Newsletter Fitoterapia nr. 32 – Marzo 2018
Newsletter n° «32»
Marzo 2018
Zingiber officinale (Zenzero)
Prospettive nel diabete e nella sindrome metabolica
HINDAWI-EVIDENCE-BASED COMPLEMENTARY AND ALTERNATIVE MEDICINE-VOLUME 2018, Article ID 5692962, pag.11
Effects of Ginger (Zingiber officinale Roscoe) on Type 2 Diabetes Mellitus and Components of the Metabolic Syndrome: A Systematic Review and Meta-Analysis of Randomized Controlled Trials
Jie Zhu, Hao Chen, Zhixiu Song, Xudong Wang, and Zhenshuang Sun
Informazioni generali
Lo Zenzero (Zingiber officinale Roscoe) notissimo anche con il nome tradizionale Ginger, rappresenta nel mondo moderno una delle piante medicinali di cui più si sfruttano, in ambito nutraceutico e fitoterapico, gli effetti benefici. Spesso la valenza “curativa” dello zenzero viene anche attribuita al consumo alimentare della radice fresca ma, non disconoscendo il valore nutraceutico di questa modalità di assunzione, le forme estrattive standardizzate possono garantire effetti farmacologici completi del fitocomplesso.
Appartenente alla famiglia delle Zingiberaceae, lo zenzero è una pianta erbacea originaria delle regioni asiatiche, ed è coltivato generalmente in climi tropicali in Australia, Brasile, Cina, India, Giamaica, Africa, ed in parte degli Stati Uniti, per l’impiego medicinale o come spezia per il suo aroma pungente e tipico.
La parte utilizzata della pianta è il rizoma, in cui si concentra il fitocomplesso, che contiene amidi (circa 60%) e olio essenziale (0,8 – 2%); le forme farmaceutiche più utilizzate sono l’estratto secco titolato in oli essenziali e l’olio essenziale stesso.
Il fitocomplesso dello zenzero contiene 14 componenti bioattivi dai quali, il tipico sapore acro e pungente, dipende dalla famiglia chimica dei gingeroli ed ad altri relativi analoghi come gli shogaoli, il paradolo ed lo zingerone; da queste sostanze dipende primariamente l’attività farmacologica dello zenzero (Duke e Beckstrom 1999).
L’uso tradizionale
Notissimo dall’antichità come pianta medicinale, lo zenzero è stato impiegato per millenni nei principali sistemi di medicina tradizionali specialmente da quello Ayurvedico, Cinese e Siddha; i suoi effetti a favore delle generali funzioni digestive lo hanno visto impiegato, per millenni con sicurezza, in varie sintomatologie gastro-intestinali, principalmente nelle difficoltà digestive, nelle forme di nausea (anche gravidica) e di emesi e nei discomfort intestinali ma anche negli stati febbrili, nelle sintomatologie mestruali (dismenorrea), osteoarticolari e infiammatorie a carico delle vie aeree (allergia rinite, sinusite, acuta e cronica bronchite). Tradizionale è anche il suo utilizzo nelle steatosi epatiche non alcoliche.
Sintesi degli effetti dello zenzero secondo evidence
Nel mondo contemporaneo lo zenzero viene impiegato, secondo evidenze scientifiche, in moderne formulazioni di integratori naturali coadiuvanti nella gestione di quadri sintomatologici molto frequenti, principalmente come antinausea-antiemetico (es. cinetosi) anche in gravidanza, in generale nelle difficoltà digestive, oppure in specifiche formulazioni ad effetto antinfiammatorio e antibatterico o gastro protettivo. Negli ultimi anni tuttavia, sono emerse interessanti evidenze farmacologiche e cliniche a favore dei potenziali positivi dello zenzero nella malattia diabetica di tipo 2 e nella sindrome metabolica, sottintendendone una finalità nutraceutica o integrativa in ambito cardiovascolare. L’olio essenziale, che rappresenta la forma farmaceutica estrattiva più concentrata, possiede anche attività antibatterica nei confronti di comuni patogeni.
Gli effetti antinausea ed antiemetici dello zenzero sono stati ben indagati anche sulla matrice umana; essi risulterebbero principalmente esercitarsi a livello gastrico senza azioni dirette sul sistema nervoso centrale (farmaci antiemetici), tuttavia un recente studio sul ratto ha dimostrato che l’azione antiemetica dello zenzero potrebbe essere dovuta anche ad un’attività di tipo antiserotoninergico. Gli studi scientifici concludono che lo zenzero possa agire anche come antagonista serotoninergico, come antagonista NK1, come antistaminico e che possieda anche un effetto pro cinetico a livello gastrico, regolando la disrtimia gastrica.
Nel 2012 una metanalisi ha confermato l’utilità dello zenzero, in contrasto all’iperemesi gravidica, che si è dimostrato superiore a placebo e con ottima tollerabilità; sempre nel 2012 una metanalisi ha stabilito che lo zenzero potrebbe avere anche effetti, tuttavia meno evidenti, sulla nausea provocata da chemioterapia.
L’attività antinfiammatoria dello zenzero è stata tradizionalmente sfruttata per combattere forme infiammatorie a carico di più apparati come nel dolore mestruale, nelle forme infiammatorie intestinali, nelle forme infiammatorie a carico delle vie aeree e osteoarticolari. La completezza dell’attività antinfiammatoria dello Zenzero deriverebbe dalla capacità di specifiche molecole contenute nel fitocomplesso di inibire parallelamente sia l’espressione dell’enzima 5-lipo-ossigenasi sia delle degli enzimi ciclo-ossigenasi-1 e ciclossigenasi-2, riducendo la biosintesi dei leucotrieni, dei trombossani e delle prostaglandine ad azione flogogena, con un meccanismo d’azione simile a quello dei FANS. Ulteriori approfondimenti scientifici hanno inoltre indicato che l’estratto di zenzero possa essere in grado di inibire l’espressione di diversi mediatori coinvolti nella risposta infiammatoria come le citochine, le chemochine, modulando le vie biochimiche che si attivano nell’infiammazione cronica. Studi sperimentali hanno stabilito che il fitocomplesso dello zenzero è in grado di antagonizzare bene l’edema indotto da carragenina e l’edema cutaneo indotto da serotonina; questi studi concludono che lo zenzero esercita azione protettiva sulla flogosi e sull’edema cutaneo indotti, attraverso un probabile meccanismo di antagonismo nei confronti dei recettori per la serotonina a livello cutaneo. Un altro interessante studio sperimentale ha dimostrato l’azione antinfiammatoria e antidolorifica di un estratto di zenzero confrontandolo con la nota efficacia della di morfina, diclofenac e clorpropamide; le conclusioni dello studio indicano che l’estratto di zenzero è stato in grado di ridurre significativamente il dolore e l’edema indotti sperimentalmente in diversi modi; in questo studio è valutata anche la capacità di riduzione della glicemia in un modello di diabete indotto.
Un altro interessante riscontro scientifico ha confermato che un estratto acquoso di zenzero ha ostacolato la flogosi polmonare Th2 mediata determinando una marcata riduzione degli eosinofili nelle vie aeree e della relativa risposta infiammatoria; questo effetto si associa alla soppressione della risposta Th2 mediata all’allergene, con una significativa riduzione dei livelli di IL4, IL5, eotassina e IgE specifiche nelle vie aeree; la molecola più efficace in tal senso è stata il 6-gingerolo; le conclusioni di questo studio indicano che un estratto acquoso di zenzero sopprime la risposta immunitaria di tipo Th2 e quindi può avere effetti benefici nell’asma allergica.
Nelle infiammazioni osteoarticolari gli estratti di zenzero sono stati testati nell’artrite reumatoide, nell’osteoartrite e nei dolori muscolari; in tre mesi tutte le tipologie dei pazienti hanno dimostrato consistenti miglioramenti; in particolare uno studio di buona qualità metodologica ha confrontato gli effetti un estratto di zenzero con ibuprofene e placebo e ha dimostrato che l’estratto di zenzero ha avuto effetti leggermente inferiori ad ibuprofene ma efficacia molto superiore rispetto a placebo in pazienti affetti da osteoartrite della spalla o del ginocchio, con un ottimo profilo di tollerabilità.
In un altro studio clinico è stato valutato l’effetto di un estratto di zenzero confrontandolo con quello dell’acido mefenamico e dell’ibuprofene nella sintomatologia della dismenorrea; le conclusioni dello studio indicano che, a seguito del trattamento, in tutti e tre i gruppi, è stato riportata una significativa riduzione dei sintomi, senza differenze statisticamente significative tra un gruppo e l’altro. In nessuno dei tre gruppi sono stati riportati reali effetti avversi. Lo studio conclude che l’estratto di zenzero si è dimostrato, sui sintomi della dismenorrea, sovrapponibile a quella dell’acido mefenamico e dell’ibuprofene senza eventi avversi. Sembra inoltre che l’estratto secco di zenzero sia utile anche come preventivo e profilattico in pazienti affetti da crisi di cefalea ricorrente.
La letteratura scientifica ha indagato anche l’attività gastroprotettiva dello zenzero; nel modello sperimentale, l’estratto di zenzero ha dimostrato effetti gastro protettivi, nell’85% dei casi, nei confronti di lesioni gastriche indotte con FANS (acido acetil salicilico, indometacina, reserpina) o con sostanze chimiche gastro lesive (etanolo, acido cloridrico, cloruro di sodio), facendo ipotizzare un probabile effetto protettivo esercitato al livello periferico sulla mucosa gastrica.
Sempre nel modello sperimentale si è indagato il razionale d’effetto dello zenzero sull’ulcera peptica in presenza di Helicobacter pylori, stress ossidativo e farmaci anti-infiammatori. In particolare uno studio ha valutato un estratto di zenzero contenente la frazione poli fenolica (acido cinnamico, acido p-cumarico acido caffeico) e un estratto di Zenzero, privo della frazione poli fenolica, contenente prevalentemente acido siringico, acido gallico, acido cinnamico.
Lo studio ha concluso che, in modo analogo, i due estratti sono stati in grado di contrastare Helicobacter pylori ad una concentrazione inibente molto bassa (IC50 di 2,9 mug/ml), evidenziando un effetto anche sensibilmente maggiore rispetto al lansoprazolo; entrambi gli estratti hanno mostrato una significativa attività scavenger già a concentrazioni minime ed hanno ridotto il fenomeno di lipoperossidazione. Le conclusioni dello studio indicano che estratti di Zenzero potrebbero avere utilità nel contrastare l’ulcera peptica.
Gli estratti di zenzero evidenziano, a livello gastrico, anche un apprezzabile effetto pro cinetico sulla base dello loro probabile capacità di attivare il recettore muscarinico post sinaptico M3; dalle conclusioni degli studi effettuati si ipotizzerebbe che l’estratto di zenzero, possegga capacità di azione agonista sui recettori colinergici post sinaptici M3 del fondo dello stomaco ed analogamente può esercitare anche un effetto antagonista dei recettori M1 e M2, favorendo la stimolazione sulla muscolatura gastrica. Sulla matrice umana un estratto di zenzero, confrontato con placebo, ha determinato una più rapida riduzione dell’area antrale ed una maggiore riduzione del tempo di svuotamento dello stomaco con maggior frequenza delle contrazioni antrali rendendo più celere lo svuotamento dello stomaco.
[monograph Benefica].
Sintesi degli effetti metabolici emergenti dello zenzero
Dalla recente letteratura scientifica emerge una convincente attività dello zenzero nel controllo glicemico. Primariamente lo zenzero si dimostrerebbe in grado di inibire α-amilasi e α-glucosidasi che sono ritenuti enzimi chiave coinvolti nel metabolismo dei carboidrati, in presenza di iperglicemia e diabete di tipo 2. L’azione dello zenzero nei confronti di questi due gli enzimi dipenderebbe dal più o meno elevato contenuto fenolico (gingerolo e shogaolo) dell’estratto impiegato: più l’estratto è ricco di componente fenolica, più risulta attivo. Più di uno studio sperimentale in vivo ha dimostrato che, mediamente in 8 settimane di assunzione di zenzero, le attività pancreatiche correlate con lipasi, amilasi, tripsina e chimotripsina erano significativamente aumentate; questi effetti si sono osservati con somministrazioni multiple e continuative di zenzero, mentre mono somministrazioni concentrate stimolavano solo l’amilasi e la sucrasi nella mucosa intestinale. Sempre secondo letteratura scientifica lo zenzero possiede attività di incremento di rilascio e di sensibilità all’insulina; questo effetto modulatorio pro-insulinico è tra gli argomenti prevalenti e solidi anche nelle evidenze della Medicina complementare ed alternativa basata sulle evidenze. Test in vivo sulla tolleranza al glucosio hanno confermato anche che l’estratto di zenzero è stato in grado di migliorare i livelli di insulina plasmatica riducendo i globali valori glicemici inoltre, nei modelli di diabete di tipo 2, indotto da arsenico, il 6-gingerolo si è dimostrato in grado di avere effetti protettivi sulle β-cellule pancreatiche e di ripristinare il livello di insulina plasmatica; questo effetto probabilmente dipenderebbe anche dall’interazione di gingeroli e shogaolo con i recettori serotoninergici (5-HT3) coinvolti nelle dinamiche insuliniche. Lo zenzero di dimostra inoltre capace di favorire la clearance del glucosio a livello dei tessuti periferici, svolgendo un ruolo chiave nel mantenimento dell’omeostasi del glucosio nel sangue; le evidenze di questi effetti derivano da studi in vitro che hanno dimostrato che l’estratto di zenzero, in particolare per la presenza dei pungenti gingeroli, ha aumentato l’assorbimento di glucosio, a livello scheletrico, in cellule muscolari e adipociti. Altrettanto interessanti sono le attività dello zenzero sulle alterazioni del profilo lipidico, che sono una caratteristica comune, in soggetti obesi e diabetici, per inefficienza insulinica nel metabolismo dei carboidrati; è infatti noto che i fenomeni di resistenza insulinica nei tessuti periferici sono strettamente associati ad elevati livelli di lipidi circolanti e da accumulo di lipidi nei tessuti; un eccesso di grassi liberi, ed ossidativo degli acidi grassi, inibisce il trasporto del glucosio nei tessuti periferici, condizionando, come primo step, la velocità del metabolismo del glucosio. Numerosi studi hanno dimostrato che gli estratti di zenzero posseggono la capacità di ridurre la quantità di lipidi in eccesso incrementando la sensibilità all’insulina. Gli effetti ipolipemizzanti e dimagranti dello zenzero sono stati valutati in più modelli scientifici e nella clinica sono stati confermati promettenti risultati nel miglioramento del profilo lipidico in pazienti diabetici. Anche in combinazione poli erbale l’estratto di zenzero ha determinato apprezzabili variazioni fisiologiche come la riduzione del peso corporeo, dello spessore della pelle, della circonferenza vita / fianchi; questi effetti sono stati accompagnati da riduzione dei trigliceridi e del colesterolo nel siero, in soggetti diabetici e iperlipidemici. Recentemente è stato ulteriormente approfondito il ruolo dello zenzero nella soppressione dell’aldoso-reduttasi; nel fitocomplesso dello zenzero sono stati isolati almeno cinque composti attivi, tra cui il 2- (4-idrossi3-metossifenile) etanolo e il 2- (4-idrossi-3-metossifenil) acido etanoico, che si sono rivelati essere buoni inibitori della aldoso – reduttasi ricombinante umana già a dosaggi molto bassi; questi composti hanno dimostrato la capacità di contrastare l’accumulo del sorbitolo negli eritrociti umani e del galattitolo (dulcitolo) in ratti con cataratta indotta da alimentazione con galattosio. Questi dati suggeriscono che lo zenzero sarebbe in grado di esercitare un effetto protettivo o migliorativo nelle complicanze diabetiche e che questi effetti nutraceutici potrebbero essere raggiunti con un integrazione di zenzero. Pur nella considerazione della mancanza di maggiori dati, sull’effetto del consumo cronico dello zenzero, quest’ultimo potrebbe essere utile per contrastare gli effetti dell’aldoso – reduttasi senza rischio di eventi ipoglicemici.
