dalla lesione indotta da H2O2 promuovendo la biogenesi mitocondriale e le sue funzioni correlate. [44, 45]
Su cellule progenitrici endoteliali derivate dal midollo osseo (BM-EPC), il salidroside ha ridotto i livelli intracellulari di ROS ed ha modulato positivamente i fenomeni di fosforilazione dimostrando di esercitare effetti protettivi contro il danno endoteliale indotto dallo stress ossidativo. [46]
Alcuni studi sugli effetti cardioprotettivi del salidroside [47, 48], hanno mostrato che il salidroside ha ridotto significativamente i livelli di CK, CK-MB e lattato deidrogenasi indotti nel ratto, dal nuoto forzato, inoltre il salidroside ha anche significativamente aumentato le attività di GSH-Px e SOD e ha ridotto il contenuto di MDA nel tessuto epatico di ratto [47, 48], indicando che il salidroside può esercitare effetti protettivi sul cuore.
Un ulteriore meccanismo alla base del danno del miocardio da riperfusione ischemica è la morte cellulare apoptotica pertanto le strategie antiapoptotiche potrebbero essere utilizzate per prevenire il danno da riperfusione al cuore. E’ stato dimostrato che il salidroside può intervenire nel regolare l’apoptosi nella CVD come ad esempio in uno studio di Zhang et al. (2009) le cui conclusioni hanno indicato come il salidroside sia in grado di aumentare significativamente i livelli del fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF) chiarendo che il salidroside esercita un effetto protettivo contro la necrosi dei cardiomiociti indotta da ipossia. [49]
Tan CB et al (2009), hanno poi concluso che il salidroside è in grado di ridurre l’espressione di BAX (proteina pro-apoptotica) e di ripristinare l’equilibrio tra proteine pro e anti-apoptotiche, proteggendo le cellule endoteliali in un modello di apoptosi indotta dal cloruro di cobalto regolando globalmente l’espressione delle proteine della famiglia BCL-2 (che possono essere sia anti apoptotiche sia pro apoptotiche). [50]
Zhong H et al (2010) hanno inoltre dimostrato nel ratto che il salidroside è stato in grado di inibire l’apoptosi del miocardio in un modello di infarto miocardico acuto (AMI) nel ratto e di ridurre il danno miocardico dovuto all’ischemia. [51]
In altri studi il salidroside ha anche evidenziato capacità di protezione contro il coxsackievirus B3, che potrebbe causare miocardite virale, sia in vitro che in vivo. [52, 53]
Un estratto di Rhodiola rosea (3,5 mg / kg somministrata per via orale) ha ostacolato la perdita di forza contrattile indotta da riperfusione in un cuore di ratto riperfuso e ha impedito la riduzione del flusso sanguigno coronarico e lo sviluppo della contrattura nel periodo post-ischemico; questo effetto è probabilmente correlato all’aumento dei livelli di peptidi oppioidi endogeni indotti da Rhodiola rosea. [54]
Un estratto acquoso di Rhodiola rosea ha dimostrato di sottoregolare l’espressione di iNOS (sintetasi inducibile dell’ossido nitrico) in modo dose-dipendente che come l’espressione di mRNA aumentano marcatamente nel danno ischemico miocardico, pertanto, il meccanismo protettivo della Rhodiola rosea contro il danno ischemico al cuore può essere dovuto alla sua downregulation dell’espressione di iNOS. [55]
L’ipertensione polmonare (PH) è una malattia cronica, complessa e progressiva che può portare alla morte. In generale, le specie di Rhodiola hanno un effetto inibitorio sullo sviluppo dell’iperglicemia e ipertensione. Gli estratti sia etanolici sia acquosi di Rhodiola rosea mostrano forti attività di inibizione dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE). [56]
La Rhodiola rosea può risultare utile nel contrastare sintomi correlati all’altitudine e per l’esacerbazione acuta dell’ipertensione polmonare. La capacità di Rodiola rosea di attenuare l’ipertensione polmonare è stata dimostrata sperimentalmente in ratti cronicamente ipossici; questi effetti benefici possono essere correlati a possibili meccanismi di regolazione della segnalazione attraverso diversi fattori di crescita tra cui endotelina 1, ossido nitrico, VEGF, ACE, fattore nucleare κB (NF-κB), TNF-α e IL-6. I cambiamenti in questi fattori di crescita sono stati indicati come implicati nella patogenesi dell’ipertensione polmonare, che si manifesta come vasocostrizione polmonare cronica, vasoproliferazione e infiammazione vascolare. [57]
Il rizoma di Rhodiola kirilowii ha dimostrato di promuovere significativamente l’espressione del fattore von Willebrand (nel complesso sistema della coagulazione) nelle zone infartuata e non infartuale nel miocardio del ratto. La Rhodiola kirilowii ha anche promosso l’angiogenesi nella miocardia dei ratti con AMI elevando le espressioni di HIF-1α, HIF-1β e VEGF. [59]
La somministrazione sistemica della frazione idrosolubile di Rhodiola rosea sacra (radix) ha dimostrato di indurre una potente attività ipotensiva, mediata dalla modulazione del tono vasomotorio simpatico e dal sistema circolatorio di angiotensina. Gli effetti inotropi e cronotropici positivi della frazione idrosolubile possono essere attribuibili alla sua inibizione vagale diretta sul cuore. [60]

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Salidroside e estratto di Rhodiola sul diabete

Il salidroside ed in generale le specie Rhodiola rappresentano potenziali agenti farmacologicamente attivi, per il trattamento del diabete mellito la cui prevalenza rappresenta la terza più grave minaccia per la salute umana dopo CVD e cancro [61], in correlazione al miglioramento dei globali standard di vita ed all’allungarsi della vita media.
In generale, nei confronti della malattia diabetica e delle sue complicanze, Rodiola agirebbe con effetti: antiossidanti, ipoglicemizzanti, anti-ipertensivi, antinfiammatori (contro il dolore neuropatico), effetti anti-nefropatici. Il corrente uso di Rodiola anche come officinale anti obesità (o “dimagrante”) sarebbe confermato dalle evidenze farmacologiche che indicano la capacità di alcune specie di Rodiola di contrastare l’insulino-resistenza.
Studi recenti hanno dimostrato che l’estratto di Rhodiola rosea e il salidroside hanno potenti effetti sulla riduzione del diabete che viene ritenuto il responsabile dell’aumento dello stress ossidativo [62] con incremento della produzione mitocondriale dell’anione superossido, la glicazione non enzimatica delle proteine e l’auto ossidazione del glucosio. [63-65]
Uno studio ha concluso che il salidroside, somministrato quotidianamente ai ratti, riduceva significativamente il glucosio nel sangue a digiuno, il colesterolo totale, i livelli di trigliceridi e la MDA, aumentando i livelli sierici di insulina e le attività di SOD, GPx e catalasi. Questi risultati indicano che il salidroside protegge dal diabete indotto sperimentalmente, possibilmente attraverso la riduzione dello stress ossidativo. [66]
La malattia vascolare è considerata una complicanza grave nel diabete mellito, e iperglicemia e ipertensione sono riconosciuti come due dei principali fattori di rischio per le complicanze vascolari nei pazienti diabetici. Il salidroside, quando usato in una terapia combinata, ha contemporaneamente abbassato la glicemia e la pressione sanguigna nei ratti resi diabetici. Il meccanismo di attività è stato ricondotto all’inibizione della funzione e dell’espressione dei canali Ca2 + (CaL) di tipo L nelle cellule muscolari lisce vascolari [67]. Quasi la metà di tutti i pazienti diabetici soffre anche di dolore neuropatico intrattabile. Al salidroside è stata attribuita la capacità di migliorare il dolore neuropatico diabetico nei ratti inibendo la neuroinfiammazione e l’espressione dei recettori purinergici P2X7. [68]
L’insulino-resistenza è un ulteriore problema serio nel diabete e l’estratto di Rhodiola rosea sembra influenzare la resistenza all’insulina. L’estratto di Rhodiola crenulata ha significativamente soppresso l’iperinsulinemia indotta da fruttosio e migliorato l’HOMAR-IR (Homeostatic Model Assessment for Insulin Resistance) e l’indice di resistenza all’insulina del tessuto adiposo nei ratti (Sprague Dawley maschi), indicando che il miglioramento dell’insulino-resistenza dell’estratto di R. crenulata è attribuibile alla sua modulazione del sarcolemma e alla ridistribuzione intracellulare di CD36 [69]; un estratto etanolico di Rhodiola rosea, somministrato per via orale a ratti resi diabetici con streptozocina (STZ), ha dimostrato un significativo effetto anti-iperalgesico [70] e in un altro studio è stato dimostrato che un estratto etanolico di Rhodiola rosea ha protetto dalla nefropatia precoce i ratti resi diabetici, facendo ipotizzare la riduzione dell’espressione del fattore di crescita trasformante β1 (TGF-β1) nei tessuti renali. [71]
Un estratto acquoso di Rhodiola rosea somministrato per via orale ratti resi diabetici chimicamente, ha abbassato il glucosio plasmatico e ha migliorato l’iperglicemia, agendo attraverso un aumento della secrezione di β-endorfina dalla ghiandola surrenale, che ha attivato i recettori degli oppioidi. [72]
In un altro studio, R. crenulata e Rhodiola rosea hanno esercitato significative attività inibitorie sull’α-amilasi, sull’α-glucosidasi e sull’ACE. Inoltre, un importante componente fenolico delle specie Rhodiola, il tirosolo, dimostra una forte attività inibitoria dell’α-glucosidasi e potrebbe essere utile come terapia efficace per l’iperglicemia postprandiale in pazienti con diabete di tipo II. [56]
Considerate nel loro insieme, le specie Rhodiola sono potenziali agenti farmaceutici, per il trattamento del diabete mellito.

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Salidroside e estratto di Rhodiola sulle malattie del fegato

Il salidroside contenuto in Rodiola esercita effetti pro-epatici potenzialmente utili nel contrastare alcune malattie (disturbi) epatiche; questi effetti dell’officinale sono riassumibili in complesse capacità antiossidanti in contrasto alla fibrogenesi e ad altri complessi meccanismi patogenetici.
La fibrosi epatica è una manifestazione comune nella malattia epatica cronica e nella cirrosi. Recenti studi hanno dimostrato che l’attivazione e la proliferazione delle cellule stellate epatiche (HSCs) sono fattori chiave nella fisiopatologia della fibrogenesi epatica, in cui i radicali liberi dell’ossigeno e la perossidazione lipidica svolgono un ruolo importante.
Il salidroside dimostra un’attività antiossidante, con riduzione significativa della produzione di MDA intracellulare e di GSH, ed un aumento dell’attività di SOD e GSH-Px, inoltre inibisce marcatamente la proliferazione di HSCs (cellule staminali ematopoietiche) e abbassa significativamente i livelli di collagene in vitro. Il meccanismo dell’azione del salidroside sulla fibrosi può essere correlato alla sua inibizione della perossidazione lipidica. [73]
In un modello murino di fibrosi epatica acuta indotta con D-galattosamina e lipopolisaccaride, il salidroside ha ridotto i livelli sierici elevati di aspartato amminotransferasi e alanina amminotransferasi, nonché TNF-α e NO nel siero, in modo dose-dipendente inoltre il salidroside ha ripristinato le attività di GSH, SOD, catalasi e GSH-Px (glutatione perossidasi), sostenendo le cellule epatiche esaurite e riducendo i livelli di MDA nel fegato. Il salidroside ha anche ridotto il grado di necrosi, di caspasi 3 e livelli di HIF-1α (Hypoxia-inducible factor 1-alpha) nel fegato. Il meccanismo epatoprotettivo del salidroside può essere correlato alla sua attività antiossidante e all’inibizione funzionale di HIF-1α. [74]
Lo stress ossidativo è implicato nella compromissione funzionale del tessuto adiposo e di altri tessuti come il fegato. Un estratto di Rhodiola ha dimostrato di proteggere il fegato dal danno indotto dallo stress ossidativo mentre un estratto metanolico di R. sachalinensis ha esercitato protezione contro la citotossicità indotta dalla D-galattosamina nella coltura primaria di epatociti di topo. [75]
Il fegato è un organo importante nell’omeostasi dell’energia del corpo poiché regola il metabolismo del glucosio e dei lipidi, che sono collegati alla progressione patologica della cirrosi, della steatosi epatica non alcolica, dell’epatite e del cancro al fegato. [76]
Sia gli esperimenti in vitro che quelli in vivo hanno dimostrato che l’estratto di radice di R. crenulata aumentava la sintesi del glicogeno e l’espressione degli enzimi regolatori nelle cellule HepG2 (cellule epatiche cancerogene) e l’accumulo di grasso soppresso nelle cellule epatiche in condizioni di iper glicemia. Questi risultati indicano che gli effetti regolatori dell’estratto di radice di R. crenulata sul glicogeno epatico e sul metabolismo dei lipidi sono associati alla via di segnalazione AMPK (AMP-activated protein kinase). [77]

[73] Zhang Y, Liu Y (2005). [Study on effects of salidroside on lipid peroxidation on oxidative stress in rat hepatic stellate cells]. Zhong Yao Cai, 28: 794-796.
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Salidroside e estratto di Rhodiola in oncologia

Il salidroside e gli estratti di Rodiola sono stati recentemente studiati anche per potenziali effetti nelle patologie oncologiche; questi effetti sarebbero principalmente di natura antiossidante, anti angiogenetica e immunomodulante come evidenziato per un particolare polisaccaride purificato isolato da Rodiola.
L’incidenza del cancro aumenta notevolmente con l’età. Le persone di età superiore ai 65 anni sono generalmente più suscettibili al cancro. Il meccanismo alla base di questo fenomeno è correlato con il crescere di mutazioni nei geni critici, che alterano i normali programmi di proliferazione, differenziazione e morte cellulare. [78]
Liu Z et al (2012) hanno concluso che il salidroside è stato in grado di inibire selettivamente la crescita delle linee cellulari del carcinoma della vescica, mentre ha avuto scarso effetto sulle cellule epiteliali della vescica non maligne. Ciò può essere attribuito alla sua inibizione della via mTOR (Mammalian Target of Rapamycin) e alla sua induzione dell’autofagi. [79]
Lo stress ossidativo è un importante stimolatore apoptotico nelle cellule tumorali e svolge un ruolo fondamentale sia nella tumorigenesi che nelle metastasi. Il salidroside ha evidenziato potenti proprietà antiossidanti e potrebbe inibire significativamente la proliferazione delle cellule A549 inducendo l’arresto dell’apoptosi. Queste attività potrebbero essere prevalentemente correlate alla riduzione della generazione di ROS [80].
Un altro studio in vitro ha dimostrato gli effetti inibitori del salidroside sulle metastasi delle cellule tumorali di fibrosarcoma HT1080 nell’uomo. [81]
Il salidroside ha anche inibito la migrazione e l’invasione delle cellule del carcinoma del colon SW1116 attraverso la via JAK2/STAT3-dipendente [82] e ha ridotto significativamente l’angiogenesi indotta da tumore nei topi. [83]
Un estratto acquoso di rizoma di R. imbricata ha dimostrato di ridurre la proliferazione delle cellule K-562, l’aumento dei ROS intracellulari nella linea cellulare K-562, l’apoptosi indotta e la morte cellulare. Questo estratto ha arrestato anche la progressione del ciclo cellulare a G2 / M. Queste osservazioni suggeriscono che un estratto acquoso del rizoma di R. imbricata ha potenti attività antitumorali e potrebbe essere utile nel trattamento della leucemia. [84]
Come noto il sistema immunitario svolge un ruolo importante nella regolazione e prevenzione del cancro [85].
Un polisaccaride purificato di Rhodiola rosea è ritenuto essere promettente nel contrastare la soppressione immunitaria nei tumori sperimentali. In un esperimento in vitro, il polisaccaride ha avuto un effetto citotossico acuto sulle cellule di Sarcoma 180 (S-180) mentre in un esperimento in vivo, ha inibito la crescita delle cellule S-180, migliorando significativamente le risposte immunitarie e protetto gli organi interni vitali dei topi.
Queste attività si sono dimostrate associate ad aumenti degli indici, in milza e timo, della produzione di citochine (IL-2, TNF-α e interferone-γ) e del rapporto CD4 + / CD8 + nei topi portatori di tumore.
Questi risultati indicano che questo polisaccaride di Rhodiola rosea sarebbe un nuovo e promettente agente pro immunitario per il trattamento del cancro. [86]

[78] Zuo W, Yan F, Zhang B, Li JT, Mei D (2017). Advances in the studies of Ginkgo Biloba leaves extract on aging-related diseases. Aging Dis, 8: 812-826.
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La Rhodiola è una delle piante medicinali più importanti e più frequentemente impiegate nei principali sistemi di Medicina Tradizionale ed in particolare in quella cinese.
Tra i molteplici componenti chimici della Rhodiola (salidroside, polisaccaridi, flavonoidi, terpenoidi e molti altri composti), il salidroside viene ritenuto il principale agente bioattivo.
Tradizionalmente Rhodiola viene impiegata per le sue proprietà adattogene significative tuttavia molti estratti e singoli composti isolati ottenuti dalla Rhodiola hanno mostrato effetti farmacologici su diversi organi e sistemi, incluso il sistema cardiovascolare e nervoso, dimostrando numerose bioattività antiossidanti, anti-invecchiamento, anti-cancro e neuro protettive.
Sebbene la Rodiola sia comunemente usata in combinazione con altre piante medicinali, come ad esempio nella medicina tradizionale cinese, molti studi hanno indicato che questa pianta medicinale esercita effetti farmacologici significativi anche quando usata singolarmente.
Alcuni usi tradizionali della Rhodiola sono stati validati da recenti studi farmacologici.
Dalla specie Rhodiola sono stati isolati circa 200 composti chimici, tuttavia tra questi sono stati studiati solo pochi composti tra i quali principalmente il salidroside, i flavonoidi e i polisaccaridi.
Le conclusioni di questo articolo, attraverso le prove scientifiche disponibili, sostengono fortemente l’ipotesi che Rhodiola possegga proprietà terapeutiche anche per una varietà di malattie legate al progredire dell’età.


Aging Dis. 2019 Feb 1;10(1):134-146. doi: 10.14336/AD.2018.0511. eCollection 2019 Feb. PubMed

Rosenroot (Rhodiola): Potential Applications in Aging-related Diseases.

Zhuang W(1), Yue L(2), Dang X(3), Chen F(1), Gong Y(4), Lin X(1), Luo Y(5).

Author information:

(1)Department of Pharmacy, Xuanwu Hospital of Capital Medical University, Beijing 100053, China.
(2)Dongzhimen Hospital, Beijing University of Chinese Medicine, Beijing 100700, China.
(3)Department of Pharmacy, Hospital of T.C.M.S Shijingshan District, Beijing 100043, China.
(4)College of Pharmacy, University of Manitoba, Winnipeg R3E 0T5, Manitoba, Canada.
(5)Institute of Cerebrovascular Disease Research and Department of Neurology, Xuanwu Hospital of Capital Medical University, Beijing 100053, China.

Abstract

Aging is a progressive accumulation of changes in the body, which increases the susceptibility to diseases such as Alzheimer’s disease, Parkinson’s disease, cerebrovascular disease, diabetes, and cardiovascular disease. Recently, Chinese medicinal herbs have been investigated for their therapeutic efficacy in the treatment of some aging-related diseases. Rhodiola, known as’Hongjingtian’ in Chinese, has been reported to have anti-aging activity. Here, we provide a comprehensive review about its origin, chemical constituents, and effects on aging-related diseases.

DOI: 10.14336/AD.2018.0511

PMCID: PMC6345333
PMID: 30705774

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Newsletter Ayurveda nr. 51 – Marzo 2019

Newsletter n° «51»

Marzo 2019

FOCUS TAILAM

Ksheerabala, un Taila versatile

 

INTERNATIONAL JOURNAL OF RESEARCH IN AYUSH AND PHARMACEUTICAL SCIENCES IJRAPS | JULY 2017 | VOL 1 | ISSUE 1 89

KSHEERBALA TAIL AND ITS DIFFERENT ROUTES OF ADMINISTRATION

Kanika Dhiman, Usha Sharma

A luglio 2017 Kanika Dhiman e Usha Sharma hanno pubblicato su “International Journal of Research in AYUSH and Pharmaceutical Sciences (IJRAPS)“ questo breve ma interessante articolo, che rappresenta un sintetico profilo di Ksheerabala taila e delle sue possibilità di somministrazione, riproponendone rispetto a queste, i possibili suoi meccanismi di azione.

Pur nella sua essenzialità l’articolo rappresenta uno dei pochissimi approfondimenti scientifici condotti specificatamente su Ksheerabala taila e potrebbe esserne utile anche l’archiviazione a supporto dei razionali d’impiego nella pratica professionale. Ne segnaliamo i contenuti oltre ad ulteriori informazioni sulle particolarità di formulazione del Taila.

Notoriamente Ksheerabala viene ritenuto il Taila per gli “80 disturbi di Vata” e la sua antichissima formula si distingue per la presenza di un unico e potente componente erbale (Sida cordifolia L.) miscelato e complessato con olio di sesamo (Tila Taila) e latte vaccino; per la particolarità della sua formulazione Ksheerabala taila è uno dei più popolari oli medicati Ayurvedici e dalla Medicina Ayurvedica, e secondo l’articolo, è riconosciuto anche come rimedio utile in disturbi neurologici come la paralisi facciale, la sciatica, l’emiplegia, la paraplegia, la poliomielite oltre che in altre condizioni. [1]

Il nome “Ksheerabala taila” è stato menzionato per la prima volta in Sahasrayogam, l’antico formulario ayurvedico del Kerala, tuttavia preparazioni molto simili sono riportate in quasi tutti gli antichi testi ayurvedici ma con nomi diversi; in Charaka è menzionato come “Shatasahasra Pakabala Taila ” [2], in Sushruta è menzionato come “Shata pakabala taila” [3] e in Ashtanga Hridaya è menzionato come “Shatapaka- sahasrapakabala Taila” [4]

Gli ingredienti di Ksheerabala taila sono Ksheera (latte di mucca), Bala (Sida cordifolia Linn) e Tila taila (olio di sesamo).

Secondo i razionali di formulazione il latte vaccino contiene tutti gli elementi necessari per la crescita e la nutrizione di ossa, nervi, muscoli e di altri tessuti del corpo umano; Sida cordifolia contiene sostanze alcaloidee (efedrina) farmacologicamente molto attive (antinfiammatorie, stimolanti, pro nervine) anche a livello del Sistema Nervoso Centrale e l’olio di sesamo, utilizzato come olio base della preparazione, contiene sostanze utili cristalline (sesamina) e fenoliche (sesamolo) con qualità nutrienti, antiossidanti e altamente veicolanti di altre sostanze.

In generale a Ksheerbala Taila vengono attribuite proprietà Shaman (palliative), Rasayana (ringiovanenti) e Brimhana (nutrienti e pro-immunitarie) normalizzando Vata e Pitta con evidente azione anti-infiammatoria.

L’antica ricetta prevedeva la macinazione (per ottenertene una pasta) delle radici fresche della pianta di Bala (Sida cordifolia L) e che il composto ottenuto venisse mescolato con Goksheer (latte vaccino) e Tila taila (Olio di sesamo); la miscela ottenuta doveva poi essere sobbollita a fuoco basso (70-80 °C) e lasciata quindi raffreddare; una volta raffreddata la miscela doveva essere successivamente filtrata ed eventualmente riprocessata.

In Ashtanga Hridaya il processo di elaborazione veniva consigliato da 100 fino a 1000 volte per ottenere composti diversi; il preparato elaborato 100 volte è chiamato Shata Taila di paka bala e quello elaborato 1000 volte è chiamato Sahastra Taila di paka bala.

In Ayurveda la via più adatta di somministrazione di farmaci viene identificata principalmente sulla base della diffusione locale nel sito di patologia.

Ksheerabala Taila si rivela una delle migliori formulazioni per l’artrite gottosa ed i disordini neurologici, risultando vantaggioso per il recupero della salute in 80 tipi di “Vatavyadhi”.

Secondo le fonti tradizionali il numero di elaborazioni al quale viene sottoposto Ksheerabala taila, ne determina potenze diverse (3,7,14,21,41,100); attualmente i prodotti disponibili sul mercato corrispondono alla versione elaborata circa 100 volte.

Ksheerabala taila viene attualmente preparato ancora secondo l’antica formula citata in Sahasrayogam, (Taila Adhikara) attraverso un processo in più fasi e cioè: Ama paka, Mridu paka, Madhya paka, Khara paka, Dagdha paka; le opportune fasi produttive sono fondamentali per garantire che i vari costituenti chimici degli ingredienti (Bala, Tila, Ksheera) si complessino in un “totum attivo” (l’olio finito); le caratteristiche dell’olio “finito” dipendono strettamente dalla tipologia delle metodiche di preparazione e dal numero di elaborazioni progressive adottate per ottenerlo. La qualità di Ksheerabala taila, garantita in standard elevati da poche aziende produttrici, dipende da quanto i costituenti chimici dei tre componenti si integrino tra loro rispetto ad ambientazioni altamente controllate di temperatura e alla quantità di rielaborazioni (numero di filtrazioni) progressivamente successive.

La qualità del prodotto finito dipende altamente dall’abilità di preparazione, la quale deve garantire che la miscelazione di ingredienti diversi tra loro non alteri le singole attività degli stessi ma che invece le potenzi in un concetto di sinergia.

Recenti approfondimenti scientifici, attraverso metodiche analitiche avanzate, hanno infatti chiarito che la metodica estrattiva, utilizzata da millenni, caratterizza questo prezioso Taila in modo specifico variabilmente, in termini qualitativi, a seconda delle varie metodiche produttive che devono rispettare i criteri GMP (Good Manufacturing Practice) raccomandati.

