Newsletter Fitoterapia nr. 40 – Dicembre 2018
Newsletter n° «40»
Dicembre 2018
Rodiola Rosea:
Un alleato antivirale naturale specifico anche nell’attività sportiva
Frontiers in nutrition, July 2015 | Volume 2 | Article 24.
Rhodiola rosea exerts antiviral activity in athletes following a competitive marathon race.
Ahmed, Maryam, et al.
Come noto Rhodiola rosea L (Rodiola) è una antica pianta medicinale tradizionalmente impiegata per i suoi effetti adattogeni utili in casi di affaticamento fisico e mentale e rappresenta anche nel mondo contemporaneo un’utile integrazione in situazioni di stress cronico per migliorare le fisiologiche capacità di adattamento dell’organismo in momento di maggiore impegno fisico e mentale, contribuendo alla globale qualità della vita e ad un miglior tono dell’umore.
Rhodiola rosea viene generalmente classificata quindi come pianta medicinale ad effetto adattogeno ed tonico psico-fisico [1] come anche indicato dal Committee on Herbal Medicinal Products (HMPC) di EMA (European Medicines Agency) [2].
1. Panossian, Alexander, G. Wikman, and Jerome Sarris. “Rosenroot (Rhodiola rosea): traditional use, chemical composition, pharmacology and clinical efficacy.” Phytomedicine 17.7 (2010): 481-493.PubMed.
2. EMA/HMPC/232091/2011, Community herbal monograph on Rhodiola rosea L.,rhizoma et radix.
Sono molto interessanti inoltre gli effetti che Rhodiola rosea può esercitare (come per altro da uso tradizionale) come integrazione specifica in aiuto alle generali capacità di adattamento dell’organismo in caso di temperature molto fredde [3] o nei disturbi d’alta quota [4].
3. Timpmann, Saima, et al. “Influence of Rhodiola rosea on the heat acclimation process in young healthy men.” Applied Physiology, Nutrition, and Metabolism 43.1 (2017): 63-70.
4. Sharma, Priyanka, and Kshipra Misra. “Rhodiola sp.: The Herbal Remedy for High-Altitude Problems.” Management of High Altitude Pathophysiology. Academic Press, 2018. 81-92.
In realtà gli approfondimenti scientifici sull’argomento sono coerenti con il tradizionale impiego medicinale di Rhodiola rosea che storicamente veniva impiegata in regioni molto fredde come ad esempio la Mongolia oppure la Russia; a questo proposito basti pensare che nella ex Unione Sovietica la supplementazione di Rhodiola veniva correntemente somministrata alle truppe delle armate non solo per promuovere efficienza fisica e mentale ma anche per migliorare la resistenza alle temperature molto rigide; questa supplementazione viene tutt’ora adottata con successo.
Il globale profilo farmacologico di Rhodiola rosea la identifica come un adattogeno completo e versatile [5] nel senso più letterale del termine poiché è dimostrato che può contribuire non solo al recupero dell’affaticamento fisico e mentale ma anche alla fisiologica funzionalità del sistema immunitario [6].
5. Khanum, Farhath, Amarinder Singh Bawa, and Brahm Singh. “Rhodiola rosea: a versatile adaptogen.” Comprehensive reviews in food science and food safety 4.3 (2005): 55-62.
6. Olsson, Erik MG, Bo von Schéele, and Alexander G. Panossian. “A randomised, double-blind, placebo-controlled, parallel-group study of the standardised extract shr-5 of the roots of Rhodiola rosea in the treatment of subjects with stress-related fatigue.” Planta medica 75.02 (2009): 105-112.
Anche recentemente la letteratura scientifica ha ulteriormente evidenziato i potenziali benefici di Rhodiola rosea nel contrastare i disturbi a carico dell’apparato respiratorio di origine infettiva come già osservato nell’uso tradizionale; ad esempio nell’antica Mongolia Rhodiola rosea veniva impiegata come antitubercolare [7]; nel modello sperimentale Rhodiola rosea ed i suoi bioattivi mostrano promettenti effetti antinfettivi come quelli antibatterici [8]; gli effetti antivirali di Rhodiola rosea sono stati studiati non solo in vitro ma anche nell’uomo (ex-vivo) in condizioni di maggior rischio di infezioni virali, come ad esempio quelle che si verificano a seguito di attività sportiva molto intensa, e per le quali un temporaneo indebolimento del sistema immunitario aumenterebbe la suscettibilità ad infezioni sia virali sia batteriche.
Rispetto a questi razionali Rhodiola si profilerebbe nel senso più completo di adattogeno anche come un utile supplemento nei periodi dell’anno in cui le condizioni climatiche, come il freddo, predispongono ai disturbi infettivi tipici delle alte vie aeree come suggerito da alcuni studi scientifici ed in particolare da uno di questi che ha specificatamente accertato, in vitro, anche la capacità di Rhodiola rosea di contrastare l’infezione cellulare da influenza virus [9].
7. Chu, Jih-Chiao, et al. “Effective tuberculosis case management of prisons in Taiwan.” Journal of the Formosan Medical Association= Taiwan yi zhi 116.7 (2017): 567-567.
8. Kosakowska, Olga, et al. “Antioxidant and Antibacterial Activity of Roseroot (Rhodiola rosea L.) Dry Extracts.” Molecules 23.7 (2018): 1767.
9. Jeong, Hyung Jae, et al. “Neuraminidase inhibitory activities of flavonols isolated from Rhodiola rosea roots and their in vitro anti-influenza viral activities.” Bioorganic & medicinal chemistry 17.19 (2009): 6816-6823.
Nell’uomo è ampiamente dimostrato infatti che lo stress fisico, determinato da attività sportiva molto intensa (tipica degli atleti professionisti), soprattutto nell’immediato tempo post-gara, determina una temporanea inefficienza del sistema immunitario che espone gli atleti a maggior rischio di infezioni virali e batteriche; questo problema si dimostra con maggior evidenza in alcune discipline sportive come ad esempio la maratona [10,11,12].
10.Powers SK, Jackson MJ. Exercise-induced oxidative stress: cellular mechanisms and impact on muscle force production. Physiol Rev (2008).
11.Martin SA, Pence BD, Woods JA. Exercise and respiratory tract viral infections. Exerc Sport Sci Rev (2009).
12.Nieman DC. Exercise, upper respiratory tract infection, and the immune system. Med Sci Sports Exerc (1994); Nieman DC. Marathon training and immune function. Sports Med (2007).
Lo studio che segnaliamo ha voluto indagare gli effetti antivirali ed antibatterici nel siero del sangue di atleti maratoneti professionisti ai quali è stato somministrata una integrazione di un estratto di Rhodiola rosea.
Condotto in USA e pubblicato nel 2015 da “Frontiers in nutrition” lo studio rappresenta una ulteriore evidenza del razionale dell’impiego degli adattogeni in generale confermandone la più generale capacità di sostenere l’efficienza del sistema immunitario.
Per lo studio, randomizzato in doppio cieco, sono stati arruolati 48 maratoneti professionisti di ambo i sessi che sono stati suddivisi in un gruppo di trattamento con Rhodiola rosea e un gruppo trattato con placebo; sia l’estratto di Rodiola, sia il placebo sono stati somministrati nei 30 giorni precedenti la gara, il giorno della maratona, e per 7 giorni dopo la maratona. I campioni del siero di sangue sono stati raccolti il giorno precedente alla gara, 15 minuti e 1,5 ore dopo il termine della gara.
Le conclusioni dello studio (in ex-vivo) indicano che il siero prelevato dopo la maratona dagli atleti che avevano assunto la Rodiola, non ha direttamente ridotto la mortalità delle cellule Hela indotta dall’infezione con il virus della stomatite vescicolare, tuttavia la supplementazione di Rodiola ha indotto una attività antivirale (nei primi periodi post-infezione) ritardando con evidenza la replicazione virale (P = 0,013 rispetto a placebo).
In nessuno dei due gruppi il siero raccolto, sia prima sia dopo maratona, è riuscito invece ad inibire la crescita di Escherichia coli indicando che Rhodiola rosea, in questo modello, non abbia esercitato generali attività antibatteriche.
I risultati dello studio indicano che, in soggetti che assumo Rodiola, i composti bioattivi dell’officinale nel siero possono esercitare effetti antivirali protettivi nei confronti di infezioni virali dipendenti da esercizio fisico intenso e prolungato, rallentando la replicazione virale.
Dall’articolo
Rhodiola rosea (Rodiola conosciuta anche come Golden Root, radice artica) è una pianta erbacea perenne della famiglia delle Crassulaceae che cresce ad alta quota nelle regioni artiche e montuose in tutta Europa e in Asia [13]
Rodiola è stata storicamente utilizzata per trattare una serie di condizioni, inclusi affaticamento, depressione e ansia, impotenza e disturbi del sistema nervoso, disturbi respiratori e le sue proprietà adattogene e potenzialmente ergogeniche (anche nello sport) [14,15] sono state ampiamente studiate per il miglioramento delle prestazioni fisiche e mentali e riduzione della fatica.
13. Panossian A, Wikman G, Sarris J. Rosenroot (Rhodiola rosea): traditional use, chemical composition, pharmacology and clinical efficacy. Phytomedicine (2010) 17:481–93].
14. Nieman DC, Laupheimer MW, Ranchordas MK, Burke LM, Stear SJ, Castell LM. A-Z of nutritional supplements: dietary supplements, sports nutrition foods and ergogenic aids for health and performance – part 33. Br J Sports Med (2012) 46:618–20.
15. Walker TB, Robergs RA. Does Rhodiola rosea possess ergogenic properties? Int J Sport Nutr Exerc Metab (2006) 16:305–15.
Più recentemente è stato osservato che Rhodiola rosea ed i suoi componenti bioattivi polifenolici (come rosavin, salidroside, siringina, triandrina e tirosolo) avrebbero la potenzialità di esercitare effetti positivi di contrasto a diversi agenti patogeni.
Ad esempio i flavonoidi isolali dalle radici di Rodiola in vitro hanno dimostrato di esercitare attività antivirale inibendo l’attività delle neuraminidasi nelle infezioni da Clostridium perfringens e da virus dell’influenza [16].
Il salidroside, che viene ritenuto un importante componente bioattivo della Rhodiola rosea, è in grado di modulare l’espressione di citochine antivirali (IFNγ e TNFα) e di inibire la replicazione coxsackievirus B3 (virus citolitico della specie degli Enterovirus umani B) [17] attraverso probabile modulazione dello stress ossidativo [18].
Più recentemente, altri studi hanno dimostrato che i bioattivi di Rhodiola inibiscono la moltiplicazione del virus della “Dengue” regolando i geni di risposta immunitaria innata (RIG-I, MDA5 e ISG), determinando un’efficace risposta immunitaria antivirale [19].
16. Jeong HJ, Ryu YB, Park SJ, Kim JH, Kwon HJ, Park KH, et al. Neuraminidase inhibitory activities of flavonols isolated from Rhodiola rosea roots and their in vitro anti-influenza viral activities. Bioorg Med Chem (2009) 17:6816–23.
17. Wang H, Ding Y, Zhou J, Sun X, Wang S. The in vitro and in vivo antiviral effects of salidroside from Rhodiola rosea L. against coxsackievirus B3. Phytomedicine (2009).
18. Zhu J, Wan X, Zhu Y, Ma X, Zheng Y, Zhang T. Evaluation of salidroside in vitro and in vivo genotoxicity. Drug Chem Toxicol (2010) 33:220–6.
19. Diwaker D, Mishra KP, Ganju L, Singh SB. Rhodiola inhibits dengue virus multiplication by inducing innate immune response genes RIG-I, MDA5 and ISG in human monocytes. Arch Virol (2014).
Presi nel loro insieme, questi dati evidenziano la capacità antivirale della Rhodiola rosea e suggeriscono il suo potenziale come possibile strategia integrativa contro una varietà di malattie infettive.
Altri studi in vitro hanno indicato proprietà antimicrobiche delle specie di Rodiola, tuttavia questi effetti non sono stati ancora ben valutati sull’uomo.
Scopo dello studio è stato quello di valutare vs. placebo l’attività antivirale e antibatterica, nel siero di atleti professionisti, esercitata da un estratto di Rodiola somministrato per 30 giorni prima di partecipare ad una maratona competitiva. Questo studio rappresenta un’estensione di un precedente studio che ha studiato il potenziale adattogeno di Rhodiola rosea in maratoneti professionisti [20].
20. Shanely RA, Nieman DC, Zwetsloot KA, Knab AM, Imagita H, Luo B, et al. Evaluation of Rhodiola rosea supplementation on skeletal muscle damage and inflammation in runners following a competitive marathon. Brain Behav Immun (2014).
Notoriamente gli esercizi molto intensi di resistenza, compresa lo sforzo fisico nella maratona, possono indurre cambiamenti negativi nel sistema immunitario, infatti, durante l’esercizio fisico intenso, si verifica un sostanziale aumento della produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) con conseguente stress ossidativo, danno alla ultrastruttura delle fibre muscolari scheletriche, infiammazione e disfunzione immunitaria transitoria [21].
L’immunosoppressione transitoria indotta da un intenso esercizio prolungato è associata ad un aumento dell’incidenza e della gravità delle infezioni respiratorie acute; diversi studi, condotti su atleti professionisti di sport di resistenza, hanno osservato una diminuzione dei livelli di IgA salivari e della funzione delle cellule natural killer (NK) che esercitano un ruolo protettivo contro virus respiratori, come virus dell’influenza e rinovirus [22,23]; sulla base di queste premesse vi è pertanto un grande interesse nel individuare per gli atleti contromisure efficaci, al fine di ridurre il rischio di contrarre infezioni dopo un intenso esercizio fisico [24].
21. Powers SK, Jackson MJ. Exercise-induced oxidative stress: cellular mechanisms and impact on muscle force production. Physiol Rev (2008) 88:1243–76. doi:10. 1152/physrev.00031.2007.
22. Martin SA, Pence BD, Woods JA. Exercise and respiratory tract viral infections. Exerc Sport Sci Rev (2009) 37:157–64; Nieman DC. Exercise, upper respiratory tract infection, and the immune system. Med Sci Sports Exerc (1994) 26:128–39.
23. Nieman DC. Marathon training and immune function. Sports Med (2007) 37:412–5.
24. Ahmed M, Henson DA, Sanderson MC, Nieman DC, Gillitt ND, Lila MA. The protective effects of a polyphenol-enriched protein powder on exercise-induced susceptibility to virus infection. Phytother Res (2014) 28:1829–36.
Poiché esistono ovvie limitazioni, imposte da vincoli etici, per la valutazione di effetti anti-patogenetici sull’uomo, lo studio è stato condotto in vitro su campioni di siero prelevati dagli atleti, per valutare in esso la presenza di sostanze, derivanti dalla supplementazione con Rodiola, capaci di inibire la crescita batterica, la replicazione virale e gli effetti citopatici (CPE) associati alle infezioni virali; la metodologia tecnica dello studio ha consentito di ottenere risultati coerenti e riproducibili, in modo sicuro e non invasivo.
Globalmente i risultati dello studio indicano, attraverso un modello sperimentale ritenuto affidabile, che Rhodiola rosea, attraverso i suoi componenti bioattivi, può rallentare la replicazione virale nelle infezioni che possono essere indotte da esercizio fisico intensivo, ma non dimostrerebbe effetti sulla crescita di Escherichia coli (E. coli) e Staphylococcus aureus (S. aureus); coerentemente con i risultati di altri studi Rhodiola rosea dimostrerebbe quindi una interessante attività antivirale.
Più nel dettaglio lo studio è stato condotto su maratoneti professionisti che hanno partecipato alla Thunder Road Marathon il 17 novembre 2012 (Charlotte, NC, USA); per la sperimentazione clinica sono stati arruolati 55 partecipanti di cui 48 hanno completato lo studio; tutti i partecipanti erano atleti professionisti che detenevano un record personale di conclusione della gara in 4,5 ore (o in un tempo inferiore) nei due anni precedenti, di età compresa tra i 25 e i 65 anni; tutti i partecipanti durante tutto il periodo della sperimentazione avevano evitato di assumere integratori o farmaci che contrastassero i fenomeni infiammatori.
Per lo studio è stato impiegato un estratto di Rhodiola rosea che rendeva disponibile, per 300 mg di peso /cps, 11,3 mg di rosavine e 4,3 mg di salidroside; il placebo era rappresentato da capsule contenenti 300 mg di amido di mais.
Sia il gruppo di partecipanti “verum” sia per il gruppo di partecipanti “placebo” non differivano significativamente per età, peso corporeo, indice di massa corporea, grasso corporeo e tempo di completamento della maratona.
Ai partecipanti sono state somministrate 2 capsule al giorno di estratto di Rodiola o di placebo (la mattina prima di colazione e la sera prima di cena) per 30 giorni prima della maratona, lo stesso giorni della maratona e per 7 giorni dopo la gara; i campioni di sangue sono stati raccolti il giorno precedente alla gara e 15 minuti e 1,5 ore dopo il suo termine.
Per la parte in vitro della sperimentazione sono state impiegate cellule tumorali della cervice uterina (HeLa), appositamente coltivate, che successivamente sono state infettate con il virus della stomatite vescicolare (VSV) che è un agente virale (RNA a filamento negativo) simile al virus della rabbia e dell’influenza. Il virus della stomatite vescicolare si dimostra altamente citopatico su una molteplice varietà di linee cellulari come ad esempio i neuroni e le cellule epiteliali respiratorie, e rappresenta un modello affidabile per lo studio dei virus patogeni [25].
Gli effetti antivirali dei bioattivi di Rhodiola rosea sono stati valutati nella loro capacità nel siero di contrastare la capacità di SVS di uccidere le cellule “permissive” (che vengono infettate e consentono la trascrizione del genoma) inoltre gli stessi bioattivi sono stati valutati per la loro capacità di inibire la replicazione del virus della stomatite vescicolare (VSV).
La capacità antibatterica dei bioattivi di Rodiola è stata valutata sul loro effetto nel siero di inibizione della crescita di batteri selezionati come Escherichia coli (E. coli) K-12 o Staphylococcus aureus coagulasi-positivo (S. aureus).
I risultati dello studio indicano che nei due gruppi di trattamento non è stata osservata una differenza (sia su campioni di siero raccolti prima sia su campioni di siero raccolti dopo la maratona) sulla vitalità delle cellule HeLa e, avendo anche osservato un aumento medio della vitalità cellulare dopo la gara in entrambi i gruppi, questo aspetto escluderebbe che il siero contenente i bioattivi di Rodiola abbia avuto effetti citotossici sulle cellule; questi risultati indicherebbero che i bioattivi di Rodiola non hanno protetto direttamente le cellule dagli effetti citopatici del virus della stomatite vescicolare.
Diversamente i risultati dello studio confermerebbero invece che i bioattivi di Rhodiola rosea siano in grado di contrastare i primi effetti dell’infezione virale influenzandone le fasi di replicazione.
Per dimostrare questo effetto dei bioattivi di Rodiola le cellule HeLa sono state infettate, dopo normalizzazione dei tempi di incubazione, con un ceppo ricombinante del virus VSV (rwt-GFP); questo ceppo ricombinante è in grado indicare i tassi di replicazione virale attraverso differenze misurabili di fluorescenza di colore verde; maggiore è il tasso di fluorescenza e maggiore è la replicazione virale e viceversa [26].
25. Hastie E, Grdzelishvili VZ. Vesicular stomatitis virus as a flexible platform for oncolytic virotherapy against cancer. J Gen Virol (2012) 93:2529–45.
26. Whitlow ZW, Connor JH, Lyles DS. Preferential translation of vesicular stom-atitis virus mRNAs is conferred by transcription from the viral genome. J Virol (2006) 80:11733–42.
Dopo 6 ore dall’infezione, è stata osservata una fluorescenza (GFP) minima e non significativa delle cellule esposte al siero (raccolto dopo 15 minuti da termine della gara) contenente i bioattivi di Rodiola a differenza di quanto osservato nel gruppo placebo in cui la fluorescenza è risultata superiore e anche dopo 12 ore dall’infezione la fluorescenza media geometrica era significativamente più bassa nelle cellule esposte al siero prelevato dal gruppo trattato con Rodiola rispetto al gruppo placebo (P = 0,013). Questi risultati indicherebbero che Rhodiola rosea ha ritardato l’infezione virale già subito dopo la maratona e sebbene il virus abbia recuperato la sua capacità di infettare le cellule (nelle 12 ore dopo l’infezione), il grado di replicazione all’interno delle cellule è risultato significativamente più basso per tutte le 12 ore (come indicato dai dati geometrici di fluorescenza media).
Gli effetti antibatterici dei bioattivi di Rodiola nel siero sono invece stati valutati sulla loro capacità di inibire la crescita dei batteri patogeni E. coli e S. aureus; in merito i risultati dello studio indicano che in entrambi gruppi, a seguito dell’esercizio fisico intensivo, si è osservato un aumento significativo della crescita sia nel gruppo trattato con Rodiola (aumento del 16.8%, P = 0.018) sia nel gruppo trattato con placebo (aumento del 14.2%, P = 0,052), valori che si sono normalizzati nella fase di recupero, indicando che un esercizio intenso e prolungato porta i soggetti ad una maggiore suscettibilità alle infezioni batteriche, che in questo caso non è stata migliorata dall’assunzione di Rhodiola rosea.
I risultati dello studio indicano che la supplementazione con Rhodiola rosea negli atleti ha un potenziale protettivo nei confronti della suscettibilità dell’organismo, indotta dall’esercizio fisico, alle infezioni attenuando la replicazione virale.