[Li, Yiming, et al. 2012].
L’articolo
Disponibile da gennaio 2018 e pubblicato da Evidence-Based Complementary and Alternative Medicine, l’articolo rappresenta una interessante review e metanalisi sugli effetti metabolici dello zenzero nel diabete mellito di tipo-2 e nella sindrome metabolica.
Nella metanalisi sono stati inclusi studi controllati e randomizzati; rispetto alle conclusioni della metanalisi lo zenzero ha mostrato un significativo effetto benefico sul controllo del glucosio e sulla sensibilità all’insulina accompagnato da un miglioramento del profilo lipidico con ottima tollerabilità ponendosi come promettente integrazione coadiuvante nel diabete di tipo-2. I miglioramenti dei parametri glicemici e della sensibilità all’insulina si sono dimostrati evidenti rispetto al placebo correlandosi anche a significativi valori medi di variazione percentuale di HbA1c e insulina a digiuno rispetto ai gruppi di controllo; da 6 studi è emerso inoltre un miglioramento statisticamente significativo della sensibilità all’insulina.
Nelle problematiche della sindrome metabolica emerge una significatività nel miglioramento dei parametri lipidici e del BMI, correlata con miglioramento di TG, TC, LDL-c e variazioni statisticamente positive di HDL-c.
Gli effetti su BMI (Body mass index) derivano dall’esame di 5 studi dai quali si deduce che in termini di tendenza lo zenzero potrebbe abbassare il BMI ma senza raggiungere significatività statistica.
I cambiamenti medi dell’indice di “body mass” (BMI) erano disponibili in 5 studi; dal punto di vista della tendenza di variazione di BMI, lo zenzero potrebbe abbassare il BMI, ma il cambiamento è stato così leggero che non ha mostrato alcuna significatività statistica.
La metanalisi conclude che per effetti migliorativi sul controllo della glicemia, sulla sensibilità all’insulina e sul profilo lipidico, lo zenzero può rappresentare un promettente trattamento coadiuvante nella malattia diabetica di tipo-2 con un ottimo profilo di tollerabilità. |
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HINDAWI-EVIDENCE-BASED COMPLEMENTARY AND ALTERNATIVE MEDICINE-VOLUME 2018, Article ID 5692962, pag.11
Effects of Ginger (Zingiber officinale Roscoe) on Type 2 Diabetes Mellitus and Components of the Metabolic Syndrome: A Systematic Review and Meta-Analysis of Randomized Controlled Trials
Jie Zhu(1), Hao Chen(1), Zhixiu Song(1), Xudong Wang(1), and Zhenshuang Sun(2)
Author information:
(1)The Second Clinical College, Nanjing University of Chinese Medicine, Nanjing, Jiangsu 210023, China (2)Henan Provincial People’s Hospital, Zhengzhou, Henan Province 450003, China
Abstract
Objective. This article aims to assess the effects of ginger (Zingiber officinale Roscoe) on type 2 diabetes mellitus (T2DM) and/or components of the metabolic syndrome (MetS).
Methods. Electronic literature was searched in PubMed, Embase, the Cochrane Library, Chinese Biomedical Database, China National Knowledge Infrastructure, and Wanfang Database from inception of the database toMay 19, 2017, and supplemented by browsing reference lists of potentially eligible articles. Randomized controlled trials on research subjects were included. Data were extracted as a mean difference (MD) and 95% confidence interval (CI). Subgroup analysis of fasting blood glucose (FBG) was performed.
Results. 10 studies met the inclusion criteria with a total of 490 individuals. Ginger showed a significant beneficial effect in glucose control and insulin sensitivity. The pooled weighted MD of glycosylated hemoglobin (HbA1c) was −1.00, (95% CI: −1.56, −0.44; < 0.001). Subgroup analysis revealed that ginger obviously reduced FBG in T2DM patients (−21.24; 95% CI: −33.21, −9.26; < 0.001). Meanwhile, the significant effects of improvement of lipid profile were observed. Most analyses were not statistically heterogeneous.
Conclusion. Based on the negligible side effects and obvious ameliorative effects on glucose control, insulin sensitivity, and lipid profile, ginger may be a promising adjuvant therapy for T2DM and MetS.
doi.org/10.1155/2018/569296
doi:10.1080/13651501.2017.1417442 |
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Newsletter Ayurveda nr. 40 – Febbraio 2018
Newsletter n° «40»
Febbraio 2018
AYURVEDA PER UNA MENOPAUSA FELICE
WORLD JOURNAL OF PHARMACY AND PHARMACEUTICAL SCIENCES NVolume 6, Issue 4, 2132-2140 ISSN 2278 – 4357
HEALTHY AND HAPPIER MENOPAUSE WITH AYURVEDA: A REVIEW.
Dr. Deepika Chaudhari and Dr. Pradip Kinage
Menopausa: “il problema”
L’interesse clinico nei confronti delle problematiche dell’età della menopausa è un fenomeno piuttosto recente, strettamente correlato con l’aumento della vita media della donna, a fro nte di un’età di insorgenza delle menopausa che sostanzialmente non ha subito modificazioni.
Il termine “menopausa” indica evento di esaurimento del periodo fertile nella donna. Questa condizione viene clinicamente determinata in modo retrospettivo stabilendo in 12 mesi il periodo in cui i cicli mestruali sono mancati.
La menopausa può essere spontanea o indotta da chirurgia, chemioterapia e/o radioterapia pelvica. L’invecchiamento è un processo di modifica delle strutture e funzioni dell’organismo che avviene col passare del tempo in assenza di malattie.
L’invecchiamento del sistema riproduttivo femminile inizia con la nascita e continua con la perdita dei follicoli per atresia od ovulazione che non avviene necessariamente in modo costante.
Più comunemente lo stesso termine indica una complessiva sintomatologia fisica e psico-emotiva che interessa la donna anche nel periodo precedente il termine definitivo dei cicli mestruali; in termini letterali la parola “menopausa” (μήν : mese, e παῦσις : cessazione) dovrebbe indicare esattamente il mese dell’ultima mestruazione, determinando come “pre-menopausa” il periodo che lo precede e come “post-menopausa” quello che lo segue. La parola “climaterio” indica correttamente tutto il periodo corrispondente al complesso dei fenomeni che precedono, accompagnano e seguono la cessazione dell’attività delle ghiandole sessuali, più evidente nel sesso femminile, per la cessazione dei cicli mestruali.
Nella “menopausa” si determina un fisiologico esaurimento della riserva ovarica ed il concomitante calo degli estrogeni che concorre a determinare i principali sintomi sia fisici sia psico-emotivi.
Questa condizione è correlata quindi alla progressiva perdita della funzione principale delle ovaie e cioè la produzione di follicoli ovarici e di estrogeni, provocando una serie di mutamenti, nella donna, di natura trofica, metabolica, sessuale e psicologica (vampate di calore, sudorazione notturna, insonnia, irritabilità, sbalzi d’umore, stanchezza, depressione, ecc.).
Questi cambiamenti fisiologici si traducono in una serie di sintomi che, variabili a seconda della persona, possono essere più o meno intensi, anche se non completamente collegabili alla menopausa in sé, poiché, sul quadro generale, influiscono altri fattori come il contesto familiare e sociale.
L’età media di insorgenza della menopausa è circa 48-50 anni ma può comparire precocemente, per motivi diversi, già a 30-35 anni.
E’ interessante notare che solo recentemente anche la moderna bio-medicina ha orientato le sue soluzioni ad una visione più ampia di queste problematiche andando oltre la finalità di controllo della sola sintomatologia e ponendo l’attenzione, ad esempio, nel limitare il rischio di insorgenza di patologie, sia metaboliche sia di altra natura, che trovano fattori causali anche nella condizione meno-pausale.
Questo avviene, secondo linee guida (fonte AOGOI) valutando il generale stato di salute della donna per identificare i fattori di rischio, in particolare quelli specifici della menopausa e ad essa correlati; fare diagnosi precoce di malattia (es. osteoporosi); individuare le terapie necessarie e stabilire un piano di prevenzione; tuttavia attualmente non esistono test di laboratorio affidabili e specifici per prevedere quando una donna andrà incontro alla menopausa.
Non entreremo in questo contesto in una analisi della sintomatologie menopausali più classiche e note, ma riproporremo presupposti per la comprensione del valore della visione ayurvedica della menopausa in termini di moderno approccio personalizzato, profilattico e predittivo.
Menopausa: “Presupposti della visione Ayurvedica”
E’ interessante osservare che già nelle fonti classiche l’Ayurveda si poneva obiettivi di approccio alla menopausa sovrapponibili a quelli dell’attuale bio-medicina.
Secondo le antiche fonti ayurvediche la condizione menopausale viene indicata con il termine Rajonivritti che può essere tradotto come “Fine di Artava Pravritti ” o Cessazione delle mestruazioni intese come funzione ovarica; questa definizione non indica tuttavia una condizione patologica, descritta come tale, anche se “Rajonivritti-kala” è citato da quasi tutte le fonti Acharya.
Dai testi classici si comprende che, in Ayurveda, “la menopausa” venga trattata come “Jara Pakwa Awastha” del corpo (su. Su. 14\4) dove Jara (invecchiamento) e Rajonivritti si manifestano a causa della progressiva riduzione delle capacità funzionali degli Srota e di Agni, traducendosi in un’alimentazione inadeguata dei tessuti.
Il termine “Rajonivritti” è composto da due parole diverse: “Rajah” e “Nivritti”.
In sanscrito la radice di parola “Rajah” è riferibile al termine “Rajascha” che può avere diversi significati qualitativi specifici (ad es. : dare colore, o forza, qualità specifica) rispetto ad una materia ed in questo contesto, essendo riferita a Artava e Stripushpa, indica qualità e specificità correlate con ciclo mestruale (sangue mestruale).
La parola “Nivritti “ deriva dal sanscrito Varnas’Ni’ e ’vrutta’. Acharya Hemchandra ((Dhandhuka, 1088 – Patan, 1173) ha associato alla parola Nivritti alcuni sinonimi (Apravritti, Uparama, Virati, Vyparati, Uparati ecc.). Il significato di queste parole, nel loro senso generale, può essere inteso come compimento, realizzazione, completamento, fine, cessazione o interruzione dell’influenza di una regola rispetto a un’altra; rispetto a questa spiegazione quindi “Rajonivritti” può essere tradotto con “Cessazione delle mestruazioni”.
La saggezza Ayurvedica interpreta il significato di “Rajonivritti” in modo profondo vedendo oltre gli aspetti puramente fisio-patologici. Rispetto a “Nidanas” (fattori etiopatologici, cause) di “Rajonivritti”, l’Ayurveda postula raffinatamente il più ampio pensiero che: “Rispetto alla cessazione o alla distruzione di qualcosa non esiste una causa specifica di distruzione o cessazione ma sussiste invece l’assenza o la cessazione della presenza dei fattori responsabili della sua produzione o esistenza e quindi la mancanza di questi fattori ne determina la cessazione o distruzione”.
Con metodologia sistematica la scienza ayurvedica ha suddiviso tutte le malattie in 4 tipi principali cioè Agantuj, Sharira, Manasa e Swabhavika; proprio Swabhavika (secondo Acharya Sushruta) include tutte quelle condizioni che si verificano naturalmente come Kshudha (Fame), Pipasa (Sete), Nidra (Sonno), Jara (Invecchiamento) e Mrityu (Morte).
Sebbene queste condizioni (prodromiche anche di malattie) abbiano una loro origine e ragione naturale, vengono descritte come “Doshaja” e sono ulteriormente classificabili in due tipi : Kalakrita e Akalakrita.
Poiché “Rajonivritti” è naturale condizione in ogni donna, può essere classificata Kalaja Rajonivritti e Akalaja Rajonivritti.
Secondo le fonti ayurvediche “Kalaja Rajonivritti” indica la condizione di Rajonivritti quando questa si verifica alla sua più probabile età (circa 50 anni) ed è interessante rilevare che già Acharya Sushruta osservava che quando Rajonivritti si verifica nei tempi fisiologici significa che sulla persona sono state praticate le corrette misure protettive di assistenza sanitaria (Yapya di Rasayana ecc.).