L’originale metodica estrattiva, antica di millenni, si fonda infatti su specifiche reazioni chimico – fisiche dipendenti dalla natura dei componenti chimici degli ingredienti (e dallo loro qualità) e dalle reazioni tra essi dipendenti all’esposizione alla temperatura.

Nella produzione di Ksheerabala taila la temperatura controllata di preparazione è fondamentale poiché è prevalentemente responsabile dei processi di disidratazione della materia prima ed interviene ad esempio nell’attenuare gli effetti diluitivi dell’acqua contenuta nel latte (come rilevabile da diversi gradienti di acqua contenuti in campioni di taila esaminati nelle diverse fasi successive della preparazione); sempre nella preparazione, la temperatura di produzione, risulta cruciale nel determinare i valori di acidità del prodotto finito poiché le reazioni termiche modificano i componenti acidi derivanti dal latte e/o dalla droga impiegata (parte della pianta medicinale utilizzata): questi processi risultano ad esempio fondamentali nella rimozione di acidi grassi volatili incorporati dal latte o nella decomposizione di altre componenti acide. [1]

Analogamente, il valore di saponificazione dell’olio medicato dipende anche dall’incorporazione del grasso del latte nel medesimo, il quale è strettamente condizionato dai tempi di riscaldamento che determinano la rimozione della frazione acquosa (umidità) e di altri componenti volatili non grassi. Valori di saponificazione diversi dipendono inoltre dalla progressione dei processi di riscaldamento che guastano o intervengano con processi di ossidazione sui doppi legami di grassi insaturi. [1]

L’insieme dei processi sopracitati interviene anche sulla quantità di materia insaponificabile nell’olio finito, determinando un’ampia variabilità di questi valori.

Gli approfondimenti scientifici sono oggi concordi nel indicare che il preciso controllo di effetti termici fisici e chimici è essenziale per garantire una riproducibilità, in Ksheerabala taila, di costanti come ad esempio il valore di acidità, il valore di saponificazione ed il valore di iodio, tutti aspetti che differiscono ampiamente rispetto alla qualità delle diverse metodiche di preparazione. [1]

Analisi specifiche cromatografiche su diversi campioni di olio raccolti nelle fasi successive di preparazione non rivelano altre variabili significative [1] resta tuttavia essenziale la certificazione del rispetto dei limiti di potenziali sostanze inquinanti o potenzialmente allergizzanti.

1. Rao, V. Nageswar, et al. “Standardisation of ksheerabala taila.” Ancient science of life 16.1 (1996): 21.
2. Charaka Samhita – by Agnivesh, Published by chaukhambha Bharati academy, Varanasi 14th edition, 1987, Chikitsa Sthan – 29/119-120.
3. Sushruta samhita- by sushruta, Published by chaukhambha Sanskrit sansthan, Varanasi, 8th edition, 1993, Chikitsa sthan – 15/40-43.
4. Ashtanga Hridaya – by Vagbhatta, Published by Chaukhambha Sanskrit Sansthan, Varanasi, 10th edition, 1992 Chikitsa sthan – 22/45-46.

Dall’articolo

Secondo le osservazioni dell’uso tradizionale “Ksheerabala taila” agisce come tonico nervino, rinforzante dei muscoli e rappresenterebbe anche una buona opzione all’impiego di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS); per questo motivo Ksheerbala Taila viene tradizionalmente impiegato in Ayurveda, come medicinale antinfiammatorio, per il trattamento di Vata Vyadhi (disordini neurologici) ed anche di Vatarakta (artrite gottosa); la ricerca scientifica ha ben confermato le potenzialità del preparato nel trattamento dei disordini neurologici e nel contrastare effetti neuro-tossici di varia natura oltre a confermare quelli neuro protettivi.

Una delle principali modalità d’impiego nei trattamenti di detossificazione è Abhyanga mentre nel trattamento di disordini neurologici (Vata Vyadhi) viene preferito l’impiego tramite Basti; Matra basti è un tipo di basti Sneha (untuoso) che fornisce nutrimento e pacifica dosha Vata il cui disequilibrio si pone all’origine della patologia.

A Ksheerabala Taila vengono attribuite inoltre proprietà Rasayana (ringiovanimenti) e può essere usato in terapia sia per via topica che sistemica. Come anticipato è indicato in tutti i disturbi Vata Vyadhi, in Vatarakta, e nelle condizioni infiammatorie.

Ksheerbala Taila può essere impiegato attraverso Basti (Anuvasana e Matra ) [5] e secondo i consigli di Charaka, Anuvasana Basti è indicato in Vata vyadhis [6] e Matra Basti è utilizzabile per il trattamento di paralisi cerebrale.

Come noto in Ayurveda la terapia (Chikitsa) Basti rappresenta uno dei principali trattamenti e Sneha o Anuvasana Basti (clistere oleoso) vengono raccomandati per promuove Bala (forza) nell’organismo emaciato e debilitato, infatti Dravya (sostanze) di Matra Basti raggiungono i canali più minuti del corpo e forniscono adeguato nutrimento ai tessuti con effetto Brumhana.

5. Lande Prashant Adinath “Effectiveness of Ksheerbala Taila matra basti in children with cerebral palsy” www.ujconline.net
6. Agnivesha, Charaka, Dridhabala Charaka Samhita, Siddhi Sthana, Kalpanasiddhir adhyaya 1/25. In: Tripathi B, Deshpande PJ, editors, reprint ed. Varanasi: Chaukambha Sanskrit Pratishtan; 2003.p.1165.

Ksheerabala Taila, impiegato attraverso Abhyanga, trova utilità nella gestione del dolore, in Vata roga [7]; qualità di Abhyanga sono Snehan (untuosità), l’efficienza nutriente (Kledkarak), la capacità pacificante di Vata (shamak), l’effetto anti-aging o ringiovanente (Jarahar); la qualità Sneha consente alla formulazione di raggiungere i diversi dhatu Mamsa, Meda, Asthi e Majja, fornendo loro nutrimento; Abhyanga inoltre dà forza ai muscoli e ne riduce la rigidità.

Ksheerabala Taila, impiegato tramite Nasya, offre ottimi risultati in Ardita (paralisi facciale) agendo sui Dosha nella regione sopra-clavicolare (Uttamang); tramite Nasya le droghe, transitando per Sringatak Marma, raggiungono il cervello ed i centri nervosi che controllano la parola, la vista, l’olfatto, il gusto e l’udito; in queste sedi Ksheerabala Taila contribuisce a contrastare l’infiammazione dei nervi, grazie alle sue proprietà Sheeta e ne promuove la rigenerazione, inoltre rinforza i muscoli grazie alle proprietà Balya e Brumhana dei farmaci presenti in esso, inoltre Ksheerabala Taila migliora l’attività degli organi sensoriali (Indriya Prasada). [8]

Ksheerabala Taila, somministrato tramite Parisheka Sveda, può essere impiegato per alleviare Katigraha (la rigidità della regione lombare) che è tipicamente uno dei Vata Vyadhi; Parishek Sveda agisce infatti grazie all’effetto sia di Snehan che di Svedan; Snehan corregge il Shoshan Dhatu (principio della vitalità di Vata) e conferisce forza; Svedan allevia Ruk (dolore), Shoth (infiammazione), Stambh (rigidità) ecc., alleviando globalmente i sintomi di Vata ed ammorbidendo le parti del corpo.

La terapia termale, in generale, migliora la circolazione ed il metabolismo locale con rilassamento della muscolatura. [9]

Ksheerabala Taila, somministrato tramite Shirodhara, esercita effetti ansiolitici, anti ipertensivi, e migliora la capacità di prendere sonno; da un punto di vista meccanicistico alla pratica di Shirodhara vengono attribuite capacità di riduzione delle catecolamine ed antidepressive per capacità di induzione dell’aumento della ricaptazione della serotonina. [10]

In Ksheerabala si distinguono le potenti proprietà farmacologiche di Bala (Sida cordifolia) [11]; la radice di questa pianta medicinale possiede caratteristiche Madhura rasa (dolci), Guru (pesanti), Snigdha guna (untuose) e le foglie posseggono prevalentemente caratteristiche veerya (energizzanti) e Madhura (dolci); in Acharya Charak, Bala è citata in Balya Mahakashaya e in Madhur Skandh mentre in Acharya Sushrut è citata in Vatashamak Gana e quindi indicata per la promozione della forza e la pacificazione di Vata.

Ksheerabala Taila, Bala è miscelata con Tila taila (Sesame indicum) [11] che possiede caratteristiche Madhur rasa, Vipaka, Balya e Rasayan; l’olio di sesamo nutre e rafforza tutti i dhatu, controlla Dhatukshaya e quindi pacifica Vata; le qualità Snigdha e Guru riducono le manifestazioni dolorose (Rukshata) di Vata in sinergia con le qualità di Ushna e Veerya pacificando in generale Vata.

In Ksheerabala Taila Go-ksheera (latte di mucca) [12] possiede gusto Madhura e Snigdha con qualità Guru, Sheeta Veerya, Madhura vipaka ed in generale allevia Vata dosha.

7. The Ayurvedic Formulary of India, Part I, 2nd revised edition, Govt. Of India, 2003, page no132.
8. Mohita Bohra, “Role of Ksheerbala Taila Nasy And Ksheerdhooma in the management of Ardita: A review” Ayurpharm International Journal of Ayurvedic Allied Science. Vol4, No.3 (2015) Pages 54-59.
9. Jindal Dilbag, Pujar Muralidhar P, Jindal Radha, Chaturvedi Ashutosh. A clinical study to assess the efficacy of Parishek sveda in the management of Katigraha. J Biol Sci Opin2013; 1(2); 84-87.
10. Sanjeev Rastogi, “Effect of Shirodhara in generalized anxiety disorder” http;\\dx.doi. org\10.5667\tang.2016.0016.
11. Dravya Guna- Vijnana Vol II written by P.V.Sharma Published by Chaukhambha Bharati Academy, Varanasi reprinted year 2015.
12. Sharma Priyavat, editor, Ashtanga Hridaya of Vagbhata Sarvanga Sundari commentary of Arunadutta, Sutrasthana; dravadravyavijnana: 05, verse 21-22 Varanasi: Chaukhambha Praakashan, 2009; 68.

Globalmente Ksheerabala Taila contribuisce a ridurre l’infiammazione [13] ed il dolore articolare risultando quindi utile nella patologie degenerative come l’osteoartrite inoltre contribuisce a rinforzare i muscoli e le ossa preservando il danno muscolare; per le sue caratteristiche questo prezioso Taila, attraverso le diverse vie di somministrazione, risulta utile nel contenimento del danno muscolare, nell’atrofia muscolare e nella fibromialgia; Ksheerabala Taila offre versatilità di somministrazione come Basti, Nasya e Abhyanga.

13. Chithra G.Nair, R.R Geethesh P., Sudheendra Honward, Ravi Mundugaru. A comparative study on the anti-inflammatory effects of Trividha paka of ksheerbala taila. Int. J. Res. Ayurveda Pharm.2015;6(6):692-695.

A cura della direzione scientifica di Benefica

INTERNATIONAL JOURNAL OF RESEARCH IN AYUSH AND PHARMACEUTICAL SCIENCES IJRAPS | JULY 2017 | VOL 1 | ISSUE 1 89

KSHEERBALA TAIL AND ITS DIFFERENT ROUTES OF ADMINISTRATION

Kanika Dhiman1, Usha Sharma2

Author information:

1 M.D Scholar, P.G. Department of Ras Shastra & Bhaishajya Kalpana, Rishikul Campus, Uttarakhand Ayurved University, Haridwar.

2 Professor, P.G. Department of Ras Shastra & Bhaishajya Kalpana, Rishikul Campus, Uttarakhand Ayurved University, Haridwar.

ABSTRACT

Ksheerbala Tail having Shaman rasayana and Brimhana properties. The content of the tail adds to its effect. Ksheerbala tail having contents of Bala (Sida cordifolia), Goksheer (Cow’s milk), and Sesame oil (Sesamum indicum), it normalizes the Vata and Pitta in the body and shows anti-inflammatory action. It is also given in almost all Authentic books Charak Samhita, Ashtang Hridya and Sushrut, with different names. It acts as a nervine tonic and strengthens the muscles and to provide better options to Non-Steroidal Anti-inflammatory Drugs (NSAIDs). Non-steroidal anti- inflammatory drugs owing to its exceedingly speckled side effects and adversities are in the verge of a moribund reliance. Ksheerbala Tail, a sage old Ayurved remedy remarkably emphasised in the treatment of Vata Vyadhi and Vatarakta is well used since ages as an anti-inflammatory medicine. Developing researches have demonstrated its efficacy to counter neuro toxicity and subsequently validated its neuro protective effect. Though, the much acclaimed traditional wisdom regarding its anti-inflammatory action is neither scientifically appraised nor compared with any standards. It is also used for Abhyang in detoxication process. Vata Vyadhi is best treated by Basti chikitsa, Abhyang etc. Matra basti is a type of Sneha basti which provides nutrition as well as pacify the morbid Vata dosha. In this article mode of action of Ksheerbala Tail and its different routes of administration are compiled.

KEYWORDS: Ksheerbala Tail, Shaman, Brimhana, Matra basti, Vata vyadhi, Abhyang, NSAIDs.

ISSN 2456-9909

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Newsletter Fitoterapia nr. 43 – Marzo 2019

Ashwagandha (Withania somnifera Dunal): integrazione “specifica” per gli sportivi

Nutrients. 2018 Nov 20;10(11). PubMed

Effects of an Aqueous Extract of Withania somnifera on Strength Training Adaptations and Recovery: The STAR Trial.

Ziegenfuss TN, Kedia AW, Sandrock JE, Raub BJ, Kerksick CM, Lopez HL.

Withania somnifera Dunal (Ashwagandha) è una pianta medicinale, appartenente alla famiglia delle Solanaceae, molto impiegata nella medicina tradizionale ayurvedica ed in essa classificata come “rasayana” in base a specifiche proprietà adattogene, toniche, anti-aging (ringiovanenti), ansiolitiche, ma anche a favore della potenza e della fertilità maschile; per questi motivi Ashwagandha è molto apprezzata anche in Occidente ed impiegata nella formulazione di moderni integratori fitoterapici, prevalentemente in aiuto al recupero di stanchezza fisica e mentale.

Il crescente interesse per questa pianta medicinale è tuttavia anche sostenuto da recente letteratura scientifica che ne indica potenziali farmacologici antitumorali e in contrasto a malattie neurodegenerative.

I possibili meccanismi di attività del fitocomplesso sono legati alla copresenza di diversi bioattivi, prevalentemente lattoni steroidali, alcaloidi e composti glicosilati che, diversamente concentrati nelle varie parti della pianta anche in relazione alle diverse metodiche estrattive (es. idroalcoliche o acquose), determinerebbero prevalentemente effetti di natura dopaminergica, serotoninergica, gaba-ergica, immunomodulante, antiossidante. Tuttavia a specifiche molecole contenute nel fitocomplesso vengono attribuite anche capacità di interferire positivamente nel limitare l’espressione di sostanze oncogeniche o favorenti i processi neurodegenerativi cerebrali, rispetto ai quali l’officinale avrebbe anche potenziali di sostegno e miglioramento strutturale. Letteratura scientifica anche molto recente, come lo studio proposto nella newsletter, ha poi studiato gli effetti della supplementazione con Ashwagandha finalizzata all’aiuto alle performances nell’attività sportiva, con particolare attenzione ai potenziali effetti di incremento della forza fisica, della resistenza fisica, al miglioramento della capacità aerobica ed al miglioramento di altri parametri come, ad esempio, la capacità di recupero muscolare; in generale le evidenze scientifiche sull’argomento cominciano ad assumere rilevanza anche grazie al numero crescente di lavori clinici di buona metodologia.

Dalle evidenze attualmente disponibili, dedotte da studi sulla matrice umana, si può affermare che Ashwagandha eserciti un impatto positivo sulle prestazioni nell’attività sportiva non solo in termini di espressione della forza media o di picco (esplosiva) in singole discipline (anche aerobiche), ma anche nel migliorare il recupero del disagio fisico e psico-emotivo derivante da sforzi fisici di resistenza; alcuni studi sono anche concordi nell’affermare che Ashwagandha sarebbe in grado di agire positivamente sulla composizione corporea.

Sull’argomento è tuttavia doverosa un premessa introduttiva relativa al fatto che gli integratori a base di Ashwagandha possono contenere estratti molto diversi tra loro perché derivanti dalle sole radici, oppure dalle sole foglie oppure da un mix delle due droghe con bilanciamenti diversi; per questo motivi, a seconda delle varie forme estrattive e del loro bilanciamento (ed del tenore di somministrazione dei bioattivi), gli integratori a base di Ashwagandha possono esercitare attività diverse, associando all’effetto adattogeno-tonico anche un più o meno evidente effetto ansiolitico.

Una considerazione a parte andrebbe poi fatta sulla importante presenza, nel fitocomplesso di Ashwagandha, di bioattivi che, secondo valide dimostrazioni scientifiche, sarebbero responsabili di una significativa attività antinfiammatoria di natura anti-COX e che coinvolgerebbe anche il rilascio di citochine pro-infiammatorie; per questi motivi Ashwagandha potrebbe svolgere un importante ruolo come integrazione specifica nell’attività sportiva, poiché contrasterebbe l’espressione di sostanze pro infiammatorie naturalmente rilasciate durante l’esercizio fisico intensivo.

Attualmente sono disponibili in commercio integratori a base di Ashwagandha che contengono estratti ben bilanciati nelle forme estrattive sia da radice (prevalente) che da foglie.

In linea di principio tuttavia, nonostante le possibili diversità di effetti derivanti dalle diverse possibilità di composizione delle forme estrattive, ad Ashwagandha vengono attribuite prevalenti attività adattogene e toniche purché il dosaggio e la qualità dell’estratto siano allineati a quanto raccomandato dai lavori clinici di valutazione.  [benefica: monograph].

L’articolo in breve

L’articolo disponibile in Pubmed e pubblicato da Nutrients nel 2018 propone una nuova valutazione clinica degli effetti di un estratto di Ashwagandha a supporto dell’attività sportiva.

Scopo dello studio è stato quello di esaminare l’impatto dell’integrazione di un estratto acquoso standardizzato di radici e foglie di Withania somnifera (Sensoril®) sui processi di adattamento nell’allenamento di forza.

Per lo studio sono stati arruolati 40 soggetti maschi (età: 26,5 ± 6,4 anni, altezza: 181 ± 6,8 cm, peso: 86,9 ± 12,5 kg, % di grasso 24,5 ± 6,6) che svolgevano attività fisica a scopo ricreativo, e che sono stati randomizzati a ricevere placebo oppure 500 mg/die di estratto di Ashwagandha.

Al basale e a 12 settimane di somministrazione e di allenamento sono state misurate la composizione corporea attraverso la Dual Energy X-Ray Absorptiometry (DEXA), la forza muscolare, la potenza muscolare e la resistenza, oltre che la performances ciclistica a cronometro sui 7, 5 Km; analogamente al basale e a 12 settimane sono state effettuate le analisi cliniche.

Secondo la metodologia dello studio i soggetti dovevano mantenere le loro normali abitudini alimentari e seguire un programma di allenamento specifico e progressivo di resistenza al sovraccarico (4 giorni alla settimana sia per la parte superiore del corpo sia per la parte inferiore del corpo).

Per l’analisi statistica è stato utilizzato il disegno fattoriale misto (2 X 2 ANOVA) e la significatività dell’analisi statistica è stata fissata a priori nel valore di p ≤ 0,05.

Al termine delle 12 settimane di trattamento nel gruppo di soggetti trattati con l’estratto di Ashwagandha si sono ottenuti guadagni statisticamente significativi e nettamente superiori rispetto al gruppo placebo, sia nelle performances nello “squat” (gruppo trattato: +19,1 ± 13,0 kg vs. placebo +10,0 ± 6,2 kg, p = 0,009) sia nelle performances nel “bench press” (gruppo trattato: +12,8 ± 8,2 kg vs. PLA: +8,0 ± 6,0 kg, p = 0,048).

Sempre al termine dello studio nel gruppo trattato con l’estratto di Ashwagandha, rispetto al gruppo placebo, dalle misurazioni DEXA della composizione corporea, sono stati osservati anche miglioramenti (intesi come limitazione dell’aumento) della “Android/Gynoid Fat Ratio” (gruppo trattato: +0,0 ± 0,14 rispetto al placebo: +0,09 ± 0,1, p = 0,03).

Tra i due gruppi non sono state trovate altre significatività statistiche relative a differenze nella composizione corporea o nelle misurazioni psicometriche della VAS (Visual analogue scales), oppure nell’emodinamica sistemica;

miglioramenti invece statisticamente significativi sono stati osservati, solo nel gruppo trattato con l’estratto di Withania somnifera, per le performances alla “squat”, “alla bench press” e nella crono misurazione della corsa in bicicletta sui 7,5 km oltre a miglioramenti della percezione di recupero fisico e psichico.

Le analisi cliniche hanno evidenziato solo un leggero effetto policitemico aspecifico nel gruppo placebo senza ulteriori variazioni statisticamente significative o clinicamente rilevanti tra i due gruppi.

Le conclusioni dello studio indicano che in soggetti maschi impegnati in allenamento fisico di resistenza per 12 settimane, la supplementazione di 500 mg /die di un estratto acquoso di Ashwagandha, migliora le performances di forza nella parte superiore ed inferiore del corpo, favorisce la distribuzione della massa corporea ed è stata ben tollerata.

 

Dall’articolo

Withania somnifera (Ashwagandha) è una pianta medicinale, appartenente alla famiglia delle Solanacee, storicamente impiegata in Ayurveda e sempre più apprezzata in occidente per le sue proprietà adattogene e toniche in caso di stanchezza fisica e mentale inoltre esiste una promettente letteratura scientifica che sosterrebbe anche gli effetti “rasayana” di questa potente pianta medicinale che tradizionalmente è stata impiegata anche come supplemento anti-aging, rivitalizzante e ringiovanente, tuttavia questi effetti devono essere ancora pienamente documentati [1-3]

Ashwagandha è una pianta medicinale generalmente molto studiata in diverse aree terapeutiche come quelle cognitive, depressive, psicomotorie, articolari [2], antiossidanti [3] e antinfiammatorie tuttavia non si è ancora giunti ad una completa comprensione di tutti i meccanismi d’azione del fitocomplesso che, con percentuali diverse a seconda delle varie parti della pianta (radici, foglie, frutti), contiene diversi composti bioattivi [1] come alcaloidi (withanine, withasomnine), lattoni (withanolidi) e glicosidi (sitoindosidi); la copresenza di questi diversi bioattivi determinerebbe gli effetti fisiologici attribuiti all’officinale.

In generale ad Ashwagandha si attribuiscono proprietà “adattogene” che possono supportare una risposta favorevole dell’organismo al fattori di stress fisici e mentali anche di un programma di esercizio fisico ad alta intensità [1].

Sia nel modello animale che sulla matrice umana i dosaggi di vari estratti (a diversa concentrazione di bioattivi) variano da 250 a 1000 mg / die, suggerendo che questa supplementazione offra effetti fisiologici ergogenici ad ampio spettro ai quali si accompagnano effetti di natura ansiolitica [4], analgesica [5], anti-infiammatoria, anabolica, cardio polmonare e antiossidante [6].

E’ tuttavia importante sottolineare che i vari possibili effetti esercitati dagli estratti di Ashwagandha possono dipendere e variare in base al tipo di estrazione condotta su parti diverse della pianta [7]

Rispetto ai benefici della supplementazione di Ashwagandha, specificatamente a supporto dell’attività sportiva, Sandhu et al. [6] nel 2010 furono tra i primi ricercatori ad esaminare gli effetti dell’integrazione di Ashwagandha sui parametri di prestazione muscolare o aerobica; questo studio fu uno dei primi che adottò un approccio controllato verso placebo su 10 partecipanti; lo studio concluse che 500 mg/die di Ashwagandha per 10 giorni, avevano determinato cambiamenti positivi nel gruppo trattato migliorando la velocità al bilanciere, la potenza muscolare e la VO2Max a differenza di quanto avvenuto nel gruppo placebo; l’integrazione con Withania somnifera è stata ben tollerata, senza eventi avversi.

Successivamente Raut et al. [8] nel 2012 hanno condotto uno studio, prospettico in aperto, arruolando 18 volontari sani ai quali è stato somministrato un estratto di Ashwagandha a dosaggi crescenti per 30 giorni (10 giorni consecutivi a 750 mg / giorno, 1000 mg / giorno e, 1250 mg / giorno); i partecipanti sono stati valutati per la presenza di eventuali eventi avversi e per l’impatto dell’integrazione sui cambiamenti nella forza, nella resistenza all’esercizio e sulla composizione corporea; lo studio ha concluso che l’integrazione con Ashwagandha aveva ridotto il colesterolo totale e le LDL aumentando la forza muscolare ed aveva migliorato la composizione corporea evidenziando che la composizione corporea tendeva a migliorare durante lo studio. I risultati di questo studio sono stati ulteriormente confermati da Wankhede et al. [9] che nel 2015 hanno valutato l’impatto della supplementazione di Ashwagandha di (estratto di radice 300 mg 2 volte / giorno) in 57 giovani partecipanti non allenati.

Tutti i partecipanti hanno completato 8 settimane di allenamento di resistenza unitamente all’integrazione giornaliera di Ashwagandha e per lo studio sono stati valutati le performances di forza, la composizione corporea ed il recupero muscolare. I risultati dello studio hanno indicato che nel gruppo trattato con l’estratto di Ashwagandha erano significativamente aumentate la forza muscolare, sia nella parte superiore sia nella parte inferiore del corpo, con evidenti cambiamenti nelle misure delle dimensioni dei muscoli in termini di circonferenza delle braccia e del torace, inoltre, nel gruppo trattato, a differenza di quanto osservato nel gruppo placebo, è stata osservata una evidente riduzione del grasso corporeo (misurata con bioimpedenza); nello studio l’estratto di Withania somnifera ha dimostrato di modificare positivamente i marcatori ematici relativi al danno tissutale ed al recupero muscolare, migliorando anche leggermente i livelli di testosterone.