Le conclusioni dello studio risultano coerenti con quanto già osservato per un altro genere della specie Rodiola e cioè la Rodiola imbricata il cui estratto acquoso, sempre della radice, si è dimostrato in grado di indurre l’espressione della risposta immunitaria mediata da RIG-I e MDA5 in risposta all’infezione con il virus della Dengue. In sintesi RIG-I e MDA5 sono strutture citoplasmatiche che funzionano come recettori di riconoscimento nella rilevazione di prodotti virali intracellulari, come gli acidi nucleici virali, che portano all’espressione di interferoni di tipo I (IFN-α / β) [27,28] che a loro volta si legano ai recettori (IFNα) delle cellule circostanti per attivare la trascrizione con funzioni antivirali dei geni. I due componenti chiave dell’attività mediata da IFN contro i virus sono la 2’, 5′-oligoadenilato sintetasi (2′, 5′-OAS) e la proteina MxA (Myxovirus resistance protein 1) che inibiscono la replicazione virale inducendo la degradazione dell’RNA virale e inibendone la diffusione [29].
Le strutture RIG-I rispondono ad una varietà di virus a RNA a filamento positivo e negativo, compreso il virus della stomatite vescicolare (VSV) [30]; sulla base di questi meccanismi risulta quindi possibile che Rhodiola rosea regoli la risposta antivirale nelle cellule infette in modo simile a Rhodiola imbricata e che questo effetto dipenda dalla riduzione della replicazione virale come osservato per il siero contenente i bioattivi di Rhodiola rosea rispetto a placebo. Dallo studio emerge che l’integrazione con Rhodiola rosea può aver ritardato con successo le prime fasi del ciclo di replicazione di VSV, nelle cellule Hela, inducendo l’espressione di fattori antivirali.
27. Kato H, Takeuchi O, Sato S, Yoneyama M, Yamamoto M, Matsui K, et al. Differential roles of MDA5 and RIG-I helicases in the recognition of RNA viruses. Nature (2006) 441:101–5.
28.Yoneyama M, Fujita T. Function of RIG-I-like receptors in antiviral innate immunity. J Biol Chem (2007) 282:15315–8.
29. Ivashkiv LB, Donlin LT. Regulation of type I interferon responses. Nat Rev Immunol (2014)]
30. Rieder M, Conzelmann KK. Rhabdovirus evasion of the interferon system. J Interferon Cytokine Res (2009) 29:499–509.
Come anticipato, in modo diverso si pongono le evidenze rispetto agli effetti di Rhodiola rosea e dei suoi estratti nei confronti delle infezioni da agenti patogeni batterici. Cybulska et al. hanno concluso che estratti di Rhodiola rosea contenenti salidroside e rosavin hanno dimostrato una certa attività inibitoria nei confronti di ceppi isolati di Neisseria Ghonorrhea con diversi fenotipi di resistenza antimicrobica [31]; sebbene in questo studio si ipotizzi un potenziale effetto inibitorio delle specie di Rhodiola sulle infezioni batteriche, le conclusioni sperimentali, non indicano una inibizione della crescita di E. coli e S. aureus in coltura; questo dato sarebbe coerente con quanto già emerso in un altro studio su atleti nei quali un particolare complesso a base di proteine di soia e polifenoli di tè verde e mirtillo non ha inibito la crescita E. coli e S.aureus [32] contrariamente a quanto ci si attendeva poiché è noto che le catechine del tè verde sono risultate efficaci nel ridurre l’espressione dei fattori di virulenza batterica, come quelli responsabili della formazione del biofilm e della motilità [33].
31. Cybulska P, Thakur SD, Foster BC, Scott IM, Leduc RI, Arnason JT, et al. Extracts of Canadian first nations medicinal plants, used as natural products, inhibit Neisseria gonorrhoeae isolates with different antibiotic resistance pro-files. Sex Transm Dis (2011) 38:667–71.
32. Ahmed M, Henson DA, Sanderson MC, Nieman DC, Gillitt ND, Lila MA. The protective effects of a polyphenol-enriched protein powder on exercise-induced susceptibility to virus infection. Phytother Res (2014) 28:1829–36.
33. Daglia M. Polyphenols as antimicrobial agents. Curr Opin Biotechnol (2012) 23:174–81.
Risulta pertanto possibile che anche il salidroside ed altri composti fenolici bioattivi in Rhodiola rosea esercitino effetti antibatterici che in questo studio non sono stati misurati; a sostegno di questa ipotesi, il salidroside contenuto in Rhodiola crenulata ha dimostrato di essere un composto attivo responsabile della prevenzione della formazione del biofilm di Propionibacterium acnes in vitro [34]; poiché durante tutto lo studio non sono stati rilevati e misurati i livelli di polifenoli circolanti, è possibile che questi ultimi potessero essere presenti ma in concentrazione inferiore a quella inibitoria (MIC) per E.Coli e S.aureus.
34. Coenye T, Brackman G, Rigole P, De Witte E, Honraet K, Rossel B, et al. Eradication of Propionibacterium acnes biofilms by plant extracts and putative identification of icariin, resveratrol and salidroside as active compounds. Phy-tomedicine (2012) 19:409–12.
Poiché gli studi indicano prevalentemente che Rodiola induce cambiamenti cellulari di natura antivirale, è probabile che i virus e altri agenti patogeni intracellulari possano essere più suscettibili agli effetti della supplementazione di Rhodiola rosea rispetto ai patogeni extracellulari.
Da un punto di vista strettamente pratico, poiché gli atleti impegnati in sport di resistenza sono suscettibili di malattie virali acute dopo lo sforzo intenso, gli effetti antivirali della Rhodiola rosea risulterebbero quindi particolarmente applicabili nella condizione atletica.
Come noto durante l’esercizio fisico intenso, si verifica un sostanziale aumento di ROS, che non è solo associato alla distruzione di cellule e tessuti, ma anche alla regolazione (dis-regolazione) delle risposte immunitarie a livello di entrambe le cellule T e delle cellule che presentano l’antigene [35].
Lo stress ossidativo e la produzione eccessiva di superossidi possono concorrere negativamente nel favorire infezioni associate a una varietà di diversi virus e promuovere il generale danno tissutale, forse attraverso l’attivazione del fattore di trascrizione NF-kβ che concorre ad un maggiore stato infiammatorio e all’ apoptosi delle cellule infettate [36].
Pertanto, le fonti nutrizionali naturali di antiossidanti contenenti composti polifenolici hanno il potenziale di attenuare il danno ossidativo agendo come scavenger di ROS, chelanti metallici e modulatori enzimatici [37,38].
35. Maraldi T. Natural compounds as modulators of NADPH oxidases. Oxid Med Cell Longev (2013) 2013:271602.
36. Reshi ML, Su YC, Hong JR. RNA viruses: ROS-mediated cell death. Int J Cell Biol (2014) 2014:467452.
37. Maraldi T. Natural compounds as modulators of NADPH oxidases. Oxid Med Cell Longev (2013) 2013:271602.
38. Khurana S, Piche M, Hollingsworth A, Venkataraman K, Tai TC. Oxidative stress and cardiovascular health: therapeutic potential of polyphenols. Can J Physiol Pharmacol (2013) 91:198–212.
Analogamente i polifenoli presenti in Rhodiola rosea possono ridurre il rischio di contrarre infezioni virali in seguito a esercizio fisico intenso inibendo lo stress ossidativo [39]; è tuttavia plausibilmente possibile che Rhodiola possa agire nell’attenuazione della replicazione virale con meccanismi alternativi a livello cellulare, come osservato nello studio.
39.Sist, Paola, et al. “Rhodiola rosea, a protective antioxidant for intense physical exercise: An in vitro study.” Journal of Functional Foods 48 (2018): 27-36.
Frontiers in nutrition, July 2015 | Volume 2 | Article 24.
Rhodiola rosea exerts antiviral activity in athletes following a competitive marathon race.
Maryam Ahmed 1*, Dru A. Henson 1, Matthew C. Sanderson1, David C. Nieman 2, Jose M. Zubeldia 3 and R. Andrew Shanely 4
Author information:
(1)Department of Biology, Appalachian State University, Boone, NC, USA, (2)Human Performance Laboratory, Appalachian State University, Kannapolis, NC, USA, (3)PoliNat SL, Las Palmas, Spain, (4)Department of Health and Exercise Science, Appalachian State University, Boone, NC, USA
Abstract
Rhodiola rosea, a medicinal plant with demonstrated adaptogenic properties, has recently been reported to contain active compounds with antimicrobial activity. The goal of this study was to measure the antiviral and antibacterial properties of the bioactive metabolites of Rhodiola rosea in the serum of experienced marathon runners following supplemen-tation. Marathon runners, randomly divided into two groups, ingested 600 mg/day of Rhodiola rosea (n = 24, 6 female, 18 male) or placebo (n = 24, 7 females, 17 males) for 30 days prior to, the day of, and 7 days post-marathon. Blood serum samples were collected the day before, 15 min post-, and 1.5 h post-marathon. Serum from Rhodiola rosea-supplemented runners collected after marathon running did not attenuate the marathon-induced susceptibility of HeLa cells to killing by vesicular stomatitis virus. However, the use of Rhodiola rosea induced antiviral activity at early times post-infection by delaying an exercise-dependent increase in virus replication (P = 0.013 compared to placebo). Serum from both groups collected 15 min post-marathon significantly promoted the growth of Escherichia coli in culture as compared to serum collected the day before the marathon (P = 0.003, all subjects). Furthermore, the serum from subjects ingesting Rhodiola rosea did not display antibacterial properties at any time point as indicated by a lack of group differences immediately (P = 0.785) or 1.5 h (P = 0.633) post-marathon. These results indicate that bioactive compounds in the serum of subjects ingesting Rhodiola rosea may exert protective effects against virus replication following intense and prolonged exercise by inducing antiviral activity.
DOI: 10.3389/fnut.2015.00024
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Newsletter Ayurveda nr. 48 – Novembre 2018
Newsletter n° «48»
Novembre 2018
“Shirodhara nell’ipertensione essenziale“
JOURNAL OF AYURVEDA AND INTEGRATED MEDICAL SCIENCES | MAY – JUN E 2018 | VOL. 3 | ISSUE 3
“A COMPARATIVE CLINICAL EVALUATION OF SIRODHARA WITH SUKHOSNAJALA, TILA TAILAM AND BRAHMI TAILAM IN THE MANAGEMENT OF MILD TO MODERATE ESSENTIAL HYPERTENSION”
Dr. Bhargavi M, Dr. K. Chaithanya
Negli ultimi decenni la Medicina Ayurvedica ha riscosso un crescente interesse anche in occidente rappresentando una realtà che, superando l’interesse di nicchia, si pone anche come concreto ed utile approccio integrativo alla moderna biomedicina.
La concretezza, in termini di un etico rapporto di costo/beneficio, di nuove proposte, comprese le Medicine Complementari (CAM), a favore del reale benessere dell’individuo impone, che queste soluzioni alternative si dimostrino realmente efficaci nel migliorare la globale qualità di vita dei fruitori o in termini di contributo al generale senso di benessere o come reale complemento a terapie fisioterapiche o farmacologiche in patologie anche molto diffuse.
La Medicina Ayurvedica, insieme a poche altre Medicine Tradizionali, si distingue per ampie conferme di utilità grazie al suo impiego millenario e per attuali evidenze che ne supportano i reali benefici, singolarmente o come approccio complementare alla biomedicina, come soluzione a disturbi molto frequenti. Solo per citare uno degli studi scientifici più recenti, in altra patologia, segnaliamo anche un importante lavoro clinico che ha nuovamente indicato la significativa utilità dell’approccio ayurvedico nelle problematiche osteoarticolari: Kessler, C. S., Dhiman, K. S., Kumar, A., Ostermann, T., Gupta, S., Morandi, A.,… & Michalsen, A. (2018). “Effectiveness of an Ayurveda treatment approach in knee osteoarthritis–a randomized controlled trial”. Osteoarthritis and cartilage, 26(5), 620-630.
“Shirodhara” è forse una tra le pratiche ayurvediche attualmente di maggiore diffusione poiché si rivela notoriamente utile nell’ alleviare diffusissime sintomatologie collegate allo “stress” (ansia, insonnia, depressione, etc.), tuttavia i potenziali di questa pratica possono rivelarsi utili anche in patologie nervose più complesse.
Lo studio clinico che proponiamo in questa newsletter, pubblicato da Journal of Ayurveda and Integrated Medical Sciences nel 2018, rappresenta una conferma scientifica del razionale di utilità di “Shirodhara” nel migliorare le frequenti alterazioni della pressione sanguigna; il modello dello studio risulta di particolare interesse perché indaga, sulla matrice umana, gli effetti di Shirodhara su parametri oggettivi (come la pressione diastolica, sistolica, etc.) suggerendo potenziali generali benefici di Shirodhara nei quadri di ipertensione essenziale oltre a quelli di miglioramento delle situazioni di stress (frequentemente valutato su paramenti soggettivi).
Gli sperimentatori hanno valutato l’efficacia di Shirodhara, nell’ipotesi di un miglioramento dei parametri di pressione sanguigna, confrontando gli effetti di Shirodhara effettuato con tre sostanze diverse e cioè Acqua tiepida, Olio di Sesamo (Tila Taila) oppure Brahmi Taila.
Lo studio conclude che “Shirodhara” con tutte e tre le diverse sostanze ha modificato positivamente la pressione sanguigna avvalorando le ipotesi che questi effetti derivino dalla pratica stessa, tuttavia con maggiore significatività statistica di effetti e di mantenimento degli stessi quando condotta con Brahmi Taila; lo studio suggerisce inoltre che la pratica di Shirodhara, con sostanze opportune, renda possibile, in alcuni casi, anche la riduzione del dosaggio di farmaci antipertensivi assunti dai pazienti.
Le conclusioni delle studio partecipano a consolidare i razionali di utilità della pratica di “Shirodhara” come reale approccio integrativo e complementare alla moderna biomedicina.
Dallo studio
L’ipertensione è un problema che interessa il 25 % della popolazione mondiale; poiché la sua diagnosi è strumentale, e la sua natura è asintomatica, viene chiamata “Silent Killer”.
E’ importante precisare che l’ipertensione arteriosa non rappresenta una malattia, ma un fattore di rischio inteso come una condizione che porta a maggior probabilità che si possano presentare malattie cardiovascolari (come l’angina pectoris, l’infarto del miocardio, l’ictus cerebrale); per questi motivi quindi l’ipertensione arteriosa deve essere individuata e curata al fine di prevenire i danni che potrebbe provocare.
L’ipertensione arteriosa essenziale (o primaria), rappresenta circa il 95% dei casi di ipertensione ma non è correlabile con cause precise, identificabili e curabili; essa dipende dall’alterazione dei meccanismi regolatori delle pressione che coinvolgono il sistema nervoso autonomo e sostanze in circolo che esercitano effetti sulla pressione.
In relazione ai fattori causali ambientali riconducibili anche allo stress, l’ipertensione essenziale può rientrare anche nel disturbo psico-somatico correlato allo stress.
L’ipertensione arteriosa secondaria rappresenta il restante 5 % dei casi e, a differenza dell’ipertensione arteriosa primaria, si manifesta come conseguenza di patologie congenite o acquisite che coinvolgono reni, surreni, vasi, cuore. In questa caso la rimozione delle cause (attraverso la cura delle patologie di base) può determinare la normalizzazione dei valori pressori.
Come noto, nei pazienti ipertesi una riduzione di 5 mm di Hg nella pressione sanguigna sistolica ed in quella diastolica determina una diminuzione del rischio cardiovascolare e di ictus riducendo il tasso di mortalità in tutto il mondo.
La moderna scienza medica gestisce la problematica dell’ipertensione prevalentemente tramite il trattamento sintomatico tuttavia con frequenti effetti collaterali indesiderati; per questi motivi le linee guida del Joint National Committee (JNC 8) consigliano, per il trattamento dell’ipertensione, obiettivi terapeutici più elevati con un minor utilizzo di diversi farmaci antipertensivi e suggeriscono che la modifica delle condizioni ambientali causali ed il rilassamento sarebbero la migliore terapia iniziale.
In Ayurveda lo Shirodhara è una delle terapie panchakarma utilizzate per il rilassamento e la riduzione dello stress (citata in “Dhara kalpaas”), come trattamento preventivo e curativo per molti disturbi collegati con lo stress.
Lo studio che presentiamo si è posto l’obiettivo di valutare, attraverso un modello clinico comparativo, gli effetti di Shirodhara con Sukhosnajala, Tila tailam e Brahmi Taila sull’ipertensione di grado lieve-moderato riportando gli effetti dei tre tipi di “Dhara” sui parametri obiettivi di pressione sanguigna sistolica (SBP), diastolica (DPB), pressione arteriosa media(MAP) e pressione al polso (PP).
Anche l’India è una nazione coinvolta dal problema dell’ipertensione come dichiarato da ICMR (Indian Council of Medical Research) e AIIMS (All India Institute Of Medical Science); in India il 33% della popolazione urbana e il 25% della popolazione rurale soffrono di ipertensione (Anchala, Raghupathy, et al. “Hypertension in India: a systematic review and meta-analysis of prevalence, awareness, and control of hypertension.” Journal of hypertension 32.6 (2014): 1170.) così come circa 50 milioni di abitanti degli Stati Uniti; circa il 25% della popolazione mondiale soffre di ipertensione.
Come anticipato l’ipertensione arteriosa è un importante fattore di rischio cardiovascolare (Kannel WB, Dawber TR, Kagan A, Revotskie N, Stokes J 35. rd. Factors of risk in the development of coronary heart disease- six year follow-up experience. The Framingham Study. Ann Intern Med 1961; 55: 33-50.; Stamler J, Stamler R, Neaton JD. Blood pressure, systolic and. diastolic, and cardiovascular risks: US population data. Arch Intern Med 1993; 153: 598-615.;Vasan RS, Larson MG, Leip EP, Evans JC, O’Donnell CJ, Kannell WB, et al. Impact of high normal blood pressure on the risk of cardiovascular disease. N Engl J Med 2001; 345: 1291-7.) che contribuisce in modo significativo alla mortalità cardiovascolare (Rodgers A, Lawes C, MacMahon S. Reducing the global. burden of blood pressure related cardiovascular disease. J Hypertens2000; 18 (Suppl 1): S3-S6.; Gaziano T, Reddy KS, Paccaud F, Horton S, Chaturvedi V.Cardiovascular disease. In: Jamison DT, Breman JG, Measham AR, Alleyene G, Cleason M, Evans DB, Jha P, Mills A, Musgrove P, editors. Disease control priorities in developing world. Oxford: Oxford University Press; 2006. p. 645-62.).
Le evidenze scientifiche indicano chiaramente che la riduzione della pressione arteriosa può ridurre sostanzialmente il rischio cardiovascolare e l’ictus; infatti in percentuale una riduzione di 5 mm di Hg di SBP e DBP determina una riduzione della incidenza media dell’ictus del 35-40% (Lackland, Daniel T., et al. “Implications of recent clinical trials and hypertension guidelines on stroke and future cerebrovascular research.” Stroke 49.3 (2018): 772-779.), dell’ infarto miocardico del 20-25% e dell’insufficienza cardiaca del 50% (Prospective Studies Collaboration. “Age-specific relevance of usual blood pressure to vascular mortality: a meta-analysis of individual data for one million adults in 61 prospective studies.” The Lancet 360.9349 (2002): 1903-1913.).
Il 90-95% dei casi di ipertensione è rappresentato dall’ Ipertensione Essenziale o Ipertensione Primaria che viene definita come un killer silenzioso poiché è asintomatica ma pur essendo gestibile non sarebbe curabile mentre il restante 10-5% dei casi di ipertensione viene identificato con l’ipertensione secondaria che è curabile nelle fasi iniziali.
L’ipertensione nella sua fase finale determina complicanze di danno d’organo senza segni e sintomi, ma la maggior parte dei casi è rientra nella fase 1 e 2 cioè nella situazione di ipertensione essenziale da lieve a moderata. (Chobanian AV, Bakris GL, Black HR, Cushman WC, Green. LA, Izzo JL Jr, et al. Seventh report of the joint national committee on prevention, detection, evaluation and treatment of high blood pressure. Hypertension 2003; 42: 1206-52.).
Negli Stati Uniti su 100 persone, circa 50 persone fanno uso di farmaci antipertensivi e di queste solo 25 persone riescono a raggiungere il mantenimento ideali valori pressori (140/90) mentre 25 persone non riescono a mantenere i livelli pressori ideali; inoltre l’approccio sintomatico della riduzione dei valori con i farmaci si accompagna spesso a fastidiosi effetti collaterali.
Per questo motivi il Joint National Committee (JNC 8), rispetto alle precedenti linee guida sul trattamento dell’ipertensione, raccomanda un minor uso di farmaci antipertensivi (Chobanian AV, Bakris GL, Black HR, Cushman WC, Green. LA, Izzo JL Jr, et al. Seventh report of the joint national committee on prevention, detection, evaluation and treatment of high blood pressure. Hypertension 2003; 42: 1206-52.) e suggerisce che la modificazione e il rilassamento dello stile di vita siano la migliore terapia iniziale per la prevenzione di complicazioni per controllare la malattia e ridurre la mortalità (Stamler J, Stamler R, Neaton JD. Blood pressure, systolic and. diastolic, and cardiovascular risks: US population data. Arch Intern Med 1993; 153: 598-615.).
Nell’ottica di una visione diversa della possibile gestione dell’ipertensione essenziale, come suggerito dal Joint National Committee, vengono oggi presi in considerazione approcci complementari e tra questi anche quello ayurvedico.
“Shirodhara” (panchakarma) è uno dei trattamenti praticati in India da oltre 1400 anni per il rilassamento della mente e per contrastare molti disturbi collegati allo stress. Come anticipato lo studio propone una valutazione clinica comparativa di Shirodara praticato con tre diverse sostanze: Sukhosnajala (acqua tiepida), Tila taila e Brahmi Taila nella gestione dell’ipertensione essenziale lieve-moderata” (Dharakalpa 19th sloka, edited by Brahṃasri Tevalakkattu Nilakantasarma & Acaryopathva Srivikramatmajo Yadava Sarma; with English commentary by Sri Bhāra23rthaprasāda, pp70.); più nello specifico lo studio ha voluto valutare la globale efficacia di Shirodhara nel trattamento dell’ipertensione primaria e se la sostanza impiegata “”Dravya” avesse un qualche impatto sul globale effetto del trattamento.