Akalaja Rajonivritti si verifica invece quando la situazione menopausale si presenta prima o dopo la sua probabile età (es. circa 50 anni), e questo dipenderebbe anche dall’ assenza di protezione o misure di assistenza sanitaria. In questa tipologia di Rajonivritti, i sintomi possono essere molto acuti e quindi la scienza medica dovrebbe prestare una attenzione speciale per evitare conseguenze anche pericolose.
Secondo Acharya Dalhana, queste situazioni dovrebbero essere trattate sulla base della natura della malattia (Roga) e sui Dosha coinvolti in esso.
Secondo le fonti ayurvediche, nelle donne, il periodo riproduttivo è controllato prevalentemente da Pitta Dosha. In Vriddhawastha (età avanzata), dove Rajonivritti è un evento importante, Vata sarebbe il principale Dosha coinvolto.
Questa dominante Vata Dosha avrebbe effetto su “tutto” il corpo femminile ed i relativi fattori fisiologici relativamente ai suoi caratteri (ad esempio “Laghuta” e “Rukshara”). All’età di circa 50 anni, nel, corpo femminile, origina il processo di declino, a causa di Jaravastha, come processo naturale.
L’importanza dei sintomi di Kalaja e Akalaja Rajonivritti è variabile da persona a persona (secondo Prakritti) come osservato per Vimana Sthana (quantificazione degli squilibri dei Dosha) da Acharya Charaka; resta implicito che la precisa individuazione di Kalaja o Akalaja Rajoniuritti dipende dall’esperienza del medico.
La necessità del trattamento di questa fase della vita delle donne trova le sue ragioni nel fatto che, se anche Rajonivritti deve essere accettata come uno dei segni del fisiologico processo invecchiamento, in questa fase le donne sono più vulnerabili, sono sottoposte a scadimento della qualità di vita e a maggior rischio di patologia. Le cicatrici della menopausa sono inevitabili. Con l’allungamento della vita media, le donne trascorrono circa un terzo della loro esistenza in questa condizione.
In conclusione secondo Sushruta e vari altre fonti, Rajonivritti compare fisiologicamente circa all’ età di 50 anni come uno dei segni di invecchiamento anche se già Acharya Arundatta osserva che questa è un’età probabile e non totalmente certa infatti vi possono essere alcune variazioni; esse dipenderebbero da diversi fattori che le influenzano come l’individualità della donna ed ambientali; nella visione Ayurvedica “Rajonivritti” non è intesa solo come la cessazione dei cicli mestruali ma anche come una più ampia fase di transizione della vita e del corpo ed è intesa come un segno primario del fisiologico processo di invecchiamento al quale la scienza Ayurvedica pone da sempre primaria attenzione.
In ayurveda la comprensione e l’approccio diagnostico della sindrome menopausale sono basati primariamente sulla corretta individuazione del coinvolgimento dei Dosha.
L’articolo
L’articolo proposto, pubblicato da WORLD JOURNAL OF PHARMACY AND PHARMACEUTICAL SCIENCES (SJIF Impact Factor 6.647) nel 2017, analizza la menopausa nel più ampio contesto dell’invecchiamento che coinvolge la salute fisica e mentale di tutti.
Partendo dal presupposto che “Rajonivritti” sia un evento naturale ed inevitabile della vita, l’articolo propone la moderna interpretazione della classica visione ayurvedica alla luce dell’evidenza che la donna in post-menopausa sia suscettibile di fastidiose sintomatologie più comuni o potenzialmente esposta al rischio di patologie anche gravi dell’apparato osseo o cardiache.
Lo storico impiego di estrogeni da soli, o in combinazione con i progestinici (HRT), efficace nella limitazione di sintomi ha tuttavia rivelato limitazioni per potenziali effetti collaterali oncologici come il carcinoma mammario e dell’endometrio, limitandone l’uso.
Nell’articolo vengono analizzati i benefici dell’approccio globale ayurvedico (panchakarma, meditazione, yoga, integrazione con officinali ormone-modulatori) che risulta privo di effetti collaterali.
A cura della direzione scientifica di Benefica
WORLD JOURNAL OF PHARMACY AND PHARMACEUTICAL SCIENCES NVolume 6, Issue 4, 2132-2140 ISSN 2278 – 4357
HEALTHY AND HAPPIER MENOPAUSE WITH AYURVEDA: A REVIEW.
Dr. Deepika Chaudhari 1 and Dr. Pradip Kinage 2
Author information:
1 Asst Professor, Dept of Kriya Sharir, Parul Institute of Ayurveda, Limda, Tal- Waghodia, Dist-Vadodara, Gujarat – 39176, India.
2 Asst. Professor, Dept of Prasuti Tantra & Striroga, Parul Institute of Ayurveda & Research, Ishwarpura, Tal- Waghodia, Dist-Vadodara, Gujarat – 39176, India
ABSTRACT
Ageing is physiological happening which affects each and every organ and system of human body. Ageing affects both physical and mental health of every human being.
In women menopause is one of the natural and unavoidable occurring between 45-55 years. The Postmenopausal female is susceptible for many diseases as she is subjected to a state of hormonal deficiency. Many female experience symptoms like hot flushes, night sweats, insomnia, irritability, mood swings, fatigue etc. But few may suffer from serious disorders like Osteoporosis, heart diseases and others.
Estrogens, either alone or in combination with progestin (HRT) has been used for the management of menopause. But various side effects like breast carcinoma and endometrial carcinoma has limited the use of hormonal treatment.
According to Ayurveda menopause is termed as rajonivrutti.
Panchakarma and other procedures like meditation and yoga etc are also found to be beneficial without any side effects. There many herbs like Shatavari, Shatapushpa, Guduchi etc are good source of phytoestrogen and can be effectively used in managing menopause.
In present review, an attempt is made to find all possible available safe regimens for prevention and management of menopausal symptoms according to Ayurveda.
KEYWORDS: Menopause, Hormones, Phytoestrogen, Panchakarma, Yoga.
ISSN 2278 – 4357
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Newsletter Fitoterapia nr. 31 – Febbraio 2018
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Newsletter n° «31»
Febbraio 2018
Rhodiola rosea (Rodiola)
Un antistress naturale, completo e bilanciato
INTERNATIONAL JOURNAL OF PSYCHIATRY IN CLINICAL PRACTICE, 2018. 1-11. doi:10.1080/13651501.2017.1417442.
Stress management and the role of Rhodiola rosea: a review.
Ion-George Anghelescua, David Edwardsb, Erich Seifritzc and Siegfried Kasperd
L’uomo convive con lo stress da sempre. La comune affermazione che lo “stress” sia un aspetto “tipico della vita moderna” e conseguente ai suoi ritmi, è probabilmente riduttiva; infatti, sin dall’antichità, l’uomo ha dovuto convivere con fattori e cause di stress anche maggiori di quelle attuali, come ad esempio la continua ricerca di cibo, di sicurezza e di riparo per sopravvivere. I nostri antenati, come noi oggi, sono stati ugualmente sottoposti a continuo stress ed i meccanismi neuronali che li coinvolgevano sono esattamente gli stessi che ci coinvolgono al giorno d’oggi.
Certamente “lo stress dei tempi moderni” deriva anche da altri fattori, rispetto all’antichità, come ad esempio dalla “velocità” dello stile di vita contemporaneo ed dalla nostra necessità di adeguarci ad essa, oppure dalla competitività in ambito professionale o da problematiche sociali e famigliari profondamente mutate con il mutare dei tempi.
Un verosimile nuovo problema, per la società moderna, è rappresentato dall’anormale “cronicità” dello stress in relazione al tempo sempre più limitato da poter dedicare a stessi ed al rigenerarsi; questo aspetto condiziona e minaccia la salute e la qualità della vita dell’uomo in tutto il mondo industrializzato, determinando problematiche psichiche e/o fisiche.
Rispetto a questo “accelerato” stile di vita, l’antica capacità di adattamento per cui l’uomo è comunque programmato, ha perso la capacità di “tenere passo”.
Come dicevamo l’uomo ha dovuto convivere con lo “stress” sin dall’antichità tanto che il filosofo greco Epitteto (50 – 125 circa d.C.) ne aveva anticipato un’analisi sostenendo che “la gente non è disturbata dalle cose in sé, ma dall’opinione che ha delle cose” e cioè: “sono il punto di vista che assumiamo e la valutazione che diamo delle situazioni e delle persone, a determinare i nostri sentimenti e le nostre reazioni emotive” (A. Oliverio Ferraris La forza d’animo, Rizzoli, 2003). Molto più tardi, nel 1984, Lazarus e Folkman, completarono queste antiche riflessioni definendo lo stress come una particolare relazione tra la persona e l’ambiente che è valutata dalla persona come onerosa o eccedente le sue risorse e che minaccia il suo benessere.
La moderna psico-neuro-immunologia ha successivamente dimostrato il “toto” mente-corpo nel quale stati d’animo, pensiero, e reazioni fisiologiche, sono strettamente integrate e si condizionano a vicenda istante per istante. Benessere psichico e benessere fisico sono due aspetti imprescindibili l’uno dall’altro.
Nel 1936 Hans Selye diede la prima definizione scientifica dello “stress” il cui nome deriva dall’ingegneria e che indica lo sforzo e la tensione a cui viene sottoposto un materiale. Gli studi di Selye conclusero che animali sottoposti a stimoli stressanti diversi manifestavano segni comuni di ipertrofia corticosurrenale, atrofia timica, e delle ghiandole linfatiche. In questi animali si presentavano inoltre ricorrenti ulcere gastriche. Nelle sue conclusioni Selye ipotizzò una relazione tra l’esposizione ad uno stimolo esterno di pericolo o minaccia e le risposte biologiche dell’organismo, notando che gli animali dimostravano reazioni fisiologiche simili derivanti da una comune attivazione dell’asse ipotalamo-cortico-surrene, con produzione e secrezioni di glucocorticoidi. Selye concluse che lo “stress” corrisponde ad una aspecifica capacità strategica dell’individuo nell’adattarsi a stimoli sia psicologici sia fisici ai quali viene esposto.
Più recentemente lo “stress” è stato definito come una sindrome generale di adattamento (SGA) correlata alla reazione che l’individuo dimostra nel ristabilire un equilibrio in risposta ai fattori stressogeni. La reazione generale dell’organismo interessa il sistema endocrino, umorale, organico e biologico.
La sindrome generale di adattamento può rimanere nei limiti fisiologici oppure assumere valenze patologiche di natura psico-somatica.
Una generale classificazione indica come “eustress” lo stress “positivo” e come “distress” lo stress che provoca un generale scadimento della qualità di vita.
Grazie ai progressi delle neuroscienze, a nuove metodiche psicoterapiche e a nuove “tecnologie mentali” attualmente è possibile affrontare questa sindrome anche in tempi brevi.
Sono inoltre d’aiuto moderne formulazioni nutraceutiche e fitoterapiche che trovano il loro razionale di composizione sin dall’antichità.
Partendo dal presupposto che, nel mondo moderno, i sintomi dello stress tendono a permanere (cronicizzare) in relazione a continue circostanze di vita che non possono essere facilmente evitate, gli interventi psico-dinamici e quelli farmacologici, anche naturali, possono diventare necessari per prevenire gravi problemi mentali e conseguenze che essi possono comportare a livello sociale.
Il moderno approccio farmacologico, irrinunciabile in alcuni casi, presenta diversi “gap” terapeutici di trattamento, infatti la prescrizione di farmaci o di integratori a base di officinali o di vitamine tendono a concentrarsi sulla soluzione di singoli sintomi, piuttosto che contrastare in modo completo tutti gli aspetti dello stress o del burn-out.
E’ inoltre da sottolineare che gli abusati farmaci ansiolitici o quelli di prescrizione psichiatrica (antidepressivi), indicati per situazioni francamente patologiche, comportano il rischio anche di gravi effetti collaterali e frequentemente di dipendenza.
Rispetto a questo quadro generale non stupisce l’attuale ricorso, crescente, a sostanze di origine naturale, note da secoli, per contrastare lo “stress” anche se, per la loro eventuale scelta, dovrebbero essere tenuti in considerazione alcuni aspetti.
Infatti, nella vastissima possibilità di scelta di sostanze naturali antistress, prevalentemente si ritrovano preparati che mirano solamente alla conservazione delle riserve energetiche (azione sui sintomi fisici: energizzanti, vitamine, minerali, etc.) oppure, solamente al rilassamento (sintomi psicologici).
Una terapia farmacologica (anche naturale) vincente dovrebbe invece mirare al contrasto di tutti i sintomi più rilevanti dello stress, in modo bilanciato, completo e specifico, su sfera fisica e mentale, in una combinazione favorevole di sicurezza d’impiego.
Tra le sostanze naturali che meglio rispondono all’esigenza di un approccio globale allo stress viene indicato l’estratto titolato di Rhodiola rosea; il suo antico uso nella medicina tradizionale ed il crescente suo utilizzo nel mondo moderno, confermano il suo effettivo ruolo positivo nel contrasto dello stress sia a livello fisico sia a livello mentale.
Il “Committee on Herbal Medicinal Products” (HMPC) e l’ “European Medicines Agency’s “ (EMA) indicano l’estratto da rizoma di Rhodiola rosea come il principale adattogeno (contrasto e resistenza a stanchezza fisica e mentale) con l’indicazione “Stress” (2011-2012).
Per Rhodiola rosea, nella preclinica in diversi modelli cellulari e animali, è stato identificato un chiaro meccanismo d’azione che modula il rilascio degli ormoni dello stress e contemporaneamente stimola il metabolismo energetico tramite l’attivazione della sintesi di ATP nei mitocondri.
L’estratto di rizoma di Rhodiola rosea contribuisce a normalizzare la sintesi del cortisolo potenzialmente attraverso l’inibizione del “pathway SAPK” che è coinvolto nella patogenesi di resistenza ai glucocorticoidi e che impedisce la formazione di NO associato alla deplezione di sintesi di ATP.