1. Mishra, L.C.; Singh, B.B.; Dagenais, S. Scientific basis for the therapeutic use of Withania somnifera (ashwagandha): A review. Altern. Med. Rev. 2000, 5, 334–346. [PubMed]
2. Ramakanth, G.S.; Kumar, C.U.; Kishan, P.V.; Usharani, P. A randomized, double blind placebo controlled study of efficacy and tolerability ofWithaina somnifera extracts in knee joint pain. J. Ayurveda Integr. Med. 2016, 7, 151–157. [CrossRef] [PubMed]
3. Usharani, P.; Fatima, N.; Kumar, C.; Kishan, P.V. Evaluation of a Highly StandardizedWithania Somnifera Extract on Endothelial Dysfunction and Biomarkers of Oxidative Stress in Patients with Type II Diabetes Mellitus: A Randomized, Double Blind, Placebo Controlled Study. IJAPR 2014, 2, 23–32.
4. Archana, R.; Namasivayam, A. Antistressor effect of Withania somnifera. J. Ethnopharmacol. 1999, 64, 91–93. [CrossRef]
5. Nalini, P.; KManjunath, K.; SunilKumarReddy, K.; Usharani, P. Evaluation of the analgesic activity of standardized aqueous extract ofWithania somnifera in healthy human volunteers using Hot Air Pain Model. Res. J. Life Sci. 2013, 1, 1–6.
6. Sandhu, J.S.; Shah, B.; Shenoy, S.; Chauhan, S.; Lavekar, G.S.; Padhi, M.M. Effects of Withania somnifera (Ashwagandha) and Terminalia arjuna (Arjuna) on physical performance and cardiorespiratory endurance in healthy young adults. Int. J. Ayurveda Res. 2010, 1, 144–149. [CrossRef] [PubMed]
7. Bhattacharyya, S.; Pal, D.; Banerjee, D.; Majumder, U.; Ghosal, S. Comparative effect of withania somnifera and panax ginseng on swim-stress induced impaired energy status of mice. Pharmacologyonline 2009, 2, 421–432.
8. Raut, A.A.; Rege, N.N.; Tadvi, F.M.; Solanki, P.V.; Kene, K.R.; Shirolkar, S.G.; Pandey, S.N.; Vaidya, R.A.; Vaidya, A.B. Exploratory study to evaluate tolerability, safety, and activity of Ashwagandha (Withania somnifera) in healthy volunteers. J. Ayurveda Integr. Med. 2012, 3, 111–114. [CrossRef] [PubMed]
9. Wankhede, S.; Langade, D.; Joshi, K.; Sinha, S.R.; Bhattacharyya, S. Examining the effect of Withania somnifera supplementation on muscle strength and recovery: a randomized controlled trial. J. Int. Soc. Sports Nutr. 2015, 12, 43. [CrossRef] [PubMed]

Lo studio presentato nella newsletter si è posto l’obiettivo di testare gli effetti di un estratto acquoso di Ashwagandha (da radici e foglie) a 500 mg/die per 12 settimane in programmi di allenamento di resistenza.

Nel trial sono stati misurati primariamente i cambiamenti della forza muscolare e secondariamente i cambiamenti nella composizione corporea, le variazioni delle VAS nella fase di recupero, la potenza e la resistenza muscolare basandosi su precedenti ipotesi di ricerca sulla base delle quali Ashwagandha migliorerebbe significativamente la forza muscolare rispetto al placebo.

Lo studio è stato condotto con randomizzazione in doppio cieco verso placebo per 12 settimane ed ogni soggetto è stato sottoposto a 4 diverse visite in studio; per la valutazione della sicurezza clinica della supplementazione tutti i partecipanti sono stati sottoposti a screening ematico completo relativamente a conta emodinamica e profilo metabolico all’inizio dello studio, alla terza visita e al temine dello studio.

Alla prima visita ed al termine dello studio sono stati valutati la composizione corporea, le abitudini alimentari, la forza della parte superiore ed inferiore del corpo, la potenza e la resistenza muscolare, la performance alla corsa in bicicletta su 7,5 km e le performances di generale recupero (valutate tramite VAS) in termini di valutazione del rapporto sensazione di fatica/sensazione di energia, umore, qualità dell’allenamento e motivazione all’esercizio fisico.

L’integrazione di Ashwagandha è stata somministrata 1 volta al giorno, la mattina.

Nello studio vengono dettagliatamente descritti i criteri di valutazione ematica, della composizione corporea, della forza muscolare, della potenza muscolare, della resistenza muscolare, della resistenza aerobica, i criteri VAS e quelli dietologici oltre alle caratteristiche tecniche dell’estratto impiegato per la supplementazione.

Per quanto relativo al programma di allenamento e di resistenza tutti i partecipanti sono stati addestrati a seguire un programma settimanale di 4 giorni per allenare sia la parte superiore sia la parte inferiore dl corpo alternativamente (2 giorni la parte superiore e due giorni la parte inferiore) con un graduale aumento del volume e dell’intensità dello sforzo come già sperimentato nel lavoro di Kerksick [19].

19. Kerksick, C.M.; Wilborn, C.D.; Campbell, B.I.; Roberts, M.D.; Rasmussen, C.J.; Greenwood, M.; Kreider, R.B. Early-phase adaptations to a split-body, linear periodization resistance training program in college-aged and middle-aged men. J. Strength Cond. Res. 2009, 23, 962–971. [CrossRef] [PubMed]

In sintesi l’allenamento consisteva in 10-12 esercizi, tra cui: “bench press”, “lat pulldown”, “shoulder press”, “seated row”, “shoulder shrug”, “dip”, “biceps curl”, “triceps pushdown”, “legpress”, “squat”, “deadlift”, “lunge”, “leg curl”, “leg extension” e “calf raise”. Secondo una periodizzazione lineare i partecipanti hanno affrontato un incremento dei carichi di allenamento aumentando il peso quando erano in grado di eseguire altre due ripetizioni rispetto a quanto prescritto nelle due serie consecutive precedenti, dando seguito alla progressione di carico parallelamente al miglioramento di forza e resistenza. Durante i colloqui telefonici settimanali di controllo, da parte degli sperimentatori del programma di allenamento, sono stati registrati anche eventuali aventi avversi.

Globalmente i risultati dello studio indicano che solo nel gruppo trattato si è osservata un variazione impatto positivo sul rapporto androide /ginoide (DEXA) che non è aumentato e che invece è variato negativamente, aumentando, nel gruppo placebo; non sono emersi altri risultati statisticamente significativi su variazioni della massa corporea o della composizione corporea.

Per la valutazione della percezione di recupero e di dolore sono state utilizzate le scale analogiche VAS.

Nel gruppo di trattamento con Ashwagandha i punteggi di recupero sono significativamente migliorati (+ 14,4%, p = 0,003) mentre nessun cambiamento è stato notato nel gruppo PLA (+ 6,7%, p = 0,25); nel gruppo placebo è stato osservato un significativo aumento del punteggio della percezione del dolore (+ 45,6%, p = 0,04) mentre nessun cambiamento è stato notato nel gruppo trattato (+ 18,0%, p = 0,37).

Nel gruppo trattato sono stati rilevati significativi miglioramenti nella performance di “back squat” (+ 18,2% per gruppo trattato vs. + 9,7% per PLA, p = 0,009; IC 95%: (2,4, 15,8 kg)) e nella performance di “bench press” (+ 13,7% per gruppo trattato vs. + 8,2% per PLA, p = 0,048; IC al 95%: (0,03, 9,52 kg)).

Nella prestazione della prova ciclistica a cronometro di 7,5 km si è osservato un miglioramento significativo nel gruppo trattato (21% più veloce, p <0,001) rispetto al gruppo placebo (14% più veloce, p = 0,18).

Similmente sono stati osservati cambiamenti positivi nella potenza media dello “squat” (+ 4,6%, p = 0,007 in gruppo trattato vs + 3,1%, p = 0,12 in PLA) e nella potenza esplosiva di picco (+ 11,4%, p = 0,007 in gruppo trattato vs. + 4,7%, p = 0,21 per PLA). Nessun altra variazione significativa è stata osservata in altre prestazioni.

Gli esami chimico – clinici, nel corso dello studio, hanno evidenziato variazioni significative della conta dei globuli rossi (p = 0,04), nell’emoglobina (p = 0,002), ematocrito (p = 0,03), proteina totale (p = 0,04) e albumina (p = 0,05) mentre tutti i valori sono leggermente aumentati nel gruppo PLA, ma sono stati considerati stocastici e sono stati considerati entro i normali limiti clinici.

Lo studio ha, come anticipato, valutato in un disegno randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo l’impatto dell’integrazione con un estratto di radici e foglie di Ashwagandha sulle capacità di adattamento in allenamenti ricreativi di forza in volontari sani.

I risultati primari dello studio hanno indicato che nel gruppo trattato con l’estratto di Ashwagandha, rispetto a placebo, sono stati osservati significativi miglioramenti della forza massima espressa sia nella parte superiore che nella parte inferiore del corpo espressi come miglioramenti della potenza media e di punta (esplosiva) nello “squat”, nel “bench press”, e nella performance ciclistica sui 7,5 km; nel gruppo trattato sono risultati anche evidenti miglioramenti dei punteggi di recupero psico-fisico unitamente una modulazione positiva e significativa del rapporto androide / ginoide (DEXA).

Le conclusioni di questo Trial, sull’impatto dell’integrazione con Ashwagandha sulla forza fisica, si aggiungono agli outcomes di altri studi precedenti condotti sull’ipotesi che Ashwagandha migliorerebbe la forza massima, nell’attività sportiva, in maniera maggiore rispetto ai cambiamenti osservati con il solo esercizio fisico.

Nel complesso lo studio fornisce alcune informazioni interessanti sull’effetto della supplementazione che si esprime in miglioramenti di forza massima e media (“squat” e “bench press”) sia nella parte superiore che in quella inferiore del corpo suggerendo, aggiuntivamente alla letteratura già esistente, la capacità dell’Ashwagandha di migliorare le prestazioni muscolari durante l’allenamento di resistenza. I risultati dello studio sono coerenti con quelli di altri studi come quello di Sandhu et al. [6] che ha concluso che la supplementazione di Ashwagandha, in 40 partecipanti sani, ha migliorato significativamente la velocità al bilanciere, la potenza muscolare e il VO2Max. mentre Raut et al. [8], in un disegno di studio meno rigoroso, in 18 volontari sani, avevano dimostrato la capacità di un estratto di Ashwagandha di aumentare la forza globale. Lo studio di Wankhede et al. [9] aveva già dimostrato, verso placebo, che in 57 giovani, non regolarmente allenati, una supplementazione per 8 settimane con un estratto di sola radice di Ashwagandha (600 mg/die), durante un programma di allenamento di resistenza, aveva determinato aumenti significativi della forza della parte inferiore del corpo e della parte superiore del corpo.

Dal punto di vista meccanicistico i miglioramenti determinati dall’integrazione con Ashwagandha sulla forza muscolare non sono ancora del tutto ben compresi, poiché correlabili anche a cambiamenti a diversi altri livelli (intramuscolari, nervosi centrali, tendinei), che possono portare ad un aumento della forza e che non sono stati chiariti nella maggior parte degli studi e che dovrebbero essere studiati anche con altre metodiche come ultrasuoni, elettromiografia e tecniche di meccanomiografia (MMG).

Negli studi principali sull’argomento emergono anche evidenze sulla capacità della supplementazione di Ashwagandha di migliorare vari aspetti della composizione corporea [6,8,9] come sempre deducibile dallo studio Wankehede et al. [9] che ha dimostrato anche la capacità della supplementazione con Ashwagandha di aumentare significativamente la circonferenza del braccio e del torace e di ridurre, maggiormente rispetto a placebo, la percentuale di grasso corporeo (usando l’analisi della bioimpedenza).

6. Sandhu, J.S.; Shah, B.; Shenoy, S.; Chauhan, S.; Lavekar, G.S.; Padhi, M.M. Effects of Withania somnifera (Ashwagandha) and Terminalia arjuna (Arjuna) on physical performance and cardiorespiratory endurance in healthy young adults. Int. J. Ayurveda Res. 2010, 1, 144–149. [CrossRef] [PubMed]
8. Raut, A.A.; Rege, N.N.; Tadvi, F.M.; Solanki, P.V.; Kene, K.R.; Shirolkar, S.G.; Pandey, S.N.; Vaidya, R.A.; Vaidya, A.B. Exploratory study to evaluate tolerability, safety, and activity of Ashwagandha (Withania somnifera) in healthy volunteers. J. Ayurveda Integr. Med. 2012, 3, 111–114. [CrossRef] [PubMed]
9. Wankhede, S.; Langade, D.; Joshi, K.; Sinha, S.R.; Bhattacharyya, S. Examining the effect of Withania somnifera supplementation on muscle strength and recovery: a randomized controlled trial. J. Int. Soc. Sports Nutr. 2015, 12, 43. [CrossRef] [PubMed]

Nel lavoro presentato, attraverso una precisa valutazione attraverso DEXA, nel gruppo trattato rispetto al placebo, non è emerso nessun miglioramento significativo su percentuale di grasso corporeo, massa magra o massa grassa; tuttavia nei risultati è emerso chiaramente che nel gruppo trattato con l’estratto in questione si è avuto, rispetto al placebo, un controllo dell’incremento del rapporto androide / ginoide che è considerato un marcatore grezzo di accumulo di grasso viscerale; su questo parametro l’effetto della supplementazione con Ashwagandha sarebbe da ritenersi positiva perché l’aumento del rapporto androide / ginoide viene interpretato come un cambiamento negativo correlato ad aumento di rischi per la salute (ad es. insulina resistenza, dislipidemie, ecc.) associati ad un maggior peso (grasso) nel torso (regione androide) rispetto ai fianchi ed alla regione glutea (regioni ginoidi) [20-22]; nello studio è emerso che nel gruppo trattato con Ashwagandha non si è avuto nessun cambiamento in questo rapporto che invece è aumentato nel gruppo placebo. Al proposito, nonostante l’ipotesi sia intrigante, questi effetti andrebbero interpretati alla luce della misurazione di altri cambiamenti della composizione corporea, in particolare in tutte le ripartizioni del tessuto adiposo nelle regioni centrali del corpo oltre a valutare il cambiamento in vari bio marcatori infiammatori.

20. Corrigan, F.E.; Kelli, H.M.; Dhindsa, D.S.; Heinl, R.E.; Al Mheid, I.; Hammadah, M.; Hayek, S.S.; Sher, S.; Eapen, D.J.; Martin, G.S.; et al. Changes in truncal obesity and fat distribution predict arterial health. J. Clin. Lipidol. 2017, 11, 1354–1360.e3. [CrossRef] [PubMed]
21. Kang, S.M.; Yoon, J.W.; Ahn, H.Y.; Kim, S.Y.; Lee, K.H.; Shin, H.; Choi, S.H.; Park, K.S.; Jang, H.C.; Lim, S. Android fat depot is more closely associated with metabolic syndrome than abdominal visceral fat in elderly people. PLoS ONE 2011, 6, e27694. [CrossRef] [PubMed]
22. Walker, G.E.; Marzullo, P.; Ricotti, R.; Bona, G.; Prodam, F. The pathophysiology of abdominal adipose tissue depots in health and disease. Horm. Mol. Biol. Clin. Investig. 2014, 19, 57–74. [CrossRef] [PubMed]

Nel loro insieme i risultati di questo studio potrebbero porre interrogativi sui miglioramenti positivi della forza in assenza di cambiamenti della massa magra o grassa tuttavia questi risultati sono coerenti con quanto già in precedenza osservato, infatti Ahtiainen et al. [23] nel 2016 hanno completato un’analisi retrospettiva su 287 individui di età compresa tra i due di 19 e i 78 anni che avevano precedentemente seguito un programma di allenamento di resistenza; da questo ampio studio è emerso che, pur in presenza di una correlazione positiva tra l’aumento della forza e variazioni della massa magra o grassa (r = 0,157, p = 0,008, n = 283), tuttavia i risultati avevano una variabilità molto ampia, dimostrando implicitamente la possibilità di variazioni nell’espressione della forza senza cambiamenti misurabili nella massa muscolare.

23. Ahtiainen, J.P.; Walker, S.; Peltonen, H.; Holviala, J.; Sillanpaa, E.; Karavirta, L.; Sallinen, J.; Mikkola, J.; Valkeinen, H.; Mero, A.; et al. Heterogeneity in resistance training-induced muscle strength and mass responses in men and women of different ages. Age (Dordr) 2016, 38, 10. [CrossRef] [PubMed]

Lo studio proposto, oltre a valutare i cambiamenti nelle prestazioni muscolari e nella composizione corporea ha valutato l’impatto della supplementazione con Ashwagandha sulle prestazioni aerobiche (ciclismo) e su diverse scale di auto-percezione di recupero e affettività e umore (VAS).

I risultati della sperimentazione sono allineati a quelli di una precedente [6] che aveva concluso che l’integrazione con Ashwagandha è stata in grado di determinare miglioramenti significativi di VO2Max, ed infatti i risultati dello studio indicano un miglioramento statisticamente significativo delle prestazioni ciclistiche a cronometro sui 7,5 km (p <0,001) a differenza di quanto osservato nel gruppo placebo (p = 0,18). Attraverso la valutazione dei valori delle varie scale VAS, anche se non state registrate differenze statisticamente significative, nel gruppo trattato con l’estratto di Withania somnifera si sono osservati sensibili miglioramenti dei punteggi della percezione di recupero confermando quanto già concluso in altri studi che hanno indicato che Ashwagandha può aiutare a migliorare il dolore [9], lo stress [4] e l’ansia [1].

1. Mishra, L.C.; Singh, B.B.; Dagenais, S. Scientific basis for the therapeutic use of Withania somnifera (ashwagandha): A review. Altern. Med. Rev. 2000, 5, 334–346. [PubMed]
6. Sandhu, J.S.; Shah, B.; Shenoy, S.; Chauhan, S.; Lavekar, G.S.; Padhi, M.M. Effects of Withania somnifera (Ashwagandha) and Terminalia arjuna (Arjuna) on physical performance and cardiorespiratory endurance in healthy young adults. Int. J. Ayurveda Res. 2010, 1, 144–149. [CrossRef] [PubMed]
9. Wankhede, S.; Langade, D.; Joshi, K.; Sinha, S.R.; Bhattacharyya, S. Examining the effect of Withania somnifera supplementation on muscle strength and recovery: a randomized controlled trial. J. Int. Soc. Sports Nutr. 2015, 12, 43. [CrossRef] [PubMed]

Alcuni limiti dello studio potrebbero essere individuati in aspetti anche complessi, come ad esempio il fatto che i partecipanti siano stati istruiti a seguire rigide linee guida pre-esercizio, di riposo e digiuno e che quindi la rilevazione dei cambiamenti nelle prestazioni potrebbe essere stato influenzata dalla rigida conformità dei partecipanti allo studio a queste direttive; inoltre le linee guida alimentari per gli apporti di energia e proteine (non specifici consigliati per ottimizzare le modifiche nella massa magra durante l’allenamento per esercizi di resistenza [24, 25]) potrebbero aver influenzato eventuali cambiamenti più pronunciati nella massa muscolare.

24.Ziegenfuss, T.N.; Ferrando, A.A.; Arent, S.M.; et al. International Society of Sports Nutrition Position Stand: Protein and exercise. J. Int. Soc. Sports Nutr. 2017, 14, 20. [CrossRef] [PubMed]
25. Kerksick, C.M.; Arent, S.; Schoenfeld, B.J.; Stout, J.R.; Campbell, B.; Wilborn, C.D.; Taylor, L.; Kalman, D.; Smith-Ryan, A.E.; Kreider, R.B.; et al. International society of sports nutrition position stand: Nutrient timing. J. Int. Soc. Sports Nutr. 2017, 14, 33. [CrossRef] [PubMed]

Ulteriori studi sono tuttavia necessari per chiarire completamente gli effetti dell’officinale sull’ attivazione dell’ unità motoria e sull’attivazione del sistema nervoso, che aiuterebbero a spiegare i benefici nei i cambiamenti di forza, come anche già riportato da altri autori.

Globalmente questo lavoro suggerisce utili informazioni sulla comprensione dei generali effetti di Ashwagandha nell’attività sportiva; tra i punti di forza dello studio infatti è da evidenziare il tempo di sperimentazione che ha valutato l’integrazione con la pianta medicinale fino a 12 settimane spingendosi ad uno dei maggiori tempi di sperimentazione fino ad ora valutati per Ashwagandha; altro aspetto interessante di questo studio clinico è che l’integrazione con Ashwagandha è stata valutata su soggetti già fisicamente attivi in varie discipline di allenamento, e quindi abituati all’allenamento, limitando, nella valutazione dei risultati, l’impatto del generale stato di forma fisica sui processi di adattamento negli allenamenti di resistenza, come identificato da diversi ricercatori; lo studio inoltre è stato condotto utilizzando un disegno randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo.


Nutrients. 2018 Nov 20;10(11). PubMed

Effects of an Aqueous Extract of Withania somnifera on Strength Training Adaptations and Recovery: The STAR Trial.

Ziegenfuss TN(1), Kedia AW(2), Sandrock JE(3), Raub BJ(4), Kerksick CM(5), Lopez HL(6).

Author information:

(1)The Center for Applied Health Sciences, 4302 Allen Road, Suite 120, Stow, OH 44224, USA.
(2)The Center for Applied Health Sciences, 4302 Allen Road, Suite 120, Stow, OH 44224, USA.
(3)The Center for Applied Health Sciences, 4302 Allen Road, Suite 120, Stow, OH 44224, USA.
(4)The Center for Applied Health Sciences, 4302 Allen Road, Suite 120, Stow, OH 44224, USA.
(5)Exercise and Performance Nutrition Laboratory, School of Health Sciences, Lindenwood University, 209 S. Kingshighway, St. Charles, MO 63301, USA.
(6)The Center for Applied Health Sciences, 4302 Allen Road, Suite 120, Stow, OH 44224, USA.

Abstract

Withania somnifera (Ashwagandha) is an Ayurvedic herb categorized as having “rasayana” (rejuvenator), longevity, and revitalizing properties. Sensoril® is a standardized aqueous extract of the roots and leaves of Withania somnifera.

Purpose: To examine the impact of Sensoril® supplementation on strength training adaptations.

Methods: Recreationally active men (26.5 ± 6.4 years, 181 ± 6.8 cm, 86.9 ± 12.5 kg, 24.5 ± 6.6% fat) were randomized in a double-blind fashion to placebo (PLA, n = 19) or 500 mg/d Sensoril® (S500, n = 19). Body composition (DEXA), muscular strength, power, and endurance, 7.5 km cycling time trial, and clinical blood chemistries were measured at baseline and after 12 weeks of supplementation and training. Subjects were required to maintain their normal dietary habits and to follow a specific, progressive overload resistance-training program (4-day/week, upper body/lower body split). 2 × 2 mixed factorial ANOVA was used for analysis and statistical significance was set a priori at p ≤ 0.05.

Results: Gains in 1-RM squat (S500: +19.1 ± 13.0 kg vs. PLA +10.0 ± 6.2 kg, p = 0.009) and bench press (S500: +12.8 ± 8.2 kg vs. PLA: +8.0 ± 6.0 kg, p = 0.048) were significantly greater in S500. Changes in DEXA-derived android/gynoid ratio (S500: +0.0 ± 0.14 vs. PLA: +0.09 ± 0.1, p = 0.03) also favored S500. No other between-group differences were found for body composition, visual analog scales for recovery and affect, or systemic hemodynamics, however, only the S500 group experienced statistically significant improvements in average squat power, peak bench press power, 7.5 km time trial performance, and perceived recovery scores. Clinical chemistry analysis indicated a slight polycythemia effect in PLA, with no other statistical or clinically relevant changes being noted.

Conclusions: A 500 mg dose of an aqueous extract of Ashwagandha improves upper and lower-body strength, supports a favorable distribution of body mass, and was well tolerated clinically in recreationally active men over a 12-week resistance training and supplementation period.

DOI: 10.3390/nu10111807

PMCID: PMC6266766
PMID: 30463324 [Indexed for MEDLINE]

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Newsletter Ayurveda nr. 50 – Febbraio 2019

Newsletter n° «50»

Febbraio 2019

FOCUS TAILAM

Kottamchukkadi Taila

 

WORLD JOURNAL OF PHARMACEUTICAL RESEARCH, VOLUME 7, ISSUE 9, 1967-1974.(2018) 

KOTTAMCHUKKADI TAILA: A THEORITICAL ANALYSIS

Tarun Kumar and Anup Thakar

Kottamchukkadi Taila è un classico olio ayurvedico, la cui formulazione originale è citata in “Sahasrayogam” che rappresenta un testo di riferimento per i medici ayurvedici soprattutto nel Kerala ma che, anche tra la popolazione, viene ritenuto il libro “dei mille rimedi” domestici.

Il termine “Sahasrayogam” può essere tradotto come “mille formulazioni” [2] e dalla sinossi di alcune note versioni disponibili [1] si stima che contenga le informazioni per la preparazione di 700/1000 formulazioni diverse tra le quali alcune sono state aggiunte periodicamente al testo originale, sulla base delle esperienze pratiche, portando ad un aumento del numero delle formulazioni rispetto alla stesura originale.

Le formulazioni descritte riguardano diversi “Kalpana” cioè preparazioni medicamentose come Kashaya (decotti), Taila (oli medicati), Ghrita (ghee medicati), Choorna (polveri), Asava, Arishta (liquidi fermentati), Vati, Gutika (pillole) e Lehya (sciroppi) [3].