Per la valutazione clinica 60 pazienti con ipertensione essenziale da lieve a moderata, sono stati suddivisi in tre diversi gruppi omogenei di trattamento (gruppo Sukhosnajala, gruppo Tila Tailam e gruppo Brahmi Tailam).
A tutti i pazienti che assumevano farmaci antipertensivi è stata sospesa, in sicurezza, la terapia farmacologica per 4 settimane prima del trattamento per escludere effetti antipertensivi dovuti al farmaco.
La pressione arteriosa è stata monitorata con un complesso schema di rilevazione multipla (in posizione supina, seduta ed in piedi), prima, durante e dopo il trattamento con Shirodhara.
In tutti i pazienti sono stati misurati i seguenti parametri oggettivi: 1. SBP: Pressione sanguigna sistolica; 2. DBP: Pressione sanguigna diastolica; 3. MAP: Pressione arteriosa media; 4. PP: Pressione del polso.
I risultati dello studio evidenziano che nel gruppo di 20 pazienti “Sukhosnajala” (Jaladhara con acqua tiepida) prima del trattamento la media di SBP, DBP, PP e MAP risultava rispettivamente di 153,65 / 90,85 / 62,80 e 111,78 mmHg mentre dopo il trattamento risultava ridotta a 151,95 / 88,95 / 63,00 e 109,95 mmHg tuttavia la differenza non è risultata statisticamente significativa poiché non vi era una grande differenza tra i valori medi di tutti i parametri. Nei 15 giorni di follow-up la media di SBP, DBP, PP e MAP è aumentata a 157,00 / 90,30 / 70,70 e 112,53 mm Hg rispetto al periodo di trattamento. Lo studio ha concluso che in questo gruppo “Jala Dhara” ha avuto qualche effetto su SBP, DBP, PP e MAP tuttavia gli effetti, dopo il trattamento, non durano a lungo.
Nel gruppo di 20 pazienti trattato con Shirodhara con Tila Taila prima del trattamento la media di SBP, DBP, PP e MAP risultava di 154,20 / 94,30 / 59,90 e 114,27 mmHg mentre dopo il trattamento la media degli stessi parametri è risultata ridotta a 146,35 / 89,95 / 56,40 e 108,75 mmHg in modo statisticamente significativo (0,01). Nei 15 giorni di follow up, la media di SBP, DBP, PP e MAP è risultata di 148,20 / 91,45 / 56,75 e 110,37 mmHg mantenendo una differenza statisticamente significativa rispetto a prima del trattamento (0,01). Lo studio ha concluso che nel gruppo trattato con Tila Taila Dhara si è osservata una riduzione significativa di SBP e che l’effetto si è mantenuto anche nel follow-up.
Nel gruppo di 20 pazienti trattati con Brahmi Taila Dhara, prima del trattamento la media di SBP, DBP, PP e MAP risultava di 159,60 / 99,75 / 59,85 e 119,70 mmHg mentre dopo il trattamento la media degli stessi parametri risultava ridotta a 142,65 / 87,05 / 55,60 e 105,58 mmHg in modo statisticamente molto significativo (0,01). Nei 15 giorni di follow up, la media di SBP, DBP, PP e MAP risultava di 140,50 / 85,20 / 55,30 e 103,63 mmHg con differenza statisticamente molto significativa (0,01) rispetto a prima del trattamento. Lo studio ha concluso che Brahmi Taila Dhara ha determinato una riduzione statisticamente significativa dei parametri oggettivi misurati e che l’effetto su SBP, DBP, PP e MAP è risultato marcatamente prolungato anche in confronto al gruppo trattato con Tila Taila.
I risultati dello studio indicherebbero che la procedura/terapia con Shirodhara trova indicazione non solo nell’alleviare i sintomi dello stress ma anche nel contenere la progressione della patologia pacificandone i segni.
Nel gruppo trattato con Jala Dhara (acqua tiepida), immediatamente al termine del trattamento si è osservata una riduzione fino a 3 mmHg della pressione sistolica (SBP) ed una riduzione di 8-10 mmHg della pressione diastolica (DBP) con una normalizzazione statisticamente significativa di MAP. In questo gruppo non è stato osservato nessun effetto su PP (pressione polso). Nei 15 giorni di follow-up si è osservato un aumento, rispetto a prima del trattamento, di SBP e PP così come anche DBP e MAP; Jala Dhara ha dimostrato di ridurre efficacemente la resistenza periferica in quanto ha diminuito la pressione diastolica fino a 10 mm di Hg.
Tra i due gruppi Jala Dhara e Tila Taila Dhara non è stata osservata una significativa differenza media nei valori pressori suggerendo che la procedura stessa di Shirodhara, nello studio, dimostrasse efficacia clinica nel ridurre i sintomi indipendentemente dalla sostanza usata per il Dhara.
Come indicato dai risultati Jala Dhara si dimostra efficace solo immediatamente dopo il trattamento ma non dimostrerebbe effetti più duraturi sui parametri oggettivi.
Nel gruppo trattato con Tila Taila Dhara, immediatamente al termine del trattamento di 14 giorni, si è osservata una riduzione di SBP fino a 8 mm di Hg, una riduzione di DBP fino a 8-12 mm di Hg, con una normalizzazione di MAP e PP statisticamente significativa (0,01). Nei 15 giorni di follow-up i valori pressori sono lievemente aumentati (di 2-4 mm di Hg in SBP e in DBP) rispetto ai quelli misurati appena al termine del trattamento ma non sono aumentati rispetto alla loro misurazione prima del trattamento; in sintesi questi risultati indicherebbero che Tila Taila Dhara è migliore di Jala Dhara per effetto più a lungo termine sull’ipertensione.
Nel gruppo trattato Brahmi Taila Dhara, al termine dei 14 giorni di trattamento, i valori SBP sono risultati ridotti fino a 15-18 mm di Hg, i valori di DBP sono risultati ridotti fino a 12-15 mm di Hg, ed i valori di MAP e PP sono risultati normalizzati, con significatività statistica (0,01). Nel follow-up di 15 giorni, i livelli di SBP, DBP, MAP e PP sono leggermente aumentati rispetto a quelli misurati appena al termine del trattamento, ma non sono aumentati rispetto a prima del trattamento.
Anche nella fase di follow-up di questo gruppo si è osservato un aumento della pressione sistolica e diastolica suggerendo la globale natura palliativa del trattamento con Shirodhara tuttavia nei gruppi Jaladhara e Tila Taila Dhara l’aumento della pressione sanguigna si è verificato più precocemente. Gli effetti antipertensivi di Brahmi Taila Dhara, rispetto a quelli di Jala Dhara e Tila Taila, sono perdurati per un periodo più lungo suggerendone una superiorità.
Molto in sintesi la pressione sanguigna dipende da diversi fattori ma prevalentemente dalla gittata cardiaca (che è volume di sangue che il ventricolo destro e il ventricolo sinistro riescono ad espellere in un minuto attraverso l’arteria polmonare e l’aorta) e dalla generale resistenza periferica; un persistente aumento del volume di sangue (cioè della gittata cardiaca) può causare un persistente aumento della pressione sanguigna; il volume del sangue è rappresentato dal volume di sangue del circolo arterioso e da quello nel circolo venoso. Insieme alla predisposizione genetica diversi fattori ambientali, dipendenti dallo stress psicosociale cronico, possono causare una costrizione dei vasi arteriosi e periferici causando rispettivamente un anomale aumento del volume di sangue che i ventricoli devono espellere.
Come noto in Ayurveda, Shirodhara è una procedura Panchakarma impiegata principalmente per alleviare lo stress mentale e che favorisce la dilatazione dei vasi periferici. Nello studio si è nuovamente avuta la conferma che la pratica di Shirodhara, in tutti e tre i gruppi di trattamento, ha svolto un importante ruolo nel normalizzare i parametri oggettivi della pressione sanguigna tuttavia nel gruppo trattato con Brahmi Taila Dhara sono stati osservati effetti antipertensivi significativi che si sono mantenuti nel tempo più degli effetti osservati negli altri due gruppi di trattamento.
Jala Dhara ha dimostrato di contribuire alla riduzione delle pressione sia sistolica che diastolica, tuttavia questi effetti sono stati più pronunciati nel gruppo trattato con Tila Taila Dhara così come dimostrato anche nel gruppo Brahmi Taila Dhara nel quale, inoltre, i miglioramenti sono risultati più rapidi rispetto agli atri due gruppi.
Durante il trattamento si è inoltre riscontrato un miglioramento pressorio tale da consentire, in alcuni pazienti, la sospensione dei farmaci antipertensivi oppure una riduzione del loro dosaggio suggerendo che la pratica con Shirodhara può potenziare l’efficacia terapeutica dei farmaci antipertensivi contribuendo a limitarne eventuali effetti indesiderati.
I risultati dello studio suggeriscono che la pratica con Shirodhara, attraverso i suoi effetti riduzione dello stress mentale, può offrire una vantaggiosa linea di gestione integrata dell’ipertensione essenziale lieve o moderata.
A cura della direzione scientifica di Benefica
JOURNAL OF AYURVEDA AND INTEGRATED MEDICAL SCIENCES | MAY – JUN E 2018 | VOL. 3 | ISSUE 3
“A COMPARATIVE CLINICAL EVALUATION OF SIRODHARA WITH SUKHOSNAJALA, TILA TAILAM AND BRAHMI TAILAM IN THE MANAGEMENT OF MILD TO MODERATE ESSENTIAL HYPERTENSION”
Dr. Bhargavi M. (1) Dr. K. Chaithanya (2)
Author information:
(1) Assistant Professor, Department of Panchakarma, Sri Adi Siva Sadguru Alli Saheb Sivarayala Ayurvedic Medical College, Guntakal, Andhra Pradesh, INDIA.
(2) Assistant Professor, Department of Kaumarabhritya, Sri Adi Siva Sadguru Alli Saheb Sivarayala Ayurvedic Medical College, Guntakal, Andhra Pradesh, INDIA.
ABSTRACT
In worldwide 25% of population is suffering with Hypertension. As it is an instrumental disease, asymptomatic in nature, it was named as Silent killer. The causative factors of Essential hypertension were Genetic predisposition and environmental factors but these factors are triggered by stress hence it comes under stress related psycho-somatic disorder. In Hypertensive patients, Decrease in 5mm of Hg in SBP and DBP results in decrease in cardiovascular risk, stroke which decreases mortality rate worldwide. The management aspect of modern medical science remains symptomatic with troublesome side effects. The Joint National Committee (JNC 8) guideline advise higher blood pressure goals, less use of several types of antihypertensive medications and suggests lifestyle modification and relaxation are the best initial therapy. In Ayurveda, Shirodhara is one of the panchakarma therapy meant for relaxation and stress reducing procedure mentioned in Dharakalpaas a preventive and curative treatment for many stress related disorders. So, Present study is planned as “A Comparative clinical evaluation of Shirodhara with Sukhosn̩ajala,̩ Tila tailam and Brahmitailamin the management of mild to moderate essential hypertension”was selected. This paper is going to describe about conclusion drawn from the study i.e. effect of three types of dhara on Objective parameters SBP, DBP, PP, and MAP.
ISSN: 2456-3110
Newsletter Fitoterapia nr. 39 – Novembre 2018
Newsletter n° «39»
Novembre 2018
Curcuma (Curcuma longa L.):
nuove evidenze sulla biodisponibilità
Journal Of Clinical Pharmacology. 2017 Feb;57(2):185-193. doi: 10.1002/jcph.806. Epub 2016 Sep 6.
Randomized Pharmacokinetic Crossover Study Comparing 2 Curcumin Preparations in Plasma and Rectal Tissue of Healthy Human Volunteers.
Gary N. Asher, MD, MPH, Ying Xie, PhD, Ruin Moaddel, PhD, Mitesh Sanghvi, PhD, Katina S.S. Dossou, PhD, Angela D. M. Kashuba, PharmD, Robert S. Sandler, MD, MPH, and Roy L. Hawke, PhD.
La biodisponibilità della curcuma: un problema cruciale
La Curcuma (Curcuma longa L.) è forse, tra le piante medicinali, quella che negli ultimi decenni ha riscosso il maggiore interesse per le sue proprietà medicamentose; alle tradizionali conoscenze sulle spiccate proprietà della curcuma a favore del benessere dell’apparato gastrointestinale e generalmente antinfiammatorie e antiossidanti, nel corso degli ultimi decenni si sono aggiunti anche approfondimenti sulle promettenti attività antitumorali, molto evidenti in vitro, in forme oncologiche invasive o pre-invasive. Alla componente polisaccaridica della droga vengono oggi inoltre attribuite anche proprietà prebiotiche indirette (Peterson CT, et al, “Effects of Turmeric and Curcumin Dietary Supplementation on Human Gut Microbiota: A Double-Blind, Randomized, Placebo-Controlled Pilot Study.”, J Evid Based Integr Med. 2018 Jan-Dec;23:2515690X18790725.PubMed.).
Pur considerando il crescente mercato globale della Curcuma poco tuttavia si conosce sulla sua farmacocinetica e sulla biodisponibilità dei tessuti delle varie formulazioni commercializzate.
Dal punto di vista dell’impiego pratico degli estratti di curcuma è da sempre noto il cruciale problema della sua biodisponibilità che ne limiterebbe alcuni suoi potenziali farmacologici sistemici tra i quali quello antinfiammatorio sistemico ed osteoarticolare e quello antitumorale; ad esempio gli evidenti effetti antitumorali osservati in vitro non risultano significativamente ottenibili attraverso la somministrazione orale (anche di estratti di curcuma anche di elevata qualità) poiché la curcuma viene poco assorbita a livello intestinale e sempre nell’intestino viene molto velocemente metabolizzata determinando limitate concentrazioni plasmatiche degli attivi (curcuminoidi precursori e metaboliti di coniugazione) responsabili di questi effetti.
In modo diverso invece si porrebbe il problema quando si impieghi la curcuma per favorire la funzionalità dell’apparato gastrointestinale sfruttando evidenti effetti antinfiammatori, antiossidanti, eupeptici e prebiotici indiretti che si ritiene vengano esercitati dalla curcuma anche localmente (prevalentemente per esposizione luminale) agendo direttamente sui tessuti della mucosa intestinale nei quali si possono osservare concentrazioni apprezzabili di curcuminoidi attivi e rispetto alle quali la distribuzione plasmatica sembrerebbe, ai fini pratici, meno influente.
Sull’argomento è utile tenere presente che la biodisponibilità rappresenta la frazione (percentuale) di una dose somministrata di farmaco non modificato che raggiunge il flusso sanguigno (circolazione sistemica).
Tradizionalmente per ovviare al limite della generale scarsa biodisponibilità della curcuma, viene consigliato di associarne l’assunzione anche a quella di piperina che è un alcaloide contenuto (o da esso estratto) nel Piper nigrum; da un punto di vista pratico la piperina ha rappresentato un modo naturale di migliorare i parametri farmacocinetici della curcuma; la piperina si dimostra un officinale di grande interesse per diversi potenziali farmacologici ma il suo uso deve essere sempre molto circostanziato; secondo evidenze scientifiche la piperina infatti si dimostra capace di inibire, nel modello animale, il metabolismo di alcuni farmaci aumentandone la biodisponibilità (teofillina, fenitoina, propranololo); questo effetto dipende dalla capacità della piperina di inibire la glucoronidazione epatica (reazione fondamentale per il loro metabolismo in sostanze inattive e successiva escrezione); pur nell’evidenza che la piperina dimostri nell’uomo di aumentare sensibilmente la biodisponibilità della curcumina (fino al 2000%), bisognerebbe valutare la reale quantità (concentrazione) di curcumina non modificata che la piperina consentirebbe di far raggiunge alla circolazione sistemica, poiché la curcumina viene molto velocemente trasformata in forma coniugata (G. Shoba, D. Joy, T. Joseph, M. Majeed, R. Rajenfran, P. S. Srinivas, Influence of piperine on the pharmacokinetics of curcumin in animals and human volunteers., in Planta Med., vol. 64, nº 4, 1998, pp. 353–6, DOI:10.1055/s-2006-957450); la piperina somministrata con curcuma potrebbe influenzarne gli effetti poiché, oltre a migliorarne l’assorbimento, potrebbe esercitare altri effetti farmacologici (ad esempio antinfiammatori) diretti o sinergici con la curcuma (Bui TT, Piao CH, Song CH, Shin HS, Shon DH, Chai OH. Piper nigrum extract ameliorated allergic inflammation through inhibiting Th2/Th17 responses and mast cells activation. Cell Immunol. 2017 Dec;322:64-73. doi:10.1016/j.cellimm.2017.10.005. Epub 2017 Oct 16. PubMed.); la piperina deve essere somministrata con cautela in presenza di gastrite, reflusso gastroesofageo, ulcera gastrica, emorroidi ed ipertensione e dimostra evidenti interazioni con diversi farmaci.
E’ opportuno tenere in evidenza che la co-somministrazione di piperina insieme a sostanze farmacologicamente attive non rappresenta sempre un vantaggio a priori (come ad esempio per la curcuma) ma rappresenta un vantaggio nel caso in cui il farmaco non agisca dopo metabolizzazione e venga reso immediatamente più disponibile, mentre un svantaggio nel caso il farmaco agisca solo dopo metabolizzazione; in questo caso l’accelerazione dell’assorbimento potrebbe renderebbe il farmaco meno disponibile per la metabolizzazione, e nel caso il suo accumulo sia tossico, generando effetti collaterali indesiderati (Asher, Gary N., et al. “Randomized pharmacokinetic crossover study comparing 2 curcumin preparations in plasma and rectal tissue of healthy human volunteers.” The Journal of Clinical Pharmacology 57.2 (2017): 185-193. PubMed).
E’ inoltre importante ricordare che il miglioramento della fase di assorbimento delle singole sostanze non necessariamente è legata ad altri vantaggi farmacologici relativi come ad esempio il miglioramento delle concentrazioni plasmatiche o tissutali.
Nell’evidenza dei concreti limiti imposti dalla scarsa biodisponibilità della curcuma al suo impiego clinico, qualora la si voglia utilizzare singolarmente come coadiuvante in diverse sintomatologie o in prevenzione, rimane una valida strategia la sua somministrazione in elevate quantità oppure, come suggerito da un moderno pensiero fitoterapico, in associazione con altri officinali specifici, prevalentemente antinfiammatori (Boswellia, Zenzero), con in quali la curcuma evidenzia utili sinergie, in genere, molto ben tollerate (Haroyan, Armine, et al. “Efficacy and safety of curcumin and its combination with boswellic acid in osteoarthritis: a comparative, randomized, double-blind, placebo-controlled study.” BMC complementary and alternative medicine 18.1 (2018): 7.; Wagner, Hildebert. “Synergy research: approaching a new generation of phytopharmaceuticals.” Fitoterapia 82.1 (2011): 34-37.).
Recentemente per ovviare in modo innovativo al problema dello scarso assorbimento della curcumina sono state formulate nuove forme chimico farmaceutiche (nanoparticelle, associazione a liposomi, associazione con fosfatidilcolina, pro – farmaci della curcumina); queste formulazioni modificano la naturale struttura del fitocomplesso della curcuma migliorandone l’assorbimento intestinale (anche di 20 volte); i complessi di curcumina fitosomiali o con fosfatidilcolina determinano un miglioramento dell’assorbimento intestinale di sostanze scarsamente idrosolubili (senza influenzare gli effetti farmacologici delle stesse), sfruttando le proprietà anfipatiche dei fosolipidi, e consentendo generalmente di somministrare un dosaggio sensibilmente inferiore degli attivi rispetto alle forme standard; tuttavia i reali vantaggi farmacologici di questi preparati non sono del tutto chiari. (Anand P, Sundaram C et al, “Curcumin and cancer: an “oldage” disease with an “age-old” solution”. Cancer Lett. 2008 Aug 18; 267(1):133–164. PubMed; Storka A, et al, “Safety, tolerability and pharmacokinetics of liposomal curcumin in healthy humans”. Int J Clin Pharmacol Ther. 2015 Jan; 53(1):54–65. PubMed); (Cuomo J, Appendino G, Dern AS, et al. “Comparative absorption of a standardized curcuminoid mixture and its lecithin formulation. J Nat Prod. 2011 Apr 25; 74(4):664–669. PubMed; Marczylo TH, Verschoyle RD, Cooke DN, Morazzoni P, Steward WP, Gescher AJ. “Comparison of systemic availability of curcumin with that of curcumin formulated with phosphatidylcholine”.Cancer Chemother Pharmacol. 2007 Jul; 60(2):171–177. PubMed).
Come noto la Curcuma è una pianta largamente utilizzata da millenni per scopi medicinali e come spezia, appartenente alla famiglia delle Zingiberaceae; è originaria dell’Asia in particolare di India e Pakistan; per gli scopi medicinali vengono impiegati principalmente i rizomi primari ovali ed i rizomi secondari che si presentano in forma allungata.
Nell’uso tradizionale le forme farmaceutiche di somministrazione sono le più diverse a seconda delle culture mediche tradizionali (frequentemente la polvere della droga) che le hanno adottate. Negli studi scientifici sono stati invece impiegati prevalentemente gli estratti secchi titolati in curcuminoidi, come indicato da anni dalla Commissione E tedesca (estratto secco titolato in curcuminoidi min. 4 %, la cui dose giornaliera è di 8-10 mg/kg), anche se attualmente sono disponibili estratti secchi più moderni, titolati fino al 95 % in curcuminoidi, che, nel rispetto della naturale completezza della forma estrattiva, offrono una vantaggiosa composizione del fitocomplesso (bilanciata fra i tre principali curcuminoidi); JECFA e dall’EFSA ritengono la curcumina sicura e ben tollerata (Jefca: Curcumina – monografia – 2003.EFSA:SCIENTIFIC OPINION Scientific Opinion on the re-evaluation of curcumin (E 100) as a food additive – 2010.).