Rhodiola rosea offre inoltre una potenziale protezione nei confronti di patologie cardiache e cerebrali (ad es. infarto, ictus, depressione e Morbo di Alzheimer) attraverso attività antinfiammatorie ed antiossidanti che contrastano il danno della funzione mitocondriale e la produzione eccessiva di specie ossidative reattive (ROS) nei mitocondri; questi eventi infatti possono causare danni, per esempio, alle proteine, agli acidi nucleici e alle membrane, contribuendo, nella cellula all’apoptosi.
E’ importante sottolineare che gli effetti citati possono essere ottenuti solo con prodotti a base di estratti di Rhodiola rosea che rispettino elevati requisiti farmaceutici per qualità e sicurezza.
Nella clinica l’estratto di Rhodiola rosea ha dimostrato di migliorare le prestazioni di lavoro mentale, di attenzione, prestazione e l’umore, oltre alle disabilità professionali, alla vita sociale e familiare, mediamente dopo 4 settimane di trattamento.
Per le valutazioni cliniche sono stati impiegati i sette principali questionari più riconosciuti dalla comunità scientifica mondiale per misurare i miglioramenti sulla sintomatologia generale dello “stress”. Rispetto a queste valutazione l’estratto di Rhodiola rosea ha dimostrato in tutte le variabili di risultato un miglioramento statisticamente significativo, rispetto ad umore, concentrazione, disabilità professionale, con i primi effetti già dopo i primi 3 giorni di trattamento.
L’articolo proposto nella Newsletter, pubblicato nel 2018 da – International Journal of Psychiatry in clinical practice -, analizza in forma di review i principali dati clinici sui benefici della supplementazione con Rhodiola rosea (il principale adattogeno approvato dall’HMPC / EMA) concludendo che l’estratto di Rhodiola rosea, per rilevanza clinica, può essere utile nel colmare il “gap terapeutico” nel trattamento dei sintomi fisici e psicologici dello stress, in particolare nella prevenzione della cronicizzazione dei sintomi, nel loro trattamento e nella prevenzione delle loro complicazioni (burnout e patologie secondarie); l’estratto di Rhodiola contribuisce a normalizzare i livelli di ormone dello stress ed ad incrementare i livelli di energia con un eccellente profilo di sicurezza. |
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INTERNATIONAL JOURNAL OF PSYCHIATRY IN CLINICAL PRACTICE, 2018. 1-11. doi:10.1080/13651501.2017.1417442.
Stress management and the role of Rhodiola rosea: a review.
(a) Ion-George Anghelescua, David Edwardsb (b), Erich Seifritzc (c) and Siegfried Kasperd (d).
Author information:
(a) Department of Psychiatry and Psychotherapy, Clinic Dr. Fontheim, Liebenburg, Germany; (b) Claridges Barn, Oxfordshire, UK; (c) Department of Psychiatry, Psychotherapy and Psychosomatics, Psychiatric Hospital, University of Zurich, Zurich, Switzerland; (d) Department of Psychiatry and Psychotherapy, Medical University of Vienna, Vienna, Aus.
Abstract
Objective: Stress describes the physiological reaction to threat or pressure, which manifests as physical symptoms of exhaustion or energy loss and psychological symptoms, including irritability or tension. If untreated, chronic stress or burnout may develop, both are areas of unmet medical need. Evidence-based treatment and prevention measures are needed.
Methods: Prevention strategies and existing treatment options for stress-related symptoms were evaluated to establish criteria for an adequate pharmacological approach to stress. The authors reviewed the literature to reach a clinically meaningful strategy for prevention and treatment of persistent stress symptoms and their consequences, including burnout and secondary diseases.
Results: Current medication reveals a treatment gap. Most drugs target only psychological or physical stress symptoms. Furthermore, psychotropic medications sometimes prescribed for stress often have unacceptable side effects and bear a risk of overtreatment. Ideally pharmacological therapy should afford comprehensive treatment of all stress symptoms with a favourable safety profile.
Conclusions: Rhodiola rosea extract (RRE) fulfils important requirements. It is the main adaptogen approved by the HMPC/EMA for the indication ‘stress’ and influences the release of stress hormones while boosting energy metabolism as revealed in animal literature. RRE offers comprehensive treatment of stress symptoms and can prevent chronic stress and stress-related complications.
doi:10.1080/13651501.2017.1417442
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Newsletter Ayurveda nr. 39 – Gennaio 2018
Newsletter n° «39»
Gennaio 2018
SHIRODHARA – DUE METODI A CONFRONTO
International Journal of Ayurveda and Pharma Research, 2017;5 (1):28-32
CLINICAL STUDY ON EFFECT OF DIFFERENT METHODS OF SHIRODHARA IN PATIENTS OF INSOMNIA.
Patil, V., Godkar, Y., Gupta, S., Das, K. C., & Kendadamath, D. B.
Apriamo il ciclo delle Newsletter del 2018 con la segnalazione di un articolo pubblicato nel 2017 da “International Journal of Ayurveda and Pharma Research”. La pubblicazione risulta di particolare interesse perché, oltre ad approfondire gli effetti di due diverse metodologie Shirodhara nella problematica dell’insonnia, spiega in modo chiaro e sintetico il probabile meccanismo di azione di questa pratica sempre più diffusa.
Come noto il problema dell’insonnia ha un grande impatto su diverse aree sociali e professionali e coinvolge la persona condizionandone la globale qualità di vita.
Pur con grandi progressi in ambito farmacologico e clinico, la moderna scienza medica non ha ancora individuato un trattamento definitivo ed efficace per questa problematica che spesso è tuttavia un “sintomo” di una patologia diversa.
In questa condizione, tra le diverse possibilità di intervento, la pratica di Shirodhara è considerata molto efficace; Shirodhara può essere praticato (come avviene prevalentemente) con il tradizionale “metodo oscillatorio” oppure con il percolamento della goccia in un singolo punto della fronte (metodo non oscillatorio).
Sull’argomento sono rarissime, se non inesistenti, le ricerche per stabilire quale sia il metodo migliore e per standardizzarlo.
L’obiettivo dello studio è stato proprio quello di confrontare l’efficacia del metodo di gocciolamento in un “singolo” punto della fronte con quello del gocciolamento “oscillatorio”, nelle problematiche dell’insonnia (Nidranasha).
Lo studio conclude che nel gruppo di pazienti “A” (metodo Shirodhara con gocciolamento in punto singolo) rispetto al gruppo “B” (metodo Shirodhara con gocciolamento oscillatorio) si è osservato un miglioramento clinicamente superiore dei parametri soggettivi di durata totale del sonno (48,3%), di qualità complessiva del sonno (48,3%), con un miglioramento significativo della condizione fisica e mentale, e con un miglioramento altamente significativo dei valori della pressione sanguigna.
E’ importante sottolineare che le conclusioni dello studio non indicano una superiorità in senso assoluto e generale di una metodologia rispetto all’altra, ma indicano la superiorità di una, rispetto all’altra, in questa specifica condizione (insonnia).
Come dicevamo, indipendentemente dalle conclusioni dello studio in questa specifica situazione, è interessante estrapolare dallo contesto generale dell’articolo alcune informazioni importanti; ne riportiamo di seguito alcune.
In Ayurveda il “Panchakarma” sta diventando la disciplina specialistica in maggiore e rapida crescita, sulla base della sua efficacia e del suo effetto duraturo, tuttavia la globalizzazione del “Panchakarma” sta ponendo problematiche relative a valutazioni (statisticamente significative) sulla sue efficacia, sulla sua sicurezza e sulla standardizzazione delle procedure. Il bisogno della standardizzazione delle singole procedure vede come obiettivi primari la precisa individuazione delle sostanze “medicinali” impiegate, del loro dosaggio e di eventuali effetti collaterali, in modo da poter sviluppare un “generale” programma di pratica uniforme, applicabile in tutti i centri.
Come noto “Shirodhara” è praticato principalmente nei disordini psichiatrici e psicosomatici e può essere effettuato con diverse metodologie tra le quali quella “oscillatoria” (più frequente) e quella “non oscillatoria; altri specialisti, inoltre, consigliano, ad esempio, anche di fare un massaggio alla testa durante Shirodhara.
Secondo le fonti Ayurvediche l’applicazione di sostanze liquide, versate continuamente su una qualsiasi parte del corpo, per un tempo determinato e prescritto, viene chiamata “Seka” o “Dhara” e questa pratica, sulla testa, viene definita “Shiro Dhara”.
Shiro Dhara è molto utile nel trattare le sintomatologie da stress e nei disturbi psicosomatici come l’IBS (Irritable Bowel Syndrome), nei disturbi neurologici (mal di testa, epilessia, ecc.), nei disturbi psichiatrici (psicosi, nevrosi insonnia ecc.), nei disturbo convulsivi ma trova anche indicazione anche nella psoriasi, negli eczemi,nell’ipertensione e nell’alcolismo.
Nello studio uno degli obiettivi principali è stato quello di valutare gli effetti della “procedura” dello Shirodhara e quindi, tra le sostanze impiegate, è stata inclusa anche l’acqua per poter escludere “effetti medicinali” della sostanza utilizzata per la procedura.
La spiegazione, proposta nell’articolo, del probabile meccanismo di attività di Shirodhara considera, come punto di partenza, gli effetti di Shirodhara sul complesso meccanismo neurofisiologico e neurotrasmettitoriale del sonno.
I più recenti progressi nel campo della neurofisiologia, della neurochimica e della psichiatria hanno fornito molte informazioni sul meccanismo del sonno (Patricia L. Brooks and John H. Peever. Journal of Neuroscience.2012) e dei disturbi che lo possono coinvolgere. Durante il sonno si verificano molti cambiamenti fisiologici nelle funzioni cardio-respiratorie, nella temperatura corporea, nel tono muscolare, nella secrezione ormonale e nella pressione sanguigna. Il sonno è una delle funzioni fisiologiche più importanti che influenzano l’attività diurna, la vigilanza, la concentrazione e le prestazioni in generale.
La procedura di “gocciolamento” tipica di Shirodhara produce, concretamente, una pressione e una vibrazione costanti, sui punti della fronte prescelti; gli effetti della pressione e della vibrazione verrebbero amplificati dal seno cavo presente nell’osso frontale. La vibrazione verrebbe quindi trasmessa verso l’interno, attraverso il fluido del liquido cerebrospinale (CSF).
Recenti approfondimenti scientifici indicherebbero che questa vibrazione, unitamente ad un moderato riscaldamento della sostanza utilizzata, attiverebbe le funzioni del talamo e del proencefalo basale, normalizzando la quantità di serotonina e catecolamine (queste ultime hanno effetti tipici come l’aumento del battito cardiaco, della pressione del sangue, dei livelli di glucosio nel sangue e governano una reazione generale del sistema nervoso simpatico).
La pressione esercitata dalla caduta della goccia esercita inoltre un effetto sulla conduzione degli impulsi nervosi, infatti, se viene esercitata una pressione prolungata su un nervo, la conduzione degli impulsi viene interrotta e la parte del corpo interessata si rilassa.
Si deve inoltre tenere in considerazione che a questi effetti “fisici” della procedura di Shirodhara si devono poi aggiungere quelli “farmacologici” dell’olio medicato impiegato che esercitano azione tranquillizzanti raggiungendo la corteccia cerebrale.
I costituenti chimici dell’olio medicato infatti possono agire mimando l’attività di alcuni neurotrasmettitori, in quanto rintracciabili nella corteccia cerebrale.
Sempre secondo letteratura scientifica Shirodhara eserciterebbe un probabile “effetto di blocco” alfa – adrenergico e quindi modulerebbe certi effetti (eccitatori) dipendenti dall’ adrenalina e dalla noradrenalina, inoltre agirebbe anche direttamente sul neurone adrenergico, modificando i meccanismi di immagazzinamento, assorbimento e sintesi della noradrenalina.
Proprio gli effetti sulla secrezione ormonale indicano i probabili effetti diretti di Shirodhara sull’ipotalamo, che è il principale controllore delle secrezioni endocrine; i neuroni dell’ipotalamo, che producono gli ormoni regolatori, sono a loro volta controllati da specializzati neuroni monoaminergici, che risiedono nel mesencefalo; questi ultimi rilasciano dopamina, noradrenalina e serotonina ed intervengono nella regolazione dei nuclei del mesencefalo che sotto il controllo delle funzioni centrali, regolano le risposte allo stress e i disturbi emotivi.
L’ipotalamo inoltre, insieme al sistema limbico, regola la sensazione di rabbia, di aggressività, di dolore e piacere ed anche i modelli comportamentali dell’ eccitazione sessuale. Lo studio chiarisce come lo Shirodhara agisca sull’ipotalamo con conseguente riduzione della maggior parte dei disturbi psichici e somatici.
A cura della direzione scientifica di Benefica
International Journal of Ayurveda and Pharma Research, 2017;5 (1):28-32
CLINICAL STUDY ON EFFECT OF DIFFERENT METHODS OF SHIRODHARA IN PATIENTS OF INSOMNIA
Vasant Patil1*, Yogesh Godkar2, Sanjay Gupta3, K.C. Das4, D.B. Kendadamath5 *
Author information:
1Professor, Dept. of PG Studies in Panchakarma, SSRAMC, Inchal, Karnataka, India. 2Consulting Ayurveda Physician, Savantwadi, Maharashtra, India. 3Associate Professor, Dept. of Panchkarma, Rishikul Campus, Haridwar, Uttarakhand Ayurved University, India. 4Principal, SVMAMC, Ilkal, Karnataka, India. 5Lecturer, Govt. Ayurveda Medical College, Mysore, Karnataka, India.
ABSTRACT
Background: Insomnia has a great impact on social, occupational and other functioning areas of the individual. The modern medical science is still not having a definitive and effective treatment for this disease. Shirodhara is considered as the highly effective treatment for this condition. Most practitioners practising oscillatory method of Shirodhara, Some advises to do single point Shirodhara. Interestingly there is no research has been done on this topic to find out which method is best and standard.
Aims: To compare the efficacy of single point drip method Jaladhara and Oscillatory drip method Jaladhara in Nidranasha.
Methods and Materials: Study was conducted in 30 diagnosed patient of Nidranasha with the help of symptoms of Nidranasha and Athens insomnia scale. The patients were randomly divided into 2 groups. i.e., Group A and Group B to compare the effect of Single point drip method and oscillatory drip method in Insomnia.