In “Sahasrayogam” (la cui prima stesura è databile al IV secolo dopo Cristo) sono presenti sia formulazioni complesse (es. polierbali e/o minerali) sia preparazioni a base di singoli componenti; in alcune versioni di “Sahasrayogam” sono riportate anche alcune semplici ricette erboristiche tradizionalmente utili. “Sahasrayogam” fu originariamente scritto in sanscrito e tradotto in malayalam.

In Kerala è consuetudine che coloro che si preparano a diventare medici ayurvedici studino inizialmente “Ashtanga Hridaya” seguito da “Sahasrayogam” che vengono considerati come i “due occhi “ del Medico ayurvedico [2].

1. Sahasrayogam- Vaidya Priya Vyakhyana, Velayudha Kuruche; Sahasrayogam- Attur Krishna Pisharate Bharata Vilasam Press, Trissur; Stampa Sahasrayogam-Sriram Vilayaka; Sahasrayogam- Tamarakulam kochch Sankaran Vaidya et al.; V.V. Stampa, Kollam; Sahasrayogam- Sujanapriya Vyakhyana, Vyramba Press, Alaghusha.
2. Sahasrayogam: text with English translation. Chowkhamba Sanskrit Series Office, 2006.
3. Rastogi, Sanjeev, ed. Translational Ayurveda. Springer, 2018.

Kottamchukkadi Taila viene ritenuto un prezioso olio, unico e particolare, utile per la pacificazione dei dosha Vata e Kapha che, per la loro profonda diversità fenotipica, incontrandosi possono generare disequilibri di varia natura anche complessi. Caratteristiche generali di “Kottamchukkadi Taila” sono un profumo intenso e molto particolare in cui tra le note dominanti ben si distinguono le frazioni aromatiche del tamarindo e dell’aglio oltre alla fragranza pungente dello zenzero; l’olio si presenta con consistenza morbida e persistente, piacevolissimo al tatto e viene ben assorbito dalla pelle raggiungendo velocemente tutti i Dhatu.

I singoli officinali contenuti in “Kottamchukkadi Taila” tradizionalmente vengono apprezzati per contrastare gonfiore, stasi linfatica, dolori articolari e muscolari, atrofia tissutale aiutando il circolo sanguigno e linfatico nei processi di depurazione con capacità anche stimolanti e nutrienti.

Il profilo di “Kottamchukkadi Taila” può risultare quindi di utilità per il controllo del generale dolore muscolo scheletrico; attraverso i trattamenti esterni (come Abhyangam, Pichu, Dhara e Kativasti), “Kottamchukkadi Taila”, in alcuni studi clinici a cui accenneremo successivamente, ha dimostrato miglioramenti significativi del dolore ad esempio della schiena, degli arti inferiori e delle articolazioni.

Secondo le fonti classiche ayurvediche tutti gli ingredienti di “Kottamchukkadi Taila” sono katu, tikta rasa, katu vipaka, ushna veerya, kapha vatahara e non sono tossici; “Kottamchukkadi Taila” di buona qualità deve offrire precise proprietà chimico – fisiche. Le sostanze di Kottamchukkadi taila posseggono proprietà: ushna, teekshna, laghu, ruksha con effetti kaphavatahara e shophahara (antiflogistici) [4].

4.Patil Rupesh Vilas and Manojkumar AK. Physico chemical analysis of Trividha sneha paaka of Kottamchukkadi taila. Int. J. Res. Ayurveda Pharm. 2017;8(5):203-206

L’articolo in breve

L’articolo è stato pubblicato nel 2018 da World Journal of Pharmaceutical Research (SJIF Impact Factor 8.074) e offre una interessante sintesi d’insieme delle caratteristiche di Kottamchukkadi Taila.

Kottamchukkadi Taila (olio medicato ayurvedico) è un preparato oleoso ayurvedico formulato per il trattamento in particolare dei disturbi Vataja (dovuti a Vata). Gli oli medicati sono preparati con sostanze liquide specifiche ed una finissima pasta ottenuta dalle erbe medicinali, specificate nella composizione della formulazione. Kottamchukkadi contiene mediamente più di 9 erbe, oltre a Chincha Rasa (succo di Tamarindo) e Dadhi (cagliata). Viene indicato in tutti i disturbi di Vataja ed agisce come Lekhana e Srotoavarodhagna (eliminatore dell’ostruzione dei canali), Vedanasthapna (riducente il dolore), Shothahara (riducente del gonfiore) ecc. Lo studio si è posto l’obiettivo, attraverso letteratura disponibile, di dare informazione dell’uso di Kottamchukkadi, del suo metodo di preparazione, delle sue caratteristiche, del sua probabile modalità di azione, chiarendo i suoi sua razionali di indicazione attraverso l’analisi delle proprietà dei suoi ingredienti e dei recenti lavori di ricerca.

Dall’articolo

Kottamchukkadi Taila è un olio medicato classificato come Sneha Kalpana [5] cioè una preparazione oleosa ottenuta da erbe medicinali miscelate con Sneha (sostanza grassa) per potenziarne l’efficacia; come noto i taila medicati vengono preparati attraverso una complessa metodica di miscelazione di una sostanza liquida, specificatamente indicata nella formula tradizionale (Svarasa / Kashaya Etc.), ed una finissima pasta di erbe medicinali (Kalka) in presenza di calore [6]. “Kottamchukkadi Taila” è tradizionalmente formulato in modo specifico per Rogashamanartha (alleviare la malattia), in particolare nei disturbi di Vataja.

“Kottamchukkadi Taila” può essere impiegato negli squilibri di tutti e tre i Dosha ma soprattutto nei disordini Vatakaphaja ed è, come anticipato, menzionato in Sahasrayogam come Taila Prakrana (olio medicato); la somministrazione, secondo le fonti ayurvediche, può essere interna od esterna (Abhyanga, Pizzhichill, Katibasti, Janubasti, Greevabasti e Prishthabasti) ed in Ayurveda il preparato viene utilizzato da secoli per efficacia e sicurezza nel trattamento di tutti i disturbi Vata, Vata Kapha e Amavata [7].

Più nel dettaglio “Kottamchukkadi Taila” viene usato per Amavata (artite reumatoide), Mamsa-medogata Vata (squilibrio di Vata nel tessuto muscolare e grasso), Snayugata Vata (tendinopatie), Sandhigata Vata (disordini articolari), Dandaptanak (rigidità del corpo, inarcuamento del corpo), Pakshaghata (ictus), Ardita (paralisi facciale), Hanugraha (trisma), Manyastambha (rigidità del collo), Katigraha (mal di schiena, disabilità degli arti inferiori), Avabahuka (paralisi delle braccia), Vishwachi (limitazione funzionale e dolore brachiale) e Gridhrasi (sciatica).

5. Dr. Ramniwas Sharma; Sahasrayogam; with Hindi Commentary, Published by, Chaukhambha Sanskrita Ptatishthanai; Delhi; Reprint-2016 P.295; Taila Prakarana.
6. Government of India, Ministry of Health And Family Welfare, Department of Indian Systems of Medicine And Homeopathy; The Ayurvedic Pharmacopoeia of India, Second Edition, 2003; Part I; 8 P. 359.
7. Government of India, Ministry of Health And Family Welfare, Department of Indian Systems of Medicine And Homeopathy; The Ayurvedic Pharmacopoeia of India, Second Edition, 2003; Part I; 8: 10 P. 378.

Il nome “Kottamchukkadi”, secondo le fonti ayurvediche, deriverebbe dalla fusione di due distinti termini di suo tradizionale e cioe’ “Kottama” che indica Kustha (Costus root) e “Chukka” cioè Shunthi (Zenzero); con variabili dipendenti dalle singole località indiane di origine della formula i componenti ricorrenti di “Kottamchukkadi Taila” sono Kushtha, Shunthi, Vacha (Acorus calamus Linn.), Shigru (Moringa oleifera Lam.), Lashuna (Allium sativum Linn.), Kartotti (Capparis spinosa Linn.), Devadaru (Cedrus deodara Roxb.), Sarshapa (Brassica campestris Var.), Rasna (Pluchea lanceolata Oliver & Hiern.), Dadhi (cagliata) e Chincha Rasa (Tamarindus Indicus Linn.).

Le proprietà generali delle droghe delle piante medicinali impiegate nella preparazione sono Tikta (amaro), Katu (pungente) Rasa (gustoso), Laghu (leggero), Ruksha (secco), Ushna (caldo) Virya (potente), Katu Vipaka (piccante); queste piante medicinali, nel loro insieme, alleviano Sandhigatavata, Gridhrasi, Kaphavataja, Vataja e Amavata con attività analgesica, antiinfiammatoria, antiossidante, antispasmodica, antiartritica, immunomodulatoria. “Kottamchukkadi” agisce inoltre come “Aama pachaka” (cioè facilita i processi digestivi e facilita l’eliminazione delle tossine rilasciate dal cibo non digerito); alcuni officinali contenuti nella formula agiscono anche con effetti Lekhaniya (riducenti l’accumulo di grasso o di altre sostanze come le tossine), Shothahara (antiedematosi) e Shoolahara (analgesici).

“Kottamchukkadi” Taila è generalmente controindicato nei disordini Pittaja. Ad oggi non sono disponibili evidenze riguardanti effetti avversi di questa formulazione.

Secondo gli autori dello studio “Kottamchukkadi Taila” agirebbe con diverse modalità d’azione prevalenti secondo la modalità d’uso; se assunto oralmente (solo nelle formulazioni appositamente formulate per uso interno) agirebbe prevalentemente come Aama pachana cioè migliorando i processi digestivi contribuendo all’eliminazione delle tossine rilasciate dal cibo non digerito; quando utilizzato esternamente eserciterebbe effetto prevalentemente Lekhaniya (riducente l’accumulo di grasso e tossine).

Gli effetti generali di “Kottamchukkadi” Taila sono Doshavilayana (fluidificazione di dosha) e Srotoshodhana (pulizia dei canali) che alleviano Margavarana (ostruzione dei canali) di Vata; gli effetti del taila sono in grado di raggiungere sukshma srotas (canali minuti) contribuendo a pacificare Vata dosha.

Le proprietà di Ushna, Ruksha e Tikshna dei componenti della formulazione aiutano a pacificare in modo efficiente le proprietà sheeta (fredde) – snigdha (untuose) di Kapha. Kushtha e Vacha posseggono prevalenti proprietà lekhaniya mentre Shigru, Lashuna, Devadaru e Rasna posseggono prevalente azione Shula prashamana (analgesica ed antispasmodica).

Quando utilizzato esternamente “Kottamchukkadi Taila” agirebbe secondo la teoria per la quale la sua natura oleosa contribuirebbe a facilitare la formazione dei legami lipofili delle singole molecole delle droghe presenti nella formulazione migliorandone la penetrazione e l’assorbimento aumentando il tasso di somministrazione trans-dermica dei singoli fitocomplessi.

Quando applicato esternamente “Kottamchukkadi Taila” induce ipertermia migliorando localmente la circolazione sanguigna e linfatica modificando positivamente la secrezione di diversi mediatori dell’infiammazione come ad esempio l’istamina; sempre applicato localmente il taila riduce la rigidità locale attraverso l’effetto fisico del calore e contribuisce a ridurre il dolore coerentemente con gli effetti antinfiammatori di Kushtha, Vacha e Shigru e quelli analgesici di Vacha, Lashuna e Chinchapatra Rasa.

I razionali d’indicazione di “Kottamchukkadi Taila” sono sostenuti dal suo antico uso tradizionale e anche da recenti lavori di ricerca clinica.

Uno studio condotto nel 2016 da Patil et al. ha concluso che Shamana Snehapana con “Kottamchukkadi Taila” si è dimostrato sicuro e statisticamente efficace nel trattamento della sindrome del tunnel carpale [8] e Lekshmi R et al., sempre in uno studio clinico del 2016, hanno concluso che l’effetto combinato di Rasnasaptakam Kashayam, Dasamoolahareetaki lehyama e Valuka Sweda, Sarvanga Abhyanga con Kottamchukkadi Taila, Bhaspa Sweda e Virechana con Erandataila risulta utile nella gestione dell’artrite reumatoide (Amavata) [9].

Nel 2017 Manoj R. ha concluso, in uno studio su pazienti donne sofferenti di osteoartrosi (Sandhigatavata), che Yogarajaguggulu, Mahavatavidhwansa Rasa, Ashwagandha churna, Shunthi churna, Maharasnadi kwatha, Kottamchukkadi Taila e Jambira pinda sweda sono stati efficaci nel ridurre il dolore, la rigidità, la limitazione dei movimenti in un mese di trattamento, pur nella non evidenza radiografica di variazioni delle alterazioni degenerative; lo studio inoltre ha concluso che gli effetti positivi sarebbero stati migliori se la terapia fosse continuata per un lungo periodo [10].

Le conclusioni di un complesso studio clinico condotto da Pooja BA et al. nel 2013, hanno indicato che, in pazienti affetti da Amavata, Valuka Sveda, Erandmuladi Basti si sono dimostrati efficaci nel trattamento della spondilite anchilosante alleviando in generale il dolore e particolarmente la rigidità; nello stesso studio l’applicazione locale di calore sotto forma di Greeva, Prishta e Kati Basti sulle articolazioni colpite, in particolare con “Kottamchukkadi Taila”, si è rivelata efficace nell’alleviare il dolore e la rigidità e nel migliorare la mobilità [11].

8. Patil Rupesh Vilas & Manojkumar A K: Ayurvedic Perspective Of Carpal Tunnel Syndrome. International Ayurvedic medical Journal (2016).
9. Lekshmi. R.,Krishnakumar.KandJamesChacko.2016,An Ayurvedic Approach To Rheumatoid Arthritis (Amavata)–ACaseStudy.IntJRecentSciRes.7(10),pp.13595-13599
10. Dr. Manoj.R. “To Evaluate the Efficacy Of Jambira Pinda Sweda In Females Suffering From Sandhigatavata (Osteoarthritis).” International Journal of Advance Research, Ideas and Innovations in Technology 3.2 (2017).
11. Pooja BA, Mridul Ranjan, Santoshkumar Bhatted, Meera K. Bhojani. Role of Svedana and Eranda mooladi Basti in the management of Ankylosing Spondilities (Katiprista Trikagraha). Ayurpharm Int J Ayur Alli Sci. 2013;2(7):237-241.

“Kottamchukkadi Taila” è una delle formulazioni più popolari nel Kerala e la maggior parte degli officinali impiegati per la preparazione del Taila sono facilmente disponibili; questo olio medicato viene prevalentemente impiegato come rimedio efficace (Sneha) nei disordini Vata Kaphaja. La formula polierbale può essere disponibile anche in forma di churna e di Kuzhambu.

Tradizionalmente, per l’uso terapeutico esterno, Kottamchukkadi Taila viene impiegato per trattamenti Abhyanga, Pizzhichill Katibasti, Janubasti, Greevabasti e Prishthabasti con efficacia e sicurezza in diversi disturbi prevalentemente Vataja e Vatakaphaja e quindi può essere utilizzato efficacemente in Amavata, Mamsa-Medogata Vata, Snayugata Vata, Sandhigata Vata, Dandaptanak, Pakshaghata, Ardita, Hanugraha, Manyastambha, Katigraha, Avabahuka, Vishwachi, Gridhrasi o in qualsiasi altro disturbo Vata-Kaphaja.

A cura della direzione scientifica di Benefica

WORLD JOURNAL OF PHARMACEUTICAL RESEARCH, VOLUME 7, ISSUE 9, 1967-1974.(2018) 

KOTTAMCHUKKADI TAILA: A THEORITICAL ANALYSIS

1Tarun Kumar* and 2Anup Thakar

Author information:

1* PhD Scholar, Department of Panchakarma, Institute for Postgraduate Teaching & Research in Ayurveda, Gujarat Ayurved University Jamnagar.

2 Director, Professor and HOD, Department of Panchakarma, Institute for Postgraduate Teaching & Research in Ayurveda, Gujarat Ayurved University Jamnagar

ABSTRACT

Kottamchukkadi Taila (oil) is an Ayurvedic medicated oil preparation designed for treating disease, especially Vataja (due to Vata) disorders.
Medicated oils are preparations in which oil is boiled with prescribed liquid media and a fine paste of the drugs, specified in the formulation composition. Kottamchukkadi Taila contains more than 9 herbs, Chincha Rasa (Tamarind juice) and Dadhi(curd). It is indicated in all Vataja disorders. It acts like Lekhana (Scrapping), Srotoavarodhagna (clears obstruction of channels), Vedanasthapna (subsides pain), Shothahar (reduce swelling) etc. Present study aimed to compile all the available literature regarding its use, method of preparation, characteristic, probable mode of action, finding out the rationality of its indications by analyzing the properties of its ingredients and recent research works on Kottamchukkadi Taila.

KEYWORDS: Ayurveda formulations, Kottamchukkadi Taila, Aamvata, Vatakaphaja disorder.

ISSN 2277–7105

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Newsletter Fitoterapia nr. 42 – Febbraio 2019

Il Cumino: una importante pianta medicinale

Nat Prod Bioprospect. 2019 Jan;9(1):1-11. Epub 2018 Oct 29. PubMed

Caraway as Important Medicinal Plants in Management of Diseases.

Mahboubi M.

La conoscenza dell’uso delle piante per scopi medicinali è da sempre stata considerata uno dei più grandi tesori di ogni civiltà. Un compito molto importante per gli scienziati che studiano oggi le piante medicinali è quello di preservarne la conoscenza botanica-medicamentosa primaria, tramandata nelle medicine popolari, per evitare che, come spesso avvenuto nel corso della storia, venga sepolta insieme alle culture che l’hanno creata (Schultes, 1978).

Per questo motivo la comunità scientifica, in molti paesi del mondo, lavora per la raccolta e l’organizzazione di informazioni, ampiamente diffuse in letteratura, relative agli effetti di varie piante sulla salute umana; una di queste piante è il Carum carvi noto anche come Cumino.

La storia dell’uso del cumino come rimedio risale ai tempi degli antichi greci, che probabilmente conoscevano e usavano abitualmente l’erba per scopi medicamentosi. Il carvi è menzionato da Plinio (Libro XX,LVII,159) e da Dioscoride (III,68).

Nel medioevo il Carvi era ben conosciuto e comunemente usato come spezia e come rimedio medicamentoso e rappresentava uno dei maggiori beni di scambio commerciale in Europa e la Polonia, attraverso il porto di Danzica, fu tra i paesi maggiormente al centro delle esportazioni del cumino come evidenziato anche da un antico listino prezzi del 1410.

A differenza di oggi nell’antichità si riteneva che alcune piante medicinali possedessero proprietà straordinarie o addirittura magiche e per tale motivo queste piante venivano impiegate frequentemente per usi molto comuni, con una approfondita conoscenza dei diversi effetti delle varie specie.

Il Carvi è una delle piante, della famiglia delle Umbelliferae, che si credeva in generale proteggesse contro il male. Ad esempio nell’uso tradizionale tedesco il cumino veniva aggiunto alla preparazione del pane per scacciare i demoni e per proteggere la casa in situazioni di rovina economica o quando colpita da disgrazie; i frutti cosparsi di sale venivano spesso messi nelle bare dei defunti come protezione contro magia nera, stregoneria e demoni; sempre i frutti venivano ritenuti efficaci nel trattare l’irrequietezza dei bambini e si credeva che un vaso di essi posto sotto la culla dei bambini avesse potenti poteri sedativi (Mathias, 1994).

Inoltre il Carvi era uno dei componenti presenti nelle pozioni amorose che facevano innamorare le persone a cui venivano servite.

Nella culture cristiane veniva ritenuto che i poteri di guarigione del cumino fossero massimi in occasione della festa di San Giovanni (24 giugno) o comunque in coincidenza con il solstizio d‘estate. Come oggi indicato anche dalla moderna farmacognosia applicata [1] nei secoli la pianta è stata impiegata in medicina per trattare ad ampio spettro le malattie digestive e la flatulenza ma anche, con diversità geografica, per trattare disturbi degli occhi, tosse e persino l’isteria [2].

1.Heinrich, Barnes, Gibbons, Williamson, ” Fondamenti di farmacognosia e fitoterapia”, 2015
2.Schultes, R. E. “11.1. HISTORY OF USING CARAWAY AS A REMEDY.” Caraway: the genus Carum (1998): 186.

La crescita del Carvi spazia dal Nord Europa fino alle regioni mediterranee, Alla Russia, all’Iran, all’Indonesia e al Nord America.

In numerosi paesi è una specie botanica molto diffusa e risulta parte integrante dei relativi sistemi di medicina popolare. Ad esempio in Polonia il Carvi è comunemente raccomandato come rimedio contro l‘indigestione, la flatulenza, la mancanza di appetito, e come galattogeno naturale. In Russia è anche utilizzato per il trattamento della polmonite mentre in gran Bretagna e negli Usa viene prevalentemente consigliato come stomachico e carminativo. Nella penisola Malese il cumino è associato a nove erbe macinate insieme e trasformate in decotto per essere bevuto a intervalli dopo il parto, e in Indonesia le sue foglie mescolate con aglio e applicate sulla pelle vengono impiegate per ridurre le forme infiammatorie eczematose (Perry,1980).

Alcune proprietà medicinali del cumino, ampiamente sperimentate nell’uso tradizionale, sono oggi ben supportate da ricerca e osservazioni scientifiche e rappresentano le ragioni di ampio utilizzo nella medicina contemporanea.

Il cumino, prevalentemente nella forma estrattiva di olio essenziale, viene oggi largamente impiegato in moderne formulazioni nutraceutiche ed in preparati di matrice fitoterapica specifici per contrastare la sintomatologia tipica della Sindrome dell’Intestino Irritabile.

Dell’officinale vengono prevalentemente sfruttate le capacità antifermentative di contrasto alla formazione dell’eccesso di bio gas intestinali e per favorirne l’eliminazione ed, in generale, antispasmodiche. Le linee guida ministeriali internazionali ed anche in Italia [3], sono concordi nel riconoscere queste generali proprietà medicinali dell’officinale coerentemente con quanto indicato sin dalle origini della moderna farmacognosia [4].

3. Ministero della salute,”Allegato 1 al DM 9 luglio 2012 sulle “Sostanze e preparati vegetali ammessi”,2012
4. Victor Merat, “Dictionnaire universel de matière médicale, et de thérapeutique generale”, 1831

Dall’articolo

Il genere Carum è rappresentato da 25 specie e tra queste Carum carvi o cumino è l’unica annuale e biennale e per questo motivo rappresenta una variante anche economicamente interessante come spezia, agente pro-appetito e come carminativo sia nell’industria alimentare sia nell’industria farmaceutica.

Nell’industria alimentare il cumino viene ampiamente utilizzato (molto nel Nord Europa) nei prodotti alimentari grazie al suo gradevolissimo sapore e per le sue proprietà conservanti.

Come anticipato i frutti del cumino sono stati ampiamente impiegati come rimedio per curare l’indigestione, come galattogeno e come rimedio contro la polmonite, in diversi sistemi di medicina tradizionale [5,6].

Le monografie delle piante medicinali dell’Unione Europea indicano il cumino come tradizionale sintomatico dei disturbi digestivi (gonfiore e flatulenza); i frutti masticati vengono tradizionalmente impiegati per mascherare l’alitosi alcolica, contro l’anemia e come antidoto contro i veleni e, sempre i frutti, vengono impiegati per aromatizzare il pane di segale ed in infusione come rimedio contro le coliche addominali e come vermifughi [7].

Ai frutti del cumino si attribuiscono proprietà stimolanti, espettoranti ed antispasmodiche e vengono utilizzati come rimedio, in varie forme di preparazione, contro i dolori di stomaco, la stitichezza e la nausea.

Globalmente le sostanze fitochimiche contenute nei frutti del Carvi aumentano la secrezione di succo gastrico ed hanno effetto colagoghi; stimolano l’appetito e facilitano i processi digestivi [8].

Il cumino è tradizionalmente raccomandato nella medicina tradizionale persiana, anche attualmente, per alleviare la flatulenza poiché agisce migliorando i sistemi digestivi facilitando l’eliminazione dei gas accumulati nel tratto gastrointestinale che contribuiscono a provocare il dolore addominale.

In Persia un pluricomposto contenente Trachyspermum ammi (Ajwain), Pimpinella anisum (Anice verde) e Carum carvi (Cumino) viene consigliato tre volte al giorno per contrastare il meteorismo [9] e Ibn Sina, celebre medico dell’antica Persia, lo prescriveva per la perdita di peso [10], per il mal di stomaco, per le eruttazioni, la flatulenza e gli spasmi intestinali [11]. Il carvi è il costituente principale del Safoof-e-Mohazzil che è un pluri composto tradizionalmente consigliato per la perdita di peso [12]. Sempre la medicina tradizionale persiana ci tramanda l’uso del Carvi come anti epilettico [13] mentre, in Indonesia le foglie del Cumino associate all’aglio vengono utilizzate nelle forme infiammatorie cutanee eczematose.

Alcuni composti del cumino, assunto come tè, si ritrovano nel latte materno e facilitano, con effetto anticolico, i processi digestivi del lattante [14] mentre un unguento a base di frutti di cumino e vaselina viene utilizzato come anti-scabbia.

Dai frutti del Cumino si estrae un olio essenziale (3-7%,) dal prezioso valore terapeutico, utilizzato in molte formulazioni dai tempi antichi.

Miscele di olio di Cumino, olio di Oliva e olio di Timo, oppure di olio di Cumino estratto in etanolo ed olio di Ricino, vengono impiegate per il trattamento della scabbia ed in generale delle micosi [15,16].

Alcune gocce di olio oppure di olio essenziale di Cumino, mescolate con olio di Oliva, possono essere applicate e massaggiate topicamente in regione addominale, per facilitare la funzione digestiva e alleviare coliche e flatulenza [17].