Le evidenze scientifiche non segnalano controindicazioni specifiche (ai dosaggi generalmente raccomandati) per l’assunzione di curcuma o di sue forme estrattive; uno studio sul ratto ed uno ulteriore sull’uomo hanno concluso che la curcumina potrebbe aumentare i livelli nel sangue di sulfasalazina, un farmaco usato nelle malattie infiammatorie intestinali (Kusuhara H, Furuie H, Inano A, Sunagawa A, Yamada S, et al. (2012). “ Pharmacokinetic interaction study of sulphasalazine in healthy subjects and the impact of curcumin as an in vivo inhibitor of BCRP”. Br J Pharmacol 166: 1793-1803).
Ai fini della comprensione degli aspetti di biodisponibilità della curcuma, per capire quanto essa influenzi positivamente alcuni effetti farmacologici dell’officinale e ne limiti invece altri, è importante schematizzare la composizione chimica del fitocomplesso; la droga (cioè la parte della pianta utilizzata per scopi medicinali) è prevalentemente rappresentata da amidi, (45-55% del peso) oltre ad una buona quantità di olio essenziale ricco di sesquiterpeni monociclici. E’ stato identificato nella droga anche un peptide chiamato “turmerina” dalle principali proprietà antiossidanti. Le sostanze che conferiscono anche la tipica colorazione gialla della droga sono i “curcuminoidi”, che sono ritenuti i principali responsabili dei degli effetti farmacologici della curcuma, tra i quali il principale è la curcumina.
Generalmente con il termine “curcuminoidi” si intende il complesso, nell’ estratto dalla droga di curcuma, rappresentato da tre chemiotipi presenti in percentuali diverse e cioè: la curcumina, la demetossicururina e la bisdemetossossururina; questi tre curcuminoidi (definiti precursori o “parent”), nell’intestino, e tuttavia concentrandosi in esso, vengono assorbiti in quantità molto scarsa e molto rapidamente vengono trasformati (per coniugazione) in metaboliti (curcuminoidi coniugati) dei quali i principali sono la tetraidrocurcumina e la exaidrocurcumina, poco presenti nei tessuti della mucosa, che posseggono al loro volta potenziale utilità farmacologica prevalentemente sistemica (antinfiammatoria ed antitumorale) concentrandosi nel plasma. (Huang, Yiyuan, et al, “Biological and pharmacological effects of hexahydrocurcumin, a metabolite of curcumin.” Archives of biochemistry and biophysics,2018).
Sulla base delle evidenze farmacologiche la limitata biodisponibilità della curcuma dipenderebbe non solo dal suo scarso assorbimento intestinale ma anche dalla velocità con la quale essa viene prontamente metabolizzata (e trasformata in altre sostanze) a livello intestinale.
Secondo le più recenti teorie scientifiche i curcuminoidi precursori, anche se scarsamente assorbiti a livello intestinale, si concentrerebbero maggiormente nei tessuti mucosali ed in quantità quasi non rilevabili nel plasma, a differenza di quanto avverrebbe per i curcuminoidi metaboliti che sarebbero maggiormente concentrati nel plasma e poco rappresentati nei tessuti mucosali.
Dall’articolo
Lo studio clinico proposto, condotto negli Stati Uniti e pubblicato nel 2017 su Journal Of Clinical Pharmacology e disponibile in Pub Med, ha valutato in pazienti sani, secondo metodi molto complessi (valutazione delle concentrazioni plasmatiche e nei tessuti attraverso biopsia), le concentrazioni plasmatiche e tissutali (rettali) dei diversi curcuminoidi utilizzando un estratto di curcumina standard oppure un estratto di curcumina complessata con fosfatidilcolina, somministrando i due diversi preparati per sette giorni consecutivi a dosaggi diversi ma razionalmente comparabili per profilo farmacocinetico.
Lo studio clinico, pur nell’evidenza del limitato numero dei partecipanti, risulta di particolare interesse e tra i pochissimi disponibili sull’argomento poiché valuta sulla matrice umana i parametri farmacocinetici della curcuma non solo nel plasma attraverso prelievi ematici ma anche nei tessuti colorettali attraverso biopsia. Lo studio inoltre contribuirebbe a chiarire la realtà dei presupposti dei vantaggi della somministrazione di curcuma in forma modificata.
Lo studio è stato condotto utilizzando una mono somministrazione pari a 4 compresse di curcumina standard (4 grammi) che rendevano disponibili ciascuna circa 1000 mg di curcuminoidi (730 mg di curcumina, 220 mg di demetossicururina e 50 mg di bisdemetossossururina) oppure una mono somministrazione di 2 grammi di povere di un complesso di curcumina e fosfatidilcolina che rendevano disponibili 385 mg di curcuminoidi (303 mg di curcumina, 68 mg demetossicururina e 14 mg di bisdemetossossururina).
Le conclusioni dello studio non evidenziano differenze significative tra le AUC plasmatiche a seguito della somministrazione delle due forme di curcuma; l’estratto di curcumina complessato con fosfatidilcolina rispetto all’estratto standard ha prodotto solo un modesto incremento di demetossicururina e di bisdemetossossururina (i due curcuminoidi precursori) nel plasma tuttavia in esso ha prodotto una quantità maggiore fino a 20 volte di exaidrocurcumina che è un importante metabolita della curcumina responsabile di diversi effetti farmacologici in vitro ed in vivo (Huang, Yiyuan, et al. “Biological and pharmacological effects of hexahydrocurcumin, a metabolite of curcumin.” Archives of biochemistry and biophysics,2018).
A 24 ore dall’ultima somministrazione le geometrie delle concentrazioni medie di tutti gli analiti non risultavano diverse tra le due formulazioni di curcumina. Nel plasma l’ AUC 0-24 di curcumina è risultata ampiamente varia in tutti i partecipanti (con valori alti AUC0-24> 1000 ng*h / mL oppure con valori bassi AUC0-24 <1000 ng * h / mL), tuttavia senza evidenze di correlazione tra la diversità dei valori AUC0-24 con una delle due diverse formulazioni.
Le linee di tendenza dell’AUC plasmatica non hanno dimostrato nessuna relazione tra concentrazioni di curcumina plasmatica nel sangue e concentrazione nei tessuti per l’estratto di curcumina standard mentre hanno evidenziato una relazione inversa per l’estratto di curcumina con fosfatidilcolina.
Nella fase terminale di eliminazione l’estratto di curcumina standard (curcumina, tetraidrocurcumina e exaidrocurcumina) ha dimostrato un t ½ superiore rispetto a quello evidenziato dall’estratto di curcumina con fosfatidilcolina.
Nella mucosa rettale le concentrazioni medie dei curcuminoidi coniugati sono risultate maggiori per l’estratto di curcumina standard (363,3 ng / mL) rispetto a quelle derivanti dall’impiego di curcumina complessata con fostatidilcolina (177,4 ng / mL).
Sempre nella mucosa rettale le concentrazioni medie di curcumina non modificata sono risultate maggior per l’estratto di curcumina standard (7.6 ng / mL) e inferiori per l’estratto di curcumina complessato con fosfatidilcolina (2.8 ng/mL).
La valutazione farmacocinetica delle due forme di curcumina ha evidenziato che i miglioramenti dell’assorbimento dei curcuminoidi dovuti alla fosfatidilcolina non sono stati uniformi per i diversi curcuminoidi e che le concentrazioni di curcuminoidi nella mucosa intestinale si sono rivelano dipendenti, con maggiore probabilità, più dal contatto luminale piuttosto che da derivazione plasmatica.
Lo studio ha inoltre concluso che una mono somministrazione giornaliera sarebbe sufficiente per determinare un efficiente “steady-state” di curcuminoidi sia nel plasma che nei tessuti rettali.
Nello studio i partecipanti hanno ricevuto i due preparati di curcumina in dose singola per 7 giorni (a dosaggi specifici) che hanno evidenziato concentrazioni plasmatiche allo “steady state” costanti; i picchi delle concentrazioni plasmatiche e l’AUC-48 dei curcuminoidi metaboliti sono risultate superiori per il preparato a base di curcumina con fosfatidilcolina suggerendo principalmente che questa formulazione possa essere molto utile per trattamenti che mirino a sfruttare gli effetti di elevate concentrazioni plasmatiche di curcuminoidi metaboliti (tetraidrocurcumina e exaidrocurcumina); le curve di concentrazione tempo – dipendenti dei curcuminoidi osservate per i due preparati riflettono evidenti differenze nei profili di eliminazione o del circolo enteroepatico e suggeriscono che il ritardo della loro eliminazione dipenda dal fatto che i metaboliti coniugati scissi nell’intestino possano essere restituiti al sistema circolatorio come curcuminoidi precursori, attraverso il circolo enteroepatico.
I picchi secondari delle concentrazioni plasmatiche osservati nel tempo (tra le 5 e le 15 ore dopo la somministrazione) risultano ben superiori rispetto a quelli attesi rispetto ai fisiologici tempi di eliminazione delle formulazioni, di svuotamento gastrico e di transito intestinale; sebbene si ritenga che i curcuminoidi precursori vengano molto rapidamente trasformati anche a livello intestinale le concentrazioni sistemica e gastrointestinale dei curcuminoidi dipenderebbero dal circolo enteroepatico che spiegherebbe gli effetti farmacodinamici dei curcuminoidi nonostante la rapida trasformazione intestinale.
Il più rapido assorbimento nel tratto gastrointestinale di preparati a base di curcumina associata a fosfatidilcolina dovrebbe quindi essere tenuto in primaria considerazione quando si ci si ponga l’obiettivo di agire sui tessuti gastrointestinali basandosi sul presupposto che l’esposizione luminale ai curcuminoidi sia molto importante ai fini della farmacodinamica; nello studio emerge inoltre chiaramente che gli estratti di curcumina complessati con fosfatidilcolina nei tessuti (a differenza di quanto osservato nel plasma) non determinano concentrazioni significative dei due principali curcuminoidi metaboliti di coniugazione e cioè la tetraidrocurcumina o exaidrocurcumina; questa scarsa presenza di tetraidrocurcumina o exaidrocurcumina nei tessuti delle mucose risulterebbe maggiormente dipendente dall’alterazione dell’assorbimento luminale piuttosto che dalla loro distribuzione plasmatica.
Pur considerando la possibilità che la tetraidrocurcumina e la exaidrocurcumina (i due principali metaboliti di coniugazione) lascino più rapidamente di altri curcuminoidi la mucosa rettale, non esiste al momento nessuna spiegazione fisiologica per la quale questi due curcuminoidi coniugati vengano selettivamente eliminati dalle mucose mentre altri curcuminoidi vi rimangano.
Le conclusioni dello studio suggerirebbero che le scelta del dosaggio ottimale di preparati di curcumina complessati con fosfatidilcolina, basandosi su presunti miglioramenti farmacodinamici di assorbimento rispetto a preparati di curcumina standard, dovrebbe tener conto del fatto che il miglioramento dell’assorbimento dei diversi curcuminoidi potrebbe non essere uniforme.
Come in precedenza emerso in altri studi (Cuomo J, Appendino G, Dern AS, et al,” Comparative absorption of a standardized curcuminoid mixture and its lecithin formulation.”, J Nat Prod. 2011 Apr 25; 74(4):664–669,PubMed.) anche nello studio che presentiamo le due formulazioni non sono sembrate equivalenti e, pur presupponendo che l’estratto di curcumina complessato con fosfatidilcolina fosse nominalmente superiore all’estratto di curcumina standard, le differenze di biodisponibilità osservate per il preparato a base di fosfatidilcolina non si sono dimostrate costanti, bensì altamente variabili (almeno fino a 20 volte), inoltre le differenze non si sono dimostrate omogeneamente coerenti fra i curcuminoidi.
Dallo studio si dedurrebbe che gli estratti di curcumina complessata con fosfatidilcolina, grazie ad un miglior assorbimento intestinale, sarebbero utili qualora si volessero sfruttare gli effetti farmacologici di curcuminoidi metaboliti coniugati (es.: tetraidrocurcumina e la exaidrodurocumina) nel plasma, mentre gli estratti di curcumina standard offrirebbero vantaggi pro-tissutali (antinfiammatori, pre-biotici indiretti, antiossidanti) intestinali determinando nel tessuto colorettale maggiori concentrazioni di tutti curcuminoidi prevalentemente dovute alla esposizione luminale ad essi.
Journal Of Clinical Pharmacology. 2017 Feb;57(2):185-193. doi: 10.1002/jcph.806. Epub 2016 Sep 6.
Randomized Pharmacokinetic Crossover Study Comparing 2 Curcumin Preparations in Plasma and Rectal Tissue of Healthy Human Volunteers.
Asher GN(1), Xie Y(2), Moaddel R(3), Sanghvi M(3), Dossou KS(3), Kashuba AD(4),Sandler RS(5), Hawke RL(4)
Author information:
(1)Department of Family Medicine, University of North Carolina School ofMedicine, Chapel Hill, NC, USA.(2)State Key Laboratory of Quality Research in Chinese Medicine, Macau University of Science and Technology, Taipa, Macau. (3)Laboratory of Clinical Investigation, Division of Intramural Research Programs, National Institute on Aging, National Institutes of Health, Baltimore, MD, USA. (4)Division of Pharmacotherapy and Experimental Therapeutics, University of North Carolina Eshelman School of Pharmacy, Chapel Hill, NC, USA. (5)Division of Gastroenterology and Hepatology, University of North Carolina School of Medicine, Chapel Hill, NC, USA.
Abstract
Curcumin is poorly absorbed, which is interest in new preparations. However, little is known about variations in its pharmacokinetics and tissue bioavailability between formulations.
In this randomized, crossover study we evaluated the relationship between steady-state plasma and rectal tissue curcuminoid concentrations using standard and phosphatidylcholine curcumin extracts.
There was no difference in the geometric mean plasma AUCs when adjusted for the 10-fold difference in curcumin dose between the 2 formulations.
Phosphatidylcholine curcumin extract yielded only 20% to 30% plasma demethoxycurcumin and bisdemethoxycurcumin conjugates compared to standard extract, yet yielded 20-fold greater hexahydrocurcumin.
When adjusting for curcumin dose, tissue curcumin concentrations were 5-fold greater for the phosphatidylcholine extract.
Improvements in curcuminoid absorption due to phosphatidylcholine are not uniform across the curcuminoids.
Furthermore, curcuminoid exposures in the intestinal mucosa are most likely due to luminal exposure rather than to plasma disposition.
Finally, once-daily dosing is sufficient to maintain detectable curcuminoids at steady state in both plasma and rectal tissues.
© 2016, The American College of Clinical Pharmacology.
DOI: 10.1002/jcph.806
PMCID: PMC5233601
PMID: 27503249 [Indexed for MEDLINE]
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Newsletter Ayurveda nr. 47 – Ottobre 2018
Newsletter n° «47»
Ottobre 2018
“L’Ayurveda per la canizie“
INTERNATIONAL JOURNAL OF AYURVEDIC MEDICINE 9.1 (2018).
“REVIEW OF AYURVEDIC HERBS WITH KESHARANJANA PROPERTY IN THE MANAGEMENT OF CANIITES (PALITYA).”
Sivaram, G., S. Malini, and G. Babu
I “capelli grigi”, in ayurveda “Palitya” rappresentano una comune manifestazione legata al progredire dell’età delle persone, tuttavia nell’era moderna questo “segno” comincia a manifestarsi anche in età precoce in relazione a stress e modificazioni dello stile di vita; infatti secondo W.H.O (World Health Organization) nei tempi moderni il fenomeno si presenta in modo maggiore, rispetto ai decenni precedenti, nella fascia di età compressa tra i 20 e i 30 anni. In Ayurveda l’ingrigimento precoce dei capelli è chiamato “Akala palitya” ed è dovuto principalmente ad un vizio di Pitta dosha, infatti secondo le fonti ayurvediche “Akala palitya” sarebbe citato direttamente solo in relazione a Pitta Prakriti.
Secondo l’Ayurveda, rispetto al problema, le procedure di purificazione e detossificazione (panchakarma) si pongono come soluzioni di primaria importanza, così come “karma nasya” che è noto per svolgere un importante ruolo nei processi di purificazione dell’organismo (ringiovanenti).
A questi approcci l’Ayurveda affianca tradizionalmente anche trattamenti sistemici oppure esterni come i noti trattamenti Shiro dhara, Shiro pichu, Shiro basti, Shiro lepa e Shiro abhyanga con diversi taila (citati nell’articolo: es. Sahacharadi taila) che che possono contribuire anche al nutrimento dei capelli e a prevenirne l’invecchiamento e l’ingrigimento.
L’articolo citato, pubblicato nel 2018 da “International Journal of Ayurvedic Medicine”, tratteggia in modo sintetico la visione ayurvedica del problema “Palitya” e descrive in pratiche tabelle gli effetti dei principali costituenti degli officinali utilizzati anche per la colorazione dei capelli.
Dall’articolo
Parte della moderna tricologia scientifica si occupa di aspetti nutrizionali, di cura, manutenzione e prevenzione di malattie che interessano i capelli, le strutture pilifere in generale ed il cuoio capelluto; la moderna tricologia comprende anche le procedure come la colorazione, la rasatura o la rimozione pilifera con altre tecniche come la ceretta, e consiglia anche interventi dietetici specifici per una crescita sana dei capelli.
Come noto le parti “vive” dei capelli cioè la radice, immersa nella cute collegata al muscolo erettore del pelo, il bulbo che è la parte più profonda, in cui è presente la matrice generatrice del pelo, sono situate sotto la pelle mentre la parte visibile del capello (fusto) non è interessata da processi vitali.
In particolare il colore dei i capelli svolge un ruolo molto importante nell’aspetto fisico e nell’auto percezione dell’individuo.
Statisticamente è stimato che il 90 % della popolazione mondiale possegga capelli di colore scuro castano/nero mentre solo il restante 10% della popolazione mondiale possiede capelli di colore chiaro biondo/rosso-ramato (probabilmente a causa di mutazioni genetiche MC1R correlate) sui quali la canizie è meno visibile.
Considerando il ruolo importante svolto dai capelli nella “rappresentazione” di sé nella vita sociale, la canizie esercita effetti negativi significativi sull’aspetto, sull’autostima, e nell’accettazione degli interessati nel contesto socio-culturale in cui vivono.
I dati di un recente sondaggio (2012) indicano che il 74 % delle persone di età compresa tra 45 e 65 anni sono interessati dall’ingrigimento dei capelli che viene definito “canizie senile” (Panhard S, Lozano I, Loussouarn G (2012) Greyingof the human hair: a worldwide survey, revisiting the’50′ rule of thumb. Br J Dermatol 167: 865–73.); si definisce invece “canizie precoce” l’ingrigimento dei capelli (rappresentando un problema) che si presenta prima dei 25 anni di età (Tobin DJ (2008) Human hair pigmentation– biological aspects. Int J Cosmet Sci 30: 233–57.).
Nell’uomo il colore dei capelli dipende dalla melanogenesi, cioè il processo di sintesi della melanina e della sua successiva distribuzione dal melanocita ai cheratinociti. Il processo è regolato geneticamente a vari livelli. I follicoli dei capelli umani contengono due tipi di melanina, il pigmento nero-marrone (eumelanina principalmente presenti nei capelli neri e castani) e le feomelanine gialle o rosse (nei capelli biondi e Auburn) (Tobin DJ, Paus R. Graying: Gerontobiology of the hair follicle pigmentary unit. Exp Gerontol 2001;36:29-54.).
I Melanociti sia epidermici che follicolari derivano dai melanoblasti immaturi che migrano nella pelle dalla cresta neurale durante l’embriogenesi. Nel momento dello sviluppo del follicolo pilifero la progenie dei melanoblasti, che proliferano nell’epidermide, migrano e durante lo sviluppo del follicolo pilifero i melanociti possono differenziarsi in cellule positive alla DOPA-ossidasi oppure in cellule negative alla DOPA-ossidasi, a seconda del compartimento intrafollicolare in cui risiedono, partecipando a determinare la colorazione dei capelli (Tobin DJ, Bystryn JC. Different populations of melanocytes are present in hair follicles and epidermis. Pigment Cell Res 1996;9:304-10.).
Il processo di crescita dei capelli viene scientificamente suddiviso in tre fasi principali e cioè anagen, catagen e telogen.
Anagen rappresenta la fase attiva di crescita capillare rappresentando un ciclo biologico in cui nella radice dei capelli le cellule si dividono rapidamente. In questa fase i capelli crescono all’incirca di 1 cm al mese. Nella fase catagen la guaina pilifera si restringe e si attacca alla radice dei capelli rappresentando una fase transitoria del ciclo che dura circa due o tre settimane. Telogen rappresenta, nel ciclo di crescita dei capelli, la fase di riposo; in essa il follicolo pilifero è completamente inattivo. Normalmente dal 6% all’8% di tutti i capelli sono in fase telogen che tende a durare circa 100 giorni. (Tobin DJ, Paus R. Graying: Gerontobiology of the hair follicle pigmentary unit. Exp Gerontol 2001;36:29-54.).
Si ritiene che la canizie senile dipenda, con il progredire dell’età, dal fisiologico e progressivo esaurimento della capacità rigenerativa di pigmentazione dei capelli mentre che la “canizie precoce” rifletta un esaurimento precoce, della capacità di pigmentazione dei capelli, che è geneticamente regolata e che coinvolgerebbe l’originario potenziale melanocitario o qualche difetto nell’attivazione/migrazione cellulare in riposta a fattori ambientali, infiammazioni o stress psico fisico (Nishimura EK, Granter SR, Fisher DE. Mechanisms of hair graying: Incomplete melanocyte stem cell maintenance in the niche. Science 2005; 307:720-4.).