Results: Group A (Single point drip method Shirodhara) provided better relief compared to Group B (Oscillatory drip method Shirodhara) clinically in subjective parameters Total sleep duration (48.3%), overall quality of sleep (48.3%) and Statistically provided moderately significant improvement in Functioning (physical and mental) and highly significant improvement in systolic blood pressure.
Conclusion: Single point drip method Shirodhara compared to Oscillatory drip method Shirodhara provided better relief clinically and statistically.
KEYWORDS: Insomnia, Nidranasha, Oscillatory drip, Panchakarma, Shirodhara, Single point drip.
ISSN: 2322 – 0902 (P) ISSN: 2322 – 0910 (O)
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Newsletter Fitoterapia nr. 30 – Gennaio 2018
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Newsletter n° «30»
Gennaio 2018
Commiphora Mukul (Guggulu)
Potenziali terapeutici in oncologia
Nutr Metab (Lond). 2017 Feb 28;14:23. doi: 10.1186/s12986-017-0180-8. eCollection 2017.
Potential therapeutic targets of Guggulsterone in cancer.
Bhat AA, Prabhu KS, Kuttikrishnan S, Krishnankutty R, Babu J, Mohammad RM, Uddin S.
Commiphora Mukul (Hook. ex Stocks), è una tra le piante medicinali tradizionali di maggior interesse, non solo per il largo impiego che ha avuto nei millenni, ma per un crescente interesse, anche della moderna biomedicina, che ne sta recentemente approfondendo i potenziali terapeutici.
Il nome tradizionale più frequente della pianta è “Guggulu” ma è conosciuta anche come “Mirra Mukul” e appartiene alla famiglia delle Burseraceae. Il nome “Guggulu” deriva direttamente dal sanscrito e viene spesso tradotto con “protegge dalle malattie”. Si presenta come pianta spinosa che cresce in terreni poveri dell’India, Bangladesh e Pakistan, ma può essere trovato dal Nord Africa all’Asia centrale. Predilige i climi aridi e semi-aridi. Attraverso l’incisione della corteccia, nella parte bassa della pianta, si ricava una resina, chiamata gomma “gugul”.
Dalla gommoresina di “Guggulu” si ottiene un estratto nel cui fitocomplesso sono contenuti lignani diarilfuranici come la “sesamina” e altri composti simili, diterpeni macrociclici (detti “cembrani”), esteri dell’acido ferulico e carburi saturi (detti “guggultretoli”) oltre a steroidi derivati dal colestano e dal pregnano.
I composti principali sono i “guggulsteroni” E e Z, (isomeri geometrici del pregnan-4,17(20)-diene-3,16-one). Essi sono accompagnati dai “guggulsteroli” detti anche “guggulipidi”. Nella frazione gommosa si ritrova inoltre un polisaccaride con molecola molto ramificata, costituito da D-galattosio, da L-arabinosio e dall’etere metilico in 4 dell’acido D-glicuronico.
Sempre nella gommoresina è presente una frazione volatile, costituita soprattutto da monoterpeni e in particolare da mircene, ma anche da alfa-pinene, beta-pinene, sabinene, alfa-tuiene, limonene, 3-carene e beta-elemene.
La moderna forma farmaceutica consigliata è l’estratto secco titolato in Guggulsteroni Z ed E (min.2,5 %). [monograph]
I sistemi di medicina tradizionale, hanno impiegato nei secoli Guggulu, per patologie molto diverse, tuttavia sempre accomunate da una elevata componente infiammatoria. Nell’uso tradizionale è stato prevalentemente impiegato per combattere le patologie derivanti dall’eccesso di lipidi del sangue, la disfunzione epatica e l’obesità, ma la letteratura scientifica è concorde nell’attribuire a questo officinale significative attività antinfiammatorie ed analgesiche e potenziali protettivi in oncologia (per altro ampiamente già note anche nell’uso tradizionale). Tradizionalmente è stato impiegato anche nella disfunzione urinaria, nella sinusite, nell’edema e in improvvisi attacchi di paralisi. Nel mondo contemporaneo ed occidentale i potenziali medicamentosi di Guggulu vengono principalmente sfruttati in moderne formulazioni nutraceutiche e fitoterapiche che, in forma di integratori naturali, mirano a contrastare l’ipercolesterolemia “borderline” anche in situazioni di sovrappeso e obesità (quando è necessario integrare le modifiche dello stile di vita) a favore di un contenimento del rischio cardio-vascolare. [monograph]
I “guggulipidi” (guggulsteroli) possiedono dimostrate capacità ipolipemizzanti e soprattutto ipocolesterolemizzanti, poichè contribuiscono a ridurre il colesterolo totale e il colesterolo LDL, migliorando la ratio colesterolo HDL/colesterolo totale; questa azione è dovuta in parte ad un aumento del numero dei recettori per le LDL posti sulla superficie degli epatociti (e quindi ad un aumento del legame colesterolo/recettore) ed, in parte, ad uno stimolo sulla funzionalità della tiroide (effetto tuttavia difficilmente raggiungibile con i dosaggi medi degli integratori), i cui ormoni hanno notoriamente un effetto ipocolesterolemizzante e in parte anche ad un aumento dell’attività dell’enzima dopamina-beta-idrossilasi. Dati recenti indicano che i guggulsteroni sono antagonisti del recettore X farnesoide, un recettore ormonale nucleare che è attivato dagli acidi biliari, e che provoca un aumento del colesterolo. [monograph]
Dalla fine degli anni ’80 un crescente interesse scientifico per Guggul ha prodotto numerosi studi clinici per approfondirne i razionali di utilizzo nell’iperlipidemia, nell’ipercolesterolemia anche correlata a situazioni di obesità. Questi studi sono concordi nell’evidenziare che dopo assunzione per alcune settimane di estratto di Guggul, si può osservare un’attività ipolipemizzante, con una significativa riduzione media dei valori di colesterolo totale, colesterolo LDL e trigliceridi (13-20 %). Esami di laboratorio dimostrano anche che Guggul è in grado di prevenire l’ossidazione lipidica e di ridurre i fenomeni infiammatori a carico delle cellule dei vasi sanguigni, che concorrono all’insorgenza delle malattie cardio-vascolari. Secondo questi studi Guggul dimostrerebbe la capacità di ridurre i livelli lipidici circolanti, determinando indirettamente un effetto cardioprotettivo. [monograph]
L’interessantissima attività antinfiammatoria (anche analgesica) di Guggul, viene attribuita ai “guggulsteroni” che si dimostrano in grado di ridurre i livelli circolanti di marcatori e citochine pro-infiammatorie (come IL-1b, IL-2 e TNF-a), inoltre i guggulsteroni si dimostrano in grado di ridurre l’espressione delle cicloossigenasi-2 (COX2) e di sopprimere l’induzione mediata da TNFa.
Ai guggulsteroni viene anche attribuita la capacità di sopprimere l’attivazione di NF-kB (“nuclear factor kappa-light-chain-enhancer of activated B cells”) che, come mediatore trascrizionale, esprime effetti pro-infiammatori e pro-cancerogenici nelle cellule.
Nell’articolo che segnaliamo, disponibile in PubMed da febbraio 2017, vengono indagati i potenziali di Guggul in oncologia sulla base delle osservazioni sulla sua capacità di indurre apoptosi nelle cellule tumorali. I fitosteroli contenuti nella gommoresina, infatti, hanno evidenziato un potenziale neo-preventivo e terapeutico in oncologia, in diversi studi in vitro e in vivo. I chemiotipi del fitocomplesso di Guggulu hanno come bersaglio l’attività dei percorsi di sopravvivenza delle cellule tumorali, come PI3-chinasi e AKT, e le vie di segnalazione JAK / STAT e NFκB, che sono coinvolte nella regolazione della crescita tumorale e delle risposte infiammatorie. Questi effetti sono stati osservati su diversi tipi di cellule tumorali.
La moderna “chemioprevenzione”, (intesa come “Strategia preventiva basata sull’impiego di sostanze naturali o di farmaci capaci di interrompere o far regredire il processo di cancerogenesi), appare oggi prospettiva praticabile per molti tumori di origine ambientale; essa mira a identificare farmaci o composti che uccidano le cellule tumorali con minore tossicità per i tessuti sani. Un approccio alternativo potrebbe essere quello di identificare “attivi” in grado di rallentare o fermare la progressione del tumore.
Come noto vi sono prove che collegano la crescita delle cellule tumorali con l’alterazione (dis-regolazione) dei complessi meccanismi di regolazione dell’apopotosi e sulla base di questo è basata l’ipotesi che, come obiettivo, per la prevenzione del cancro, siano proprio da coinvolgere i percorsi di segnalazione apoptotica così come agiscono i principali farmaci chemioterapici, attualmente utilizzati, che esercitano il loro effetto citotossico attraverso l’induzione dell’apoptosi.
Il successo della terapia del cancro dipenderebbe dalla sensibilità delle cellule tumorali nella risposta agli agenti terapeutici che attivano i processi di apoptosi; i complessi meccanismi a cascata che inducono l’apoptosi possono essere indotti da una grande varietà di farmaci con diversi strutture chimiche e con diversi meccanismi di azione, in particolare attraverso l’inibizione della sopravvivenza delle cellule tumorali e con un aumento dell’espressione dei geni pro-apoptotici.
In questo senso i composti naturali hanno dimostrato di avere una bassa citotossicità e di essere efficienti nel bloccare il segnale di prosecuzione/crescita dei percorsi di trasduzione nelle cellule tumorali. Queste sostanze anti-tumorali naturali hanno dimostrato attività sia in vivo che in vitro.
L’effetto farmacologico del guggulsterone (che ricordiamo essere un polifenolo vegetale) spiega il motivo per il quale Guggul, nella medicina tradizionale, sia stato ampiamente utilizzato nel trattamento di più malattie e disturbi.
E’ oggi accertato che i guggulsteroni sono antagonisti del Recettore X dell’acido glutinico (FXR) e questo meccanismo di inibizione determina attività antitumorale in cellule tumorali di diversa tipologia.
Ulteriori approfondimenti scientifici sono indirizzati a confermare che i guggulsteroni intervengono nella regolazione dell’omeostasi del colesterolo incrementando l’attività di trascrizione della pompa di trasporto dei sali biliari.
In questo articolo sono illustrati e discussi in modo dettagliato gli obiettivi molecolari ed i meccanismi che regolano l’apoptosi in varie tipologie di cellule tumorali. |
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Nutr Metab (Lond). 2017 Feb 28;14:23. doi: 10.1186/s12986-017-0180-8. eCollection 2017.
Potential therapeutic targets of Guggulsterone in cancer.
Bhat AA (1), Prabhu KS (1), Kuttikrishnan S (1), Krishnankutty R (1), Babu J (2), Mohammad RM (1), Uddin S (1).
Author information:
(1)Translational Research Institute, Hamad Medical Corporation, PO Box 3050, Doha, Qatar.
(2)Department of Biochemistry and Molecular Biology, University of Nebraska Medical Center, Omaha, NE USA.
Abstract
Natural compounds capable of inducing apoptosis in cancer cells have always been of considerable interest as potential anti-cancer agents. Many such compounds are under screening and development with their potential evolution as a clinical drug benefiting many of the cancer patients. Guggulsterone (GS), a phytosterol isolated gum resin of the tree Commiphora mukul has been widely used in Indian traditional medicine as a remedy for various diseses. GS has been shown to possess cancer chemopreventive and therapeutic potential as established by in vitro and in vivo studies. GS has been shown to target constitutively activated survival pathways such as PI3-kinase/AKT, JAK/STAT, and NFκB signaling pathways that are involved in the regulation of growth and inflammatory responses via regulation of antiapoptotic and inflammatory genes. The current review focuses on the molecular targets of GS, cellular responses, and the animal model studies in various cancers. The mechanistic action of GS in different types of cancers also forms a part of this review. The perspective of translating this natural compound into a clinically approved drug with its pros and cons is also discussed.
DOI: 10.1186/s12986-017-0180-8
PMCID: PMC5331628
PMID: 28261317
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Newsletter Ayurveda nr. 38 – Dicembre 2017
Newsletter n° «38»
Dicembre 2017
Disturbi d’ansia e del sonno
Ayurveda e una benzodiazepina a confronto
Current science, Vol. 111, No.2, 25 July 2016 283
MANASAMITRA VATAKA AND SHIRODHARA TREATMENTS PRESERVE SLOW WAVE SLEEP AND PROMOTE SLEEP CONTINUITY IN PATIENTS WITH GENERALIZED ANXIETY DISORDER AND CO-MORBID GENERALIZED SOCIAL PHOBIA
Basavaraj R. Tubaki, Anupriya Verma, Arun Sasidharan, S. Sulekha, T. N. Sathyaprabha, D. Sudhakar, C. R. Chandrashekar, G. S. Lavekar and Bindu M. Kutty
Vogliamo concludere l’anno 2017 con una Newsletter molto particolare nel suo genere. L’articolo scientifico-clinico di cui proponiamo la lettura è stato pubblicato da CURRENT SCIENCE a luglio 2016, e tratta dei benefici di due interventi ayurvedici, Shirodhara ed una formulazione ayurvedica per via orale, nei disturbi del sonno e di ansia generalizzata (GAD), una problematica sempre più frequente ed attuale nel mondo contemporaneo. Lo studio risulta di particolare interesse perché confronta gli effetti benefici sul problema, di Shirodara (con Brahmi taila) e di Manasamitra Vataka, una tradizionale formulazione per uso orale ayurvedica, oltre alla loro eventuale associazione, nei confronti dell’attività del clonazepam (una benzodiazepina) usato come farmaco di riferimento.
Il disegno della sperimentazione è randomizzato, controllato, in aperto, su pazienti arruolati nel centro di psichiatria ambulatoriale dell’Istituto nazionale per Salute mentale e le neuroscienze (NIMHANS) di Bangalore in India.