5. I. Rasooli, A. Allameh, Chapter 32—caraway (Carum carvi L.) essential oils, in Essential oils in food preservation, flavor and safety, ed. by V.R. Preedy (Academic Press, San Diego, 2016), pp. 287–293
6. Malhotra (ed.), Caraway. Handbook of Herbs and Spices, vol.3 (Elsevier, Amsterdam, 2006), pp. 270–298
7. M. Attokaran, Natural food flavors and colorants (Wiley, New Jersey, 2017, pp. 107–109
8. K. Peter, Handbook of herbs and spices (Woodhead Publishing, Cambridge, 2006)
9. Larijani, Bagher, et al. “Prevention and Treatment of Flatulence From a Traditional Persian Medicine Perspective.” Iranian Red Crescent Medical Journal 18.4 (2016).
10. Nasser, Mona, Aida Tibi, and Emilie Savage-Smith. “Ibn Sina’s Canon of Medicine: 11th century rules for assessing the effects of drugs.” Journal of the Royal society of Medicine 102.2 (2009): 78-80.
11. Johri, R. K. “Cuminum cyminum and Carum carvi: An update.” Pharmacognosy reviews 5.9 (2011): 63.
12. Agrahari, Pooja, and Dinesh Kumar Singh. “A review on the pharmacological aspects of Carum carvi.” Journal of Biology and earth sciences 4.1 (2014): 1-13.
13. Gorji, A., and M. Khaleghi Ghadiri. “History of epilepsy in Medieval Iranian medicine.” Neuroscience & Biobehavioral Reviews 25.5 (2001): 455-461.
14. E ´. Ne´meth, Caraway: the genus Carum (CRC Press, Boca Raton, 2003)
15. J.S. Pruthi, Minor spices and condiments: crop management and post-harvest technology (Indian Council of Agricultural Research, New Delhi, 2001)
16. J.A. Duke, Handbook of medicinal herbs (CRC Press, Boca Raton, 2002)
17. A. O_zarowski, W. Jaroniewski, J. Muszyn´ski, Ros´liny lecznicze i ich praktyczne zastosowanie, edn. (Instytut Wydawniczy Zwia˛zko ´w Zawodowych, 1987)

La composizione chimica del cumino in breve

Dai frutti del cumino si ottengono diversi composti tra cui un olio essenziale (3-7%), acidi grassi (10-18%), proteine (20%), carboidrati (15%) [18], acidi fenolici (acido caffeico), flavonoidi (quercetina, kempferolo) [19, 20]; nell’estratto acquoso dei frutti si ritrovano analogamente tannini, alcaloidi e terpenoidi [21]. L’olio di cumino è presente in tutte le parti di pianta, ma la sua concentrazione è più alta nei suoi frutti e la forma estrattiva generalmente impiegata è l’ idro-distillazione.

Il Carvone ed il limonene sono due dei componenti principali dell’olio essenziale di Cumino, che ne rappresentano circa il 95%.

Il carvone è un terpenoide solubile in alcol e cloroformio. I suoi enantiomeri sono entrambi reperibili in natura, soprattutto nell’olio dei semi di cumino dei prati (Carum carvi), del mentastro verde (Mentha spicata) e dell’aneto.

Secondo la Farmacopea Europea i frutti del Cumino dovrebbero contenere minimo il 3% di olio essenziale contenente D-carvone (min. 50-65%) e limonene (fino al 45%) come componenti principali e contenere meno dell’1,5% di carveolo e diidrocarveolo.

Il D-carvone, che deve risultare il principale componente del Carvi, è il responsabile del suo profumo caratteristico [22].

Nello studio viene riportata un’approfondita analisi dei fattori diversi che hanno effetti cruciali sul rendimento e sulla composizione chimica dell’olio olio essenziale di carvi.

18. Olennikov, D. N., and N. I. Kashchenko. “Polysaccharides. Current state of knowledge: an experimental scientometric investigation.” Khimija Rastitel’nogo Syr’ja 1 (2014): 5-26.
19. Escop, E.S.C.o. Phytotherapy, ESCOP Monographs: the scientific foundation for herbal medicinal products (Thieme, Stuttgart, 2003)
20. Sachan, A. K., D. R. Das, and M. Kumar. “Carum carvi-An important medicinal plant.” Journal of Chemical and Pharmaceutical Research 8.3 (2016): 529-533.
21. Showraki, Alireza, Masoumeh Emamghoreishi, and Somayeh Oftadegan. “Anticonvulsant effect of the aqueous extract and essential oil of Carum carvi L. Seeds in a Pentylenetetrazol model of seizure in mice.” Iranian journal of medical sciences 41.3 (2016): 200.
22. De Carvalho, Carla CCR, and M. Manuela R. Da Fonseca. “Carvone: Why and how should one bother to produce this terpene.” Food Chemistry 95.3 (2006): 413-422.

Sintesi degli effetti biologici del Cumino

Secondo recente letteratura scientifica al Cumino si attribuiscono le seguenti attività biologiche:

attività antimicrobica: Complessivamente gli studi scientifici esistenti sono concordi nell’indicare il ruolo antibatterico, anti fungino, anti-candida ed anti aflatossinico dell’olio di Cumino, ed indicano inoltre che i componenti principali dell’olio essenziale di Cumino svolgono un ruolo importante nel determinare i suoi effetti antimicrobici, infatti un alto contenuto di limonene risulta positivamente correlato con una maggiore attività antimicrobica [31]; gli effetti antibatterici ed antimicotici vengono sfruttati sia per l’uso medicamentoso sistemico (intestinale) e topico (dermatologico) sia per scopi conservanti (oltre a quello anti aflatossinico) per l’uso alimentare (per brevità vengono citati per questa voce solo i riferimenti alle generali attività antimicrobiche del Cumino che nello studio vengono riportate con i dettagliati valori microbiologici antinfettivi) [23:34] ;

23. Tarek, Nashwa, et al. “Comparative chemical and antimicrobial study of nine essential oils obtained from medicinal plants growing in Egypt.” Beni-Suef University Journal of Basic and Applied Sciences 3.2 (2014): 149-156.
24. Kwiatkowski, Paweł, et al. “Experimental Paper. Activity of essential oils against Staphylococcus aureus strains isolated from skin lesions in the course of staphylococcal skin infections.” Herba Polonica 63.1 (2017): 43-52.
25. Gniewosz, Małgorzata, et al. “Antimicrobial activity of a pullulan–caraway essential oil coating on reduction of food microorganisms and quality in fresh baby carrot.” Journal of food science 78.8 (2013): M1242-M1248.
26. Skrobonja, Jelica M., et al. “Antifungal properties of Foeniculum vulgare, Carum carvi and Eucalyptus sp. essential oils against Candida albicans strains.” Zbornik Matice srpske za prirodne nauke 124 (2013): 195-202.
27. Kwiatkowski, Paweł, et al. “Antibacterial activity of rosemary, caraway and fennel essential oils.” Herba Polonica 61.4 (2015): 31-39.
28. Razzaghi-Abyaneh, Mehdi, et al. “Chemical composition and antiaflatoxigenic activity of Carum carvi L., Thymus vulgaris and Citrus aurantifolia essential oils.” Food Control 20.11 (2009): 1018-1024.
29. Mardani, Maryam, et al. “Hydroalcoholic extract of Carum carvi L. in oral mucositis: a clinical trial in male golden hamsters.” Oral diseases 22.1 (2016): 39-45.47.
30. Thippeswamy, N. B., K. Akhilender Naidu, and Rajeshwara N. Achur. “Antioxidant and antibacterial properties of phenolic extract from Carum carvi L.” Journal of Pharmacy Research 7.4 (2013): 352-357.
31. Seidler-Łożykowska, Katarzyna, et al. “Microbiological activity of caraway (Carum carvi L.) essential oil obtained from different origin.” Acta Scientiarum. Agronomy 35.4 (2013): 495-500.
32. Meher, Bibekananda. “IMPORTANCE OF SOME HERBAL BIOENHANCERS IN MODERN MEDICINE.” (2016).
33. Fatemi, F., et al. “Biochemical properties of γ‐irradiated caraway essential oils.” Journal of Food biochemistry 35.2 (2011): 650-662.
34. Kwiatkowski, Paweł, et al. “Antibacterial activity of rosemary, caraway and fennel essential oils.” Herba Polonica 61.4 (2015): 31-39.

attività antiossidante: il ruolo antiossidante dell’olio essenziale di Cumino risulta molto interessante verso l’attività dei radicali liberi che determina il deterioramento di diversi composti in più ambiti (es. alimentare) e che nell’organismo è la ragione di disturbi di diversa natura [35].

Nel modello sperimentale l’olio essenziale di Cumino irradiato con carbonio ridotto si è dimostrato in grado di ridurre il radicali DPPH in modo superiore al trolox [36] e nel ratto l’olio di Cumino, somministrato per via orale (10 mg / kg), ha esercitato effetti protettivi nei confronti della nefrotossicità indotta da gentamicina contrastando l’aumento della malondialdeide plasmatica (MDA ed inducendo un aumento di superossido dismutasi (SOD), catalasi (CAT) e glutatione perossidasi (GSHPx) [38]; sempre in un modello di diabete indotto da streptozotocina nel ratto, l’olio essenziale di Cumino, somministrato oralmente (5, 10, 20 mg / kg), ha dimostrato di migliorare i livelli serici di GSH-Px, CAT e SOD e di ridurre i livelli sierici di MDA suggerendo il potenziale ruolo dell’olio essenziale di Cumino nel ridurre lo stress ossidativo nel diabete mellito [39]. Un interessante studio nel modello murino ha concluso che l’olio essenziale di Cumino ha avuto effetti preventivi nei confronti del danno ossidativo settico epatico indotto da legatura cecale e puntura (CLP) dimostrando attività di mieloperossidasi (MPO) e di riduzione della Barriera Antiossidante (T-BAR). L’olio essenziale di Cumino ha dimostrato di poter invertire in modo significativo l’impoverimento del glutatione cellulare epatico (GSH) in modo paragonabile a 10 mg di indometacina e ha dimostrato di avere effetti soppressivi significativi sull’aspartato transaminasi (AST) e sull’alanina-transaminasi (ALT). Nello studio l’olio essenziale di Cumino ha dimostrato di ridurre l’infiltrazione ed il sequestro di leucociti polimorfonucleati (PMN), l’edema interstiziale, la congestione, la necrosi e la gravità dell’indice di danno epatico in modo paragonabile all’indometacina [40]. L’olio essenziale di Cumino somministrato oralmente, nel ratto reso diabetico con streptozotocina, ha dimostrato effetti di normalizzazione dei livelli di GSH-Px rispetto al gruppo di controllo con miglioramenti di lievi alterazioni patologiche dovute alla nefropatia diabetica (danni glomerulari, lieve infiltrazione cellulare nel tessuto interstiziale) [41].

Dosaggi orali di Cumino hanno dimostrato interessanti effetti di riduzione dei livelli dei lipidi intestinali e dei prodotti di perossidazione nel colon parallelamente ad un effetto di incremento di enzimi antiossidanti (SOD, CAT, GSH) e di glutatione reduttasi in ratti con carcinogenesi del colon.

I frutti del Cumino potrebbero contribuire alla riduzione della dimensione del tumore e la relativa l’incidenza. Secondo le conclusioni dello studio il Cumino renderebbe le cellule resistenti all’attacco dei radicali liberi che risultano determinanti nel processo della proliferazione delle cellule cancerose; l’attivazione di enzimi antiossidanti contribuirebbe a ridurre i radicali liberi nei ratti con cancro del colon [42].

Nel modello animale un estratto acquoso di semi di Cumino, somministrato per via orale, ha dimostrato di esercitare effetti protettivi dalla tossicità del Cadmio su fegato, rene e apparato riproduttivo; l’estratto sperimentato nello studio ha ridotto significativamente i livelli degli enzimi AST e ALT inoltre è stato osservato che nel gruppo trattato il livello di creatinina aveva gli stessi valori del gruppo di controllo. Sempre nello studio è stata osservato un aumento della capacità antiossidante totale con una riduzione significativa dei livelli serici di malondialdeide (MDA); i campioni istologici del fegato dei ratti del gruppo trattati mostravano strutture normali con forte reattività degli epatociti alla colorazione con fucsina. Nei ratti esposti alla tossicità del Cadmio il pre-trattamento con estratto di semi di Cumino ha migliorato la struttura istopatologica tubulare del rene con un miglioramento delle funzioni epatiche dedotto dalla normalizzazione degli enzimi epatici; complessivamente il Cumino ha determinato effetti di contrasto dei cambiamenti istologici indotti dal cadmio sul fegato [43].

In un modello animale di mucosite orale indotta con 5-fluorouracile, un estratto idroalcolico applicato topicamente, ha migliorato i paramenti istologici indicando la capacità del Cumino di ridurre lo stress ossidativo sulla mucosa orale [37].

L’olio di Cumino estratto a freddo offre un alto contenuto fenolico totale che dimostra una elevata attività scavenging in diversi sistemi ossidativi inibendo anche i fenomeni ossidativi sulle LDL umane [44] ; in generale l’olio di Cumino ad alto contenuto fenolico totale dimostra un buon potere riducente in diversi modelli di ossidazione in vitro [45] ; sempre in generale è stato osservato che un alto contenuto in flavonoidi ed alcuni composti simil steroidali contenuti nel Cumino sono in grado di inibire l’espressione del gene CYP1A1, a livello del mRNA, che genera metaboliti reattivi tossici o cancerogeni con alta affinità di legame al DNA [47].

35. Suhaj, Milan. “Spice antioxidants isolation and their antiradical activity: a review.” Journal of food composition and analysis 19.6-7 (2006): 531-537.
36. Fatemi, F., et al. “Biochemical properties of γ‐irradiated caraway essential oils.” Journal of Food biochemistry 35.2 (2011): 650-662.
37. M. Mardani, S.M. Afra, N. Tanideh, A.A. Tadbir, F. Modarresi, O. Koohi-Hosseinabadi, A. Iraji, M. Sepehrimanesh, Oral Dis. 22, 39–45 (2016)
38. Erjaee, Hoda, Fatemeh Azma, and Saeed Nazifi. “Effect of caraway on gentamicin-induced oxidative stress, inflammation and nephrotoxicity in rats.” Veterinary Science Development 5.2 (2015).
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40. Fatemi, F., et al. “Hepatoprotective effects of γ-irradiated caraway essential oils in experimental sepsis.” Applied Radiation and Isotopes 68.2 (2010): 280-285.
41. El-Soud, Neveen H. Abou, et al. “Renoprotective effects of caraway (Carum carvi L.) essential oil in streptozotocin induced diabetic rats.” Journal of Applied Pharmaceutical Science 4.2 (2014): 27.
42. Kamaleeswari, Muthaiyan, and Namasivayam Nalini. “Dose‐response efficacy of caraway (Carum carvi L.) on tissue lipid peroxidation and antioxidant profile in rat colon carcinogenesis.” Journal of pharmacy and pharmacology 58.8 (2006): 1121-1130.
43. Abdel-Wahab, Ahmed, Abdel-Razik Hashem Abdel-Razik, and Rabie Lotfy Abdel Aziz. “Rescue effects of aqueous seed extracts of Foeniculum vulgare and Carum carvi against cadmium-induced hepatic, renal and gonadal damage in female albino rats.” Asian Pacific journal of tropical medicine 10.12 (2017): 1123-1133.
44. Yu, Liangli Lucy, Kequan Kevin Zhou, and John Parry. “Antioxidant properties of cold-pressed black caraway, carrot, cranberry, and hemp seed oils.” Food chemistry 91.4 (2005): 723-729.
45. Bamdad, Fatemeh, Mahdi Kadivar, and Javad Keramat. “Evaluation of phenolic content and antioxidant activity of Iranian caraway in comparison with clove and BHT using model systems and vegetable oil.” International journal of food science & technology 41 (2006): 20-27.
46. Škrovánková, Soňa, Ladislava Mišurcová, and Ludmila Machů. “Antioxidant activity and protecting health effects of common medicinal plants.” Advances in food and nutrition research. Vol. 67. Academic Press, 2012. 75-139.
47. Naderi-Kalali, B., et al. “Suppressive effects of caraway (Carum carvi) extracts on 2, 3, 7, 8-tetrachloro-dibenzo-p-dioxin-dependent gene expression of cytochrome P450 1A1 in the rat H4IIE cells.” Toxicology in vitro 19.3 (2005): 373-377.

attività ipoglicemizzante: in uno studio l’olio essenziale di carvi, somministrato per via orale, ha ridotto significativamente la glicemia a digiuno nel sangue di ratti resi diabetici con streptozotocina [48], mentre in un altro studio sempre condotto su ratti resi diabetici con streptozotocina, dosaggi orali di olio di Cumino hanno ridotto la glicemia in modo statisticamente significativo, con effetto dose-dipendente in assenza di variazioni dei livelli plasmatici di insulina [49] ; pertanto la capacità dell’olio di Cumino di ridurre la glicemia sarebbe regolato da un meccanismo indipendente dal meccanismo di secrezione dell’insulina [50]. L’attività antiossidante dell’olio di Cumino potrebbero essere coinvolta negli effetti antidiabetici dell’olio di Cumino;

48. El-Soud, Neveen H. Abou, et al. “Renoprotective effects of caraway (Carum carvi L.) essential oil in streptozotocin induced diabetic rats.” Journal of Applied Pharmaceutical Science 4.2 (2014): 27.
49. Erjaee, Hoda, et al. “The effect of caraway (Carum carvi L.) on the blood antioxidant enzymes and lipid peroxidation in streptozotocin-induced diabetic rats.” Comparative Clinical Pathology 24.5 (2015): 1197-1203.
50. Ene, A. C., E. A. Nwankwo, and L. M. Samdi. “Alloxan-induced diabetes in rats and the effects of Black caraway (Carum carvi L.) oil on their body weights.” Journal of Pharmacology and Toxicology 3.2 (2008): 141-146.

attività antinfiammatoria: l’olio essenziale di Carvi somministrato per via orale ha dimostrato di ridurre le citochine pro infiammatorie (IFN-c, IL-6 e TNF-a) in ratti esposti a gentamicina [51] e le somministrazioni orale e intraperitoneali di un estratto idroalcolico di Cumino e del suo olio essenziale, in un modello immunologico di colite indotta da acido trinitrobenzenico solfonico (TNBS), nei ratti ha ridotto le lesioni del tessuto del colon e l’indice di colite in modo paragonabile al prednisolone e all’Asacol; nello stesso studio è stato osservato che l’estratto di Cumino ed il suo olio essenziale hanno ridotto il processo infiammatorio e l’infiltrazione dei globuli bianchi nel muco e negli strati sub-mucosi [52]. Gli effetti generali immunologici del Carvi sono ben stati confermati [53]. Pertanto il Cumino può essere ritenuto un buon candidato nella gestione di disturbi con componente infiammatoria come la Sindrome dell’Intestino Irritabile (IBS) o come coadiuvante nelle malattie infiammatorie intestinali (IBD);

51. Erjaee, Hoda, Fatemeh Azma, and Saeed Nazifi. “Effect of caraway on gentamicin-induced oxidative stress, inflammation and nephrotoxicity in rats.” Veterinary Science Development 5.2 (2015).
52. Keshavarz, A., et al. “Effects of Carum carvi L.(Caraway) extract and essential oil on TNBS-induced colitis in rats.” Research in pharmaceutical sciences 8.1 (2013): 1.
53. E Al-Snafi, Ali. “Immunological effects of medicinal plants: a review (Part 2).” Immunology, Endocrine & Metabolic Agents in Medicinal Chemistry (Formerly Current Medicinal Chemistry-Immunology, Endocrine and Metabolic Agents) 16.2 (2016): 100-121.

attività anticonvulsivante: Sulla base delle credenze popolari gli effetti antiepilettici del Cumino [54] sono stati oggetto di uno studio nel quale un estratto acquoso di Cumino ed il suo olio essenziale sono stati somministrati in un modello animale, a diversi dosaggi, per iva intra peritoneale, confrontando gli effetti con quelli di diazepam; nello studio le convulsioni sono state indotte con pentilentetrazolo (PTZ); nello studio è stato osservato che le due forme estrattive del Cumino hanno ridotto, in modo dose dipendente, il tempo di latenza dell’insorgenza di mioclonica e convulsioni cloniche; i risultati dello studio hanno evidenziato che le due forme estrattive di Cumino hanno esercitato effetti preventivi nei confronti dell’insorgenza di convulsioni e della morte indotte con pentilentetrazolo. Gli effetti anticonvulsivanti sono risultati maggiori per l’olio essenziale rispetto all’estratto acquoso ed entrambe le due forme estrattive non hanno dimostrato effetti diretti sulla coordinazione muscolare [55] ;

54. Gorji, A., and M. Khaleghi Ghadiri. “History of epilepsy in Medieval Iranian medicine.” Neuroscience & Biobehavioral Reviews 25.5 (2001): 455-461.
55. Showraki, Alireza, Masoumeh Emamghoreishi, and Somayeh Oftadegan. “Anticonvulsant effect of the aqueous extract and essential oil of Carum carvi L. Seeds in a Pentylenetetrazol model of seizure in mice.” Iranian journal of medical sciences 41.3 (2016): 200.

attività diuretica: nella medicina tradizionale in Marocco i frutti maturi del Cumino sono usati come diuretici. Per confermare gli effetti biologici diuretici del Cumino uno studio sul ratto Wistar ha valutato la somministrazione acuta e subcronica di 100 mg/kg di un estratto acquoso di semi di Cumino, in confronto a 10 mg/kg di furosemide. I risultati dello studio hanno evidenziato che l’estratto di semi di Cumino ha stimolato la diuresi incrementando il volume totale di urina escreta in modo paragonabile alla furosemide tuttavia senza modificare l’escrezione di K e Na urinario ed analogamente l’estratto in questione non ha indotto modificazioni dei livelli plasmatici di K e Na. Nello studio l’estratto acquoso di Cumino, somministrato per 8 giorni, ha dimostrato potenti effetti diuretici senza modificare l’escrezione di K urinario e senza indurre tossicità renale [56] ;

56. Lahlou, Sanaa, et al. “Diuretic activity of the aqueous extracts of Carum carvi and Tanacetum vulgare in normal rats.” Journal of Ethnopharmacology 110.3 (2007): 458-463.

attività anti-colesterolemica: l’estratto acquoso di semi di Cumino ha dimostrato di ridurre il colesterolo ed i trigliceridi in ratti sani e resi diabetici con streptozotocina. In uno studio, una singola somministrazione (20 mg/kg) di un estratto acquoso di semi di Cumino, nei ratti sani, ha ridotto, in 6 ore, il livello plasmatico dei trigliceridi e del colesterolo totale mentre la singola somministrazione dello stesso dosaggio, nei ratti resi diabetici con streptozotocina, ha determinato solo una riduzione del colesterolo plasmatico e non dei trigliceridi. La somministrazione invece continuativa del preparato per 15 giorni, ha ridotto in modo statisticamente significativo i trigliceridi plasmatici sia nei ratti sani sia in quelli resi diabetici con streptozotocina [57] ;
57. Lemhadri, A., et al. “Cholesterol and triglycerides lowering activities of caraway fruits in normal and streptozotocin diabetic rats.” Journal of ethnopharmacology 106.3 (2006): 321-326.

attività sugli organi riproduttivi: la cultura medica in Egitto ha sfruttato il Cumino come modulatore della funzione sessuale e della fertilità femminile [58-59] ;

58. Abdel-Wahab, Ahmed, Abdel-Razik Hashem Abdel-Razik, and Rabie Lotfy Abdel Aziz. “Rescue effects of aqueous seed extracts of Foeniculum vulgare and Carum carvi against cadmium-induced hepatic, renal and gonadal damage in female albino rats.” Asian Pacific journal of tropical medicine 10.12 (2017): 1123-1133.
59. Thakur, Shweta, et al. “Effect of Carum carvi and Curcuma longa on hormonal and reproductive parameter of female rats.” International Journal of Phytomedicine 1.1 (2009).

altre attività biologiche: Le proprietà farmacocinetiche del paracetamolo (somministrazione orale e intraperitoneale) sono influenzate dall’assunzione cronica di olio di Cumino [60]. La somministrazione di estratto non oleoso di Cumino (100 mg/kg/die) unitamente a rifampicina, isoniazide e pirazinamide in 20 volontari sani, ha dimostrato di aumentare i livelli plasmatici degli antibiotici aumentandone gli indici di biodisponibilità Cmax e AUC [61]. In altri studi il Cumino ha potenziato l’azione di rifampicina, isoniazide e pirazinamide nei ratti [62, 63]. L’olio essenziale di Cumino ha dimostrato di inibire, in modo dose-dipendente, la contrazione tonica correlata a KCl (80 mM) e la contrazione fasica all’acetilcolina (320 nM) nell’utero del ratto implicando la potenziale utilità dell’olio essenziale di Cumino nel controllo dello spasmo uterino [64] Nella mucca in allattamento, l’aggiunta di 0,2 e 1 g di olio di Carvi per ogni chilo di sostanza secca alimentare, per 24 giorni, non ha avuto alcun effetto sul consumo di cibo, sull’emissione di metano e sulla produzione di latte, tuttavia il latte aveva un aroma migliore e più fresco [65]. L’olio di Cumino, aggiunto al mangime del maialino in fase di svezzamento, non ha dimostrato effetti di promozione della crescita [66]. L’olio di Cumino, e particolarmente il carvone, si dimostrano buoni inibitori della germinazione della patata [67]. La polvere di semi di Cumino dimostra attività molluschicida e l’estratto etanolico (140,58 mg / L in 96 ore e 130,61 mg / L in 24 ore) dimostra una evidente attività contro la lumaca Lymnaea acuminata probabilmente per il contenuto di limonene degli estratti [68].