La visione ayurvedica della canizie
In Ayurveda l’ingrigimento dei capelli è definito “Palitya”, e classificato come “kshudra roga” (cioè tra le malattie minori) distinguendosi in due forme e cioè: “Akala palitya” (canizie precoce) e “Kala palitya” (canizie senile).
I capelli grigi prematuri sono principalmente determinati dall’eccesso di Ushna (caldo) che è guna (proprietà) di Pitta dosha (in correlazione a reazioni o trasformazioni esotermiche) (Agnivesh, Charakasamhita, Chikitsasthan Trimarmiyadhyay 26/262, Vaidya Jadavaji Trikamji Aacharya. editor. 5th ed. Chaukhamba Sanskrit Sansthan, Varanasi; 2009; 676.).
Come noto in Astanga hridaya viene riportata una classificazione dei dosha anche in termini di predominanza e cioè: Vataja (prevalenza biologica legata al movimento), Pittaja, Kaphaja (prevalenza biologica legata alla massa o all’addensamento di materia), Dwandaja (combinazione di due dosha) e Tri doshaja (tutti e tre i dosha) (Vagbhat, Ashtang Hridaya, UttarSthan Shirorogavigyaniyadhyay 23/29, edited by Brahmanand Tripathi, reprint ed. Chaukhambha Sanskrita Pratishthana, Delhi; 2003; 1054.).
Secondo l’articolo la concorrenza dei suddetti fattori eziologici condurrebbero principalmente ad un vizio del dosha Pitta. L’Ushma (il calore) del dosha Pitta viziato verrebbe veicolato da Vata dosha presentandosi come kapha dosha nel follicolo pilifero determinando “paka” (trasformazioni metaboliche) del follicolo dei capelli e determinando “Akala palitya” (canizie precoce). Nel naturale percorso della vita dell’individuo “Kala palitya” (canizie senile) si verifica invece come manifestazione generale e fisiologica della vecchiaia. (Agnivesh, Charakasamhita, chikitsasthan, Tri marmiya chikitsadhyaya, 26/132, Vaidya Jadavaji Trikamji Aacharya. editor. 5th ed. Chaukhamba Sanskrit Sansthan, Varanasi; 2009; 509.)
Tra le varie soluzioni ayurvediche al problema “Kesaranjana” (tintura dei capelli) viene proposta come un processo “temporaneo” di aggiunta di pigmento o rimozione del pigmento dal fusto dei capelli.
L’ayurveda propone tradizionalmente medicamenti nutraceutici ed “esterni” fondamentali per nutrire e colorare i capelli, a base di erbe, minerali e prodotti metallici; secondo la visione ayurvedica il risultato delle varie procedure non è istantaneo infatti sono necessari da due giorni a vari mesi di trattamento, a seconda del medicamento impiegato, per ottenere i risultati voluti.
Ad esempio l’Eranda (Ricinus communis L.) è tradizionalmente impiegata come agente di solidità del colore (stabilità, resistenza) nella maggior parte delle formulazioni di tinture ayurvediche per capelli tuttavia attualmente, per il problema della canizie, vengono oggi studiate, come trattamenti interni od esterni, diverse altre erbe come Haritaki (Terminalia chebula R.), Vibhitaka (Terminalia bellirica R.), Amalaki (Phyllanthus emblica L.), Bringaraja (Eclipta alba H.), Neeli (Indigofera tinctoria L.), Madayantika (Henna-Lawsonia inermis L.), Akshota (Juglans regia L.) e Patanga (Haematoxylon campechianum L.) che consentono di tingere i capelli di un profondo colore scuro (Sivaram, G., S. Malini, and G. Babu. “Review of Ayurvedic herbs with Kesharanjana Property in the Management of Caniites (Palitya).” International Journal of Ayurvedic Medicine 9.1 (2018)- Tabella n. 3).
Come anticipato “i capelli grigi” sono considerati fattore di forte imbarazzo per gli individui ma rappresentano anche un fisiologico sintomo di invecchiamento. Nella visione ayurvedica l’ingrigimento precoce dei capelli dipenderebbe da “rasa pradoshaja” cioè da un vizio del chilo (la miscela intestinale di linfa e grassi emulsionati), di plasma e linfa dipendente da vizio del dosha Pitta; come noto, secondo inquadramento ayurvedico, Pitta dosha possiede proprietà come untuosità (sasneha), caldo (ushna), rapido/veloce (tikshna), liquido (dravam), acido (amla), mobile (sara) e pungente (katu).
Sia nel cuoi capelluto sia nella pelle agisce bhrajaka pitta (entità biologica di Pitta legata alla lucentezza/luminosità della pelle), responsabile dei fenomeni degenerativi dei capelli come l’ingrigimento (palitya).
Pur considerando diverse tipologie di Palitya la principale entità biologica coinvolta è dosha Pitta.
Secondo i protocolli di assistenza sanitaria ayurvedica abitudini alimentari corrette, riduzione dell’ansia e l’assunzione di sostanze rasayana possono prevenire l’ingrigimento precoce dei capelli e ritardarne l’ingrigimento fisiologico dovuto alla vecchiaia o a cause ereditarie.
Per il trattamento della canizie l’Ayurveda raccomanda inoltre trattamenti di purificazione dell’organismo come Vamana, Virechana, Nasya, Rakta mokshana, unitamente a consigli dietetici e per un sano stile di vita; la purificazione del corpo infatti aiuta a mantenere l’ideale equilibrio dei dosha che è presupposto fondamentale per l’efficacia di sostanze palliative topiche o sistemiche (Agnivesh, Charakasamhita, chikitsasthan, Tri marmiya chikitsadhyaya, 26/132, Vaidya Jadavaji Trikamji Aacharya. editor. 5th ed. Chaukhamba Sanskrit Sansthan, Varanasi; 2009; 509.; Agnivesh, Charakasamhita, chikitsa sthana Trimarmiya chikitsadhyay 26/262, Vaidya Jadavaji Trikamji Aacharya. editor. 5th ed. Chaukhamba Sanskrit Sansthan, Varanasi; 2009; 540; Vagbhat, Ashtang Hridaya, sutrasthan 2/8, edited by Brahmanand Tripathi, reprint ed. Chaukhambha Sanskrita Pratishthana; Delhi; 2003; 26.; Agnivesh, Charakasamhita, sutrasthan Mat-rashitiyadhyay 5/81,82, Vaidya Jadavaji Trikamji Aacharya. editor. 5th ed. Chaukhamba Sanskrit Sansthan, Varanasi; 2009; 124.; Vagbhat, Ashtang Hridaya, sutrasthan Gandushadividhimadhyaya 22/34, edited by Brahmanand Tripathi, reprint ed. Chaukhambha Sanskrita Pratishthana; Delhi; 2003; 303.).
Nell’articolo vengono indicati in modo sintetico anche i principali principi attivi delle piante responsabili della colorazione dei capelli.
Nei frutti di Haritaki (Terminalia chebula R.) e Vibhitaka (Terminalia bellirica R.) sono contenute importanti quantità di acido tannico e acido gallico; l’acido tannico è una specifica forma di tannino che è un polifenolo responsabile della colorazione prevalentemente gialla dei capelli oltre che ad essere conosciuto come comune mordente e fissativo in diversi processi di colorazione. L’acido gallico, formando nei capelli un complesso con gli ioni di ferro, contribuisce ad ottenere una buona cromaticità e solidità del capelli tinti. *
Le emblicanine e l’acido ellagico contenuti in Amalaki (Phyllanthus emblica L.) sono dei polifenoli tradizionalmente utilizzati come coloranti e nutrienti per i capelli (Amla oil). *
In Bringaraja (Eclipta alba H.) la presenza di flavoni cristallini gialli dell’apigenina e della luteolina conferisce alla preparazioni di quest’erba le principali capacità tingenti; analogamente avviene anche per Neeli (Indigofera tinctoria L.) che contiene elevate quantità di luteolina e che conferisce alla pianta capacità di pigmentazione cromatica gialla; tuttavia il Neeli è noto anche per le preparazioni della tintura di indaco dal tipico e distintivo colore blu. Le forme estrattive acquose e fermentate delle foglie di Neeli sono rappresentate da un composto organico che si converte da indican glicoside presente nella pianta nel colorante blu indigotina (sale sodico dell’acido 5,5′-indigodisolfonico) ammesso anche come colorante alimentare con il nome di E132. *
Nelle foglie di Madayantika, la notissima Hennè (Lawsonia inermis L.) si ritrova in grande quantità di lawsone (2-idrossi-1,4- naftochinone), noto anche come acido hennotannico, che possiede capacità coloranti rosso-arancione e che tradizionalmente viene sfruttato per la colorazione dei capelli. *
In Akshota (Juglans regia L.) è particolarmente rappresentata la “regianina” o “juglone” (5-idrossi-1,4-naftalenedione) che è un composto organico responsabile di pigmentazione marrone scuro sui capelli. *
Da legno di Patanga (Haematoxylon campechianum L.) nota anche come pianta del “Campeggio” (diffusa in India, Centro America e Messico), si ottiene una forma estrattiva ricca in ematossilina che trasformandosi in ematina rappresenta un colorante, molto utilizzato anche in istologia, che consente la pigmentazione nera dei capelli *(Pandey S N, S. N. Pandey, Ajanta Chadha, A text book of botany: Plant Anatomy and Economic Botany, Volume 3, Reprint Edition; 2009; 533-546).
Il concetto di canizie è chiaramente spiegato nei testi classici ayurvedici e prevede tradizionalmente un approccio multidisciplinare attraverso purificazione dell’organismo, trattamenti palliativi, applicazioni esterne, farmaci naturali sistemici e preventivi che si rivelano efficaci e privi di effetti collaterali.
A cura della direzione scientifica di Benefica
INTERNATIONAL JOURNAL OF AYURVEDIC MEDICINE 9.1 (2018).
“REVIEW OF AYURVEDIC HERBS WITH KESHARANJANA PROPERTY IN THE MANAGEMENT OF CANIITES (PALITYA).”
Murali Krishna C1*, Sivaram G2, Malini S3, Babu G4
Author information:
(1) Research Officer
(2) Senior Research Fellow (Ayurveda)
(3) Research officer (Biochemistry)
(4) Assistant Director In-charge, Regional Ayurveda Research Institute for Skin Disorders, Vijayawada
ABSTRACT
Greying of hair according to age is common phenomenon. But in modern era due to different kind of stress and changing life style Canities (Palitya) occur in early age. According to W.H.O in India, its incidence is high in the age group of 20-30 years. In Ayurveda premature greying of hair is called as Akala palitya (premature gray hair). According to Ayurveda grey hair is mainly due to the vitiation of Pitta dosha (biological entity related to exothermic reactions or transformation) & reference of Palitya is directly mentioned only in Pitta Prakruti (inherent constitution of an individual). The use of purification procedures of panchakarma (detoxifying therapy) has prime importance in the remedies mentioned for premature greying. Nasya karma (nasal medication) is one of the major rejuvenative treatments. Palliative external & internal medicaments measures like Shiro dhara (pouring oil on head), Shoro pichu (cloth dipped in oil kept on head), Shiro basti (oil is kept on head with an apparatus), Shiro lepa (application of medicated paste over head), Shiro abhyanga (oil massage to head) helps in speedy recovery. The chemical components in the herbs responsible for hair dyeing are discussed.
ISSN: 0976-5921
Newsletter Fitoterapia nr. 38 – Ottobre 2018
Newsletter n° «38»
Ottobre 2018
Cumino (Carum carvi L.):
razionale obesità e “prebiotico”
Evid Based Complement Alternat Med. 2013;2013:928582. doi: 10.1155/2013/928582. Epub 2013 Nov 10.
Antiobesity effect of caraway extract on overweight and obese women: a randomized, triple-blind, placebo-controlled clinical trial.
Kazemipoor M, Radzi CW, Hajifaraji M, Haerian BS, Mosaddegh MH, Cordell GA.
Note generali sul Cumino
Il cumino (Carum carvi Linn.), noto anche con il nome di Carvi, Cumino persiano, Cumino tedesco (Kummel) o Cumino dei prati, è una potente pianta medicinale, utilizzata da secoli anche come spezia culinaria, molto nota in Asia ed Europa ed il suo uso era già anticamente raccomandato (I secolo d.C.) anche da Ibn Sina, medico e scienziato persiano più conosciuto come Avicenna, per alleviare diversi disturbi, come avviene anche attualmente, prevalentemente gastrointestinali ed anche per contrastare l’obesità.
La presente newsletter è dedicata ad una sintetica presentazione delle attività farmacologiche del cumino e del suo potenziale antiobesità.
L’articolo proposto, disponibile in PubMed dal 2013, approfondisce le conoscenze degli effetti antiobesità del cumino ed il probabile meccanismo di attività.
Il cumino cresce in Europa e Asia centro-occidentale ed è conosciuto anche nell’Africa nord orientale; viene coltivato anche in Europa, e negli Stati Uniti d’America. In Italia il cumino è diffuso in zone subalpine e appenniniche.
Botanicamente la pianta, che cresce tra gli 800 e 2200 metri, è classificata nella famiglia delle Apiaceae (o umbelliferae “nomen conservandum”) analogamente al Finocchio dolce e all’Anice verde, condividendone in parte composizione fitochimica e proprietà farmacologiche; morfologicamente appare simile alla pianta della carota, con foglie piumiformi finemente suddivise, e raggiunge in forma molto ramificata i 60 centimetri di altezza. I fiori si presentano di delicato colore bianco o rosa ed i frutti, che non sono i semi, si presentano come diacheni di forma semicircolare.
La presenza di vari bioattivi fitochimici possono variare rispetto prevalenza di alcune parti della pianta nel materiale sottoposto ad estrazione tuttavia, in generale, i semi vengono ritenuti la fonte di estrazione più pregiata (I.-K. Park et al, “Toxicity of plant essential oils and their components against Lycoriella ingenua (Diptera: Sciaridae),” Journal of Economic Entomology, vol. 101, no. 1, pp. 139–144, 2008).
I semi di cumino contengono numerosi costituenti fitochimici, compresi acidi grassi, oli essenziali e composti fenolici volatili, che sono utilizzati nell’industria alimentare ed in medicina (K. Seidler-Lozykowska et al, “Raman analysis of caraway (Carum carvi L.) single fruits. Evaluation of essential oil content and its composition,” Journal of Agricultural and Food Chemistry, vol. 58, no. 9, pp. 5271–5275, 2010; J. Richter et al,, “Comparison of different extraction methods for the determination of essential oils and related compounds from aromatic plants and optimization of solidphase microextraction/gas chromatography,” Analytical and Bioanalytical Chemistry, vol. 387, no. 6, pp. 2207–2217, 2007).
I principali composti fitochimici presenti nella pianta e nei semi di Carum carvi sono: limonene, carvacrolo, carvone, carvenone, γ-terpinene, α-pinene, linalolo e p-cimene; gli oli essenziali ottenuti dalla pianta in toto, anche nelle varianti selvatiche, sono caratterizzati da una prevalenza di limonene ed una quantità inferiore di carvone mentre solo gli oli essenziali ottenuti con SFE (Supercritical fluid extraction) offrono una quantità superiore di carvone e leggermente inferiore di limonene.
Il carvone è un terpenoide esclusivamente solubile in alcol e cloroformio i cui enantiomeri sono reperibili in natura in diversi vegetali, soprattutto nell’olio dei semi di cumino dei prati (Carum carvi), della Mentha spicata L. (Mentha spicata) e dell’Anethum graveolens L. (Aneto).
Il carvone possiede diverse attività farmacologiche tra le quali risalta quella antispasmodica gastro intestinale (De Sousa DP et al, Spasmolytic Activity of Carvone and Limonene Enantiomers, Nat Prod Commun. 2015 Nov;10(11):1893-6. PubMed).
Nel loro insieme i bioattivi presenti nei semi di cumino offrono una varietà di differenti effetti biologici, tra cui quello antispasmodico, antimicrobico, antiossidante, antinfiammatorio ed antitumorale (A. Simic, A. Ranˇcic, M. D. Sokovic et al., “Essential oil composition of Cymbopogon winterianus and Carum carvi and their antimicrobial activities,” Pharmaceutical Biology, vol. 46, no. 6, pp. 437–441, 2008).
La forma farmaceutica consigliata è l’olio essenziale micro incapsulato, titolato in essenza min. 8% (Farmacopea Francese X), la cui dose giornaliera va da 6 a 8 mg per kg di peso corporeo.
Il cumino è usato nella medicina tradizionale come rimedio per una serie di problemi di salute, in particolare mal di stomaco (difficoltà digestive), eruttazione e flatulenza, meteorismo e spasmi intestinali sfruttandone la capacità di contrastare la formazione di biogas (antimicrobica selettiva) e di facilitarne l’eliminazione ma è stato anche utilizzato come antitussivo espettorante, facilitatore della minzione (antispasmodico) e delicato anti stipsi; in Persia è stato tradizionalmente utilizzato anche per alleviare i crampi mestruali e come rimedio in forma di collutori o formulazioni topiche per migliorare il flusso sanguigno locale; altrettanto tradizionale è l’impiego come galattogeno.
In sintesi i bioattivi dei semi del cumino offrono effetti positivi antispasmodici, carminativi, astringenti ed antiedemigeni nelle stomatiti, antidiarroici (antimicrobici), anti dispeptici, lenitivi della sintomatologia mestruale, anti flatulenza, anti colitici, antiemicranici nella dispepsia, pro epatici, anticonvulsivanti, nefro protettivi, ipoglicemizzanti, anti obesità, e di contrasto all’ ipotiroidismo (M. Kazemipoor et al, “Safety, efficacy and metabolism of traditional medicinal plants in the management of obesity: a review,” International Journal of Chemical Engineering and Applications, vol. 3, no. 4, pp. 288; M. Nasser et al, “Ibn Sina’s Canon of Medicine: 11th century rules for assessing the effects of drugs,” Journal of theRoyal Society ofMedicine, vol. 102, no. 2,pp. 78–80, 2009; K. Seidler-Lozykowska et al, “Raman analysis of caraway (Carum carvi L.) single fruits. Evaluation of essential oil content and its composition,” Journal of Agricultural and Food Chemistry, vol. 58, no. 9, pp. 5271–5275, 2010 ).
L’insieme degli effetti dei bioattivi presenti nei semi di cumino offre effetto prebiotico indiretto che, unitamente a capacità immunomodulatorie, potrebbe esercitare effetti benefici anche sulla malattia infiammatoria intestinale (IBD) (H. Jouad, M. Haloui, et al, “Ethnobotanical survey of medicinal plants used forthe treatment of diabetes, cardiac and renal diseases in thenorth centre region of Morocco (Fez-Boulemane),” Journal of Ethnopharmacology, vol. 77, no. 2-3, pp. 175–182, 2001; M. T. Khayyal et al., “Antiulcerogenic effect of some gastrointestinally acting plant extracts and their combination,” Arzneimittel-Forschung, vol. 51, no. 7, pp. 545–553, 2001; S. Sadiq et al.,, “The renoprotective effect of aqueous extract of Carum carvi (black zeera) seeds in streptozotocin induced diabetic nephropathy in rodents,” Saudi Journal of Kidney Diseases and Transplantation, vol. 21, no. 6, pp. 1058–1065, 2010).
Come anticipato, tra i vari effetti osservati nell’uso tradizionale del cumino, è citato anche come evidente anche quello anti obesità, come confermato anche da alcune recenti evidenze scientifiche (M. Kazemipoor et al, “Safety, efficacy and metabolism of traditional medicinal plantsin the management of obesity: a review,” International Journal of Chemical Engineering and Applications, vol. 3, no. 4, pp. 288–292, 2012).
Spunti dall’articolo
Sovrappeso ed obesità rappresentano un “vero problema sociale” del mondo moderno soprattutto con stile di vita occidentalizzato.
Scorretti sili di vita ed alimentari determinano nella dieta della popolazione un’aggiunta di “calorie extra” che induce accumulo di grasso.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il peso corporeo eccessivo e l’obesità, indicati da un indice di massa corporea (BMI) superiore a 25 kg/m2, vengono oggi definiti “globesity” identificandoli come una malattia alimentare, in rapida crescita globale che incrementa il rischio di diversi problemi di salute come il diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari (CVD), disturbi muscoloscheletrici e cancro.
E’ inoltre da evidenziare che sovrappeso e obesità sono associati ad alta morbilità e mortalità, con conseguenti notevoli costi di assistenza sanitaria e altri impatti economici e sociali; dal 1980, l’obesità è quasi raddoppiata in tutto il mondo ed è riconosciuta come una delle principali cause di morte. Nel 2008, oltre 1,4 miliardi di adulti, prevalentemente donne, erano sovrappeso o obesi.
I soggetti sovrappeso ed obesi sono soggetti ad una mortalità superiore rispetto alle persone sottopeso e sovrappeso ed obesità sono ritenuti la quinta ragione principale di mortalità e la sesta per problemi di salute a livello globale; pertanto la gestione dell’obesità si profila come una necessità di salute pubblica (World Health Organization, “Obesity: preventing and managing the global epidemic,” WHO Technical Report Series 894, 2000; S. B. Wyatt et al, “Overweight andobesity: prevalence, consequences, and causes of a growing public health problem,” American Journal of the Medical Sciences, vol. 331, no. 4, pp. 166–174, 2006).
L’obesità è associata a più fattori macro e micro ambientali ed è gestibile attraverso diversi approcci, comprese le piante medicinali, i farmaci di sintesi e la chirurgia. Tra questi possibili interventi l’uso delle piante medicinali è sempre più popolare e preferibile rispetto ai metodi farmacologici convenzionali (M. Kazemipoor et al, “Safety, efficacy and metabolism of traditional medicinal plantsin the management of obesity: a review,” International Journalof Chemical Engineering and Applications, vol. 3, no. 4, pp. 288–292, 2012; E. Ernst, “Harmless herbs? A review of the recent literature,” American Journal of Medicine, vol. 104, no. 2, pp. 170–178, 1998).