Il disturbo di ansia generalizzato (GAD) è molto frequente nel mondo moderno con stime di prevalenza comprese tra il 4,0% e il 6,6% della popolazione mondiale. Come noto, il disturbo d’ansia generalizzato si manifesta con una vasta gamma di sintomi sia fisici sia psico-emotivi e dimostra una frequente comorbilità con un’altra patologia psichiatrica, la Fobia Sociale (SP), che si manifesta con la presenza di una paura irrazionale di umiliazione pubblica o di imbarazzo sociale.
Negli stati depressivi e di ansia, i disturbi del sonno si manifestano con elevata frequenza e si accompagnano a disturbi affettivi. Nei pazienti affetti da GAD i disturbi del sonno vengono misurati con valutazioni soggettive, ad esempio, della difficoltà di addormentamento, della difficoltà nel mantenere il sonno, del senso affaticamento diurno ma vengono inoltre valutati anche con metodiche oggettive strumentali, in relazione alla riduzione della quantità del sonno SWS (sonno ad onde lente) e del sonno REM (sonno a movimenti oculari rapidi).
Il numero maggiore dei pazienti inclusi nello studio erano affetti da GAD ed, in numero minore, da Fobia sociale; nei diversi gruppi di trattamento dello studio è stata studiata “l’architettura” globale del sonno con elettroencefalogramma e polisonnografia, confrontando gli effetti dell’approccio ayurvedico rispetto a quelli ottenuti con un farmaco di riferimento, come il clonazepam, una benzodiazepina, in grado di indurre il sonno e di influenzarne la qualità.
Come noto, con differenze in relazione al diverso profilo farmacologico, le benzodiazepine, utilizzate come ansiolitici, agiscono più o meno direttamente nell’induzione del sonno ma ne influiscono intrinsecamente sulla struttura;
a loro volta i farmaci antidepressivi SNRI (inibitori del reuptake della serotonina e della norepinefrina) ed i farmaci SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) influenzano negativamente il sonno REM ed incrementano i risvegli notturni.
Considerati gli effetti collaterali di questi farmaci (molto utilizzati) che agiscono sul sonno, attualmente vengono incoraggiate nuove strategie di trattamento per risolvere il problema e, tra queste, l’Ayurveda è tra le più promettenti (odds ratio 3: 1; intervallo di confidenza del 95%,1.6-6.0).
Nel disturbo d’ansia generalizzata (GAD), tradizionalmente, l’Ayurveda prescrive la pratica di Shirodhara (prevalentemente con Brahmi taila) ed anche di Manasamitra Vataka (potente formulazione ayurvedica polierbale per uso orale); entrambe queste due soluzioni ayurvediche hanno dimostrato potenti proprietà ansiolitiche anche quando confrontate con il clonazepam, usato come farmaco di riferimento.
Gli effetti di “Shirodhara”, sulle generali problematiche dello stress e sulla sintomatologia ansiosa correlata, sono ormai note ed ampiamente documentati sia nelle fonti storiche ayurvediche sia nelle più recenti indagine scientifiche e, tra gli effetti positivi, spiccano anche i positivi influssi sul sonno.
Rispetto a queste valutazioni generali, lo studio citato focalizza l’attenzione sugli effetti di Shirodhara con Brahmi taila su particolari aspetti della qualità del sonno.
“Manasamitra Vatakam” è invece un classico rimedio ayurvedico per via orale, generalmente consigliato in diverse condizioni psichiatriche, a sostegno delle performances cognitive o ad esempio nei problemi del linguaggio (proprietà nootropiche, psicotropiche e ansiolitiche). Si tratta di una potente formula polierbale, molto complessa, ispirata ai principi Ayurvedici del Kerala.
E’ importante sottolineare che attualmente questa formulazione non è commercializzabile in Italia per limiti ministeriali di impiego di particolari officinali in essa contenute ; questa preparazione tradizionale, mediamente, prevede la combinazione di circa 73 diversi ingredienti; essa dimostra effetti paragonabili a quelli dei farmaci di riferimento e dovrebbe essere assunta solo sotto stretto controllo medico; generalmente viene prescritta nelle forme di autismo nell’adulto, nell’insonnia, nella schizofrenia e nelle forme di paranoia; i suoi effetti sono indicati come “tridosha” poiché in grado di bilanciare Vata, Pitta e Kapha.
La moderna farmacologia ha accertato che officinali, come Withania somnifera Dunal, posseggono attività GABA-mimetica analogamente a Bacopa monnieri che facilita anche il sonno e che, come Centella asiatica, modula l’up-regulation della serotonina.
La pratica di Shirodara con Brahmi ha dimostrato, in diversi studi clinici, di migliorare significativamente i sintomi dell’ansia valutati con STAI (State-Trait Anxiety Inventory) per effetti di sostanze farmacologicamente attive sul cervello per via transcranica, inoltre migliora anche la continuità del sonno, a differenza di quanto avviene con la sola somministrazione esterna di altre forme di Brahmi.
Lo studio ha concluso che Shirodhara con olio di Brahmi riduce considerevolmente i “micro-arousal” (micro risvegli notturni) e la sonnolenza diurna, senza alterare le fisiologiche dinamiche degli “sleep spindles” del sonno non- REM (“fusi del sonno” : indicatori nel tracciato dell’elettroencefalogramma che indicano l’intensità del sonno( contrariamente a quanto avvenuto con il trattamento con clonazepam che ha comportato deficit di potenza e di densità dei “fusi del sonno”, che sono indicazione di intensità del sonno ridotta.
Più nel dettaglio lo studio ha indagato gli effetti dei trattamenti ayurvedici nel determinare cambiamenti “nell’architettura” del sonno, confrontandoli con quelli del farmaco di riferimento clonazepam.
In particolare sono stati valutati i miglioramenti nella difficoltà di addormentamento, nel mantenimento del sonno, nella riduzione dei risvegli notturni oltre che ai disturbi diurni.
Nei pazienti con disturbo d’ansia generalizzata, l’insonnia si presenta nel 60-70 % dei casi e più della metà dei pazienti inclusi nello studio avevano dichiarato di soffrire di sonno disturbato e non ristoratore, con scadimento della globale qualità della vita; in questi pazienti, e nei pazienti affetti da GAD con comorbilità per la Fobia sociale, lo studio ha concluso che i trattamenti ayurvedici si sono rivelati più efficaci del clonazepam nel promuovere e preservare il sonno SWS e nel mantenere la globale architettura del sonno, mentre il trattamento con clonazepam la ha alterata gravemente.
Nei gruppi trattati con gli interventi ayurvedici tutti i pazienti hanno riportato un miglioramento della qualità del sonno e del senso di ristorazione e le valutazioni strumentali dell’architettura del sonno hanno mostrato che le principali variabili, come l’efficienza e la qualità del sonno, la sua durata, l’incidenza di microrisvegli notturni, erano nel limite del fisiologico.
Attraverso l’analisi degli effetti dei trattamenti, sia oggettivamente sia soggettivamente, gli interventi ayurvedici si sono dimostrati in grado di conservare meglio lo stadio del sonno SWS che è fisiologicamente ristorativo, riducendo la fase di sonno NREM1 e la latenza inziale dell’addormentamento. Al contrario il clonazepam ha potenziato la fase NREM S2, riducendo la latenza inziale del sonno, ma riducendo la fase di sonno SWS che è fisiologicamente molto importante per l’effetto ristorativo.
Attualmente si ritiene che i “fusi del sonno” svolgano un ruolo chiave nell’indicare il mantenimento del sonno, in particolare nella transizioni tra fase REM e fase SWS (onde lente). La fase SWS (ad onde lente) svolge un ruolo fondamentale nel mantenere l’omeostasi del corpo, contribuendo al riposo ed al ristoro cerebrale, inoltre, il sonno SWS rappresenta il principale periodo di secrezione dell’ ormone della crescita anabolico, per la crescita e la riparazione dei tessuti, ed è coinvolto nelle dinamiche di apprendimento, di consolidamento della memoria e di mantenimento e consolidamento del sonno; rispetto a questi aspetti, i trattamenti ayurvedici si sono rivelati più efficaci, rispetto a clonazepam, nel mantenimento di un’adeguata architettura del sonno, e nella preservazione del sonno SWS (onde lente).
Le implicazioni etiche di “non trattamento” di un gruppo placebo di controllo hanno imposto allo studio i limiti del disegno “in aperto” e non “in doppio cieco”, tuttavia è importante sottolineare che si tratta di un raro esempio in cui i trattamenti Shirodhara e Manasamitra Vataka sono stati studiati su una popolazione psichiatrica e confrontati con un farmaco.
Le conclusioni dello studio mettono evidenziano che Manasamitra Vataka e Shirodhara con Brahmi taila promuovono il sonno e ne migliorano e conservano la qualità, preservandone l’architettura, in pazienti con disturbo d’ansia generalizzata (GAD) anche in comorbilità con disturbo di Fobia sociale (SP).
Entrambi i trattamenti si sono dimostrati molto efficaci, confrontati con clonazepam, in termini di conservazione del sonno SWS (onde lente).
Shirodhara con Brhami taila ha avuto un effetto addizionale su Manasamitra Vataka, contribuendo a migliorare la continuità del sonno, riducendo i “micro-arousals” e anche la sonnolenza diurna.
Le risultanze delle variabili cliniche mostrano che gli interventi ayurvedici sono risultati efficaci nel migliorare GAD con SP con effetti comparabili al clonazepam.
Gli interventi studiati nello studio suggeriscono una strategia di trattamento globalmente efficace nel Disturbo d’ansia generalizzato (GAD) anche in comorbilità con Fobia sociale (SP).
A cura della direzione scientifica di Benefica
Current science, vol. 111, no. 2, 25 july 2016 283
MANASAMITRA VATAKA AND SHIRODHARA TREATMENTS PRESERVE SLOW WAVE SLEEP AND PROMOTE SLEEP CONTINUITY IN PATIENTS WITH GENERALIZED ANXIETY DISORDER AND CO-MORBID GENERALIZED SOCIAL PHOBIA
Basavaraj R. Tubaki1, Anupriya Verma1, Arun Sasidharan1, S. Sulekha1, T. N. Sathyaprabha1, D. Sudhakar2, C. R. Chandrashekar3, G. S. Lavekar4 and Bindu M. Kutty1,*
Author information:
1Department of Neurophysiology, 2Advanced Centre for Ayurveda, and 3Department of Psychiatry, National Institute of Mental Health and Neurosciences, Bengaluru 560 029, India, 4Central Council for Research in Ayurvedic Sciences, New Delhi 110 058, India
ABSTRACT
This study demonstrates the clinical efficacy of Manasamitra Vataka and Shirodhara (Ayurvedic treatments) over clonazepam in preserving slow wave sleep and promoting sleep quality in patients of generalized anxiety disorder (GAD) with co-morbid generalized social phobia. Whole night polysomnography was carried out to assess the sleep architecture and spindle– delta dynamics. The study highlights the sleep promoting and preserving nature of Manasamitra Vataka and Shirodhara in GAD patients with co-morbid generalized social phobia. Ayurvedic treatments were helpful in improving the subjective quality of sleep and preserve sleep organization. Further studies are needed to confirm the potential of Ayurvedic interventions as a treatment of choice in the management of anxiety disorders.
KEYWORDS: Clonazepam, generalized anxiety disorder, Manasamitra Vataka, Shirodhara, sleep architecture.
doi: 10.18520/cs/v111/i2/283-292
Newsletter Fitoterapia nr. 29 – Dicembre 2017
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Newsletter n° «29»
Dicembre 2017
L’integrazione con fibre alimentari
Ruolo nella sindrome dell’intestino irritabile
Int J Mol Med. 2017 Sep;40(3):607-613. doi: 10.3892/ijmm.2017.3072. Epub 2017 Jul 19.
Dietary fiber in irritable bowel syndrome (Review).
El-Salhy M, Ystad SO, Mazzawi T, Gundersen D.
L’articolo scientifico segnalato in questa newsletter è disponibile in Pubmed da settembre 2017 e focalizza l’attenzione, in forma di review, sul ruolo della supplementazione di fibre alimentari nella Sindrome dell’intestino irritabile. Lo studio, in forma sintetica, suggerisce inoltre i generali criteri di scelta tra le diverse tipologie di fibre alimentari oggi disponibili nei moderni integratori.
È noto che la sindrome dell’intestino irritabile è un disturbo gastrointestinale cronico che viene altamente correlato ad un carente apporto di fibre naturali con la dieta; infatti tra i più comuni consigli dei medici ai pazienti, prevale quello di aumentare l’apporto di fibre, attraverso una corretta alimentazione.
La supplementazione di fibre alimentari, con gli integratori naturali, rappresenta un vera integrazione “funzionale”.
Se l’assunzione di fibre, attraverso una corretta alimentazione, comporta l’assunzione di fibre “diverse” tra loro, in relazione ai diversi alimenti assunti, in altri termini invece si pone la situazione quando l’integrazione di fibre avvenga con integratori alimentari, il cui uso oggi è molto diffuso.
Le fibre alimentari disponibili nei moderni integratori mostrano differenze anche marcate, rispetto alle loro diverse proprietà fisiche e chimiche, e ne consegue che, i benefici per lo stato di salute, siano specifici e diversi per ogni tipo di fibra.
La sola assunzione di fibre alimentari idrosolubili a “catena corta” ed altamente fermentabili (oligosaccaridi) comporta una rapida e massiva produzione di gas che può causare dolore intestinale, gonfiore addominale, meteorismo e flatulenza, di fatto aggravando la tipica sintomatologia della sindrome dell’intestino irritabile.
Al contrario l’assunzione di fibre solubili a “catena lunga” e minimamente fermentabili (mediamente gelificanti) genera una ridotta produzione di gas intestinali e ne evita la sintomatologia correlata.
Gli effetti delle diverse tipologie di fibre alimentari, nella gestione dell’IBS, per migliorarne la sintomatologia, sono oggi ben documentati nella letteratura scientifica.
Come noto la fibra alimentare agisce sul tratto gastrointestinale attraverso diversi meccanismi tra i quali il principale è l’aumento della massa fecale con incremento della peristalsi intestinale nel colon.
La fase di fermentazione delle fibre è inoltre responsabile della sintesi di molti sottoprodotti, in particolare di acidi grassi a catena corta, che hanno azione diretta sul microbiota intestinale, sul sistema immunitario e sul sistema neuroendocrino dell’intestino.