60. I. Samojlik, Isidora, et al. “Herb-drug interactions: the influence of essential oil of caraway (Carum carvi L.) on the pharmacokinetics of paracetamol.” BMC Pharmacology and Toxicology. Vol. 13. No. 1. BioMed Central, 2012.
61. Choudhary, Naiyma, et al. “Effect of Carum carvi, a herbal bioenhancer on pharmacokinetics of antitubercular drugs: A study in healthy human volunteers.” Perspectives in clinical research 5.2 (2014): 80.
62. Sachin, B. S., et al. “Herbal modulation of drug bioavailability: enhancement of rifampicin levels in plasma by herbal products and a flavonoid glycoside derived from Cuminum cyminum.” Phytotherapy Research: An International Journal Devoted to Pharmacological and Toxicological Evaluation of Natural Product Derivatives 21.2 (2007): 157-163.
63. Sachin, B. S., et al. “Pharmacokinetic interaction of some antitubercular drugs with caraway: implications in the enhancement of drug bioavailability.” Human & experimental toxicology 28.4 (2009): 175-184.
64. Sadraei, Hassan, Alireza Ghannadi, and Maryam Takei-bavani. “Effects of Zataria multiflora and Carum carvi essential oils and hydroalcoholic extracts of Passiflora incarnata, Berberis integerrima and Crocus sativus on rat isolated uterus contractions.” International Journal of Aromatherapy 13.2-3 (2003): 121-127.
65. Lejonklev, Johan, et al. “Effect of oregano and caraway essential oils on the production and flavor of cow milk.” Journal of dairy science 99.10 (2016): 7898-7903.
66. Schöne, F., et al. “Effects of essential oils from fennel (Foeniculi aetheroleum) and caraway (Carvi aetheroleum) in pigs.” Journal of animal physiology and animal nutrition 90.11‐12 (2006): 500-510.
67. Hartmans, Klaasje J., et al. “The use of carvone in agriculture: sprout suppression of potatoes and antifungal activity against potato tuber and other plant diseases.” Industrial Crops and Products 4.1 (1995): 3-13.
68. Kumar, Pradeep, and D. K. Singh. “Molluscicidal activity of Ferula asafoetida, Syzygium aromaticum and Carum carvi and their active components against the snail Lymnaea acuminata.” Chemosphere 63.9 (2006): 1568-1574.

L’efficacia del Cumino nei test clinici sull’uomo

Cumino nel trattamento della funzione tiroidea
Il Cumino ha aumentato il livello di TSH in pazienti con carcinoma papillare della tiroide in trattamento con dose fissa di levotiroxina. Una capsula di Cumino (40 mg/ kg) al giorno aggiunta a Levotiroxina, in pazienti con ipotiroidismo, ha determinato l’aumento del livello di TSH in due settimane. Cinque mesi dopo la sospensione del Cumino, il livello di TSH è ritornato al livello normale. I livelli di T4 e T3 sono diminuiti con il consumo di Cumino [69]. Gli effetti migliorativi del Cumino su T3 e T4, l’effetto decrescente sul TSH [70] ed i suoi effetti anti-ipotiroidismo, stimolano il metabolismo aiutando a ridurre il grasso corporeo e il peso corporeo [71].

69. Naghibi, Seyede Maryam, et al. “Carum induced hypothyroidism: an interesting observation and an experiment.” DARU Journal of Pharmaceutical Sciences 23.1 (2015): 5.
70. Dehghani, F., M. R. Panjehshahin, and Z. Vojdani. “Effect of hydroalcoholic extract of caraway on thyroid gland structure and hormones in female rat.” iranian Journal of Veterinary research 11.4 (2010): 337-341.
71. Kazemipoor, Mahnaz, et al. “Preliminary Safety Evaluation and Biochemical Efficacy of a Carum carvi Extract: Results from a Randomized, Triple‐Blind, and Placebo‐Controlled Clinical Trial.” Phytotherapy research 28.10 (2014): 1456-1460.

Il Cumino nel trattamento dell’obesità
Secondo gli antichi testi della medicina Unani, l’obesità (Saman-e-Mufrat) è definita come un eccessivo accumulo di grasso nel corpo, cioè una malattia “flegmatica” (secondo la teoria umorale “flegma” è uno dei quattro umori fondamentali del corpo considerato causa della debolezza e della pigrizia) in cui appunto prevale “balgham”. “Flegma” determina l’eccessiva viscosità del sangue e la costrizione dei vasi sanguigni; la conseguente deposizione di grasso impedisce l’ossigenazione degli organi, causando anche la morte. In questi sistemi di medicina tradizionale viene raccomandato di assumere due volte al giorno 5 g di “Safoof-e-Muhazzil” insieme a 20 ml di “Arq-e-Zeera” (acqua di Cumino o distillato di Cumino contenente gli oli essenziali).
Uno studio clinico in triplo cieco, controllato verso placebo, ha valutato, l’efficacia di un estratto acquoso e di un estratto oleoso di Cumino sulla perdita di peso in donne in sovrappeso con BMI 25-39,9 kg / m2.
Ai pazienti di ciascun gruppo è stato raccomandato di assumere 30 ml di uno dei due estratti di Cumino oppure placebo, 20 minuti prima di pranzo, per 3 mesi. I pazienti sono stati visitati ogni settimana per tutto il trattamento monitorando eventuali effetti collaterali, parametri clinici, parametri ematici e biochimici.
Al termine dello studio il peso medio, l’indice BMI, la circonferenza della vita, il rapporto vita-fianchi e la percentuale di grasso corporeo sono risultati significativamente diminuiti nei gruppi trattati con entrambi gli estratti di Cumino. Nel gruppo trattato con estratto acquoso di Cumino si è osservato anche un aumento della massa muscolare. I parametri clinici vitali, inclusa la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa sistolica e diastolica, il peso delle urine e il profilo lipidico non hanno avuto alcuna differenza significativa rispetto al gruppo placebo [72].
In un altro studio condotto su pazienti in sovrappeso, dopo 90 giorni di trattamento con un estratto oleoso di Carvi, è stata osservata una significativa riduzione del livello di appetito e dell’assunzione di carboidrati rispetto al placebo, senza nessun effetto significativo sull’assunzione di grassi e proteine. Nello studio tutti gli indici antropometrici (circonferenza della vita, rapporto vita-fianchi, circonferenza della coscia, e la circonferenza del braccio medio-superiore) hanno mostrato un riduzione significativa nel gruppo trattato con l’olio di Cumino, rispetto al placebo gruppo; nello studio l’estratto di Cumino ha ridotto il livello medio di appetito in modo significativo rispetto al placebo [73].

72. Kazemipoor, Mahnaz, et al. “Antiobesity effect of caraway extract on overweight and obese women: a randomized, triple-blind, placebo-controlled clinical trial.” Evidence-Based Complementary and Alternative Medicine 2013 (2013).
73. Kazemipoor, Mahnaz, et al. “Slimming and Appetite‐Suppressing Effects of Caraway Aqueous Extract as a Natural Therapy in Physically Active Women.” Phytotherapy Research 30.6 (2016): 981-987.

Il Cumino nel trattamento della dispepsia funzionale
L’uso più importante e tradizionale del Cumino è quello come rimedio per i problemi digestivi. Per la gestione della dispepsia funzionale, l’olio di Cumino è oggi usato anche in combinazione con mentolo o l’olio di menta piperita o con altri officinali tradizionali.

In una sperimentazione clinica, l’efficacia e tollerabilità di una formulazione a base di olio di Cumino e di mentolo è stata confrontata verso placebo in pazienti con dispepsia funzionale (criteri di Roma III) che assumevano anche una terapia farmacologica (PPI, H2RA, anticonvulsivanti, beta-bloccanti, antistaminici, antidepressivi / TCA, modulatori del dolore e antiacidi). Il preparato è stato somministrato due volte al giorno, per 28 giorni, 30-60 minuti prima di un pasto nella prima parte della giornata e prima della cena. Nello studio sono stati valuti i cambiamenti globali della sintomatologia, le impressioni cliniche globali, sicurezza e tollerabilità del preparato. Al termine dello studio nel gruppo trattato è stata osservata una riduzione dei sintomi maggiore rispetto al gruppo placebo. Nel gruppo trattato il 61 % dei pazienti ha definito “buone” ed il 49 % “molto buone” le impressioni sui miglioramenti della sintomatologia clinica globale (p = 0,23) in assenza di eventi avversi gravi [74-75]. Gli effetti sulla dispepsia funzionale dell’olio essenziale di menta piperita sono ben accertati [76]. Un altro studio ha valutato gli effetti di due diverse capsule, una gastroresistente ed una non gastroresistente, contenenti una miscela di olio essenziale di menta piperita ed olio essenziale di Cumino, sul Complesso Motorio Migrante (CMM) in volontari sani; lo studio ha concluso che il preparato in questione ha diminuito il numero e l’ampiezza delle contrazioni in più fasi dell’attività del Complesso Motorio Migrante (CMM). Entrambe le capsule contenenti oli essenziali si sono dimostrate sicure e avevano effetto rilassante sulla muscolatura liscia locale [77].

Un’ulteriore studio clinico ha poi valutato sempre la miscela di oli essenziali di menta piperita e Cumino, in capsula gastroresistente, in 118 pazienti affetti da dispepsia funzionale in confronto agli 30 mg al giorno di cisapride; lo studio ha concluso che dopo 28 giorni di trattamento, valutando il punteggio della scala del dolore (VAS) ed il punteggio della scala della sintomatologia dispeptica (DSS), nei pazienti trattati con la miscela dei due oli essenziali, si è osservata una diminuzione significativa della frequenza del dolore e della sua intensità con effetti paragonabili a quelli ottenuti nel gruppo trattato con cisapride [78].

Uno studio multicentrico prospettico, randomizzato, controllato verso placebo, ha ulteriormente valutato gli effetti di una miscela di olio essenziale di Cumino e menta piperita, in capsula gastroresistente, concludendo che dopo 4 settimane di trattamento il preparato si è dimostrato significativamente superiore al placebo nel migliorare il punteggio del dolore, il punteggio del disagio, l’indice Nepean di dispepsia ed il relativo indice di dispnea; il trattamento è stato ben tollerato e ha migliorato la qualità della vita in pazienti [79].

74. Chey, William D., et al. “Randomized Controlled Trial to Assess the Efficacy & Safety of Caraway Oil/L-Menthol Plus Usual Care Polypharmacy vs. Placebo Plus Usual Care Polypharmacy for Functional Dyspepsia.” Gastroenterology 152.5 (2017): S306.
75. Chey, William D., et al. “Efficacy of caraway oil/l-menthol plus usual care vs placebo plus usual care, in functional dyspepsia patients with post-prandial distress (PDS) or epigastric pain (EPS) syndromes: results from a US RCT.” Gastroenterology 152.5 (2017): S307.
76. Rich, G., et al. “A randomized placebo‐controlled trial on the effects of Menthacarin, a proprietary peppermint‐and caraway‐oil‐preparation, on symptoms and quality of life in patients with functional dyspepsia.” Neurogastroenterology & Motility 29.11 (2017): e13132.
77. Micklefield, G. H., I. Greving, and B. May. “Effects of peppermint oil and caraway oil on gastroduodenal motility.” Phytotherapy Research: An International Journal Devoted to Pharmacological and Toxicological Evaluation of Natural Product Derivatives 14.1 (2000): 20-23.
78. Lin, Xuemei, William C. Orr, and Jiande Chen. “Abt-229 improves gastrointestinal symptoms but has minimal effect on gastric myoelectrical activity in patients with functional dyspepsia.” Gastroenterology 118.4 (2000): A471.
79. Holtmann, Gerald, et al. “Effects of a fixed peppermint oil caraway oil combination (PCC) on symptoms and quality of life in functional dyspepsia.” Gastroenterology 120.5 (2001): A237.

Il Cumino nella gestione della Sindrome dell’intestino Irritabile (IBS)
L’impiego del Cumino come rimedio nella sintomatologia dell’Intestino irritabile è ricorrente in moderni prodotti integratori fitoterapici; in questi prodotti, somministrati per via orale, si sfrutta prevalentemente l’attività carminativa del Carvi. Un singolare trial crossover controllato e randomizzato, ha valutato anche l’efficacia topica di un impiastro di Cumino nel trattamento dell’ IBS, per un periodo di 3 settimane seguite da 2 settimane di “wash-out”; l’impiastro di Cumino è stato confrontato con impacchi caldi o freddi di olio d’oliva; al termine dello studio due terzi dei 48 pazienti, con IBS prevalentemente diarroica (IBS-D), hanno definito il trattamento con l’impiastro di Cumino “buono” o “molto buono” attraverso l’evidenza di una significativa riduzione della gravità dei sintomi rispetto ai pazienti che sono stati trattati con l’impacco di olio di oliva caldo o freddo. Nello studio, nel gruppo trattato con l’impiastro di Cumino, è stato osservato un miglioramento significativo del punteggio totale dell’indice di globale qualità della vita (IBS-QoL) con miglioramenti nei punteggi di tutte le sotto scale come preoccupazione per lo stato di salute, disforia, alterazioni dell’alvo (Scala di Bristol), in assenza di effetti collaterali; nello studio il grado di sollievo determinato dall’impiastro con Cumino è stato definito come adeguato dal 51,8 % dei pazienti. [80]. Nelle formulazioni orali per il trattamento dei disturbi gastrointestinali il Cumino contribuisce al supporto della fisiologica motilità gastrointestinale, come antinfiammatorio, antiossidante ed antiacido [81].

80. Lauche, Romy, et al. “Efficacy of caraway oil poultices in treating irritable bowel syndrome-A randomized controlled cross-over trial.” Digestion 92.1 (2015): 22-31.
81. Wegener, T., and H. Wagner. “The active components and the pharmacological multi-target principle of STW 5.” Phytomedicine 13 (2006): 20-35.

Considerazioni dall’articolo

L’articolo in breve offre una attuale e approfondita revisione sugli effetti del Cumino (Carum carvi) molto nota come spezia alimentare ma che è anche una importante pianta medicinale presente in diversi prodotti farmaceutici, alimentari ed impiegato anche nell’ industria cosmetica. I frutti del Cumino sono usati tutt’ora in diversi sistemi medici tradizionali prevalentemente come curativi nei disordini digestivi ma anche per la gestione di diversi altri disturbi. Dalle osservazioni dei principali sistemi di Medicina Tradizionale per il Cumino prevalgono gli effetti galattogeni e carminativi che risultano superiori ad altri effetti biologici. Sebbene gli studiosi delle medicine tradizionali attribuiscano al Cumino importanti effetti digestivi e favorenti l’appetito, sempre la medicina tradizionale, in particolare quella Unani, attribuisce al Cumino anche effetti anti-obesità, valutati anche in due studi clinici verso placebo; il Cumino dimostra di ridurre i livelli plasmatici dei trigliceridi in condizioni normali e nel modello animale anche nella malattia diabetica indotta con streptozotocina; il Cumino dimostra di migliorare i livelli plasmatici di T3 e T4 ed interagire positivamente con i valori di TSH suggerendo la capacità del Cumino di attivare il metabolismo nell’organismo.

Il prevalente ruolo del Cumino nella gestione della dispepsia funzionale è stato confermato in diversi studi clinici soprattutto in combinazione con l’olio essenziale di menta piperita o con mentolo. Nell’uomo anche l’applicazione topica dell’olio di Cumino, intorno l’addome, dimostra di alleviare i sintomi dell’IBS: L’uso dell’ olio di Cumino non è raccomandato nei neonati per insufficienza di dati, tuttavia può essere usato topicamente come anticolico e agente carminativo nei bambini.

Malgrado i frutti del Cumino siano stati tradizionalmente impiegati nell’uomo per diversi disturbi, gli effetti antiepilettici, antinfiammatori e galattogeni sono stati confermati solo in studi pre-clinici.

Il Cumino offre un elevata resa di olio essenziale e per questo motivo viene largamente impiegato come antiossidante e come conservante anche nell’industria alimentare.

Il Cumino attualmente suscita molto interesse come promotore della biodisponibilità di altre fito molecole.

Le osservazioni dall’uso tradizionale sosterebbero interessanti obiettivi di ricerca sul Cumino come antidolorifico addominale nei bambini. Gli effetti contro le aflatossine, quelli antiossidanti ed antimicrobici, oltre all’impiego come spezia, incoraggiano oggi l’industria a considerarlo come conservante naturale ed antiossidante in alternativa a molecole sintetiche.


Nat Prod Bioprospect. 2019 Jan;9(1):1-11. Epub 2018 Oct 29. PubMed

Caraway as Important Medicinal Plants in Management of Diseases.

Mahboubi M(1)

Author information:

(1)Medicinal Plants Research Department, Research and Development, TabibDaru Pharmaceutical Company, Kashan, Iran.

Abstract

Carum carvi or caraway is traditionally used for treatment of indigestion, pneumonia, and as appetizer, galactagogue, and carminative. Essential oil, fixed oil and many other valuable extractive compounds with industrial applications are prepared from caraway. This review article has new deep research on caraway as medicinal plant. For preparing the manuscript, the information was extracted from accessible international databases (Google scholar, PubMed, Science direct, Springer, and Wiley), electronic resources and traditional books by key word of caraway or Carum carvi. The results of traditional studies exhibited that the galactagogue and carminative effects of caraway fruits are superior to other effects. Although, the traditional scholars used it as appetizer, while caraway was the main ingredient of anti-obesity drugs in traditional medicine, which has been confirmed in two modern clinical trials of human studies. Caraway oil in combination with peppermint oil or menthol is used for treatment of functional dyspepsia in clinical studies. Caraway oil topically on abdomen relieves the IBS symptoms in patient. Although, the use of caraway oil is not recommended in adults under 18 years due to insufficient data, but it can topically use as anti-colic and carminative agent in children or infants. The anti-aflatoxigenic, antioxidant and antimicrobial effects of caraway oil along with its reputation as spice help the industries to use it as natural preservatives and antioxidant agents.

DOI: 10.1007/s13659-018-0190-x

PMCID: PMC6328425
PMID: 30374904

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Newsletter Ayurveda nr. 49 – Gennaio 2019

Newsletter n° «49»

Gennaio 2019

Il massaggio ayurvedico nella riabilitazione per l’ictus

 

JOURNAL OF AYURVEDA AND INTEGRATIVE MEDICINE 2018 

A PROSPECTIVE STUDY ON THE EFFECTS OF AYURVEDIC MASSAGE IN POST-STROKE PATIENTS.

Sankaran, R., Kamath, R., Nambiar, V., & Kumar, A.

Apriamo il ciclo delle newsletter del 2019 segnalando un interessante articolo dei primi mesi del 2018 che ulteriormente sostiene la validità ed il prezioso ruolo che la medicina ayurvedica ed il massaggio ayurvedico svolgono come efficace approccio complementare alla medicina convenzionale in situazioni anche gravi che sono purtroppo molto frequenti ed attuali.

L’articolo, pubblicato da JAIM (Journal of Ayurveda and Integrative Medicine) nel 2018 e co-pubblicato da Elsevier tratta del positivo ruolo del massaggio ayurvedico nella grave situazione della riabilitazione post-ictus. Lo studio clinico rappresenta uno dei pochi modelli prospettici che valuta gli aspetti di utilità del massaggio ayurvedico inserito nella pratica di riabilitazione standard post-stroke in confronto alla sola riabilitazione standard.

Il problema

E’ un dato poco conosciuto che lo stroke (ictus) emorragico rappresenta nel mondo ed anche in Italia un problema di dimensioni maggiori rispetto a quello che si potrebbe pensare e che dovrebbe fare riflettere sull’importanza della prevenzione.

Come dato orientativo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha stimato che l’ictus ha causato nel 2004 circa 5, 7 milioni di morti, rappresentando il 9, 7% dei decessi nel mondo.

L’ictus cerebrale rappresenta la seconda causa di disabilità dell’adulto in Europa (Bustamante et al., 2016).

Secondo uno studio recentissimo (2018) pubblicato su The Lancet Neurology [1] l’incidenza dell’ictus ischemico nei giovani adulti (18-50 anni) è aumentata notevolmente. Questi pazienti hanno una lunga aspettativa di vita dopo l’ictus, e i costi dell’assistenza a lungo termine pongono enormi problemi ai sistemi di assistenza sanitaria.

Gli studi epidemiologici indicano una ampia variabilità del numero di ictus in proporzione alla popolazione e a causa di reali differenze di incidenza di ictus tra diversi Paesi e regioni.

In generale i tassi più alti di incidenza di ictus si registrano nell’Est e nel Nord Europa (Croazia, Estonia, Lituania, Svezia) mentre alcuni dei tassi più bassi si riscontrano invece nei Paesi dell’Ovest e del Sud Europa come Francia, Italia, Spagna, Svezia e Regno Unito (European Registers of Stroke project); sono tuttavia possibili anche differenze intra-nazionali.

Le spiegazioni di questa ampia variabilità di incidenza sono da identificare in diversi fattori di rischio (ad es. l’alta pressione sanguigna o il colesterolo, il fumo, la dieta, l’alcool, l’esercizio fisico), in diversi fattori socioeconomici e ambientali (inquinamento atmosferico, deprivazione), ma anche negli standard e nell’accesso alle cure sanitarie. Da tutti questi fattori dipendono anche il controllo dei fattori di rischio, l’assistenza della fase acuta e la cura a lungo termine.

Quando non fatale l’ictus determina una situazione molto complessa di gestione del paziente che necessita di una eventuale riabilitazione e di ulteriore prevenzione secondaria.

Le purtroppo note limitazioni cognitive e locomotorie del paziente post-ictus si traducono in anni di vita persi a causa della disabilità (DALYs lost) a lungo termine determinando costi sanitari di assistenza formale, di assistenza informale, e perdita di produttività. [2]

Ogni anno, 15 milioni di persone in tutto il mondo soffrono di infarto. Quasi sei milioni muoiono e altri cinque milioni rimangono permanentemente disabili.

L’ictus è la seconda causa principale di disabilità, dopo la demenza. La disabilità può includere la perdita della vista e / o del linguaggio, la paralisi e confusione. [3] Lo Stroke determina più del doppio delle morti rispetto all’AIDS. Contrariamente ad un tempo oggi l’ictus colpisce in modo sproporzionato anche gli individui che vivono in paesi a reddito medio alto o con crescente disponibilità di risorse. [4]

1.Ekker, Merel S., et al. “Epidemiology, aetiology, and management of ischaemic stroke in young adults.” The Lancet Neurology 17.9 (2018): 790-801.
2.Report: “L’IMPATTO DELL’ICTUS IN EUROPA”, , King’s College London per la Stroke Alliance for Europe (SAFE), 2017
3.Sibbritt D, Srithong K. Rehabilitation of stroke patients using traditional Thai massage, herbal treatments and physical therapies. Zhong Xi Yi Jie He Xue Bao 2012;10(7):743e50.
4.Pandian JD, Liu M, Misbach J, Venketasubramanian, Alternative therapies for stroke treatment in Asia, N. Int J Stroke 2011;6(6): 541e3.

Le medicine complementari nel post-stroke [5:12]

Studi anche recenti indicano, nonostante la predominanza dell’uso dei farmaci convenzionali nelle patologie più diffuse, un crescente ricorso nel mondo alle CAM anche in pazienti che regolarmente usufruiscono della medicina convenzionale. L’utilizzo di CAM è stimato tra il 9% e il 65% a livello globale. In Australia, una persona su due usa regolarmente CAM e i consumatori spendono di più denaro nelle CAM rispetto ai farmaci da prescrizione. [5]
Nonostante i rapidi progressi che si sono verificati nell’immediato trattamento dell’ictus negli ultimi 2 decenni, nessun trattamento medico ha dimostrato di essere significativamente efficace durante la successiva fase di recupero dell’ictus. Di conseguenza, i pazienti con ictus e le loro famiglie sono spesso interessati nell’esplorazione della medicina complementare e alternativa (CAM) per il recupero post-ictus; il ricorso alle TCM viene scelto anche per trattare i casi non sensibili ai trattamenti della medicina convenzionale (WM). Ad esempio in Corea circa il 25 % dei pazienti colpiti da ictus si rivolge a medici specialisti della medicina tradizionale così come anche in Cina in cui circa un terzo dei pazienti viene trattato con la medicina tradizionale. [7]. I trattamenti CAM comuni in India sono i massaggi ayurvedici, il ricorso all’erboristeria, la reiki terapia, l’omeopatia, sostanze per via endovenosa e l’oppio. [9]

5. Shahzad S Hasan et al. Factors Influencing Concomitant Use of Complementaryand Alternative Medicines with Warfarin. J Pharm Pract Res 2010; 40: 294-9.
6. Merrijoy Kelner et al. Complementary and Alternative Medicine: Challenge and Change.1sted. Great Britain: OPA (Overseas Publishers Association);2000.
7. Ronald Ross Watson. Complementary and Alternative Therapies and the Aging Population. An Evidence Based Approach. 1st ed. USA. Academic Press;2009.
8. Grant, Suzanne J., et al. “The use of complementary and alternative medicine by people with cardiovascular disease: a systematic review.” BMC public health 12.1 (2012): 299.
9. Jayraj Durai Pandian et al. Complementary and Alternative Medicine Treatments among Stroke Patients in India. Top Stroke Rehabilitation.2012; 19(5):389-394.
10. Ijeoma Okoronkwo et al. . Patterns of Complementary and Alternative Medicine Use, Perceive Benefits and Adverse Effects among Adult Uses in Enugu Urban, Southeast Nigeria. Evidence Based Complementary and Alternative Medicine.2014.
11. WHO. Traditional Medicine Strategy 2014-2023, Geneva, Switzerland: World Health Organization. (cited 18th August 2015)
12. Yang YJ, Cheng J. Effectiveness and safety of Chinese massage therapy (Tui Na) on post-stroke spasticity: a prospective multicenter randomized controlled trial. Clin Rehabil 2016;31(7):904e12.