Antiche tradizioni mediche di varie parti del mondo (es.: Persia, India, Cina) hanno da sempre sfruttato il prezioso patrimonio curativo individuato nella vegetazione locale. In generale l’uso di piante medicinali è legato ad una serie di potenziali vantaggi come accessibilità, sicurezza, efficacia, convenienza, affidabilità, accettabilità, con effetti collaterali minori e costi più bassi rispetto all’impiego di farmaci convenzionali (H. Jouad et al, “Ethnobotanical survey of medicinal plants used forthe treatment of diabetes, cardiac and renal diseases in thenorth centre region of Morocco (Fez-Boulemane),” Journal ofEthnopharmacology, vol. 77, no. 2-3, pp. 175–182, 2001). Le piante medicinali rappresentano inoltre una fonte medicamentosa, di potenziale biologico e di effetti farmacologici, spontaneamente disponibile in natura e sono facili da utilizzare, mentre esistono ancora dubbi, ad esempio, sul trattamento dell’obesità attraverso modalità invasiva chirurgica (W. S. Yancy Jr. et al, “A low-carbohydrate, ketogenic diet versus a low-fat diet to treat obesity and hyperlipidemia: a randomized, controlled trial,” Annals of InternalMedicine, vol. 140, no. 10, pp. 769–777, 2004).
Stante la premessa che per prevenire e curare sovrappeso ed obesità sia necessaria una alimentazione corretta ed un corretto stile di vita (es.: una fisiologica attività fisica quotidiana) la gestione del peso corporeo oggi può essere affrontata con moderni approcci multidisciplinari tra i quali vengono anche sfruttati gli effetti, spesso unici, delle piante medicinali.
I costituenti fitochimici specifici presenti nelle piante medicinali possono aiutare a regolare il peso e il grasso corporeo attraverso modificazioni a livello molecolare di più vie metaboliche coinvolte ad esempio in adipogenesi e lipolisi (S. Rayalam et al, “Phytochemicals and regulation of the adipocyte life cycle,” The Journal of Nutritional Biochemistry, vol. 19, no. 11, pp. 717–726, 2008); le piante medicinali in generale, nella gestione della malattia, sono in grado di esercitare più effetti contemporaneamente attraverso meccanismi farmacologici multipli.
Il cumino (Carum carvi L.) è una potente pianta medicinale che viene tradizionalmente usata per il trattamento dell’obesità.
Scopo dello studio clinico che presentiamo e che è randomizzato, in triplo cieco, controllato con placebo è stato quello di indagare gli effetti “weightlowering” di un estratto di cumino (CE), in aggiunta all’esercizio fisico, in donne sovrappeso ed obese.
70 donne, in buona salute, in sovrappeso ed obese, sottoposte a tre ore di attività aerobica settimanale, sono state divise in due gruppi (35 per il gruppo trattato e 35 nel gruppo placebo) ed hanno ricevuto per tre mesi 30 ml/die di un estratto di cumino o di placebo senza modificare dieta o attività fisica. Al basale e dopo 90 giorni sono stati valutati i cambiamenti nella composizione corporea, negli indici antropometrici, nei parametri clinici e nelle variabili para cliniche.
Al termine dei tre mesi di trattamento nel gruppo trattato (CE) è stata osservata una perdita di peso significativa nel gruppo trattato mentre il peso medio nel gruppo placebo è aumentato (perdita di peso a tre mesi: 72.77 ± 10.84 gruppo placebo, 75.0 ± 12.24, gruppo trattato, p < 0.01); la riduzione dell’indice BMI è risultata maggiore e statisticamente significativa (p < 0.01) nel gruppo trattato (29.85 ± 4.70) rispetto al gruppo placebo (28.50 ± 2.80); la riduzione della percentuale del grasso corporeo (Body Fat) è risultata maggiore e statisticamente significativa (p < 0.01) nel gruppo trattato (34.74 ± 3.74 ) rispetto al gruppo placebo (34.04 ± 2.47); la percentuale di massa muscolare ha mostrato un incremento significativo (p < 0.01) nel gruppo trattato rispetto al gruppo placebo. La riduzione (in centimetri) degli indici antropometrici (WC=Waist circumference) e WHR= Waist-to-hip ratio) è stata osservata in entrambi i gruppi, tuttavia si è dimostrata statisticamente significativa (p < 0.01) solo nel gruppo trattato (91.21 ± 7.90 gruppo placebo; 89.78 ± 8.64 gruppo trattato). Secondo i risultati dello studio, l’estratto di cumino ha mostrato una maggiore efficacia rispetto al placebo nella misurazione di ciascun “outcome” primario.
Al termine dello studio il gruppo trattato con l’estratto di cumino ha evidenziato una significativa riduzione del peso corporeo, di indice BMI, della percentuale di grasso corporeo e del rapporto vita-fianchi senza cambiamenti del profilo lipidico, del peso specifico delle urine e della pressione sanguigna. I risultati dello studio suggeriscono che, nelle donne con necessità di gestione del peso corporeo, una supplementazione integrativa di un estratto di cumino, in combinazione con l’esercizio fisico, senza restrizioni nella dieta, ha un effetto positivo nella riduzione del peso corporeo, dell’indice BMI, della percentuale del grasso corporeo e delle dimensioni corporee, senza variazioni dei parametri clinici; lo studio suggerisce, in sintesi, un possibile approccio fitoterapico con l’estratto di cumino nella gestione di obesità.
Diversi studi precedenti a quello presentato hanno indicato una correlazione tra un moderato consumo di cumino ed una minore incidenza di diabete, dislipidemia, ipertensione, disfunzione epatica, squilibrio dell’ormone riproduttivo, osteoporosi, cancro gastrointestinale e malattie infiammatorie intestinali (R. K. Johri, “Cuminum cyminum and Carum carvi: an update,” Pharmacognosy Reviews, vol. 5, no. 9, pp. 63–72, 2011; A. Sadowska et al, “Pharmacological uses and toxicology of caraway,” in Caraway:The Genus Carum, ´E. N´emeth, Ed., pp. 165–174, HarwoodAcademic, Amsterdam,The Netherland, 1998).; altri studi hanno indicato gli effetti epatoprotettivi e di sicurezza ed eccellente tollerabilità del cumino sia in prodotti farmaceutici sia alimentari (A. Sadowska et al, “Pharmacological uses and toxicology of caraway,” in Caraway:The Genus Carum, ´E. N´emeth, Ed., pp. 165–174, HarwoodAcademic, Amsterdam,The Netherland, 1998; I. Samojlik et al, “Antioxidant and hepatoprotective potential of essential oils of coriander (Coriandrum sativum L.) and Caraway (Carum carvi L.) (Apiaceae),” Journal of Agricultural andFood Chemistry, vol. 58, no. 15, pp. 8848–8853, 2010).
I risultati dello studio clinico proposto nella newsletter sono coerenti con quelli di uno studio precedente, nel modello animale, che ha dimostrato un plausibile effetto antiobesità del cumino con meccanismo “multi targeted”, attraverso le capacità dell’officinale di modificare le espressioni geniche associate all’infiammazione e all’adipogenesi (S. Cho et al, “Carvacrol prevents dietinduced obesity by modulating gene expressions involved in adipogenesis and inflammation in mice fed with high-fat diet,” The Journal of Nutritional Biochemistry, vol. 23, no. 2, pp. 192– 201, 2012.). Tra i numerosi studi disponibili, due studi in particolare hanno riportato gli effetti terapeutici del cumino in diverse malattie come il diabete mellito, la malattia cardiovascolare (CVD) e l’ipertensione, che sono note come complicanze comuni dell’obesità (M. Eddouks et al,, “Caraway and caper: potential anti-hyperglycaemic plants in diabetic rats,” Journal of Ethnopharmacology, vol. 94, no. 1, pp. 143–148, 2004.37-39; A. Tahraoui, et al, “Ethnopharmacological survey of plants used in the traditional treatment of hypertension and diabetes in south-eastern Morocco “,Evidence-Based Complementary and Alternative Medicine (Errachidia province),” Journal of Ethnopharmacology, vol. 110, no. 1, pp. 105–117, 2007).
Secondo i risultati dello studio la capacità del cumino di ridurre peso e grasso corporeo sarebbe direttamente correlato con gli effetti anti-microbici di alcuni componenti dell’officinale come il carvacrolo (polifenolo) e gli acidi grassi insaturi (UFA) (B. Laribi et al, “Essential oils and fatty acids composition of Tunisian, Germanand Egyptian caraway (Carum carvi L.) seed ecotypes: acomparative study,” Industrial Crops and Products, vol. 41, pp.312–318, 2013); si ritiene che questi composti bioattivi possano bilanciare la microflora intestinale (Gut Microbiota) che risulta coinvolta nella digestione degli alimenti e nell’assorbimento che contribuiscono all’omoeostasi intestinale (K. H. C. Baser, “Biological and pharmacological activities of carvacrol and carvacrol bearing essential oils,” Current Pharmaceutical Design, vol. 14, no. 29, pp. 3106–3119, 2008); Gut Microbiota modula l’espressione genica nel corpo umano coinvolgendo la fisiologia e il metabolismo dell’ospite, come i meccanismi coinvolti nel problema dell’obesità (F. B¨ackhed, “Programming of host metabolism by the gut microbiota,” Annals of Nutrition and Metabolism, vol. 58, no. 2, pp. 44–52, 2011).
Come già dimostrato il carvacrolo e gli UFA contribuirebbero ad inibire la crescita di batteri patogeni a favore della proliferazione dei commensali positivi. (J. Michiels et al, “In vitro dose-response of carvacrol, thymol, eugenol and trans-cinnamaldehyde and interaction of combinations for the antimicrobial activity against the pig gut flora,” Livestock Science, vol. 109, no. 1–3, pp. 157–160, 2007; R. K.Upreti et al, “Alterations in rat gut bacteria and intestinal epithelial cells following experimental exposure of antimicrobials,” FEMS Immunology & Medical Microbiology, vol. 54, no. 1, pp. 60–69, 2008).
Sempre secondo lo studio in questo processo, i bioattivi del cumino probabilmente modificano Gut Microbiota attraverso l’attivazione dell’espressione di alcuni geni specifici coinvolti nel metabolismo dei lipidi e che inibiscono l’infiammazione e adipogenesi (S. Cho et al, “Carvacrol prevents dietinduced obesity by modulating gene expressions involved in adipogenesis and inflammation in mice fed with high-fat diet,” The Journal of Nutritional Biochemistry, vol. 23, no. 2, pp. 192– 201, 2012; Y. B. Lombardo et al, “Effects of dietary polyunsaturatedn-3 fatty acids on dyslipidemia and insulin resistance in rodents and humans. A review,” The Journal of Nutritional Biochemistry, vol. 17, no. 1, pp. 1–13, 2006.).
L’attività del cumino nell’equilibrare il Gut Microbiota inibirebbe l’infiltrazione di macrofagi nei tessuti obesi adiposi inoltre inibirebbe la conversione dei preadipociti in adipociti maturi, prevenendo così la differenziazione degli adipociti e contrastando adipogenesi (P. D. Cani et al, “The gut microbiome as therapeutictarget,” Pharmacology and Therapeutics, vol. 130, no. 2,pp. 202–212, 2011).
Come noto gli UFA migliorano l’ossidazione degli acidi grassi portando a lipolisi e perdita di grasso (A. Iyer et al, “Inflammatory lipid mediators in adipocyte functionand obesity,” Nature Reviews Endocrinology, vol. 6, no. 2, pp. 71–82, 2010; N. S. Kalupahana et al, “(n-3) fatty acids alleviate adipose tissue inflammation and insulin resistance: mechanistic insights,” Advances in Nutrition, vol. 2, no. 4, pp. 304–316, 2011).
In diversi altri studi è stato dimostrato che i costituenti del cumino stimolano anche l’apoptosi nei pre-adipociti grazie alla loro attività antiossidante e riducono la massa del tessuto adiposo prevenendo l’adipogenesi e migliorando la lipolisi negli adipociti (S. Rayalam et al, “Phytochemicals and regulation of the adipocyte life cycle,” The Journal of Nutritional Biochemistry, vol. 19, no. 11, pp. 717–726, 2008; C.-L. Hsu et al, “Effects of flavonoids and phenolic acids on the inhibition of adipogenesis in 3T3-L1 adipocytes,” Journal of Agricultural and Food Chemistry, vol. 55, no. 21, pp. 8404–8410, 2007; C.-L. Hsu et al,, “Phenolic compounds: evidence for inhibitory effects against obesity and their underlying molecular signaling mechanisms,”Molecular Nutrition & Food Research, vol. 52, no. 1, pp. 53–61, 2008).
Durante lo studio nei due gruppi di trattamento non sono state osservate variazioni idriche corporee, mentre sono state osservate una riduzione di peso corporeo e di massa grassa ed un incremento di massa muscolare. Il fatto che anche nel gruppo placebo siano state osservate variazioni significative nella composizione corporea indica che l’esercizio fisico non ha avuto alcun effetto interferente e/o sinergico sugli effetti di peso e di grasso; questa osservazione implicherebbe che i positivi cambiamenti della composizione corporea osservati nel gruppo trattato con cumino dipenderebbe dai componenti bioattivi dello stesso anche se è riconosciuto che anche nel gruppo trattato esiste probabilmente un effetto anche dell’esercizio sulla riduzione di peso e sulla riduzione di grasso.
Lo studio suggerisce che i bio prodotti formati durante la lipolisi vengano convertiti in massa muscolare grazie all’attività fisica, coerentemente con gli adattamenti fisiologici all’esercizio, riducendo la massa grassa e favorendo l’aumento della massa magra. (L. B. Panton et al, “Nutritional supplementation of the leucine metabolite -hydroxy– methylbutyrate (HMB) during resistance training,” Nutrition, vol. 16, no. 9, pp. 734–739, 2000; S. L. Nissen et al, “Effect of dietary supplements on lean mass and strength gains with resistance exercise: a metaanalysis,” Journal of Applied Physiology, vol. 94, no. 2, pp. 651– 659, 2003).
Pur nel riconoscimento dei suoi limiti lo studio presentato è uno dei pochi disponibili sulla matrice umana nella valutazione degli effetti della supplementazione di cumino sulla composizione corporea e sugli indici antropometrici (sovrappeso ed obesità), in combinazione con un programma di esercizi fisici senza variazioni della dieta; il disegno dello studio in triplo cieco avvalora l’accuratezza dei risultati e riduce il potenziale pregiudizio nella valutazione dei risultati.
Durante lo studio nel gruppo trattato non sono stati osservati importanti avventi avversi avvalorando le tradizionali conoscenze sull’ottima tollerabilità del cumino e delle sue forme estrattive.
Le conclusioni dello studio indicano il potenziale ruolo dei bioattivi del cumino nella gestione del peso corporeo facendo ipotizzare che gli effetti “weightlowering” dell’officinale derivino da un effetto prebiotico indiretto nell’intestino attraverso il bilanciamento della crescita del suo Gut Microbiota. In un approccio dietologico sostenibile l’assunzione di cumino, anche in forme estrattive farmaceutiche, dovrebbe essere associata ad idonea attività fisica e a uno stile di vita sano e continuativo.
Newsletter Ayurveda nr. 46 – Settembre 2018
Newsletter n° «46»
Settembre 2018
FOCUS TAILAM
“Asparagus racemosus” in Mahanarayana Taila
WORLD JOURNAL OF PHARMACY AND PHARMACEUTICAL SCIENCES (SJIF 7.421)
Volume 7, Issue 8, 202-210 (2018)
SHATAVARI (ASPARAGUS RACEMOSUS) A AYURVEDIC DRUG REVIEW
PB, V. G., Huded, S., Pai, S., & Apoorva, J. M.
Mahanarayana Taila
Mahanarayana Taila rappresenta uno dei più classici oli tradizionali ayurvedici notoriamente utile per la pacificazione di Vata. La formulazione di questo taila è citata anche in Bhaishajya Ratnavali ed in esso, con l’olio di sesamo, sono miscelate fino a 27 pregiate erbe officinali tra le quali prevale l’Asparagus racemosus Willd. che è noto tradizionalmente come “Shatavari”. La pianta Shatavari viene anche chiamata “Narayani” dal nome appunto della famosa preparazione dell’olio Narayana. L’olio Mahanarayana, rappresenta una forma più potenziata e complessa di questo importante Taila. “Maha” infatti significa grande.
Ad Asparagus racemosus è dedicata questa newsletter con l’intento di sintetizzarne una generale conoscenza ed il complesso profilo farmacologico. L’articolo proposto propone una sintesi dell’inquadramento ayurvedico di Shatavari.
Shatavari in Mahanarayana
La traduzione del termine sanscrito Shatavari, come noto in ambiente Ayurvedico, significherebbe “Colei che possiede cento mariti” riconducendo prevalentemente la traduzione a valenze dell’officinale immunomodulanti, ormone regolatrici, antiossidanti, tonico nervine, antidepressive, antispasmodiche a sostegno di vigoria, giovinezza e buona salute soprattutto femminile tuttavia Asparagus racemosus offre molteplici altre proprietà molto utili per finalità medicamentose.
Asparagus racemosus è apprezzato sin dall’antichità in più culture tradizionali per molteplici proprietà medicinali tra le quali prevalgono quelle toniche e ringiovanenti (Rasayana in Ayurveda); già in Atharvana veda si trova menzione delle molteplici azioni della droga citata anche con i sinonimi “Shatavirya” e “Dashavirya”; Charaka ha incluso shatavari in “balya” (sezione dedicata agli attivi promotori della forza) e “vayasthapana varga” (sezione specifica dedicata a dieci rasayana per eccellenza) ; Susrutha lo include in “vidharigandhadi” (sezione specifica di rasayana) e “kantaka panchamula” (selezione dedicata a cinque piante specifiche rasayana) e acharya kashyapa ha dedicato un intero capitolo su Shatavari in kalpasthana.
Con analogie di impiego Shatavari è citato anche nei sistemi medici Siddha ed Unani. L’uso medicinale di Asparagus racemosus è storicamente riportato nelle farmacopee indiane e britanniche attualmente occidentali.
Asparagus racemosus esercita effetti farmacologici diversi a seconda delle varie forme estrattive e a seconda della via di somministrazione: effetti galattogenici, immunomodulatori, antiossidanti, antinfiammatori antispasmodici, antitussivi, gastroprotettivi, antilitiasici, diuretici, omone – modulatori sono stati prevalentemente osservati attraverso somministrazione sistemica mentre effetti antiossidanti, antinfiammatori, antiallergici, pro cicatriziali rinfrescanti, anti-batterici, emollienti e lenitivi sono stati frequentemente osservati attraverso somministrazione topica.
Il nome botanico di Shatavari è Asparagus racemosus Willd. ed appartiene alla famiglia delle asparagaceae (liliaceae) alla quale appartengono più di 300 specie tra le quali si ricorda anche l’uso medicinale della specie “adscendes” e “ganaclades”. La specie comunemente utilizzata per scopi alimentari è invece l’Asparagus “officinalis”, che pur appartenendo alla stessa famiglia, non vanta gli stetti effetti bioattivi di Asparagus racemosus. Solo in India, dove è principalmente coltivato, sono registrate 22 diverse specie di Asparagus che è ampiamente distribuito in tutto il mondo spaziando dall’Africa tropicale fino a Giava, Australia, Sri Lanka, parti meridionali della Cina.
Asparagus racemosus cresce in regioni tropicali e subtropicali; le sue radici tuberose, lisce e affusolate alle due estremità, si presentano a forma di dito arrivando fino ad 1 metro di lunghezza. Lo stelo e le foglie sono organizzate in struttura legnosa rampicante di colore grigio biancastro o marrone con piccole spine. I gambi sono delicati e fragili. I rami della pianta assumono anche la funzione di foglia trasformandosi in struttura squamosa e spinosa (cladodi). L’infiorescenza ha piccoli fiori bianchi ed i frutti sono bacche a struttura globosa, lobata, polpose, di colore nero violaceo quando arrivano a maturazione. La pianta fiorisce tra i mesi di febbraio e marzo, lasciando una lieve fragranza nei suoi dintorni e alla fine di aprile, i frutti appaiono come decorative e vistose bacche rosse.
Secondo “Nighantukara” (botanica ayurvedica) la pianta si presenterebbe prevalentemente in due varietà, cioè “Shatavari” (Asparagus racemosus Willd.) e “Maha Shatavari” (Asparagus sarmentosus Linn.).
Nei mercati indiani come Asparagus racemosus (come Shatavari), possono essere anche commercializzate le radici di Asparagus sarmentosus Linn., di Asparagus curillus Ham., di Asparagus filicinus Ham. e Asparagus sprengeri Regel ponendo leciti interrogativi sulla qualità dei preparati che dichiarano come attivo principale l’Asparagus racemosus.
La fitochimica dell’officinale è particolarmente complessa e spiega attività farmacologiche diverse a seconda della parte della pianta che viene utilizzata (prevalentemente la radice). I principali costituenti attivi vengono comunemente chiamati Shatavarine. Nella radice essiccata si ritrovano prevalentemente steroidi e sapogenine in generale, sitosterolo, saponine specifiche A4, A5, A6, A7 e A8; nei fiori e nei frutti si ritrovano sarsapogenine rutina e iperoside; nei fiori si ritrova prevalentemente quercetina libera mentre nelle foglie diosgenina e quercetina 3- glucuronide. Nei frutti si ritrovano sitosterolo, stigmasterolo, saraspogeninsitosterorolo -B- D glucoside, stigmasterolo glucoside, saponina dispirostanolica e furostanolica oltre a sapogenine.
Secondo l’inquadramento ayurvedico le proprietà di Shatavari sono: Rasa: Madhura, Tikta; Guna: Guru, snigdha; Virya: Sheetha; Vipaka: Madhura; Doshaghnata: Vata pittagna; Rogaghnata: Kshayapaha, Grahani, Gulma, Shotha, Agnimandhya, Rakthavikara, Rakthapitta, Arshas, Artavakasaya; Karmas: Rasayana, Medhya, Pustivardhaka, Netrya, Vrisya, Balya, Atisarajit, Stanyavardhaka, Sukravardhaka, Shotahara.