Sulla base di queste evidenze l’integrazione di fibre alimentari come lo Psillio (Plantago ovata Forskal) è oggi ritenuta globalmente sicura ed efficace nel miglioramento dei sintomi dell’IBS ed inoltre offre altri ed importanti benefici, per la salute, come la riduzione dei livelli di colesterolo nel sangue, il controllo glicemico e la gestione del peso corporeo.
Nella società attuale l’incidenza clinica della sindrome dell’intestino irritabile è rilevante, e comunque inquadrata come comune sintomo gastrointestinale cronico, raggiunge una prevalenza del 10-20% tra gli adulti della popolazione mondiale, soprattutto femminile, riducendo notevolmente la qualità della vita e rappresentando anche un onere economico sociale.
Le fibre alimentari sono costituite prevalentemente da carboidrati non digeribili e da lignina che sono naturalmente presenti nei vegetali ed è accertato che producono effetti fisiologici sull’uomo.
Non è un caso che i principali sistemi di Medicina tradizionale, nel corso di millenni, abbiano sfruttato i benefici delle fibre alimentari con efficacia e sicurezza, in diverse condizioni di disturbi gastrointestinali.
Sugli effetti delle fibre alimentari l’attuale letteratura scientifica è ampia e significativa, ed è concorde nello stabilire che le fibre alimentari idrosolubili migliorano i sintomi dell’IBS diversamente da quanto avviene per le fibre non “idrosolubili”.
Obiettivo dell’articolo che segnaliamo è stato quello di discutere i benefici della supplementazione di fibre nel trattamento dell’IBS e di indicare il tipo di fibra raccomandata puntualizzandone anche gli effetti su microbiota, sistema immunitario ed il sistema neuroendocrino intestinale.
In una rapida classificazione le fibre alimentari possono essere suddivise in solubili (in acqua) e insolubili; esse dimostrano proprietà chimico-fisiche molto diverse.
Le fibre alimentari solubili possono essere a loro volta suddivise in “gelificanti” (con capacità di gelificante variabile a seconda della fibra) e “non gelificanti” ed ulteriormente classificate come a “catena corta” o a “catena lunga” e fermentabili e non fermentabili.
Caratteristica delle fibre a catena corta altamente fermentabili (es. oligosaccaridi) è quella di produrre rapidamente una grande quantità di gas intestinale che, quando non più gestibile dall’intestino, viene riassorbita dal sangue ed eliminata dai polmoni. L’eccesso di gas intestinali, come noto, può causare dolore addominale / disagio, gonfiore addominale / distensione e flatulenza.
Effetti molto diversi sono invece quelli delle fibre solubili a catena lunga; tra queste di particolare interesse risulta quella da “Psillio” che, caratterizzata da una media capacità gelificante e di viscosità, e minimamente fermentata (20%), produce una minima quantità di gas intestinale, evitandone la sintomatologia indesiderata derivante.
Per quanto relativo agli effetti lassativi, le fibre “insolubili” aumentano la massa fecale ed accelerano il transito nel colon con incremento della peristalsi.
Le fibre alimentari “solubili” vengono invece prevalentemente fermentate nell’intestino crasso, incrementando la biomassa grazie a sottoprodotti della fermentazione tra i quali gli acidi grassi a catena corta; conseguentemente i tempi di transito oro-anale vengono influenzati da questi meccanismi oltre a sortire ulteriori effetti sul microbiota, sulle cellule del sistema immunitario, sulle cellule endocrine intestinali, sul sistema nervoso enterico e sulla permeabilità della mucosa intestinale.
La fibra alimentare da “Psillio” è una “fibra solubile” e minimamente fermentata, che genera un intermedio viscoso (capacità gelificante media), che si conserva durante tutto il transito nell’intestino crasso e normalizza la consistenza delle feci.
Un numero sempre maggiore di conferme scientifiche supporta l’affermazione che le fibre alimentari agiscano anche come “prebiotici” influenzando la composizione del microbiota intestinale, inoltre è oggi noto che i sottoprodotti della fermentazione delle fibre alimentari (acidi grassi a catena corta), come ad esempio propionato e butirrato, sono in grado di contribuire alla riduzione del pH nel colon, favorendo la crescita di batteri benefici, come lattobacilli e bifidobatteri.
In particolare il Butirrato viene oggi ritenuto responsabile della riduzione dell’infiammazione del colon in due modi e cioè inducendo l’apoptosi delle cellule T (quindi contrastando la fonte di infiammazione) e sopprimendo infiammazione mediata da interferone-γ (IFN-γ).
Le fibre alimentari sembrano migliorare la sintomatologia dell’IBS anche interagendo con il sistema neuro-endocrino intestinale (NES), infatti le variazioni del pH intestinale possono stimolare il rilascio di serotonina che svolge un ruolo fondamentale nella sensibilità viscerale.
Più in generale, gli acidi grassi a catena corta prodotti dalla fermentazione di le fibre alimentari, sembrano influenzare diversi ormoni intestinali, come ad esempio il peptide YY (PYY) e peptide-glucagone-1.
Il peptide PYY è notoriamente coinvolto nella stimolazione dell’assorbimento di acqua ed elettroliti e nella regolazione del “freno ileale”; inibisce inoltre la prostaglandina E2 ed il polipeptide vasoattivo intestinale che stimolano la secrezione di liquidi nell’intestino.
Questi meccanismi possono spiegare l’effetto della fibra alimentare sul transito gastrointestinale e sulla secrezione.
Nei pazienti soggetti ad IBS viene generalmente consigliato (in particolare dai medici dell’assistenza primaria) di incrementare l’apporto di fibra alimentare a 20-35 g al giorno per regolare transito intestinale e ridurre dolore e meteorismo intestinale.
L’integrazione con fibre a “catena lunga”, poco fermentate, con media attività gelificante (viscosità), come lo Psillio, migliora la sintomatologia globale dell’IBS così come anche confermato da una recente meta-analisi (Moayyedi P et al. 2014) nella quale, in 14 studi controllati e randomizzati, su circa 906 pazienti con IBS, in particolare lo Psillio, è stato efficace nel migliorare i sintomi IBS globali rispetto a placebo. Secondo ampie esperienze cliniche l’integrazione di fibre alimentari risulta essere sicura e ben tollerata. Si può verificare lieve gonfiore/distensione addominale transitoria, se la fibra viene assunta troppo rapidamente in quantità elevate. La supplementazione con fibre dovrebbe quindi essere avviata gradualmente, incrementando l’assunzione di non più di 5 g / die ogni settimana.
A fronte di significativi benefici, l’integrazione di fibre alimentari come lo Psillio, in pazienti con IBS, risulta favorevolmente poco costosa. |
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Int J Mol Med. 2017 Sep;40(3):607-613. doi: 10.3892/ijmm.2017.3072. Epub 2017 Jul 19.
Dietary fiber in irritable bowel syndrome (Review).
El-Salhy M(1), Ystad SO(2), Mazzawi T(3), Gundersen D(4)
Author information:
(1)Division of Gastroenterology, Department of Medicine, Stord Hospital, 5416 Stord, Norway. (2)National Centre for Functional Gastrointestinal Disorders, Department of Medicine, Haukeland University Hospital, 5020 Bergen, Norway. (3)Department of Clinical Medicine, University of Bergen, 5020 Bergen, Norway. (4)Department of Research and Innovation, Helse-Fonna, 5528 Haugesund, Norway.
Abstract
Irritable bowel syndrome (IBS) is a common chronic gastrointestinal disorder. It is widely believed that IBS is caused by a deficient intake of dietary fiber, and most physicians recommend that patients with IBS increase their intake of dietary fiber in order to relieve their symptoms. However, different types of dietary fiber exhibit marked differences in physical and chemical properties, and the associated health benefits are specific for each fiber type. Short-chain soluble and highly fermentable dietary fiber, such as oligosaccharides results in rapid gas production that can cause abdominal pain/discomfort, abdominal bloating/distension and flatulence in patients with IBS. By contrast, long-chain, intermediate viscous, soluble and moderately fermentable dietary fiber, such as psyllium results in a low gas production and the absence of the symptoms related to excessive gas production. The effects of type of fiber have been documented in the management of IBS, and it is known to improve the overall symptoms in patients with IBS. Dietary fiber acts on the gastrointestinal tract through several mechanisms, including increased fecal mass with mechanical stimulation/irritation of the colonic mucosa with increasing secretion and peristalsis, and the actions of fermentation byproducts, particularly short-chain fatty acids, on the intestinal microbiota, immune system and the neuroendocrine system of the gastrointestinal tract. Fiber supplementation, particularly psyllium, is both safe and effective in improving IBS symptoms globally. Dietary fiber also has other health benefits, such as lowering blood cholesterol levels, improving glycemic control and body weight management.
DOI: 10.3892/ijmm.2017.3072
PMCID: PMC5548066
PMID: 287311
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Newsletter Ayurveda nr. 37 – Novembre 2017
Newsletter n° «37»
Novembre 2017
Murivenna taila: un caso clinico
European Journal of Biomedical AND Pharmaceutical sciences. ejbps, 2017, Volume 4, Issue 6, 496-498. ISSN 2349-8870.
CLINICAL EFFICACY OF MURIVENNA OIL PARISHEKA IN THE MANAGEMENT OF SOFT TISSUE INJURY W.S.R. TO ACHILLIS TENDINOPATHY – A CASE STUDY
Dr. Naresh Kumar Ghodela, Dr. Princy Prasad and Dr. T.S. Dudhamal
Le lesioni dei tessuti molli (STI) sono prevalentemente riscontrabili in forma di distorsioni, stiramenti, contusioni, tendiniti e borsiti. I tessuti “molli” del corpo sono rappresentati principalmente da muscoli, tendini, legamenti, fasce, nervi, tessuti fibrosi, grasso, vasi sanguigni e membrane sinoviali.
Le lesioni sportive sono tra le principali cause della riduzione della funzione dei tessuti molli con comparsa di dolore e di disabilità funzionale, che condizionano negativamente il mantenimento della ottimale condizione e prestazione fisica. In questo contesto sono molto frequenti le lesioni del “ tendine di Achille” che ricordiamo essere il tendine più forte e più spesso del corpo.
Anatomicamente Il tendine di Achille origina a metà del polpaccio e, con lunghezza media di 15 centimetri, si estende verticalmente sino al tallone terminando dietro la caviglia. Gli infortuni più comuni al tendine di Achille sono dovuti ad un uso eccessivo del piede nell’attività sportiva.
Una corretta diagnosi della tendinopatia di Achille si basa sulla valutazione di un eventuale storico di lesioni, sulla diagnostica strumentale locale. L’infiammazione del tendine di Achille deve essere identificata come diversa rispetto ad altre cause di dolore dell’arto inferiore, data la prossimità del tendine di Achille con altre diverse strutture (nervo surale, strutture posteriori della caviglia, borsiti, ecc.).
Nei casi acuti, la lesione tendinea, determinata da una elevata componente infiammatoria molto dolorosa, viene definita con il termine “peritendinite”.
Fisiologicamente il tendine di Achille è sottoposto ad una gamma molto complessa di movimenti tra i quali quelli tipici della “mattina” ed è proprio nel primo mattino che dolore e rigidità si presentano con frequenza per poi attenuarsi poco dopo, quindi la presenza di dolore ricorrente “mattutino” può essere un segno distintivo della “tendinopatia” di Achille.
Grado e tempo di rigidità tendinea (funzionale) vengono considerati due parametri di riferimento per il recupero dello stato di salute tendineo derivante dall’infortunio e, obiettivo della gestione della tendinopatia, è quello di riduzione del dolore e di recupero della funzione tissutale, per il sollievo dai sintomi.
Tra le strategie indicate, per un effetto analgesico, vengono ovviamente sconsigliate le attività che inducano il “mal allineamento” del piede (causa di dolore e indebolimento muscolare) e consigliate crioterapia e massaggio con frizione profonda, oltre a riduzione dei movimenti della caviglia ed il riposo.
Nei casi cronici, il massaggio a frizione profonda dovrebbe essere accompagnato da stretching per ripristinare l’elasticità del tessuto. Le iniezioni peri-tendinee di corticosteroidi sono spesso consigliate sia nei casi acuti sia in quelli cronici, tuttavia la loro indicazione è controversa.
Consigli di riposo, interventi fisioterapici o altri interventi hanno comunque inziale finalità conservativa.
I testi classici ayurvedici correlano la condizione di “tendinopatia” con Snayugata Vata che può essere gestito con Sneha parisheka seguito da Bandhana karma.
Più nello specifico in Sushruta Samhita questo evento traumatico (Kshataja Vrana) viene correlato con un grave squilibrio di Vata Dosha che dovrebbe classicamente essere gestito con Sneha-pana, Parishek, Veshavara, Krishara, Snigdha-Upanaha, Dhanya- Sweda, Snigdha-Aalepa ecc.
Nella pratica tradizionale del Kerala, per i trattamenti esterni, Murivenna è il “taila” di prima scelta per la gestione di Sandhi Mukta, Sadyovrana, Dagdha Vranas, Bhagna e Shopha; questo prezioso olio, menzionato nella farmacopea governativa e consigliato per Dhara, Pichu, Tailadroni e Bandhana, si è rivelato tradizionalmente molto efficace nella gestione delle lesioni dei tessuti molli e nella tendinopatia Achillea.
Murivenna è un Taila molto particolare, e per certi versi unico; la sua formulazione di base è documentata nelle più antiche fonti ayurvediche e, negli ambiti più tradizionali, il suo utilizzo è molto noto per il trattamento di traumi derivanti dalla pratica dell’antica e famosa arte marziale indiana Kalarippayattu (praticata soprattutto nel sud dell’India).
In lingua Malayam il nome Murivenna è composto da due termini e cioè: murivu=lesione ed enna=olio. Secondo tradizione questo olio Ayurvedico viene indicato per il bilanciamento di Vata e delle sue manifestazioni di squilibrio che possono dare luogo a indebolimento e lesioni di varia natura.