Lo studio in breve

Coerentemente con la letteratura indicizzata già esistente sui benefici del massaggio ayurvedico nella riabilitazione anche questo studio indica che in un gruppo di pazienti colpiti da ictus e trattati nella riabilitazione con massaggio ayurvedico oltre alla fisioterapia standard si osservano dei miglioramenti globali riabilitativi rispetto ad un gruppo di pazienti che non ha ricevuto il massaggio ayurvedico associato alla fisioterapia standard.

Per la determinazione obiettiva delle differenze del miglioramento tra i due gruppi di pazienti il disegno dello studio è stato impostato su modello prospettico di controllo dei casi con impostazione di analisi retrospettiva ed è stato condotto in un ospedale di livello terziario in unità di neuro riabilitazione.
Per lo studio sono stati arruolati 52 pazienti sottoposti a riabilitazione intensiva ospedaliera che sono stati seguiti prospetticamente dopo l’ictus; i pazienti sono stati selezionati per ricevere un intervento di riabilitazione standard più massaggio ayurvedico oppure un intervento di sola riabilitazione standard. Dei 52 pazienti arruolati 25 hanno ricevuto la riabilitazione standard più il massaggio ayurvedico mentre 27 solo la riabilitazione standard e sono stati trattati dal 2014 al 2017. Tutti i partecipanti hanno completato il trattamento.
Al basale sono stati presi in considerazione diversi criteri di inclusione come età, genere, punteggio della scala dell’ictus del ministero della salute, presenza e numero di comorbidità, profilo semplice o complesso dei singoli casi.

Tutti i pazienti hanno ricevuto una media di 6 ore settimanali di terapia fisica standard ; il massaggio ayurvedico è stato praticato, sul gruppo selezionato, ogni giorno per 10 sessioni ed è stato seguito da applicazione di vapore.
La misurazione degli effetti dell’intervento ha preso in considerazione il punteggio della scala Brunnstrom di capacità di mobilizzazione della gamba, il punteggio della scala di spasticità secondo la Modified Ashworth Scale (MAS), il tempo per raggiungere la necessità di assistenza minima, il punteggio della Functional Independence Measure (FIM) e la necessità di prescrizione di farmaci antispastici alla dimissione.

I pazienti sono stati classificati come interessati da ictus semplice o complicato sulla base del tipo degli eventi precedenti alla riabilitazione.
Lo studio ha concluso che tutti i pazienti che hanno ricevuto il massaggio ayurvedico (sia colpiti da ictus semplice che complicato) hanno riportato un punteggio MAS inferiore ed un inferiore necessità di farmaci antispastici ed hanno raggiunto prima dei pazienti non trattati la capacità di reggersi in piedi con il minimo aiuto ed inoltre avevano migliorato la capacità di locomozione. Nello studio tutte queste differenze sono risultate significative.

Lo studio globalmente ha concluso che in pazienti in riabilitazione post-ictus con flaccidità muscolare, il massaggio ayurvedico può promuovere la capacità di raggiungimento della posizione eretta con il minimo di assistenza e può portare ad una minore necessità di farmaci antispastici alla dimissione.

Dall’articolo

Dopo l’ictus acuto, le misure di riabilitazione costituiscono il cardine delle cure in corso. Nelle prime fasi post ictali le manifestazioni cliniche e le disabilità sono determinate dal coinvolgimento predominante del neurone motore superiore (UMN) che concorre nella sindrome alla componente della flaccidità (condizione muscolare ipotonica); di conseguenza i pazienti sono dipendenti dall’aiuto di altri per i movimenti e la locomozione.
Un recente studio conclude che le famiglie di pazienti con emiparesi sensitiva dichiarano oggi normalmente che sia un’opzione auspicabile e preferibile il fatto di occuparsi, con un terapeuta, in ambiente domestico, del loro caro quando questi sia clinicamente stabile ed in grado di rimanere in posizione eretta con il minimo aiuto.[13]

13. Rodgers H, Price C. Stroke unit care, inpatient rehabilitation and early supported discharge. Clin Med (Lond) 2017;17(2):173e7.

Uno dei limiti degli interventi di riabilitazione è rappresentato dal ritardo del miglioramento dovuto alla flaccidità (ipotonia) degli arti coinvolti; la moderna fisioterapia possiede diverse opzioni per il trattamento dell’ipotonia associata al coinvolgimento del neurone motore superiore (UMN), con benefici apprezzabili quando riemergono i controlli volontari selettivi e la comparsa della spasticità che nelle prime sue fasi può favorire la ripresa della deambulazione. Tra le più note sequele di ictus cerebrale vi è infatti la spasticità, definita come “un disordine motorio caratterizzato da un incremento velocità-dipendente nei riflessi tonici di stiramento (tono muscolare) con riflessi tendinei esagerati, secondari ad una ipereccitabilità del riflesso di stiramento quale componente della sindrome del motoneurone superiore (Lance, 1980).

Già in altri studi precedenti tuttavia era stato osservato che pazienti con ipotonia muscolare post-ictus e trattati con massaggio ayurvedico in tempi brevi dopo l’evento acuto, avevano riguadagnato il tono muscolare più velocemente rispetto a pazienti che non avevano ricevuto il massaggio ayurvedico.

Dopo l’ictus il 30% dei pazienti sviluppa la sindrome del neurone motore superiore ( UMN) [14] e la spasticità, che può verificarsi in qualsiasi momento nel periodo post-ictus [15], compare mediamente entro sei settimane dall’insorgenza dell’ictus in circa il 25% dei pazienti. [16]

La quantità di controllo motorio volontario selettivo recuperato è dipendente dalla posizione della lesione, dalla gravità della lesione e dall’intervento di riabilitazione.

In sintesi la fisiopatologia di base del problema dipende dalla riorganizzazione neuronale irregolare, dopo una lesione cerebrale [17, 18], che comporterebbe l’aumento dell’attività nei muscoli e risposte esagerate dei riflessi alle stimolazioni periferiche. Ciò si verificherebbe a causa della disinibizione dei normali riflessi con facilitazione del verificarsi dei riflessi primitivi. [19, 20].

La spasticità può essere promossa dalla stimolazione dei motoneuroni e dall’aumento della trasmissione tra i neuroni [21] ed è stato osservato che la ripresa della locomozione dopo l’ictus può essere facilitata dalla spasticità; pertanto tutte le modalità che facilitano questo processo, come il massaggio ayurvedico, consentono eventualmente di ridurre la durata della degenza.

14. Mayer NH, Esquenazi A. Muscle overactivity and movement dysfunction in the upper motoneuron syndrome. Phys Med Rehabilit Clin North Am 2003;14: 855e83 [viieviii].
15. Ward AB. A literature review of the pathophysiology and onset of post-stroke spasticity. Eur J Neurol 2012;19:21e7.
16. Wissel J, Schelosky LD, Scott J, Mueller J. Early development of spasticity following stroke: a prospective, observational trial. J Neurol 2010;257: 1067e72.
17. Sheean G. The pathophysiology of spasticity. Eur J Neurol 2002;9:3e9.
18. Binkofski F, Seitz RJ, Arnold S, Classen J, Freund HJ. Thalamic metabolism and corticospinal tract integrity determine motor recovery in stroke. Ann Neurol 1996;39:460e70.
19. Ivanhoe C, Reistetter T. Spasticity: the misunderstood part of the upper motor neuron syndrome. Am J Phys Med Rehabil 2004;83:S3e9.
20. Pandyan A, Gregoric M, Barnes M. Spasticity: clinical perceptions, neurological realities and meaningful measurement. Disabil Rehabil 2005;27:2e6.
21. Marque P, Roques CF. Facilitation of transmission in heteronymous group II pathways in spastic hemiplegic patients. J Neurol Neurosurg Psychiatr 2001;70:36e42.

In PubMed sono reperibili diversi articoli relativi all’impego delle medicine tradizionali nel trattamento post-ictus. [22, 23]

In India è stimato che il 59, 3% dei pazienti che hanno avuto un ictus, ad un certo momento della cura, consulterà un medico ayurvedico. [24]

Effettuando una ricerca attraverso un motore Web si ritrovano numerose pubblicazioni utilizzando le parole chiave “massaggio ayurvedico ” (Abhyanga) e “emiplegia” (Pakshaghata); tutti gli articoli sono concordi nell’indicare lo squilibrio di Vata come causa dell’ictus [25, 28] ; gli articoli sono generalmente riferiti a studi condotti in centro ayurvedici che non includevano standard allopatici di gestione del paziente. Mediamente in questi studi i pazienti venivano arruolati dopo 4 giorni fino a 2 anni dopo l’esordio e, poiché nessuno dei pazienti arruolati ha avuto necessità di cure intensive e critiche nei primi 30 giorni dopo l’ictus, si può dedurre che gli ictus mediamente fossero di entità lieve o moderata; solo in due di questi studi è stata utilizzata la radiologia per localizzare il tratto della lesione ed in nessuno studio è stata impiegata la scala di valutazione National Institute Stroke Scale (NIHSS). Un solo studio ha valutato gli effetti di Abhyanga associato a farmaci orali ayurvedici.[26] Tutti gli studi sono stati condotti verso placebo [27] ad eccezione di uno condotto verso gli standard di cura. In nessuno studio la fisioterapia riabilitativa convenzionale è stata impiegata specificamente come confronto o parte del trattamento.

22. Yang YJ, Cheng J. Effectiveness and safety of Chinese massage therapy (Tui Na) on post-stroke spasticity: a prospective multicenter randomized controlled trial. Clin Rehabil 2016;31(7):904e12.
23. Sibbritt D, Srithong K. Rehabilitation of stroke patients using traditional Thai massage, herbal treatments and physical therapies. Zhong Xi Yi Jie He Xue Bao 2012;10(7):743e50.
24. Pandian JD, Liu M, Misbach J, Venketasubramanian N. Int J Stroke 2011;6(6): 541e3.
25. Patel J, Patel KB. A non-randomized observational clinical study on ayurvedic management of pakshaghata. J Biol Sci Opin 2015;3(5).
26. Sharma LK, Maheswar T. A clinical study on pakshaghata with a combination of ekanga veera ras, masha taila and shastikashali pinda sweda. J Ayurvedic Sci 2004;25(1).
27. Ediriweera RHSS, Perera MSS. Clinical study on the efficacy of chandra kalka with mahadalu anupanaya in the management of pakshaghata. Ayurveda 2011;32(1).
28. Sushma P, Sadanandam C. Evaluation of efficacy of shirovasthi in the management of pakshaghata: a pilot study. Int J Adv Res 2016;4(8).

Sintesi della visione ayurvedica di Pakshaghatha

In Pakshaghatha (emiplegia), Abhyanga (massaggio con olio) rimuove la Srothorodha (intasamento dei canali) in virtù della sua qualità di Vatahahara swabhava (qualità pacificante) e Prabhava (impercettibile qualità di bio trasformazione delle droghe) dei medicinali usati per l’Abhyanga.

Swedana karma (bagno di vapore) corregge Vathavaigunya (Vata viziato) e promuove Srothosudhi (apre i canali), ristabilendo Doshasamyatha (stato equilibrato di Dosha). Karma Virechana (Purgazione) e Vasthi karma (clistere medicato) che segue l’Abhyanga completa Sodhana (lavaggio/purificazione), che anche con i farmaci dati oralmente, rimuove tutti i fattori che hanno portato a Dhoshavaigunya (Squilibrio di Dosha) che in origine ha causato Srothorodha (blocco o intasamento dei canali) che è alla base della manifestazione della malattia. [29]

29. Moorthy S. Sareerasthanam, the Ashtanga Hridaya, Varanasi. Oriental Publishers; 2004.

Poiché gli oli hanno più componenti, per lo studio è stata effettuata un specifica ricerca in Pubmed per individuare pubblicazioni che indicassero una correlazione tra i singoli componenti degli oli utilizzati e l’ictus.

Sintesi del metodo dello studio

Per lo studio sono stati arruolati pazienti ammessi al servizio di neuro-riabilitazione ospedaliero tra gli anni 2014 e 2017; nei pazienti è stata fatta diagnosi clinica e strumentale attraverso risonanza magnetica (MRI) o tomografia computerizzata (TAC); tutti i pazienti riportavano ictus ischemico con conseguente emiplegia. Il massaggio ayurvedico è stato offerto a tutti i pazienti entro un mese dall’insorgenza dell’ictus, valutati in fase Brunnstrom 1 (uno), con MAS 0 (zero) e che erano interessati a ricevere il trattamento.

Il medico ayurvedico ha determinato Prakriti del paziente basato su Doshaja lakshana (indicatori dosha) secondo Asthanga Hridaya.

Dal gruppo per il massaggio ayurvedico sono stati esclusi pazienti con controindicazioni specifiche (infezione attiva, malnutrizione, disidratazione, stitichezza / diarrea) e nel gruppo che non ha ricevuto il massaggio ayurvedico (controllo) i pazienti avevano caratteristiche simili a quelli del gruppo trattato, tuttavia avevano espresso mancanza di interesse per il massaggio ayurvedico. Nessun paziente è stato escluso per controindicazioni di Abhyanga.

Come valutazione basale è stato impiegato il punteggio della National Institute Stroke Scale (NIHSS) e tutti i parametri di outcomes sono stati valutati al momento di ricovero in riabilitazione e alla dimissione.

Le settimane necessarie per rimanere in posizione eretta con minima assistenza sono state invece calcolate dal momento dell’insorgenza dell’ictus.

I pazienti sono stati ulteriormente categorizzati come “complicati” se avevano subito emi craniectomia decompressiva oppure se interessati da eventi coronarici.

Per lo studio sono stati misurati i seguenti outcomes primari: la capacità di progressione della gamba secondo la scala di Brunnstrom; il punteggio di spasticità ai flessori del ginocchio, della caviglia e plantari secondo la scala MAS (Scala di Ashworth modificata); le settimane per raggiungere la condizione eretta con assistenza minima dopo l’ictus; il punteggio della Functional Independence Measure (FIM) per la ripresa della deambulazione ; la quantità di farmaci antispastici somministrati.

Tutti i pazienti sono stati sottoposti a riabilitazione standard per almeno 6 ore alla settimana.

I pazienti sottoposti anche a massaggio ayurvedico sono stati valutati all’inizio del trattamento da un Medico ayurvedico per determinare la loro costituzione prevalente (prakriti).

L’olio medicato è stato scelto secondo la prevalenza costituzionale ed è stato riscaldato e massaggiato con leggera pressione dal collo in giù da due massaggiatori contemporaneamente, dalla parte superiore degli arti fino al tronco e successivamente sugli arti inferiori; i trattamenti sono durati 30 minuti ed eseguiti su lettino in legno. Successivamente il paziente è stato esposto a bagno di vapore per 15 minuti.

Nei casi di prevalenza di Vata è stato impiegato Dhanwantharam taila, nei casi di prevalenza di Pitta è stato impiegato Pinda Taila, nei casi di prevalenza di Kapha è stato impiegato Karpasasthyadi Taila.

Nel gruppo sottoposto a massaggio ayurvedico in 10 soggetti prevaleva dosha Vatha, in 8 dosha Pitha e in 7 dosha Kapha.

Il trattamento è stato condotto in 5 oppure 10 sessioni a seconda dei miglioramenti durante la terapia; i pazienti che precocemente sono riusciti a ritornare in posizione eretta (in piedi) sono stati sottoposti a 5 sessioni di trattamento mentre gli altri hanno continuato il trattamento per 10 sessioni.

I risultati dello studio

Al termine dello studio nel gruppo trattato con massaggio ayurvedico, per gli arti inferiori, si è evidenziato un cambiamento netto nel punteggio della scala Brunnstrom tuttavia non significativo rispetto al gruppo di controllo (p=0, 47).

I valori della scala MAS sono risultati migliorati nel gruppo di trattamento con massaggio ayurvedico in modo statisticamente significativo (p <0, 001) rispetto al gruppo di controllo.

Il gruppo di pazienti trattato con massaggio ayurvedico, rispetto al gruppo di controllo, ha impiegato meno tempo per riuscire a rimanere in piedi con minima assistenza (p=0, 001).

Al momento della dimissione il punteggio FIM (Funtional Independence Measure) per la locomozione era migliore nel gruppo che aveva ricevuto il massaggio ayurvedico rispetto al gruppo di controllo (p = 0, 007).
Nello studio non sono stati rilevati outcomes secondari.

Nel gruppo trattato con massaggio ayurvedico non sono stati osservati eventi avversi o effetti collaterali.

In senso generale i risultati dello studio indicano che i pazienti sottoposti a massaggio ayurvedico hanno avuto effetti riabilitativi globali più veloci rispetto al gruppo di controllo; una possibile spiegazione di quanto osservato dipenderebbe dall’influenza del massaggio ayurvedico o sulla modulazione positiva dell’attività degli interneuroni responsabili della spasticità o sul miglioramento del controllo volontario selettivo o insieme su entrambi i fattori.

Poiché la spasticità è causata da una alterata regolazione dell’iperattività del motoneurone (alfa) legata all’attività degli interneuroni è possibile che l’Abhyanga abbia modulato positivamente l’attività degli interneuroni contribuendo a migliori risultati nel gruppo di pazienti trattati anche con il massaggio ayurvedico.

Malgrado nello studio tra i due gruppi di pazienti non sia emersa nessuna differenza significativa nel punteggio della scala Brunnstrom i pazienti trattati con Abhyanga avevano punteggi della scala di Ashworth migliori e sono risultati meno bisognosi di farmaci antispastici.

La non significatività della differenza del punteggio della scala Brunnstrom tra i due gruppi potrebbe essere dovuta alla bassa dimensione del campione poiché alla dimissione in tutti i pazienti trattati con massaggio ayurvedico, rispetto al gruppo di controllo, è stata comunque osservata una più veloce capacità di camminare con minor necessità si sostegno, facendo ipotizzare un maggior recupero dei controlli selettivi motori e della spasticità che, relativamente meglio controllata, ha richiesto un minor uso di farmaci.

I limiti dello studio non consentono conclusioni e affermazioni definitive sull’ipotesi di una ripresa “centrale” malgrado nello studio siano stati osservati miglioramenti nel gruppo trattato con massaggio ayurvedico.

Una ragionevole spiegazione della migliore risposta osservata nei pazienti trattati con massaggio ayurvedico sarebbe quella di un più veloce recupero delle funzioni volontarie del motoneurone che ostacolerebbero l’insorgenza della spasticità complessiva e facilitando in tal modo, altre aree del cervello, nel riapprendimento delle loro attività.

Da un punto di vista ayurvedico i componenti dell’olio sono stati assorbiti attraverso il corpo ed hanno esercitato la loro azione terapeutica ristabilendo l’omeostasi interna e promuovendo il recupero riabilitativo.

Dallo studio non sono emerse evidenti differenze di effetti tra i tre diversi dosha.

Nello studio il maggior numero dei trattamenti è stato condotto in prevalenza di Vata dosha aggravato, secondo Prakriti e secondo Samprapti ghataka (componenti della patologia) necessari per un trattamento ayurvedico completo. Per lo studio la determinazione di Prakriti è stata condotta secondo Ashtanga Hridaya e lo studio non aveva finalità di valutare differenze specifiche di effetti del trattamento per i diversi tipi di dosha o di doshaja.

Tutti i pazienti sono stati sottoposti a screening, esaminati e raggruppati dallo stesso medico ayurvedico mentre le misurazioni degli outcomes sono stati eseguiti dallo stesso ricercatore allopatico.

Lo studio rappresenta la prima pubblicazione che ha valutato in modo prospettico pazienti colpiti da ictus trattati anche con massaggio ayurvedico rispetto ad un gruppo di controllo trattato con riabilitazione allopatica standard.

Lo studio indica che in pazienti colpiti da ictus il massaggio ayurvedico è stato ben tollerato e ha reso più veloce il recupero della capacità di reggersi in piedi con miglioramenti della locomozione.

A cura della direzione scientifica di Benefica

JOURNAL OF AYURVEDA AND INTEGRATIVE MEDICINE. 2018 1-5

A PROSPECTIVE STUDY ON THE EFFECTS OF AYURVEDIC MASSAGE IN POST-STROKE PATIENTS.

Ravi Sankaran a, *, Ravindranath Kamath b, Vivek Nambiar c, Anand Kumar d 

Author information:

a Department of Physical Medicine and Rehabilitation, Amrita Institute of Medical Sciences, Amrita Vishwa Vidyapeetham University, Peeliyadu Road,Ponekkara, Edappally, Ernakulam, Kerala, 682041, India

b Department of Ayurveda and Holistic Medicine, Amrita Institute of Medical Sciences, Amrita Vishwa Vidyapeetham University, India

c Division of Stroke Medicine, Department of Neurology, Amrita Institute of Medical Sciences, Amrita Vishwa Vidyapeetham University, India

d Department of Neurology, Amrita Institute of Medical Sciences, Amrita Vishwa Vidyapeetham University, India

ABSTRACT

We noted some of our stroke patients reported improvements after Ayurvedic massage, while others did not. There is a little indexed literature to support the use of this in rehabilitation. To objectively measured the differences between patients with stroke who received Ayurvedic massage in addition to standard Physiotherapy (PT) versus those who received only standard PT. Design-Prospective case control study, retrospectively analyzed Setting- Tertiary level hospital, Neuro-rehabilitation unit Participants- Fifty-two patients undergoing acute inpatient rehabilitation were prospectively followed post stroke. They were self selected one month from the event for Ayurvedic Massage with regular PT or PT alone. Twenty five received Ayurvedic massage with PT and twenty seven received only PT. All participants completed treatment. Duration- 2014e2017 Intervention- Age, gender, National Institute of Health Stroke Scale result, number of co-morbidities, and whether cases were deemed simple or complex were taken at baseline. All patients received 6 hours of physical therapy averaged over a week. Massage was delivered daily for a total of 10 sessions followed by steam application. Main Outcome Measurements:- Brunnstrom Leg progression, spasticity using the Modified Ashworth Scale (MAS), time to achieve stand with minimal assistance, Functional Independence Measure (FIM) score for walking at discharge, use of antispastic drugs at discharge were followed. Patients were categorized as simple or complicated stroke based on events prior to rehabilitation. Both simple and complicated patients who received Ayurvedic massage had lower MAS and need for antispastic drugs, achieved standing with minimal assistance sooner, and had better locomotion at discharge. All these differences were significant. Conclusion- Utilizing Ayurvedic massage in post stroke patients with flaccidity can promote faster standing with minimal assistance and lead to less need for antispastic drugs at discharge.

© 2018 Transdisciplinary University, Bangalore and World Ayurveda Foundation. Publishing Services by Elsevier B.V.

doi.org/10.1016/j.jaim.2018.02.137

 

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Newsletter Fitoterapia nr. 41 – Gennaio 2019

La vitamina D nella Sindrome dell’Intestino Irritabile

 

Iran J Immunol. 2018 Sep;15(3):186-196. doi: 10.22034/IJI.2018.39388. PubMed

Vitamin D3 Induced Decrease in IL-17 and Malondialdehyde, and Increase in IL-10 and Total Antioxidant Capacity Levels in Patients with Irritable Bowel Syndrome.

Amani R, Abbasnezhad A, Hajiani E, Cheraghian B, Abdoli Z, Choghakhori R.

 

Nel mondo moderno, prevalentemente occidentalizzato, molte persone lamentano di soffrire cronicamente di disturbi intestinali descritti in modo molto semplice come: “mi fa male la pancia”, “vado male di corpo”, “ho la pancia gonfia”, “ho spesso diarrea”.

L’ insieme di questi sintomi è suggestivo della “Sindrome dell’Intestino Irritabile” (IBS).

La Sindrome dell’Intestino Irritabile (IBS) è un disturbo gastrointestinale funzionale di ampia diffusione che si stima interessi attualmente circa il 20% della popolazione mondiale e rappresenta il motivo del 20 fino al 50% di visite gastroenterologiche (N Engl J Med 2003;349:2136).

Come noto la sintomatologia di questa sindrome si presenta in modo multiforme e variabile determinando disturbi prevalenti o misti, anche molto fastidiosi, come dolore addominale, generali alterazioni dell’ alvo e distensione addominale anche se a questi sintomi più frequenti, si possono associare molti altri sintomi come ad esempio emicrania, ansia, depressione, fibromialgia, fatica cronica, cistite e problemi nella sfera sessuale [1].

1.Defrees, Dean Nathanial, and Justin Bailey. “Irritable bowel syndrome: epidemiology, pathophysiology, diagnosis, and treatment.” Primary Care: Clinics in Office Practice (2017).

Caratteristica di questa sintomatologia è il presentarsi cronicamente come un disturbo gastrointestinale funzionale ad andamento remittente e deve essere correttamente diagnosticata [2] attraverso precisi criteri di esclusione di presenza di patologie gastrointestinali di altra natura; L’IBS determina un significativo scadimento della qualità globale di vita del paziente causando assenze dal lavoro, limitazioni delle relazioni sociali ed interpersonali oltre ad elevati costi sociali (Dave Nellesen et al., JMCP Journal of Managed Care Pharmacy,2013).

2. Longstreth GF, Thompson WG, Chey WD, Houghton LA, Mearin F, Spiller RC. Functional bowel disorders. Gastroenterology. 2006; 130:1480-91.