Le principali formulazioni e preparati tradizionali sono: Shatavari ghrita, Shatavari Taila, Shatavari Modaka, Shatavari Mandura, Shatavaryadi Kwatha, Mahanarayana Taila, Shatavari Chinnaroohadi Kashaya, hatavaryadi Churna, Shatavari Guda.
Nei preparati Shatavari viene impiegato come droga grezza (radice), in forma di polvere micronizzata della radice, in forma di estratto secco titolato in polisaccaridi, in forma estrattiva oleosa.
Sintesi delle proprietà medicamentose
Come anticipato le proprietà medicamentose e farmacologiche di Asparagus racemosus sono molteplici e diverse tra loro e sono largamente descritte nei principali sistemi di medicina tradizionale. L’importanza medicinale di questa preziosa pianta è tale che, nella parte orientale dell’India, ha raggiunto virtù religiosa e la popolazione crede che la pianta la proteggerà dagli spiriti maligni.
Le virtù medicinali di questa pianta variano a seconda della parte della pianta utilizzata per l’estrazione e la via di somministrazione prevalentemente sistemica o topica.
Per le preparazioni si utilizzano prevalentemente le radici, dal noto sapore agro-dolce e, più raramente, i fiori e le foglie alle quali si ascrive una spiccata azione antinfiammatoria.
Secondo uso tradizionale, per via sistemica, a Shatavari vengono attribuite capacità di contrasto alla dispepsia ed alle ulcere gastriche, di stimolazione della galattogenesi a favore dell’allattamento, di stimolazione della follicogenesi a favore del concepimento, afrodisiache, antidiarroiche, ormone modulatrici, toniche nervine, adattogene, immunomodulanti, di contrasto alla calcolosi renale, diuretiche, antiossidanti, antinfiammatorie, antibatteriche, antitussive, antispasmodiche. Le generali proprietà e toniche adattogene vengono ritenute altamente specifiche in particolari situazioni come il periodo mestruale e il climaterio, in contrasto sia a sintomatologia fisica sia psico-emotiva; infatti oltre ai noti effetti “rasayana” in contrasto allo stress ossidativo ed ai processi di invecchiamento, assunto per via orale in varie forme estrattive, Shatavari si dimostra un eccezionale tonico specifico per migliorare sintomatologie depressive, irritabilità, flushing in menopausa e in analoghe sintomatologie psico-fisiche anche nel periodo mestruale contrastando irregolarità del ciclo mestruale, senso di dolenzia e gonfiore al seno, dolore pelvico. In questa sintomatologie Shatavari trova il suo razionale di impiego anche per aspetti sicurezza poiché, anche secondo recente letteratura scientifica, questi effetti ormone-modulatori escludono coinvolgimenti estrogenici diretti.
Per via topica, ed in particolare sulla cute, Shatavari esercita significativi effetti antiossidanti ed antinfiammatori, antiallergici, nutrienti, rinfrescanti, emollienti, antisettici, rigeneranti e pro cicatriziali.
Sintesi delle attività farmacologiche [monograph]
Attività antinfiammatoria ed antiallergica: le proprietà antinfiammatorie delle asparagaceae ed in particolare di Asparagus racemosus sono note nel loro più antico uso tradizionale, specialmente in India ed in Cina; questi effetti verrebbero esercitati sia attraverso la somministrazione sistemica sia attraverso la somministrazione locale. Sull’argomento esistono numerosi studi scientifici anche recenti che spiegano l’effetto antiflogistico dell’officinale; in particolare Battu G R et al, nel 2010 hanno ulteriormente concluso che, in vivo, un estratto etanolico di Asparagus racemosus esercitava un marcato effetto antinfiammatorio nell’edema acuto della zampa indotto da carragenina (massima inibizione di circa il 46%). Nello studio si riconducono gli effetti antiflogistici acuti alla presenza dei flavonoidi e di steroli (noti per effetti antinfiammatori) nel fitocomplesso suggerendo un effetto inibitorio sul rilascio di prostaglandine. Nello studio è stato osservato anche che l’estratto di Asparagus racemosus, associato all’indometacina, un potente farmaco antinfiammatorio, ne potenziava gli effetti antinfiammatori ed anti edematosi. Ancora nel 2013 Mittal et al, hanno ulteriormente confermato in vivo la capacità di Asparagus racemosus di contrastare significativamente l’infiammazione indotta da carragenina con effetti simili a quelli ottenuti con il diclofenac impiegato come farmaco di confronto. Nel 2009 Lee do Y et al, hanno valutato in modo mirato l’attività antinfiammatoria nell’infiammazione acuta e cronica della cute di Asparagus cochinchinensis (una specie molto simile all’Asparagus racemosus) concludendo che l’estratto testato è stato in grado di inibire l’edema topico nell’orecchio del topo, portando a riduzioni sostanziali dello spessore della pelle e del peso del tessuto, di produzione di citochine infiammatorie, di attività mieloperossidasi mediata dai neutrofili e di vari indicatori istopatologici. Inoltre l’estratto testato è stato efficace nel ridurre il danno infiammatorio indotto dall’esposizione cronica al TPA (antigene polipeptidicotissutale) e ha determinato una significativa inibizione della permeabilità vascolare indotta dall’acido acetico. Ulteriormente all’estratto alcolico della radice di Asparagus racemosus alla dose di 50 mg / kg p.o. viene riconosciuta attività antiallergica come evidenziato dall’inibizione di anafilassi cutanea passiva (P.P Gupta et al, 1993).
Attività antiossidante ed epatoprotettiva: gli effetti antiossidanti e pro epatici sono tra quelli storicamente più noti a spiegazione dell’utilizzo come “rasayana” di Asparagus racemosus. Un importante studio scientifico condotto da Kamat et al, nel 2000, ha concluso che estratti di Asparagus racemosus sono stati in grado di esercitare un potente effetto antiossidante anche in contrasto al danno indotto con radiazioni alla membrana mitocondriale in cellule epatiche di ratto (Kamat JP et al, 2000) e risultati analoghi sono stati confermati anche nel 2012 in una valutazione della capacità di Shatavari di ridurre nel ratto il danno epatico indotto da isoniazide con miglioramento degli enzimi epatici ALP, ALT ed AST (Palanisamy N et al, 2012).
Attività cutanea ed antibatterica: gli estratti di Asparagus Racemosus vengono tradizionalmente utilizzati per diverse problematiche cutanee sfruttandone gli effetti antiossidanti, antinfiammatori, antiallergici, antibatterici e pro cicatriziali (Kirtikar and Basu, 1975; Nadkarni et al., 1976). Diverse concentrazioni dell’estratto metanolico delle radici di Asparagus racemosus Willd. hanno mostrato una notevole efficacia antibatterica in vitro ad esempio contro Escherichia coli, Shigella dysenteriae, Shigella sonnei, Shigella flexneri, Vibrio cholerae, Salmonella typhi, Salmonella typhimurium, Pseudomonas putida, Bacillus subtilis e Staphylococcus aureus. (Mandal et al,2000).
Attività pro cicatriziale: Asparagus racemosus è stato tradizionalmente impiegato per il benessere della cute in relazione a diversi problemi di natura infiammatoria, allergica, batterica e micotica; nell’uso tradizionale tuttavia ne è stato osservata anche la capacità pro cicatriziale nella guarigione delle ferite. Uno studio condotto sull’animale nel 2011 da Prabhath K et, al, ha confermato che nel modello di ferita da escissione, Asparagus racemosus non solo aiuta nella guarigione delle ferite, ma aiuta anche nel loro rimodellamento e, nel modello di ferita da incisione, l’officinale ha anche determinato un ‘aumento della resistenza a trazione della pelle.
Gli effetti evidenziati nello studio vengono ricondotti alla capacità di Asparagus racemosus di incrementare i livelli di IL-1 e TNF che a loro volta stimolano l’attività dei fibroblasti e l’attività delle collagenasi.
La capacità di Asparagus racemosus di velocizzare i tempi di cicatrizzazione delle ferite deriverebbe dalla sua capacità di modulare la produzione di interleuchina-8 (una alfa-chemochina infiammatoria che influenza la funzione ed il reclutamento di varie cellule infiammatorie, fibroblasti e cheratinociti) che, come è noto, è responsabile di mediazione giunzionale nei fibroblasti e induce una maturazione più rapida del tessuto di granulazione. Per questi motivi l’estratto acquoso di Asparagus racemosus aumenterebbe la proliferazione cellulare e la sintesi del collagene nel sito della ferita come evidenziato dall’aumento di resistenza a rottura della ferita da incisione. Complessivamente Asparagus racemous non solo aiuta nella guarigione delle ferite ma aiuta anche il rimodellamento delle stesse come dimostrato per altri antiossidanti da Michel e Fredrickson nel 1990; più nello specifico, nella ferita da escissione, l’estratto di Asparagus racemosus ha determinato una guarigione più rapida rispetto al gruppo di controllo.
Gli effetti pro cicatriziali di Asparagus racemosus potrebbero essere anche di utilità nel trattamento delle ulcere croniche non cicatrizzanti anche per motivi di economicità e per eccellente tollerabilità; gli effetti antiossidanti, immunomodulatori dell’officinale potrebbero far prendere in considerazione l’uso dello stesso nella prevenzione o nel trattamento delle ulcere nei pazienti diabetici.
Azione sul sistema nervoso centrale: Asparagus racemosus dimostra una certa azione antidepressiva valutata con test specifici nell’animale indicando una capacità dell’officinale di migliorare la generale modulazione serotoninergica senza induzione di iperattività (Ojha R, et al, 2010) e facendo anche ipotizzare una capacità dell’officinale di inibire l’espressione dele MAO-A e delle MAO-B, in confronto anche ad alcuni farmaci (Moclobimide e selegelina) pur in misura inferiore. Asparagus Racemosus possiede probabili effetti anti-depressivi, ma, per questo utilizzo, sono necessari ulteriori studi per verificarne la potenza d’effetto sull’uomo.
A dosaggi relativamente bassi (tra 50 e 200 mg / kg) Asparagus racemosus dimostra effetti pro-cognitivi dose dipendenti attraverso una molto probabile modulazione del sistema colinergico per inibizione dell’enzima acetilcolinesterasi (Meena J, et al, 2011) oltre a dimostrare anche una capacità di migliorare i parametri di memoria spaziale in modo simile al piracetam (500mg / kg) utilizzato come farmaco di riferimento (Ojha R et al, 2010); sulla base delle attuali evidenze Asparagus racemosus sembra avere proprietà nootropiche a dosi relativamente basse, attraverso l’inibizione dell’acetilcolinesterasi.
Gli effetti anti stress di shatavari sono stati dimostrati nel modello animale in test di stress indotto fisicamente e chimicamente in relazione alla capacità del fitocomplesso di ridurre i livelli di corticosterone anche in confronto con diazepam come farmaco di riferimento e con altri officinali come Panax ginseng e Ashawagandha rispetto al quale Asparagus racemosus si è dimostrato più efficace solo a partire da dosaggi di 400 mg/kg. (Joshi T et al, 2012; Kanwar AS et al, 2012; Pahwa P et al, 2016; Garabadu D e al, 2014).
Azione sul metabolismo degli zuccheri: nel modello animale la somministrazione orale (1250mg / kg) di un estratto etanolico di Asparagus racemosus unitamente a carboidrati sembra ridurre l’assorbimento intestinale del glucosio con un’inibizione di circa il 25 % dell’attività delle sucrasi (Hannan JM et al, 2011; Singh N et al, 2014) inoltre sempre Hannan nel 2011 ha concluso che l’estratto etanolico di Asparagus racemosus è stato in grado di incrementare l’assorbimento di glucosio negli adipociti incrementando in due mesi i livelli di insulina del 30 % facendo ipotizzare possibili effetti dell’officinale anche diretti sulle beta-cellule pancreatiche.
Modulazione immunitaria ed adattogena: gli estratti di Asparagus sembrano migliorare l’immunità antigene specifica incrementando globalmente la percentuale di cellule T in termini di positiva espressione di CD3 + e CD4 + / CD8 +, in modo dose dipendente (Gautam M et al, 2004) confrontando l’officinale con il levamisolo, utilizzato come farmaco di riferimento, rispetto al quale si è dimostrato meno potente ; nel 2011 Sidiq T et al hanno concluso che una sarsapogenina glicosidica mediamente in 28 giorni ha migliorato l’efficacia della risposta anticorpale (HBsAg) rispetto al controllo attivo di sali di alluminio. A dosaggi relativamente bassi l’immunoside ha incrementato la proliferazione splenocitaria del 43%, 72% e 158%, mentre l’ossido di alluminio solo del 24%. Il dosaggio di 30mcg / ml di immunoside si è dimostrato significativamente superiore al controllo nello stimolare la proliferazione di CD3, CD19, e CD4 / CD8. Come Panax ginseng, Asparagus racemosus può migliorare la risposta dell’organismo agli antigeni, suggerendo un potenziale razionale di terapia aggiuntiva alla vaccinazione (Gautam M et al,2009; Sidiq T et al,2011; Sharma P et al,2011; Pise MV et al, 2015; Thakur M et al, 2012). Nel 2012 sempre Thakur M et al hanno concluso che un estratto acquoso di Asparagus racemosus, in colture di cellule mononucleate del sangue periferico, è stato in grado di migliorare i livelli di picco delle cellule Natural Killer (NK) rispetto ai frutto-oligosaccaridi utilizzati come controllo. Asparagus racemosus dimostra una apprezzabile capacità di migliorare i livelli di cellule NK già a concentrazioni che possono essere biologicamente interessanti (Thakur M et al, 2012; Pise MV et al, 2015; Patil D et al, 2014).
Modulazione ormonale: secondo l’uso tradizionale e la recente letteratura scientifica Asparagus Racemosus è noto come fonte di fitoestrogeni come valutato anche in un formula polierbale sugli effetti uterotropici. Secondo gli studi di Thompson LU et A (1991) e Horn-Ross PL et Al (2000), la famiglia delle asparagaceae sembra avere un certo contenuto del lignano secoisolariciresinolo (fitoestrogeno antiossidante) e la sua forma diglucoside mostra effetti estrogenici ; per questo motivo si è ritenuto che Asparagus racemosus, non rappresentando un genere genomicamente diverso, e per appartenenza alla famiglia delle Asparagaceae, potesse avere effetti simil-estrogenici. Secondo l’attuale letteratura scientifica non esiste alcuna prova che ricolleghi Asparagus racemosus ad effetti estrogenici diretti. I dati attualmente disponibili sono insufficienti per ipotizzare un’implicazione di Asparagus racemosus nell’aumento di estrogeni (Gopumadhavan et al, 2005; Thompson LU et al, 1991; Tou JC et al, 1998; Horn-Ross PL et al, 2000; Patil D et al, 2014). Nel 2011 Thakur M et Al hanno concluso che un estratto acquoso di Asparagus racemosus, somministrato ai ratti maschi, è stato in grado di incrementare leggermente le dimensioni del testicolo (6,8%), probabilmente per effetti secondari determinanti un aumento della spermatogenesi; nel 2009 in un altro studio gli stessi autori avevano concluso che estratti di Asparagus racemosus avevano incrementato l’attrazione dei ratti maschi verso i ratti femmina in misura doppia nel gruppo trattato nei confronti del gruppo non trattato con risultati simili a quelli ottenuti con Curculigo orchioides e leggermente inferiori rispetto a Chlorophytum borivilianum; in questo studio tuttavia tutti e tre gli officinali sono risultati superiori a 0.5mg / kg di testosterone iniettato due volte alla settimana determinando significativi miglioramenti delle prestazioni sessuali. Asparagus racemosus sembra possedere proprietà afrodisiache (Thakur M et al,2011; Thakur M et al,2009).
Effetti gastro-intestinali: diversi studi sull’animale hanno confermato l’uso tradizionale di asparagus racemosus nel ridurre le ulcere gastriche indotte da stress e da farmaci (indometacina) concludendo che 100 mg / kg di estratto di Asparagus Racemosus mostravano effetti di riduzione del secrezione acida gastrica, con un effetto protettivo simile a 30 mg / kg di ranitidina cloridrato (Bhatnagar et al,2005; Bhatnagar et al, 2006); un lavoro scientifico precedente aveva indicato l’effetto protettivo di Asparagus racemosus su diversi tipi di ulcere indotte chimicamente ; lo studio aveva indicato che l’estratto di Asparagus racemosus, a 100 mg/kg, dimostrava effetti protettivi sull’11 % delle ulcere indotte da alcool, sul 85.3 % delle ulcere indotte da cisteamina, sul 75.1 % delle ulcere indotte da acido acetil salicilico e sul 93.6 % delle ulcere indotte da legatura pilorica (Sairam K et al,2003). In tutte le situazioni l’effetto gastro protettivo di Asparagus racemosus si è dimostrato dose-dipendente e superiore al sucralfato, al dosaggio di 250mg/kg, utilizzato come farmaco di controllo. Asparagus racemosus sembra dimostrare una moderata azione antiulcera ad eccezione dei casi alcool-dipendenti. Nel 2005 Venkatesan N et al avevano valutato l’effetto di vari estratti (acquosi ed etanolici) di Asparagus racemosus sulla motilità intestinale concludendo che diversi dosaggi degli estratti in questione dimostravano buona capacità antidiarroica, simile a quelli dell’atropina, riducendo la durata degli effetti dell’olio di ricino, usato per indurre la diarrea. Asparagus racemosus dimostra effetti antidiarroici e di rallentamento del transito intestinale (Venkatesan N et al, 2005).
Effetti galattogeni: tra gli utilizzi più antichi di Asparagus racemosus si annovera quello di stimolatore della galattogenesi a favore dell’allattamento. Questi effetti sono stati dimostrati anche sulla matrice umana da diversi studi anche recentemente; in particolare nel 2012 Forinash AB et al hanno ulteriormente concluso che Asparagus Racemosus è una delle poche erbe che può influenzare positivamente l’allattamento così come il fieno greco e il cardo mariano (Forinash AB et al,2012; Sharma S et al,1996).
Effetti sulla vescica ed urinari: diversi studi scientifici hanno dimostrato nel corso anche degli ultimi anni che estratti di Asparagus racemosus, tuttavia a dosaggi molto elevati, esercitano effetti protettivi contro i calcoli renali (Jagannath N et al, 2012) anche nel modello di induzione della calcolosi renale con glicole etilenico (Christina AJ et al, 2005). Asparagus racemosus può ridurre la formazione di calcoli renali, anche se non ne è nota la rilevanza pratica. Diversi altri studi hanno confermato l’uso tradizionale di asparagus racemosus come diuretico; nel 1969 (Gaitondé BB et al,1969) ed ancora nel 2010 (Kumar MC et al,2010) si è dimostrato che dosaggi multipli di estratti di asparagus racemosus hanno esercitato effetto diuretico con il miglior effetto al dosaggio di 3200 mg/kg che ha incrementato la produzione di urina nel 36.8 % in confronto alla furosemide usata come farmaco di controllo. Asparagus racemosus possiede un effetto diuretico, significativo a dosaggi elevati. Sull’apparato renale è stato osservato che un estratto etanolico di Asparagus racemosus, somministrato per 4 settimane, dopo aver indotto il diabete nel ratto con streptozotocina, dimostra moderati effetti protettivi sui reni, riducendo gli eventi avversi correlati con l’attività dei marcatori ossidativi (enzimi MDA,) e la creatinina (Somania R et Aa, 2012). In un altro studio condotto sulla calcolosi urinaria un estratto di asparagus racemosus ad elevati dosaggi, ha evidenziato un effetto nefroprotettivo correlato con una riduzione significativa dei livelli di creatinina ed un miglioramento del quadro istologico (Jagannath N, et al,2012).
Dati tossicologici: in generale le forme estrattive di Asparagus racemosus si dimostrano sicure e ben tollerate; nel modello sperimentale animale, dosaggi fino a 2500 mg/kg di estratto acquoso e 2000 mg/kg di estratto etanolico appaiono ben tollerati. (Goel RK et al,2006)
A cura della direzione scientifica di Benefica
WORLD JOURNAL OF PHARMACY AND PHARMACEUTICAL SCIENCES (SJIF 7.421)
Volume 7, Issue 8, 202-210
SHATAVARI (ASPARAGUS RACEMOSUS) A AYURVEDIC DRUG REVIEW
Dr. Veerabhadra Gowda P. B.1, Dr. Shivaprasd Huded 2, Dr. Satish Pai 3 and Dr. Apoorva J. M. 4
Author information:
(1, 4) PG Scholar, Department of Dravyaguna, JSSAMC, Mysuru.
(2) Professor, Department of Dravyaguna, JSSAMC, Mysuru.
(3) Reader and HOD, Department of Dravyaguna, JSSAMC, Mysuru.
ABSTRACT
Ayurveda is an ancient and the oldest medical system in the world. Dating back almost 5000 years, it is also considered to be an ancient science of healing that enhances longevity. Herbal medicines are considered to be safe and efficient and have lesser side effects which made it to increase its consumption all over the world. It has been found that the consumption of herbal medicine has been increased by 80% all over the world. Asparagus racemosa is commonly called as Shatavari is one of the important drug in Ayurveda. Roots are the active part of the plant and is found to have many pharmacological activities like Antidepressant activity, Hepato protective Activity, Anti-diarrheal Activity, Antitussive activity, This article is itended to provide the complete information about the drug Shatavari.
ISSN: 2278-4357
Newsletter Fitoterapia nr. 37 – Settembre 2018
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Seminario di Formazione – Roma 28 Settembre 2018
“Il corpo intero è fatto di sostanze oleose e tutta la vita dipende da esse ”
(Suśruta Samhita – Ci. cap. XXXI)
Benefica prosegue la propria attività di supporto e formazione proponendo ai Sigg. Operatori Ayurvedici una giornata di studio teorico-pratico per l’approfondimento e la conoscenza dei vari Taila (oli medicati), delle loro molteplici applicazioni e del corretto utilizzo secondo la tradizione classica ayurvedica.