La sua attività lo vede tutt’oggi impiegato sia negli ambiti ayurvedici più classici e tradizionali che nei più moderni ambienti sportivi inoltre trova indicazione anche come ottimo coadiuvante in ambito preventivo in quanto i singoli fitocomplessi dispersi nella miscela oleosa, ai quali vengono attribuite qualità in grado di donare forza ed elasticità, in concorso con l’azione dinamizzante del massaggio, possono agire favorevolmente sul fisiologico equilibrio di muscoli, tendini e legamenti, riducendo quindi la possibilità di incorrere in lesioni, stiramenti e traumi di vario genere.
La composizione di Murivenna è molto complessa e sono possibili varianti di formulazione a seconda delle regioni geografiche in cui è prodotto. Nella formulazione di base cinque sono gli estratti di piante medicinali ricorrenti miscelati in olio di Cocco (noto anch’esso per le sue proprietà pacificanti di Vata e Pitta).
Nel processo di preparazione delle formulazioni di Murivenna più pregiate, viene utilizzato anche “Tandulodaka”, ovvero l’acqua in cui è stato lavato il riso per 4 volte e poi messo a bagno per 9 ore. A quest’acqua vengono tradizionalmente attribuite particolari proprietà lenitive, ammorbidenti e di contrasto alle infiammazioni.
Come sopra citato nella formula tradizionale di Murivenna ricorre la presenza dei seguenti componenti: Cocos nucifera (Oil), Pongamia pinnata (Seed Extract), Aloe barbadensis (Leaf Extract), Moringa oleifera (Leaf Extract); Allium cepa (Bulb Extract); Asparagus racemosus (Root Extract).
L’olio di cocco, che costituisce la base dell’olio di Murivenna, risulta particolarmente importante in quanto è in grado di aumentare la permeabilità della pelle e quindi di aumentare la biodisponibilità dei fitocomplessi miscelati nel Taila.
Risulta di particolare interesse osservare che le più frequenti indicazioni di impiego tradizionale di Murivenna (apparato muscolo-scheletrico) corrispondano, premesso il concetto di evidente sinergia degli stessi, agli effetti oggi accertati dalla moderna fito-farmacologia dei singoli componenti. Solo a titolo di esempio sono disponibili oggi molte evidenze scientifiche sulle importanti proprietà antinfiammatorie ed analgesiche di Aloe bardensis, quelle antinfiammatorie di Pongamia pinnata e Allium cepa, quelle nutrienti di Moringa oleifera e quelle immunomodulatorie, antinfiammatorie e decontratturanti di Asparagus racemosus.
Tutte queste piante medicinali, è oggi confermato dalla moderna farmacologia, che esercitino inoltre diverse attività antiossidanti a loro volta utili nel contrastare i generali processi infiammatori.
L’articolo scientifico che segnaliamo nella newsletter corrente, è stato pubblicato nel 2017 da European Journal of Biomedical AND Pharmaceutical sciences (SJIF Impact Factor 4.382) e propone uno specifico caso clinico in cui la tendinopatia di Achille è stata trattata con Murivenna.
L’articolo, di veloce lettura, descrive anche dal punto di vista pratico la metodologia di trattamento utilizzata e rappresenta una ulteriore evidenza dei benefici di Murivenna sull’apparato muscolo scheletrico.
Una giovane paziente di 30 anni con diagnosi di tendinopatia Achillea è stata trattata versando olio di Murivenna sulla parte interessata (Parisheka).
Il trattamento è stato eseguito per quattro settimane, ogni giorno per 10 minuti e successivamente al trattamento è stato eseguito un semplice bendaggio con garza.
Per la valutazione del trattamento sono stati presi in considerazione diverse variabili come l’intensità del dolore, la rigidità e il ROM (range di movimento); tutti i parametri (insieme all’indice di disabilità) sono stati valutati prima e dopo il trattamento.
Nel caso trattato il dolore (inteso come sintomo principale) dovuto all’infiammazione del tendine, è stato ridotto al minimo dopo 15 giorni di trattamento ed è completamente scomparso entro un mese.
Analogamente al quindicesimo giorno di trattamento si è completamente risolto il sintomo di rigidità con un miglioramento, al termine del trattamento, molto evidente dei movimenti di flessione, dorsiflessione ed inversione del piede.
La semplice procedura di bendaggio con garza, dopo le singole sedute, ha aiutato a trattenere l’olio nel sito per ulteriori ore.
Le proprietà nutrienti e toniche dell’olio hanno contribuito all’idratazione della pelle che, come tessuto molle composto da epidermide e derma, idoneamente idratata, è più permeabile della pelle secca. È stato scientificamente provato che l’olio vegetale agisce come potenziatore di permeazione di fitocomplessi.
Al termine del trattamento il punteggio FADI (The Foot & Ankle Disability Index) è variato da 58.7 (prima del trattamento) a 71 (al termine del trattamento) indicando un miglioramento della capacità funzionale del piede.
I risultati del trattamento indicano che l’olio di Murivenna (Parisheka) ha dimostrato evidenti risultati nella riduzione del dolore, della rigidità e nel migliorare la mobilità della parte trattata in un caso di tendinapatia di Achille e che l’olio di Murivenna agisce con attività sinergica dei suoi componenti nell’alleviare i sintomi delle lesioni dei tessuti molli.
A cura della direzione scientifica di Benefica
ejbps, 2017, Volume 4, Issue 6, 496-498. European Journal of Biomedical AND Pharmaceutical sciences. ISSN 2349-8870
CLINICAL EFFICACY OF MURIVENNA OIL PARISHEKA IN THE MANAGEMENT OF SOFT TISSUE INJURY W.S.R. TO ACHILLIS TENDINOPATHY – A CASE STUDY
1*Dr. Naresh Kumar Ghodela, 2Dr. Princy Prasad and 3Dr. T.S. Dudhamal
1,2PhD Scholar, 3Asso. Proff. & I/C HOD. Dept. of Shalya Tantra, IPGT & RA, Gujarat Ayurved University, Jamnagar.
ABSTRACT
Background: A soft tissue injury most likely to be experienced with sprains, strains, contusions, tendonitis and bursitis. It results in more pain and stiffness of concerned area that hampers patient’s routine activity. If such cases managed improperly that result in more deformities so it requires proper and early management. Early management of STI (soft tissue injury) is described in Ayurveda classics and provide better functional restoration. Murivenna oil is traditionally practiced in traumatology by Ayurveda practitioners. Method: A 30 year female patient diagnosed of Achillis tendinopathy was managed with Murivenna oil (Ayurveda medicament) Parisheka (pouring oil on affected part) procedure performed daily for 10 minutes followed by simple bandaging with gauze for 4 weeks. Variables like pain, stiffness and ROM (range of movement) along with disability index were assessed before and after treatment. Result: Murivenna oil Parisheka revealed tremendous results in improving pain, stiffness and movement of part. Conclusion: The active principle in Murivenna oil provides synergistic action in relieving the symptoms of soft tissue injuries.
KEYWORDS: Ayurveda, Murivenna oil, Soft tissue injury, Tendinitis.
ISSN 2349-8870.
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Newsletter Fitoterapia nr. 28 – Novembre 2017
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Newsletter n° «28»
Novembre 2017
Centella asiatica Urban
Razionale neuroprotettivo
Evid Based Complement Alternat Med. 2016;2016:2795915. doi: 10.1155/2016/2795915. Epub 2016 Jun 1.
Effectiveness of Gotu Kola Extract 750 mg and 1000 mg Compared with Folic Acid 3 mg in Improving Vascular Cognitive Impairment after Stroke.
Farhana KM, Malueka RG, Wibowo S, Gofir A.
Centella asiatica Urban., nota anche con il sinonimo di Hydrocotyle asiatica, è conosciuta anche con il nome tradizionale di “Gotu-Kola” o di “ tigre del prato”; è una pianta appartenente alla famiglia delle Apiaceae o Ombrellifere. Tipica della fascia tropicale del continente asiatico cresce anche in Africa ed Australia, in habitat umidi e paludosi. Particolarmente diffusa in India è ritrovabile anche in Cina, Indonesia, Africa meridionale e Madagascar.
Utilizzata da millenni nei principali sistemi di Medicina Tradizionale, dalle sue foglie viene estratto un fitocomplesso ricco in triterpeni pentaciclici, chiamati genericamente anche “Centelloidi” o “Centellosidi”. Tra queste molecole risultano di particolare interesse, per l’attività medicamentosa, l’asiaticoside, il madecassoside ed il centelloside.
Centella asiatica è conosciuta per le sue proprietà medicinali sin dall’antichità in particolar modo nella medicina tradizionale ayurvedica oltre che nella medicina tradizionale cinese. Nella medicina tradizionale ayurvedica, il suo maggiore e più antico impiego è stato quello di supplemento a supporto delle funzioni cognitive, come Bacopa monnieri. Centella tuttavia possiede diverse ulteriori e salienti proprietà a favore del sistema cardio-vascolare (insufficienza venosa), a favore della rigenerazione della pelle e della guarigione delle ferite, a favore del trattamento degli stati ansiosi e dei quadri infiammatori reumatoidi.
Gli effetti di Centella asiatica, a supporto delle funzioni cognitive, sono osservabili mediamente dopo un paio di settimane di assunzione di formulazioni concentrate, e sono relativi alla probabile capacità del fitocomplesso di supportare la crescita neuronale, favorendone la ramificazione dendritica, ma senza un evidente aumento del numero dei neuroni.
La recente letteratura scientifica è concorde nel sostenere che questi effetti dipendano principalmente dalla capacità del fitocomplesso di Centella asiatica, di attivare una specifica classe di proteine, chiamate MAPK (mitogen-activated protein kinase), che determinano il rilascio, nel cervello, di uno specifico fattore neurotrofico chiamato BDNF (brain-derived neurotrophic factor).
Il fitocomplesso di Centella asiatica si dimostra capace inoltre di inibire l’attività di un gruppo di enzimi responsabili della degradazione del collagene e di stimolarne la sintesi; questi effetti sono stati riportati osservando l’incremento percentuale di guarigione delle ferite (sia nel modello animale sia nella ricerca preliminare sull’uomo) con effetto generale trofico sulla pelle, grazie alla stimolazione di collagene come avviene con la creatina. Centella asiatica sembra incrementare i livelli di Vitamina E, favorendone il riciclo e aumentandone l’attività.
Nell’utilizzo tradizionale Centella è stata utilizzata per la lebbra, le vene varicose, per la depurazione del sangue, le ulcere, il lupus, gli eczemi, la longevità, e di ritardo mentale. Sia l’uso esterno che quello topico risultano attualmente molto diffusi a favore della salute della pelle e per la guarigione di ferite, cicatrici, e ustioni. Da sola o in associazione con la Bacopa monnieri trova impiego a favore delle funzioni cognitive ed il termine “Brahmi”, che identifica più frequentemente la Bacopa monnieri, viene spesso utilizzato anche per riferirsi alla associazione delle due piante.
Come noto, una delle cause di declino cognitivo può essere l’ictus e la frequenza delle disfunzioni cognitive post-ischemiche variano dal 20 al 30% dei casi, con un rischio crescente nei due anni successivi; secondo Ballard et al., il 25% dei pazienti colpiti da stroke va incontro a problemi di demenza e, nei cinque anni successivi allo stroke, il loro rischio di andare incontro a problemi di demenza è nove volte superiore alla popolazione sana; nei pazienti colpiti vengono principalmente coinvolti i domini cognitivi come la memoria e l’attenzione.
Obiettivo dello studio segnalato, disponibile in PubMed da giugno 2016, è stato quello di determinare l’efficacia di “Gotu kola” (Centella asiatica Urban) nel migliorare la funzione cognitiva in pazienti con insufficienza cognitiva vascolare (VCI) post-stroke.
Ai pazienti inclusi nello studio, divisi in tre gruppi trattati con protocollo farmacologico standard, è stata somministrata una integrazione di due diversi dosaggi di estratto standardizzato di Centella asiatica (1000 mg/die oppure 750 mg/die) ed al terzo gruppo un dosaggio di 3 mg/die di acido folico, per sei settimane.
Le conclusioni dello studio indicano che, nei gruppi trattati con Centella asiatica, dopo 6 settimane, si sono ottenuti miglioramenti significativi su tutti i sintomi post-stroke correlati (VCI) e che, rispetto a questi, Centella asiatica Urban è efficace quanto l’acido folico e superiore ad esso sulle funzioni di memoria. |
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Evid Based Complement Alternat Med. 2016;2016:2795915. doi: 10.1155/2016/2795915. Epub 2016 Jun 1.
Effectiveness of Gotu Kola Extract 750 mg and 1000 mg Compared with Folic Acid 3 mg in Improving Vascular Cognitive Impairment after Stroke.
Farhana KM(1), Malueka RG(1), Wibowo S(1), Gofir A(1).Author information:
(1)Department of Neurology, Faculty of Medicine, Universitas Gadjah Mada, Dr. Sardjito General Hospital, Yogyakarta 55284, Indonesia.
Abstract
This study aimed to determine the effectiveness of gotu kola (Centella asiatica) in improving cognitive function in patients with vascular cognitive impairment (VCI). This study uses a quasi-experimental design. Subjects in this study were patients with poststroke cognitive impairment who were treated at two hospitals in Yogyakarta, Indonesia. The number of subjects was 48: 17 subjects were treated with 1000 mg/day of gotu kola extract, 17 subjects treated with 750 mg/day of gotu kola extract, and 14 subjects treated with 3 mg/day of folic acid for 6 weeks. A Montreal Cognitive Assessment-Indonesian version (MoCA-Ina) was conducted at the beginning of treatment and after 6 weeks of therapy. It was found that all trials effectively improved poststroke VCI based on MoCA-Ina scores over the course of the study. There is no significant difference in ΔMoCA-Ina (score at the 6th week of treatment – score at the beginning) mean score among the three groups, indicating that gotu kola is as effective as folic acid in improving poststroke VCI. Gotu kola was shown to be more effective than folic acid in improving memory domain. This study suggested that gotu kola extract is effective in improving cognitive function after stroke.
DOI: 10.1155/2016/2795915
PMCID: PMC4908235
PMID: 27340413 |
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