Circa dagli anni 2000 (Drossmann,1999) il pensiero scientifico è concorde nel definire la Sindrome dell’ Intestino Irritabile come manifestazione di un’ alterazione della funzione dell’ asse “cervello – intestino” (Drossmann,1999) con una aumento della sensibilità viscerale; questa sindrome si manifesta come una realtà “multifattoriale” per molteplicità e variabilità di sintomatologia gastrointestinale e per molteplicità di fattori causali e di coinvolgimenti fisiopatologici;

al riguardo è significativo osservare come dagli anni ’50, nei quali si riconosceva come quasi unica e prevalente causa del problema la componente psicosomatica, entro la fine degli anni ’60 sia stata indicata tra le cause del problema, anche l’ alterazione della motilità intestinale; tra gli anni ’70 ed ’80 è stata individuata nella fisiopatologia dell’ IBS la componente della “sensibilità viscerale” e tra gli anni ’80 e 2000 l’ aspetto dell’ interazione “brain-gut”; dagli anni 2000 ad oggi è stata inoltre posta come centrale la componente biotica ed il mantenimento della corretta vitalità della flora batterica intestinale oltre al coinvolgimento di fenomeni irritativi o infiammatori intestinali non cronici. Sempre negli ultimi anni si è poi individuata una correlazione piuttosto evidente tra aspetti dietologici, carenze di nutrienti o micronutrienti (vitamine) e l’ insorgenza dell’ IBS nei casi in cui questa non sia conseguenza di fattori casuali certi come disturbi psichiatrici, traumi psico-emotivi, eventi infettivi intestinali pregressi, intolleranze alimentari certe o allergie.

Conseguentemente alla progressiva conoscenza della “multifattorialità” del problema, nel corso degli anni si è modificato anche l’approccio terapeutico che all’ impiego di farmaci (es.: antispastici, antidiarroici, lassativi, antidepressivi, agonisti della serotonina) ha aggiunto anche altri approcci come la terapia fisica (massaggi, agopuntura, reflessologia, shiatsu), la psicoterapia (Biofeedback), la dietologia specifica (FODMAPs), la fitoterapia, l’omeopatia, la nutrizione funzionale; tuttavia negli ultimi anni si è posta massima attenzione a sostanze probiotiche e prebiotiche (Ford et al,AJG,2014,109:1547-1561) utili a sostenere l’ eubiosi intestinale e a contrastare indirettamente i fenomeni irritativi intestinali.

Tra i vari approcci citati è altresì tradizionale e sempre più frequente il ricorso ad approcci complementari (CAM) o rimedi naturali a base piante medicinali [3], tradizionalmente utilizzate per contrastare l’ eccesso della produzione dei biogas e facilitarne l’ eliminazione (es.: apiaceae) e/o generalmente utili per contrastare anche i fenomeni infiammatori intestinali (es.: zingiberaceae).

3. Edith Lahner, Stefano Bellentani et al., On Behalf of the Study Group Primary Care in Gastroenterology of the Italian Society of Gastroenterology. A survey of pharmacological and Non pharmacological treatment of functional gastrointestinal disorders, United European Gastroenterology Journal, October 2013

Tra i preparati naturali utili nel contrastare la generale sintomatologia dell’IBS, se ne distinguono attualmente alcuni che associano a moderne forme estrattive di piante medicinali tradizionalmente utilizzate nei disturbi intestinali, altre sostanze che concorrono a generali effetti antinfiammatori e favorenti la vitalità della flora batterica intestinale, come ad esempio vitamine specifiche (es.: D, A) e/o pre-biotici.

Ad esempio attuali sono le evidenze scientifiche cha avvalorano il rilevante ruolo della vitamina D nel favorire il benessere intestinale; lavori scientifici anche recentissimi indicano una correlazione tra carenze di vitamina D e l’ insorgenza di IBS e/o di malattie infiammatorie intestinali [4,5,6].

4.Kong, Juan, et al. “Novel role of the vitamin D receptor in maintaining the integrity of the intestinal mucosal barrier.” American Journal of Physiology-Gastrointestinal and Liver Physiology 294.1 (2008): G208-G216.

5.Martinesi, Maria, et al. “Role of vitamin D derivatives in intestinal tissue of patients with inflammatory bowel diseases.” Journal of Crohn’s and Colitis 8.9 (2014): 1062-1071.

6.Narula, Neeraj, and John K. Marshall. “Management of inflammatory bowel disease with vitamin D: beyond bone health.” Journal of Crohn’s and Colitis 6.4 (2012): 397-404.

L’articolo scientifico che segnaliamo, disponibile in PubMed da settembre 2018, offre una ulteriore valutazione del razionale della supplementazione della vitamina D nella Sindrome dell’ Intestino Irritabile.

L’articolo in breve
La Sindrome dell’Intestino Irritabile (IBS) si manifesta con un’ampia variabilità sia di segni clinici sia di coinvolgimento di meccanismi fisiopatologici a secondo dei vari sotto tipi (IBS-D: ad impronta diarroica; IBS-C: ad impronta stiptica; IBS-A: con alternanza di diarrea e stipsi) e per questi motivi è un fatto riconosciuto che la risposta ai trattamenti possa essere diversa e variabile.

Lo studio scientifico si è posto l’obiettivo di valutare l’effetto della vitamina D, in pazienti con IBS, sulle citochine infiammatorie (IL-17, IL-10, TNF-α) e sui “biomarkers” dello stress ossidativo TAC (capacità antiossidante totale) e malondialdeide (MDA).

Lo studio clinico è stato condotto per 6 mesi, in doppio cieco, randomizzato, controllato con placebo, su 90 pazienti affetti da IBS secondo inquadramento definito dai criteri di Roma III.

AI partecipanti allo studio sono state somministrate 50.000 UI di vitamina D3 o un placebo ogni 15 giorni.

Al termine dello studio nel gruppo trattato con vitamina D è stata osservata una riduzione statisticamente significativa (P <0,05) dei livelli serici di IL-17 e MDA (malondialdeide) ed un incremento notevole (P <0,05) della TAC (capacità antiossidante totale) e dei livelli serici di IL-10 (citochina anti – infiammatoria).

Rispetto ai diversi sottotipi di IBS lo studio ha evidenziato che la supplementazione con vitamina D, rispetto al gruppo placebo, ha ridotto significativamente i livelli sierici di TNF-α, IL-17 e MDA (P <0,05) solo nel forma diarroica dell’IBS (IBS-D) tuttavia i livelli della TAC (capacità antiossidante totale) sono aumentati anche in tutti gli altri sottotipi di IBS.

Lo studio conclude che la supplementazione di vitamina D3 riduce i livelli sierici di IL-17 e MDA e aumenta i livelli di IL-10 e TAC nel siero di pazienti con IBS, in particolare nel sottotipo IBS-D, dimostrando gli effetti benefici della vitamina D in pazienti con IBS.

Dall’ articolo
Nell’ introduzione allo studio gli autori evidenziano che nei pazienti con IBS la percezione della sintomatologia possa essere molto differente nella funzione autonomica e per le caratteristiche dei sintomi (abitudini intestinali) tra diversi sottotipi di IBS [7,8].

A causa dell’ eterogeneità dei sintomi clinici e dei diversi meccanismi fisiopatologici tra i sottotipi di IBS (IBS-C, IBS-D e IBS-A), è generalmente accettato che la risposta ai trattamenti possa essere diversa [9].

7. Schmulson M, Lee O-Y, Chang L, Naliboff B, Mayer EA. Symptom differences in moderate to severe IBS patients based on predominant bowel habit. Am J Gastroenterol. 1999; 94:2929-35;

8.Elsenbruch S, Orr WC. Diarrhea-and constipation-predominant IBS patients differ in postprandial autonomic and cortisol responses. Am J Gastroenterol. 2001; 96:460-6]

9.Corazziari E, Bytzer P, Delvaux M, Holtmann G, Malagelada J, Morris J, et al. Clinical trial guidelines for pharmacological treatment of irritable bowel syndrome. Aliment Pharmacol Ther. 2003; 18:569-80

Nella patogenesi dell’ IBS vengono oggi riconosciuti fattori sia centrali che periferici così come l’ influenza dei fenomeni infiammatori che alterano la funzione intestinale nei pazienti con IBS cosi come anche confermato (tramite esame istologico) dall’aumento delle cellule immunitarie nel colon o nell’ileo terminale in pazienti con IBS [10].

Altri mediatori immunitari e infiammatori, come le citochine pro infiammatorie, vengono inoltre indicate come coinvolte nei meccanismi che provocano l’ipersensibilità viscerale che viene ritenuta coinvolta nello sviluppo dei sintomi clinici dell’IBS come il disagio cronico e il dolore [11].

Nel 2013, uno studio ha inoltre suggerito che le alterazioni dell’ equilibrio ossidante-antiossidante potrebbe avere un ruolo nell’ IBS e nei suoi sintomi clinici [12].

10. Collins S, Piche T, Rampal P. The putative role of inflammation in the irritable bowel syndrome.Gut. 2001; 49:743-5

11.Spiller R, Aziz Q, Creed F, Emmanuel A, Houghton L, Hungin P, et al. Guidelines on the irritable bowel syndrome: mechanisms and practical management. Gut. 2007; 56:1770-98

12. Mete R, Tulubas F, Oran M, Yilmaz A, Avci BA, Yildiz K, et al. The role of oxidants and reactive nitrogen species in irritable bowel syndrome: A potential etiological explanation. MedSci Monit. 2013;19:762-6]

Il ruolo antinfiammatorio e immunomodulatore della vitamina D è stato dimostrato in diverse malattie [13,14].

13. Lemire JM. Immunomodulatory role of 1, 25‐ dihydroxyvitamin D3. J Cell Biochem. 1992; 49:26-31.

14. Coussens AK, Martineau AR, Wilkinson RJ. Anti-Inflammatory and Antimicrobial Actions of Vitamin D in Combating TB/HIV. Scientifica. 2014;2014:903680

Come noto la vitamina D si dimostra in grado di inibire la proliferazione e la differenziazione delle cellule mononucleate riducendo la produzione di citochine pro infiammatorie [15]; inoltre nei pazienti con IBS la carenza di vitamina D (VDD) è stata recentemente correlata ad un aumento del rischio di osteoporosi [16,17].

15. Lemire JM. Immunomodulatory role of 1, 25‐ dihydroxyvitamin D3. J Cell Biochem. 1992; 49:26-31

16. Stobaugh D, Deepak P, Ehrenpreis E. Increased risk of osteoporosis-related fractures in patients with irritable bowel syndrome. Osteoporos Int. 2013; 24:1169-75.

17. Sprake EF, Grant VA, Corfe BM. Vitamin D3 as a novel treatment for irritable bowel syndrome: single case leads to critical analysis of patient-centred data. BMJ Case Rep. 2012;2012.

Un ulteriore studio ha dimostrato che la carenza di vitamina D (VDD) potrebbe influenzare le risposte delle cellule T helper (Th17) e che livelli serici normali di vitamina D proteggerebbero dall’ infiammazione mediata da IL-17 [18]; già in precedenza era stato dimostrato il ruolo antiossidante della vitamina D [19].

18. Ranganathan P, Khalatbari S, Yalavarthi S, Marder W, Brook R, Kaplan MJ. Vitamin D deficiency, interleukin 17, and vascular function in rheumatoid arthritis. J Rheumatol. 2013; 40:1529-34.

19. Wiseman H. Vitamin D is a membrane antioxidant Ability to inhibit iron-dependent lipid peroxidation in liposomes compared to cholesterol, ergosterol and tamoxifen and relevance to anticancer action. FEBS Lett. 1993; 326:285-8.

Nella discussione dello studio gli autori riferiscono come importante considerazione che la somministrazione per 6 mesi di vitamina D3 (50.000 UI ogni 15 gg) non ha determinato effetti avversi coerentemente con quanto già osservato in un altro studio che ha evidenziato la sicurezza di dosi di vitamina D3 fino a 10.000 UI / die nell’uomo [20] come anche già evidenziato nello studio di Jalili et al. in cui nessun effetto avverso si è verificato somministrando una supplementazione di vitamina D (50.000 UI bisettimanali per sei settimane) in pazienti con IBS [21].

20. Hathcock JN, Shao A, Vieth R, Heaney R. Risk assessment for vitamin D. Am J Clin Nutr.2007; 85:6-18

21. Jalili M, Hekmatdoost A, Vahedi H, Poustchi H, Khademi B, Saadi M, et al. Co-Administrationof Soy Isoflavones and Vitamin D in Management of Irritable Bowel Disease. PloS one.2016;11:e0158545.

Partendo dalla premessa che la patogenesi dell’ IBS non è ancora completamente conosciuta e che essa sia interessata sia da fattori centrali sia da fattori periferici [22] è stato inoltre dimostrato che i pazienti con IBS manifestano livelli più alti di citochine infiammatorie (come TNF-α, IL-1β e IL-6) rispetto ai soggetti sani [23].

22. Collins S, Piche T, Rampal P. The putative role of inflammation in the irritable bowel syndrome.Gut. 2001; 49:743-5.

23. Liebregts T, Adam B, Bredack C, Röth A, Heinzel S, Lester S, et al. Immune activation inpatients with irritable bowel syndrome. Gastroenterology. 2007; 132:913-20.

La ricerca scientifica ha anche recentemente suggerito che l’infiammazione svolga un ruolo importante nel modificare la funzione intestinale e determinare l’ipersensibilità viscerale nell’IBS [24] evidenziando che l’ infiammazione e qualsiasi lesione ai tessuti sono correlate con meccanismi che determinano un accrescimento della sensibilità del sistema nervoso, provocando così una maggiore sensibilità al dolore e generando il fenomeno noto come ipersensibilità viscerale [25,26].

24. Collins S, Piche T, Rampal P. The putative role of inflammation in the irritable bowel syndrome.Gut. 2001; 49:743-5.

25. Spiller R, Aziz Q, Creed F. Guidelines on the irritable bowel syndrome: mechanisms and practical management. Gut. 2007; 56:1770-98.

26. Treede R-D, Meyer RA, Raja SN, Campbell JN. Peripheral and central mechanisms of cutaneoushyperalgesia. Prog Neurobiol. 1992; 38:397-421.

Risultano inoltre orientativi i dati scientifici che indicano che nei pazienti con IBS, in correlazione all’infiammazione, si osserva anche la disfunzione autonomica ed una esagerata risposta agli agenti stressanti dell’ asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) (che è il principale sistema endocrino di risposta allo stress nell’uomo) [27].

È stato inoltre dimostrato che le citochine pro infiammatorie circolanti (come il TNF-a), regolano la secrezione del ormone rilasciante la corticotropina (CRH), che è il principale peptide regolatore dell’asse HPA [28].

27. Dinan T, Quigley E, Ahmed S, Scully P, O’Brien S, O’Mahony L, et al. Hypothalamic-pituitarygutaxis dysregulation in irritable bowel syndrome: plasma cytokines as a potential biomarker?Gastroenterology. 2006; 130:304-11.

28. Turnbull AV, Rivier CL. Regulation of the hypothalamic-pituitary-adrenal axis by cytokines:actions and mechanisms of action. Physiol Rev. 1999; 79:1-71.

È stato ben documentato che la vitamina D è potenzialmente un agente immunomodulatore e antinfiammatorio in grado di influenzare il coinvolgimento delle citochine infiammatorie in diverse patologie [29,30,31].

29. Coussens AK, Martineau AR, Wilkinson RJ. Anti-inflammatory and antimicrobial actions of vitamin D in combating TB/HIV. Scientifica. 2014;2014.

30. Schleithoff SS, Zittermann A, Tenderich G, Berthold HK, Stehle P, Koerfer R. Vitamin D supplementation improves cytokine profiles in patients with congestive heart failure: a doubleblind, randomized, placebo-controlled trial. The Am J Clin Nutr. 2006; 83:754-9.

31. Shab¬Bidar S, Neyestani TR, Djazayery A, Eshraghian MR, Houshiarrad A, Kalayi A, et al. Improvement of vitamin D status resulted in amelioration of biomarkers of systemic inflammation in the subjects with type 2 diabetes. Diabetes Metab Res Rev. 2012; 28:424-30.

Analogamente agli studi summenzionati [29,30,31] anche il presente studio non è stato in grado di identificare eventuali differenze significative nel cambiamento medio dei livelli di TNF-α tra i due gruppi a seguito della supplementazione di vitamina D tuttavia nello studio è risultato invece evidente un aumento delle concentrazioni sieriche di IL-10 ed una riduzione di IL-17 che è un potente mediatore dell’infiammazione che può creare l’induzione di diversi geni infiammatori [32]; pertanto per la futura farmacoterapia, le sostanze appartenenti alla famiglia dell’ IL-17 ed i loro recettori rappresentano importanti obiettivi di studio [33].

32. Fujino S, Andoh A, Bamba S, Ogawa A, Hata K, Araki Y, et al. Increased expression ofinterleukin 17 in inflammatory bowel disease. Gut. 2003; 52:65-70.

33. Kolls JK, Lindén A. Interleukin-17 family members and inflammation. Immunity. 2004; 21:467-76.

La riduzione dei livelli serici di IL-17 dopo 6 mesi di supplementazione con vitamina D osservata nello studio è coerente con lo studio di Correale et al. [34] che aveva analizzato l’impatto della vitamina D sulla produzione di IL-7 da parte delle cellule T concludendo che la vitamina D aveva ridotto il numero delle cellule T producenti IL-17 ed incrementato la produzione di IL-10. Un altro studio aveva inoltre concluso che la vitamina D svolgerebbe un importante ruolo modulatorio sulle cellule T CD4+ che inducono la produzione di IL-13 e IL-17 in risposta agli allergeni [35].

34. Correale J, Ysrraelit MC, Gaitán MI. Immunomodulatory effects of Vitamin D in multiple sclerosis. Brain. 2009:awp033.

35. Zhong H, Zhou X-J, Hong J-G. The Effects of Vitamin D on Allergen-Induced Expression of Interleukin-13 and Interleukin-17 in Cord Blood CD4+ T Cells. Iran J Allergy Asthma Immunol. 2014; 13:93-7.

Come anticipato esistono attualmente prove che lo stress ossidativo può essere coinvolto nella patogenesi dell’ IBS [35], causando lesioni tissutali, e attivazione delle cellule immunitarie, che di conseguenza portano a ipersensibilità viscerale [36,37].

36. Mete R, Tulubas F, Oran M, Yilmaz A, Avci BA, Yildiz K, et al. The role of oxidants and reactive nitrogen species in irritable bowel syndrome: A potential etiological explanation. Med Sci Monit. 2013;19:762-6.

37. Spiller R, Aziz Q, Creed F. Guidelines on the irritable bowel syndrome: mechanisms and practical management. Gut. 2007; 56:1770-98.

Diversi studi hanno chiarito il ruolo antiossidante della vitamina D in altre patologie [38,39]; ad esempio Asemi et al. hanno concluso che la somministrazione di vitamina D induceva un incremento significativo (P <0,05) della concentrazione di TAC (attività antiossidante totale) nelle donne in gravidanza [40] mentre Tarcin et al. hanno evidenziato che la supplementazione di vitamina D, in soggetti con carenza di vitamina D asintomatica, ha ridotto significativamente i livelli serici di MDA (malondialdeide) [41].

38. Wiseman H. Vitamin D is a membrane antioxidant Ability to inhibit iron-dependent lipid peroxidation in liposomes compared to cholesterol, ergosterol and tamoxifen and relevance to anticancer action. FEBS Lett. 1993; 326:285-8.

39. Sharifi N, Amani R, Hajiani E, Cheraghian B. Does vitamin D improve liver enzymes, oxidative stress, and inflammatory biomarkers in adults with non-alcoholic fatty liver disease? A randomized clinical trial. Endocrine. 2014; 47:70-80.

40. Asemi Z, Samimi M, Tabassi Z, Shakeri H, Esmaillzadeh A. Vitamin D supplementation affects serum high-sensitivity C-reactive protein, insulin resistance, and biomarkers of oxidative stress in pregnant women. J Nutr. 2013; 143:1432-8.

41. Tarcin O, Yavuz DG, Ozben B, Telli A, Ogunc AV, Yuksel M, et al. Effect of vitamin D deficiency and replacement on endothelial function in asymptomatic subjects. J Clin Endocrinol Metab. 2009; 94:4023-30.

Anche in questo studio, è stato chiarito che la vitamina D è stata in grado di ridurre significativamente (P <0,05) IL-17 e MDA e di incrementare i livelli medi serici di TAC in pazienti con IBS tuttavia lo studio ha chiarito questi aspetti in modo più specifico nei vari sottotipi di IBS; il confronto dei risultati relativi alla supplementazione di vitamina D nei diversi sottotipi di IBS ha evidenziato che la riduzione di citochine pro-infiammatorie (TNF-α e IL-17) si è dimostrata significativa (P> 0.05) in pazienti con IBS-D, mentre non sono stati osservati cambiamenti significativi in altri sottotipi anche se in tutti i sottotipi i livelli sierici di citochina di IL-10 (antiinfiammatoria) è aumentata nel gruppo vitamina D rispetto al placebo.

Le spiegazioni, associate alle diverse risposte al trattamento con vitamina D nei vari sottotipi di IBS, sono multifattoriali e includono sostanziali differenze fisiopatologiche [42,43]. Diversi studi recenti hanno dimostrato che i livelli sierici di citochine infiammatorie sono diversi nei diversi sottotipi di IBS [44,45].

42. Schmulson M, Lee O-Y, Chang L, Naliboff B, Mayer EA. Symptom differences in moderate to severe IBS patients based on predominant bowel habit. Am J Gastroenterol. 1999; 94:2929-35.43. Elsenbruch S, Orr WC. Diarrhea-and constipation-predominant IBS patients differ in postprandial autonomic and cortisol responses. Am J Gastroenterol. 2001; 96:460-6.

44. Liebregts T, Adam B, Bredack C, Röth A, Heinzel S, Lester S, et al. Immune activation in patients with irritable bowel syndrome. Gastroenterology. 2007; 132:913-20.

45. Turnbull AV, Rivier CL. Regulation of the hypothalamic-pituitary-adrenal axis by cytokines: actions and mechanisms of action. Physiol Rev. 1999; 79:1-71.

Liebregts et al. hanno dimostrato che l’ aumento del rilascio di citochine infiammatorie come TNF-α, IL-1β, IL-6, nei pazienti con IBS-D, è associato all’aumento dei sintomi [46] mentre Hughes et al. hanno concluso che nei pazienti con IBS-D contrariamente a quelli con IBS-C, i livelli sierici di citochine infiammatorie erano più alti e i livelli sierici di TNF-α aumentavano con l’aumentare dell’intensità del dolore auto-riferito [47].

46. Liebregts T, Adam B, Bredack C, Röth A, Heinzel S, Lester S, et al. Immune activation in patients with irritable bowel syndrome. Gastroenterology. 2007; 132:913-20.

47. Hughes PA, Harrington AM, Castro J, Liebregts T, Adam B, Grasby DJ, et al. Sensory neuroimmune interactions differ between irritable bowel syndrome subtypes. Gut. 2013; 62:1456-65.

Pur nei suoi limiti lo studio è stato il primo a valutare l’effetto della vitamina D sul rilascio di citochine infiammatorie e sulla modulazione dello stress ossidativo in pazienti con IBS; nello studio vengono ulteriormente chiariti i coinvolgimenti di alterazioni mucosali, infiammazione e aumento dell’ attività immunitaria che nei pazienti con in IBS svolgono ruoli cruciali nell’ alterazione delle funzioni intestinali, nel concorrere all’ ipersensibilità viscerale e nel determinare il sottotipo clinico; nello studio viene inoltre confermato il ruolo delle alterazioni del bilancio tra sostanze antiossidanti e pro-ossidanti nella patogenesi dell’ IBS. Pur nella necessità di ulteriori ricerche per sostenere ulteriormente l’ uso della vitamina D nella pratica clinica, gli autori dello studio hanno ulteriormente chiarito gli effetti antinfiammatori ed antiossidanti della vitamina D che hanno determinato una significativa riduzione dei livelli di citochine infiammatorie specialmente in pazienti con IBS-D evidenziando i benefici della vitamina D nei pazienti con IBS.


Iran J Immunol. 2018 Sep;15(3):186-196. doi: 10.22034/IJI.2018.39388. PubMed

Vitamin D3 Induced Decrease in IL-17 and Malondialdehyde, and Increase in IL-10 and Total Antioxidant Capacity Levels in Patients with Irritable Bowel Syndrome.

Amani R(1), Abbasnezhad A, Hajiani E, Cheraghian B, Abdoli Z, Choghakhori R.

Author information:

(1)Diabetes Research Center, Health Research Institute, Department of Nutrition, Ahvaz Jundishapur University of Medical Sciences, Ahvaz, Iran.

 

Abstract

BACKGROUND: Given the variations in clinical presentation and physiopathological mechanisms in irritable bowel syndrome (IBS) subtypes, it is an acknowledged fact that the response to treatments can be disparate.

OBJECTIVE: To assess the effect of vitamin D on inflammatory cytokines (IL-17, IL-10, TNF-α), and biomarkers of oxidative stress (total antioxidant capacity (TAC), and malondialdehyde (MDA)) among IBS patients.

METHODS: A double-blind, randomized, placebo-controlled 6-month intervention study was carried out on 90 IBS patients (85 were analyzed), as defined by the Rome III criteria. Study participants were randomly assigned to receive either 50,000 IU vitamin D3 or a placebo fortnightly.

RESULTS: Vitamin D supplementation significantly reduced the IL-17 and MDA serum levels (P<0.05) and observably increased the TAC and IL-10 serum levels (P<0.05), compared with the placebo group. Comparing different bowel habit subtypes, we observed that it was only in diarrhea predominant IBS (IBS-D) that vitamin D supplementation was able to significantly reduce the serum levels of TNF-α and IL-17 (P<0.05). However, in all subtypes, IL-10 and TAC increased, while MDA decreased (P<0.05) in vitamin D group, compared to the placebo group.

CONCLUSION: Vitamin D3 supplementation reduces the serum IL-17 and MDA levels, and augments the serum IL-10 and TAC levels in IBS patients, particularly in IBS-D subtype. Thus, the present study demonstrates the beneficial effects of vitamin D on patients with IBS-D.

DOI: 10.22034/IJI.2018.39388
PMID: 30246694 [Indexed for MEDLINE]

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