Seminario
TAILA MEDICATI
E LORO UTILIZZO IN AYURVEDA
Venerdì 28 Settembre 2018
(dalle ore 10.00 alle ore 17.00)
Roma (Eur) – Viale dell’Oceano Pacifico, 153
– HOTEL NOVOTEL ROMA EUR –
Relatore: CARMEN TOSTO
PROGRAMMA
– Taila medicati, referenze e classificazione secondo i testi classici dell’Ayurveda
– Studio teorico sul metodo base di preparazione di un olio medicato
– Osservazione ed analisi di alcuni fra i più importanti ed utilizzati oli ayurvedici per il corpo e per la testa (fra i taila esaminati: Dhanwantaram, Ksheerabala, Eladi, Pinda, Brahmi, Murivenna, Kumkumadi, etc.)
– Analisi di alcune erbe e composizioni classiche degli oli ayurvedici tradizionali
– Conoscenza pratica, percorso olfattivo ed osservazione diretta secondo i Guna
– Taila speciali per trattamenti specifici
– Criteri di scelta ed utilizzazione secondo i vari trattamenti ayurvedici nella logica di Guna e Dosha
– Criteri di osservazione e valutazione di un olio ayurvedico
– Regole base nell’utilizzo di un olio ayurvedico
– Come leggere le etichette e le informazioni riportate sulle confezioni
A CHI SI RIVOLGE
Il seminario è rivolto a tutti gli addetti al settore, ai professionisti e agli studenti di Ayurveda che intendono approfondire le conoscenze e gli utilizzi appropriati dei Taila Medicati nel massaggio ayurvedico.
Si ritiene necessaria una conoscenza ayurvedica di base per comprendere e seguire interamente lo svolgimento del Seminario, al termine del quale verrà rilasciato regolare Attestato di Partecipazione.
ORARIO E LOCAZIONE
Lo svolgimento è previsto nella mattinata dalle ore 10.00 alle 13.00 e nel pomeriggio dalle ore 14.00 alle 17.00 presso la Sala Conferenze del:
– Hotel Novotel Roma Eur – sito in Via dell’Oceano Pacifico n. 153 a Roma
– mappa –
ISCRIZIONE
Il corso è a numero chiuso ed il termine ultimo per l’iscrizione è fissato nella data del 20 Settembre 2018.
Per partecipare al seminario “Taila Medicati e loro utilizzo in Ayurveda” è necessario:
– compilare l’apposito “Modulo di Iscrizione”
– versare la quota d’iscrizione con Bonifico Bancario
– spedire copia del Modulo di Iscrizione e del Bonifico effettuato al fax 030.3388280 oppure inviare le relative scansioni alla mail eventi@benefica.it
N.B. al ricevimento della documentazione invieremo e-mail di conferma.
QUOTA DI ISCRIZIONE
Il contributo al Seminario è di € 100,00 (IVA inclusa)
e comprende un “Buono Spesa” di € 50,00 per l’acquisto di prodotti della linea Benefica, utilizzabile entro il 31.12.2018
Versare la quota d’iscrizione tramite Bonifico Bancario a:
Benefica – Concessionaria Italia – Banco Popolare
COD. IBAN: IT29C 05034 11200 00000 0002059
In caso di disdetta è previsto un rimborso totale della quota versata solo se la comunicazione avviene entro il 25 Settembre 2018 a mezzo fax o email. Oltre tale data, ed in caso di mancata presenza, la quota sarà trattenuta interamente a copertura delle spese.
IL RELATORE
CARMEN TOSTO Vice Direttore della Scuola di Medicina Ayurvedica “Ayurvedic Point” (Certificata ISO 9001) e Direttore del Corso per Terapisti Ayurveda della Scuola stessa. Terapista Ayurveda (SNA Oushadashala, Thrissur, India e IJCA Joytinat International College of Ayurveda), Insegnante Yoga (Ist. Yoga M.o C. Patrian Milano e Surya Chandra MargaM.a G. Cella Al Chamali Piacenza).
Il suo interesse principale è l’integrazione dello Yoga e dell’ Ayurveda nella pratica medica e l’ applicazione clinica della Terapia del Panchakarma.
Ha partecipato a vari Congressi ed è autrice di numerose pubblicazioni su Ayurveda e Yoga, attualmente dirige il Settore Trattamenti del Centro di Medicina Ayurvedica “Ayurvedic Point” a Milano.
Ideatrice del progetto AYT (Ayurveda Yoga Therapy)
Ideatrice del metodo PMT (Prana Marma Therapy)
Nel suo percorso di studi ha seguito anche Corsi di Specializzazione in Aromaterapia, Marma Therapy (con Vaidya Atreya Smith), Antiginnastica (met. Bertherat), Massaggio al Neonato (diploma A.I.M. e IJCA of Ayurveda).
Nel 2003 è stata insignita del Titolo Onorario di “Ayurveda Acharya” (Maestro in Ayurveda) rilasciato dall’ Ayurvedic Institute Ashtavaidyan Thaikat Moss – Kerala – India.
Docente di Ayurveda al Master “Sistemi Sanitari, Medicine Tradizionali e Non Convenzionali” Università di Milano – Bicocca.
Docente di Ayurveda presso l’European Academy of Ayurveda – Birstein Germania.
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Newsletter Ayurveda nr. 45 – Luglio 2018
Newsletter n° «45»
Luglio 2018
FOCUS TAILAM
“Ela” in Eladi
International Journal of Drug Formulation and Research 2.6 (2011): 102-108.
THERAPEUTIC USES OF ELETTARIA CARDOMUM
Sharma Shveta, Jagmohan Sharma, and Gurpreet Kaur
Eladi Taila
Tra gli “oli medicati” ayurvedici Eladi Taila si distingue per la sua unicità e specificità d’impiego. La sua particolare colorazione verde intensamente delicata e la sua fragranza derivano, nella complessa formulazione di ben 18 piante medicinali, dalla prevalenza di “Ela” (Elaichi) cioè la preziosa Elettaria cardamomum (Cardamomo).
Secondo le fonti ayurvediche (Asthanga Hridaya) Eladi è consigliato principalmente nelle problematiche dermatologiche caratterizzate da squilibrio dei dosha Pitta e Kapha; di questo pregiato olio si sfruttano principalmente le proprietà emollienti, lenitive e nutrienti per purificare la pelle reattiva e sensibile e donarle luminosità, inoltre, massaggiato sul cuoio capelluto, può contrastare la formazione della forfora ed evitarne il relativo prurito.
Nella Newsletter riportiamo i contenuti di un articolo scientifico che spiega in modo sintetico e completo tutte le diverse proprietà medicamentose del Cardamomo di cui una parte riscontrabili anche attraverso la sua somministrazione topica con Eladi Taila.
Elaichi: Elettaria cardamomum Maton
Il cardamomo è popolarmente noto come “la regina delle spezie” e la sua conoscenza alimentare e medicinale risale al periodo vedico (circa 3000 a.C.) ed era ugualmente conosciuto anche dagli antichi greci e romani come spezia alimentare, pianta medicinale e essenza largamente utilizzata nella antica arte della profumeria.
Il cardamomo è una pianta perenne che appartiene alla famiglia delle Zingiberaceae, (ordine delle Scitamineae) il cui nome botanico completo è: Elettaria cardamomum Maton il cui nome tradizionale più frequente è “elaichi”. La pianta è indigena di India, Pakistan, Birmania, Sri Lanka e Iran. In India si trova principalmente nelle foreste sempreverdi del Kerala e del Karnataka, in zone ombrose tra i 600 e i 1200 metri di altitudine e viene ritenuta la terza spezia più costosa al mondo dopo lo zafferano e la vaniglia.
Il vero Cardamomo (Elettaria cardamomum Maton) appartiene esclusivamente al genere “Elettaria” delle zingiberaceae e prende il nome di “cardamomo verde o cardamomo vero” se originario di India, Malaysia e Iran mentre il cardamomum che cresce nella zona dello Sri Lanka (Elettaria repens) prende il nome di cardamomo di Ceylon.
Al genere “amomum” delle zingiberaceae appartengono invece l’amomum subulatum (conosciuto come cardamomo nero o nepalese intensamente coltivato in Nepal ma anche nel Sikkim) che è meno costoso, l’amomum costatum (che è molto diffuso in Cina e Vietnam) e l’amomum compactum (che è diffuso in Thailandia e Birmania) ed è noto come cardamomo del Siam.
Sempre al genere amomum appartengono il cardamomo Kravan, quello di Giava, del Bengala, quello bianco e rosso.
La produzione mondiale annua di cardamomo è stimata in circa 30.000 tonnellate e anche se attualmente il Guatemala è il primo produttore mondiale l’India è il secondo produttore mondiale e, sui mercati internazionali, il cardamomo indiano è considerato di qualità superiore.
In generale nelle culture tradizionali tibetana, indiana, cinese, iraniana, coreana e vietnamita Elettaria cardamomum (il cardamomo propriamente detto ed il più pregiato) è stato molto utilizzato sia come pregiata spezia sia come medicinale mentre il genere Amomum è stato più utilizzato come fitomedicinale (poiché ha un gusto meno gradevole rispetto al cardamomo verde).
Come spezia il cardamomo viene impiegato per aromatizzare il caffè “alla turca” e “arabo”, il tè in India e nella pasticceria mediorientale, iraniana, turca e indiana viene tradizionalmente impiegato per insaporire i dolci, tuttavia il cardamomo ricorre anche nella cucina dei paesi nordici europei (Svezia e Finlandia).
Il gusto del cardamomo verde è intenso e molto aromatico a differenza del cardamomo nero che è più astringente, leggermente amaro e con un sentore di menta. In India il cardamomo mischiato a foglie di betel e frutti di areca viene utilizzato per preparare il “betel” che rinfresca l’alito e favorisce i processi digestivi.
Nonostante un spiccata diversità di sapori il cardamomo nero è spesso usato come sostituto del cardamomo verde perché è molto più economico.
Nelle medicine tradizionali in Iran e India i frutti e i semi di cardamomo verde sono stati largamente impiegati per la cura di infezioni ai denti e alle gengive, per prevenire e curare malattie della gola ed alitosi, congestioni dei polmoni e tubercolosi polmonare, infiammazioni delle palpebre, disordini digestivi e calcoli biliari mentre il cardamomo nero è stato prevalentemente utilizzato nella medicina tradizionale tibetana, nella medicina tradizionale indiana, nella medicina tradizionale cinese ed iraniana per curare mal di stomaco, stitichezza, dissenteria e altri disturbi digestivi.
Per gli usi alimentari e medicinali si utilizzano i frutti o i pregiati semi in essi contenuti.
Il frutto del cardamomo si presenta come una “capsula naturale” che contiene molti semi di dimensioni molto piccole dal tipico colore (marrone/nero). Una volta estratti dal loro involucro naturale (capsula) i semi perdono rapidamente il loro intenso aroma e per questo motivo viene in genere commercializzato l’intero frutto (capsula) essiccato per proteggere la frazione aromatica dei semi.
Dai semi si possono ottenere poi varie forme estrattive oppure possono essere macinati e polverizzati.
Il periodo balsamico di raccolta è tra ottobre e novembre; i frutti vengono raccolti a piena maturazione e successivamente lavati con acqua per rimuovere residui di terreno; un semplice trattamento naturale con bicarbonato di sodio per 10 minuti consente di far mantenere ai frutti il loro caratteristico colore verde e prevenire la crescita di muffe.
Composizione chimica
I due generi di cardamomo più conosciuti cioè il cardamomo verde (Elettaria cardamomum) e il cardamomo nero (Amomum subulatum), pur presentando analogie per appartenenza alla stessa famiglia (Zingiberaceae) presentano profili fitochimici qualitativamente molto diversi e l’amomum subulatum viene generalmente ritenuto di qualità inferiore rispetto al cardamomo verde cioè l’Elettaria cardamomum che viene ritenuto il “vero” cardamomo.
Il genere amomum subulatum offre una percentuale solo del 3 % di olio essenziale contenente 1,8 cineolo e tracce di limonene, terpinene, terpinyl acetato e sabinene.
Il genere Elettaria cardamomun offre una percentuale di oli essenziali molto superiore con un quantitativo di 1,8 cineolo nettamente maggiore oltre ad altri importanti componenti fenolici e flavonoidi, inoltre nel fitocomplesso si ritrovano amidi, proteine, cere e steroli; la maggior presenza di 1,8-cineolo e limonene conferisce una maggiore aromaticità e miglior gusto al genere Elettaria cardamomum.
In India il genere “Elettaria cardamomum” viene coltivato in varie regioni come Kerala e Karnataka e le varietà più popolari sono Mysore, Malabar e Vazhukka che sono ritenute le più pregiate e vengono identificate sulla base delle loro diversità fitochimiche; in particolare la varietà Mysore contiene i più alti livelli di cineolo e limonene e quindi è più aromatica.
Dalle forme estrattive dei semi di Elettaria cardamomum si ottengono principalmente due frazioni: una volatile ed una non saponificabile.
La frazione volatile è la componente principale di tutte le varietà di Elettaria cardamomo e a secondo della biodiversità del luogo di coltivazione offre mediamente una elevata quantità di 1-8 cineolo (circa il 12 % nella varietà Mysore) al quale si ascrivono gran parte delle attività farmacologiche delle forme estrattive del cardamomum a favore di pelle, apparato respiratorio, sistema immunitario, apparato digerente.
All’1,8-cineolo (noto anche come eucaliptolo) vengono riconosciute proprietà analgesiche ed antinfiammatorie (apparato muscolo scheletrico), immunomodulatorie (malattie immuno soppressive e infettive in genere), antinfiammatorie ed antisettiche delle vie respiratorie (sinusite, asma, bronchite acuta e bronchite cronica, mal di gola e infezioni come laringite, BPCO), antibatteriche specifiche nelle patologie delle vie aeree (contenimento della crescita nei confronti di ceppi batterici tra cui Haemophilus influenzae, Streptococcus pyogenes, H. parainfluenzae, S. pneumoniae, Stenotrophomonas maltophilia e Staphylococcus aureus), antivirali dermatologiche (herpes zoster, herpes simplex, morbillo, acne, varicella, ulcere, ferite, foruncoli, ustioni, tagli).
Nel modello animale (nelle api maschio) l’eucaliptolo sembrerebbe coinvolto anche nella stimolazione di ferormoni e nella stimolazione dell’accoppiamento.
La frazione non saponificabile è prevalentemente rappresentata da cere e steroli.
Principali usi medicinali
Il cardamomo è una spezia e una pianta medicinale antichissima e l’India, della quale è originaria, ne detiene le maggiori conoscenze.
Nell’uso tradizionale, in Matsya Purana si ritrovano riferimenti all’uso medicinale di Elettaria cardamomum come ingrediente di un farmaco antiveleno mentre in Ayurveda i semi sono stati usati come abortivi, antiveleno, aromatizzatori, acidificanti, dolcificanti, rinfrescanti, carminativi, tonici cardiaci, digestivi, diuretici, espettoranti, stimolanti e tonici, antiasmatici, anti bronchitici, anti stranguria, anti emorroidari, antilitiasici renali e vescicali, anti alitosi, anti anoressia, anti dispeptici, eupeptici e antiacidi gastrici.
Nella cultura medica Siddha i frutti freschi e secchi, semi e la corteccia del gambo sono utilizzati per la preparazione “Elam” mentre nella cultura Unani i preparati a base di Elettaria cardamomum sono stati impiegati come antiveleno, astringenti e antinausea.
Secondo recente letteratura scientifica gli estratti etanolici di E. cardamomum posseggono un effetto antibatterico già alla dose di 512 μg / mL e gli estratti in etere dimostrano un evidente effetto gastroprotettivo al dosaggio di 12,5 mg / kg che è in grado di inibire quasi il 100 % le lesioni nell’ulcera gastrica indotta da aspirina; effetti gastroprotettivi sono stati osservati anche con estratti gli estratti metanolici.
La polvere di E. Cardamomum possiede attività antipertensiva e alla dose di 3 g determina una riduzione significativa della pressione diastolica inoltre migliora la fibrinolisi e lo stato degli antiossidanti, tuttavia senza significativa alterazione dei livelli dei lipidi nel sangue e del fibrinogeno nei pazienti ipertesi. Gli estratti di Eletteria cardamomum mostrano effetti eccitatori ed inibitori intestinali che sono mediati da meccanismi colinergici e Ca ++ antagonisti; gli effetti sulla pressione arteriosa sarebbero determinati da entrambi i percorsi.
I semi di E. cardamomum e i relativi estratti possiedono proprietà antinfiammatorie, analgesiche e antispasmodiche. In un modello sperimentale di edema della zampa di ratto indotta da carragenina, l’estratto di semi di Elettaria cardamomum, a dosaggi di 175 e 280 microlitri / kg, ha ridotto significativamente l’infiammazione. Sempre in vivo è stata valutata anche l’attività analgesica mentre l’attività antispasmodica è stata valutata solo in vitro; le conclusioni dei principali studi indicano che l’azione antispasmodica deriva dal blocco del recettore muscarinico.
L’olio di cardamomo dimostra un evidente effetto antiossidante e può aumentare i livelli di glutatione naturale dell’organismo; è stato osservato che l’effetto antiossidante aumenta aumentando il contenuto dell’olio da 100 a 5000 ppm.
Gli estratti acquosi di cardamomo esercitano attività di contrasto alla perossidazione lipidica e antiaggregante piastrinica. L’attività inibitoria dell’aggregazione piastrinica è stata studiata su piastrine umane in particolare l’attività antiaggregante piastrinica e i fenomeni di perossidazione lipidica sono stati valutati su plasma ricco di piastrine (PRP) e membrane piastriniche, ottenuti da sangue di volontari sani. Si è osservato che l’effetto inibitorio era dose-dipendente con concentrazioni variabili tra 0,14 e 0,70 mg e tempo dipendente da IC50. In particolare il contrasto alla perossidazione lipidica è stato valutato in un modello di perossidazione lipidica indotta da ferro e valutata con l’indice di malondialdeide (MDA); si è osservato cha all’ aumento della concentrazione di cardamomo corrispondeva una significativa riduzione di MDA.
Il cardamomo è tradizionalmente impiegato in varie formulazioni per promuovere il benessere della pelle e migliorare la carnagione; nell’uso dermatologico trova utilità nella riduzione del prurito e delle pustole.
Elettaria cardamomum è presente anche nell’antica formulazione ayurvedica Unmadnashak Ghrita e insieme ad altri piante (Ferula nartece, Gardenia gummifera, Bacopa monneri) dimostra effetti depressori del SNC e anticonvulsivanti.
Sembrerebbe che mangiare alcuni semi di Elettaria cardamomum, alternandoli ad una progressiva riduzione del numero di sigarette fumate, aiuterebbe lentamente anche a svezzarsi dalla dipendenza del fumo di sigaretta.
Sempre la frazione volatile del cardamomo agisce come naturale insetticida e protettore del grano nei confronti di diversi insetti come Tribolium castaneum e sitophilus zeamais che attaccano il grano quando è immagazzinato; questi effetti si ottengono per solo contatto o apposita fumigazione.
La millenaria tradizione d’uso di Elettaria cardamomum ne indica la sicurezza di impiego e la somministrazione topica è ritenuta sicura e ben tollerata mentre è sconsigliata l’assunzione orale di dosaggi superiori a quelli normalmente indicati come terapeutici sia di forme estrattive sia di semi.
Il cardamomo è sconsigliato a chi è soggetto a calcolosi della colecisti perché potrebbe causare coliche o dolori addominali, ma è da evitare anche in gravidanza e allattamento e in caso di ulcera, colite, reflusso, gastrite e diverticoli. Inoltre interagisce con farmaci antiaggreganti come l’aspirina quindi è meglio evitarne il consumo nei giorni in cui si assumono questi farmaci, o comunque è consigliabile chiedere prima il parere del medico.
Un uso eccessivo di cardamomo può comportare reazioni allergiche, orticaria, dolori addominali, difficoltà di respirazione e problemi alla cistifellea.
A cura della direzione scientifica di Benefica
International Journal of Drug Formulation and Research 2.6 (2011): 102-108.
THERAPEUTIC USES OF ELETTARIA CARDOMUM
Sharma Shveta *1, Jagmohan Sharma 2, and Gurpreet Kaur 1
Author information:
(1) Lala Lajpat Rai College of Pharmacy, Moga
(2) B.I.S college of Pharmacy, Gagra (Moga)
ABSTRACT
Cardamom, popularly known as the “Queen of Spices,” has a checkered history, dating back to the Vedic period (ca. 3000 bc). Mainly used in the dietary habits of millions around the world, Cardamom use ranges from a simple dietary constituent to that of immense pharmacological benefits. Various pharmacological activities contributed to cardomum are sedative, antihypertensive, antibacterial and many more.
INTRODUCTION
Small cardamom, well known as the ‘queen of spices’, belongs to the family Zingiberaceae, order Scitaminae is a rich spice obtained from the seeds of a perennial plant, Elettaria cardamomum Maton, locally known as “elaichi”1. It is a perennial herb, indigenous to India, Pakistan, Burma and Sri Lanka2. In India it is mainly found in evergreen forests of Kerala and Karnataka. It is a shade loving plant cultivated at an altitude of 600 to 1200 m above MSL with an annual rainfall of 1500 to 4000 mm and a temperature range of 10 to 35ºC3. It is one of the highly prized spices of the world and is the third most expensive spice after saffron and vanilla. Cardamom shared about 60% of the total import value of US$204 million in 2004. World production of cardamom is estimated at 30,000 MT. Currently, the major producer is Guatemala, recording an average annual production of 18,000– 20,000 MT. India is the second largest producer, with an average production of 11,000–12,000 MT. Indian cardamom is considered a superior quality in the international markets4Words:Elaichi, cardamum oil.
ISSN: 2229-5054